C’era una volta un bambino di 10 anni di nome Giacomo. Giacomino per i gli amici e i parenti. Erano gli ultimi giorni di vacanze natalizie e cercava di alzarsi presto la mattina per avere più tempo da dedicare alle sue attività preferite. I compiti erano finiti, a parte il tema che doveva scrivere sulle sue vacanze, per quello, diceva “Aspetterò l’ultimo giorno, la Befana”. Una mattina di queste, appena sveglio nella sua cameretta, vide che fuori aveva smesso di nevicare. Giacomino viveva in una città di montagna, faceva freddo già da ottobre e nevicava per più di tre mesi l’anno. In fretta si vestì, si infilò il cappottino, cappello e sciarpa e uscì dalla stanza. Un attimo dopo rientrò e si infilò i guanti, eh, quando era euforico era anche parecchio sbadato. Corse giù per le scale che portavano al piano di sotto e si fermò un attimo in cucina, c’era qualcun altro. La mamma stava preparando il caffè per tutta la casa “Giacomino, già sveglio? Quando devi andare a scuola non ti alzi a quest’ora neppure se viene Linda a svegliarti” Linda era la compagna di classe che gli piaceva tanto. Giacomino era arrossito ma fece finta di niente “Mamma, io esco qui sotto!”
Non sentì cosa gli disse la madre, tanto era la fretta di uscire. “Fantastico!” il cortile di casa sua sembrava incantato. Silenzioso, sgombro, candido con tutta quella neve a coprire le buche sui marciapiedi, i tombini, anche le macchine sembravano un tutt’uno con il paesaggio. Giacomino si strinse bene la sciarpa e cominciò a correre in cerchio, lasciando impronte qua e là. All’improvviso, anziché la neve soffice pestò qualcosa di rigido, nascosto sotto quel manto bianco. Il bambino si spostò subito, Chissà che ho acciaccato, si domandava. Si inginocchiò e cominciò a scavare in quel punto. Dopo un paio di minuti riuscì ad afferrare l’oggetto misterioso. Era un orologio da tasca, del modello a cipolla. Giacomino ricordò di averne visto uno simile nella tasca del gilet del nonno. Il bambino lo guardò a lungo, poi lo scosse, lo avvicinò all’orecchio ma non sentiva nulla.
Si alzò dalla neve, aveva i pantaloni zuppi, se non fosse corso a cambiarsi la mamma lo avrebbe sgridato per bene. Guardò a destra, poi a sinistra, si infilò l’orologio nella tasca del cappotto e corse in casa. Quella sera portò l’orologio al nonno, la fonte più autorevole della casa sull’argomento.
“Devi dargli la carica a mano se vuoi che torni a ticchettare” gli spiegò il nonno e gli indicò come farlo.
Il viso di Giacomino si illuminò quando vide le lancette dei secondi riprendere a girare.
“Guarda che strano, non c’è bisogno nemmeno di regolare l’ora, è già esatta. Ma dove lo hai trovato?” chiese il nonno
“Qui intorno!”, il bambino scappò in camera sua e si sdraiò sul letto ad osservare l’orologio.
Qualcuno l’aveva perso? O lo avevano gettato? Il babbo gli aveva detto che era usanza gettare le cose vecchie a capodanno, ma quell’orologio era troppo bello. La cassa argento era intarsiata, le lancette dorate, le ore indicate in numeri romani, il quadrante senza un graffio. Lo posò sul comodino, aperto in modo da portelo guardare. Quella sera faceva freddo, la neve era bella però come avrebbe voluto che fosse di nuovo estate. Poco dopo si addormentò.
L’indomani, si svegliò e guardò il comodino, l’orologio non c’era più. Giacomino si strofinò gli occhi, forse stava ancora dormendo. E no invece, l’orologio era proprio scomparso. Guardò fuori la finestra, non c’era un solo fiocco di neve. Sbalordito scese in pigiama nella cucina. Non c’era nessuno, niente odore di caffè, eppure c’era già il sole. Corse in camera dei genitori e li vide dormire. Andò dai nonni, stessa situazione. Tornò in cucina lentamente, si prese un bicchiere d’acqua e si mise seduto intorno al tavolo. Tra un sorso e l’altro cercò di ricordare cosa era successo il giorno prima, aveva nevicato tutta la notte, fuori c’era un manto bianco, era uscito, aveva trovato l’orologio. Ora invece era sparita la neve, faceva caldo, faceva caldo! Giacomino notò che aveva indosso un pigiama estivo. Che stava succedendo? Corse a leggere vicino al calendario, giugno.
Giacomino urlò e si strofinò i capelli, “Mamma!! Mamma!!!”
La madre arrivò in cucina dopo qualche secondo, tutta allarmata “Che succede?!”
“Estate!! Siamo in estate! Ieri era il 5 gennaio!!” provò a spiegare il bambino.
“Ma che dici?? Certo che è estate!” la madre vide che il bambino aveva un viso sconvolto “Non è che hai fatto un brutto sogno?”
Giacomino prese un respiro profondo, un sogno, certo, questo spiegava tutto. Allora, perché sembrava tutto così reale? Scosse il capo e abbracciò la mamma, dopo un po’ di coccole andò a bere un bicchiere di latte. Quando tornò in camera sua vide che il quaderno dei compiti che stava facendo non c’era, ma vi erano libri di tutt’altro genere, compiti per le vacanze estive appena cominciate. Si tranquillizzò e tornò a fare la vita di sempre.
L’estate finì, arrivò presto l’autunno e poi ecco di nuovo le vacanze invernali, Giacomino aveva ormai dimenticato quel “sogno”. Trascorse il Natale e il Capodanno nella neve, come ogni anno, costruì un pupazzo insieme ai genitori. La sera del 5 gennaio Giacomino andò a dormire alla solita ora. La mattina dopo si risvegliò ed ebbe come la sensazione di un déjà-vu quando guardò fuori la finestra, c’era la neve e tanta. Un brivido gli corse lungo la schiena quando si voltò verso il comodino, c’era un aggeggio familiare che brillava sotto la luce che entrava dalla finestra. Giacomino lo fissò strabuzzando gli occhi. Quasi ebbe paura di toccarlo, ma era proprio l’orologio del suo sogno, argentato, le lancette dorate, i numeri romani ed era fermo.
“Deve essere una coincidenza” scese giù in cucina, la mamma era lì. “Mamma, che mi hai regalato un orologio per la Befana?”
“No, tesoro mio, la tua calza è appesa al letto, non l’hai vista?”
Giacomino credeva di essere impazzito, l’orologio lo aveva in tasca, si era chiuso, non aveva fatto caso all’iscrizione sulla cassa superiore, diceva Ricaricami ed esprimi un desiderio, il bambino ricordò come un flash che nel suo “sogno” aveva desiderato l’estate. Giacomino si illuminò, una miriade di desideri cominciarono ad attraversargli la mente, una bici nuova, un viaggio nello spazio, una macchina nuova per il babbo… Prese a caricare l’orologio, girava e girava ma per quanto provasse le lancette non si spostavano. Forse non si ricordava più. Attese con impazienza che si svegliasse il nonno. Questi si alzò sul tardi, tutto infreddolito, si strofinava le mani desiderando di bere qualcosa di caldo, il bambino gli si precipitò davanti “Nonno! Nonno! Ricaricamelo!!”
Il nonno sobbalzò, il bambino non perse tempo in spiegazioni, rimandò tutto a dopo, però anche il nonno non riuscì più a ricaricarlo. “Non vorrei dirtelo ma sembra una patacca cinese, quelle che durano solo una volta” gli disse il nonno.
Il bambino si imbronciò. Poi le parole del nonno gli accesero una lampadina, solo una volta. Possibile che aveva bruciato il suo desiderio senza saperlo? Per un’estate. Se solo avesse letto quell’iscrizione prima. Prese l’orologio e lo portò in camera sua, passò molti minuti a provare e riprovare, ormai era diventato un oggetto inutile. Alla fine si stufò e lo lanciò fuori dalla finestra, nella neve, lì dove l’aveva trovato.
Qualche giorno dopo, in un’altra città, una giovane ragazza che faceva jogging di prima mattina vide un orologio da taschino nascosto dal fogliame, alle radici di un albero. Era davvero bello. La giovane si fermò per riprendere fiato, lo raccolse e si fermò su una panchina del parco in cui era solita correre. Chissà se funzionava si domandava. Lo caricò a mano e subito le lancette cominciarono a muoversi. La giovane osservò l’orologio del parco, era in perfetta sincronia con quello che aveva trovato. Lo appese al ramo di quell’albero, di sicuro il proprietario sarebbe tornato a prenderlo, almeno lo sperò. Poi riprese a correre prima che lo smog soffocasse l’aria della città.
Non passarono molti minuti che una vecchia signora si avvicinò all’orologio e lo osservò sorridente. Quello sì che era stato uno strano desiderio, pensò. La proprietaria ripose l’orologio nella tasca del suo cappotto “Beh, vecchio mio, credo proprio che per un po’ te ne starai buono nella mia tasca” disse, come parlando all’orologio, poi si allontanò un passo alla volta, il cielo era azzurro, si prospettava una fresca e serena giornata di gennaio.
Fine