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Autore: DDaniele    04/12/2023    0 recensioni
[Insomniac Spider-Man]
Peter e Harry vanno al luna park per un appuntamento, ma per un supereroe appena posseduto da un simbionte anche le cose più semplici possono diventare complicate... o letali.
Storia scritta per l'Advent Calendar 2023 del gruppo Facebook "Hurt/Comfort Italia" usando la parola chiave 188. Tessera.
Genere: Comico, Fluff, Hurt/Comfort | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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   Nel corso delle mie avventure nei panni di Spider-Man, l’amichevole supereroe di quartiere che punisce i criminali e protegge gli innocenti, mi ritrovai spesso in situazioni apparentemente senza via d’uscita, ma mai prima d’ora ebbi un così minuscolo margine d’azione: mi rimanevano solo tre colpi per eliminare altrettanti bersagli. In altre parole, avrei dovuto centrare tutti i bersagli con un colpo preciso: non c’era spazio per gli errori. Per dare il massimo svuotai la mente ricorrendo a una tecnica di meditazione esoterica la quale mi fu insegnata dal Dottor Strange in persona. Raggiunsi uno stato di calma assoluta e attesi che i miei acerrimi nemici si palesassero. Non dovetti aspettare molto.
   Bing, sentii, ed ecco che sul lato destro del mio campo visivo fece capolino una paperella di gomma. Istantaneamente, sollevai il braccio e premetti il grilletto: il sottile getto scaturito dalla mia pistola ad acqua colpì la papera, la quale emise un acuto quack di sconfitta. Non lasciai che il trionfo mi desse alla testa: all’appello mancavano altri tre nemici da far fuori. Socchiusi gli occhi rientrando nel mio precedente stato di quiete, trassi un respiro profondo e quindi aspettai. Stavolta l’attesa fu più lunga, ma essa mi diede comunque i suoi dolci frutti. Le restanti tre paperelle uscirono dai loro nascondigli con appena un secondo di scarto l’una dall’altra. Dovetti ricorrere ai miei poteri di ragno, lo ammetto, ma se non lo avessi fatto non avrei mai raggiunto quell’impossibile obiettivo: colpii perfettamente le tre papere di gomma con altrettanti getti d’acqua. Lo schermo sopra l’attrazione si illuminò con la scritta “Winner” e un allegro motivetto celebrò la mia gloriosa vittoria.
   “Punteggio pieno! Yu-huuu! Ho vinto io!” dissi voltandomi verso Harry. Lui mi guardò con tanto d’occhi sgranati, la bocca spalancata e sul viso un’espressione incredula. In mano teneva un grosso lecca-lecca incellophanato in una carta colorata e con un fiocco sullo stecco, il premio che aveva vinto a questo stesso tiro al segno e che mi voleva regalare per festeggiare il nostro appuntamento al luna park. Non avrei dovuto farlo, lo so, fu infantile da parte mia, ma scoccai un’occhiata di sufficienza al lecca-lecca: il premio che avevo vinto, e che intendevo regalargli, era di gran lunga più bello e sontuoso di quel dozzinale dolcetto.
   “Ecco a te, ragazzo” disse il signore di mezz’età che gestiva il chiosco “Il primo premio: il peluche dell’unicorno Timmy, mascotte del parco!” annunciò mentre mi passava da sopra il bancone l’unicorno di peluche alto e lungo circa venti centimetri con zoccoli e criniera dorati e occhi glitterati e corno dei colori dell’arcobaleno.
   “Come hai avuto modo di constatare, la mia abilità al tiro al segno surclassa di gran lunga la tua” dissi a Harry, le labbra atteggiate in un sorrisetto smargiasso.
   “Ma non avertene a male: ti cedo il mio premio, per toglierti dalla bocca l’amaro gusto della sconfitta.”
   “Per togliermi l’amaro di bocca dovrei mangiarmi il lecca-lecca che avevo vinto per te, ingrato” mi rispose Harry imitando il mio tono fintamente petulante.
   “Eh no, niente ripensamenti: unicorno a te, lecca-lecca a me” dissi e nel frattempo gli misi il peluche tra le braccia.
   “Ecco a te” mi disse porgendomi il lecca-lecca “anche se non te lo meriti, sono sicuro che hai usato certe tue abilità” continuò facendomi l’occhiolino con fare complice per evitare di alludere pubblicamente ai miei poteri di Spider-Man.
   “Poffarre, messere” dissi con un manierismo esagerato da nobiluomo medievale che, nelle mie intenzioni, doveva accordarsi con le mie parole. Non avrei saputo spiegare perché questo cambio di tono sarebbe dovuto risultare divertente, semplicemente seguii come sempre il mio estro. Genio e sregolatezza, come si suol dire.
   “Lei non sa affatto perdere con sportività. Posso permettermi di invitarLa a desinare in uno dei raffinati stabilimenti che impreziosiscono questa zona?”
   Mentre parlavo presi Harry sottobraccio e ci spostammo di alcuni passi fino a una zona rialzata. Da lì indicai con un ampio movimento del braccio libero la spiaggia a destra del parco, che ospitava una serie di fast food.
   “Qualora volessimo satollarci godendo di una graziosa vista sul mare, messere” dissi stampando un bacio sulla guancia di Harry; lui ridacchiò come se gli avessi fatto il solletico “potremmo recarci in quell’ameno bugigattolo in fondo, dove osti esperti ci serviranno dell’ottimo pesce. Altrimenti, nel caso i prodotti ittici della nostra costa non soddisfino il Suo palato, potremmo gustare all’ostello vicino dei prelibati alimenti di cucina etnica. La gente del paese alla cui cucina appartengono siffatte ricette li chiamano tacos e guacamole, che per noi stranieri si potrebbero tradurre come…”
   “Se mi consente, esimio, chiamerei i primi sfogatine di farina di mais farcite con carne, pesce o verdure a piacere e la seconda una salsa di avocado dalla piacevole consistenza corposa, quasi di marmellata” disse Harry. Egli si allontanò lievemente da me, dopodiché si voltò quasi compiendo una piroetta e continuò dicendo: “Se poi mi permette di essere particolarmente ardito, vorrei tentarLa con una controproposta” si volse indietro nella direzione del luna park dalla quale eravamo venuti e imitò il gesto che avevo fatto con il braccio per mostrargli la vista, un po’ come Mufasa mostra le terre del branco a Simba: “Posso avere l’ardire di proporLe di manducare il cibo tipicamente consumato dagli avventori di questo e simili parchi divertimento: un impasto fritto in olio bollente solo lievemente stantio e farcito con cioccolata, l’alimento originario delle nostre terre che gli europei, quando lo scoprirono, paragonarono all’ambrosia, il nettare degli dèi, o con crema pasticceria” e qui indicò il chiosco delle bombe fritte “e in seguito una corsa sull’attrazione preferita dalle giovani coppie di innamorati al punto che essa, nell’immaginario comune, viene considerata la giostra dell’amore per eccellenza?” e adesso indicò il tunnel dell’amore.
   Finsi di pensarci su, dopodiché risposi: “Mi ha convinto, messere. Approvo il programma da Lei testé proposto, non solamente per i sentimenti carinissimi che sottende ma altresì per ricompensare la qualità del Suo eloquio.”
   “Non oserei chiedere nulla di meglio, messere” mi rispose Harry, il quale mi si inchinò e, presami la mano, la baciò sul dorso.
   “Che cavaliere” osservai in tono drammatico portandomi la mano libera sulla fronte. Harry tentò di rispondermi nel tono altisonante e ampolloso che avevamo preso, ma incespicò nelle parole e cominciò a ridere da solo a crepapelle. La mano ancora stretta nella sua, lo guidai al chiosco del fritto e ordinai da mangiare per entrambi: un krapfen al forno ripieno di marmellata di fragole per lui – il Dottor Connors gli aveva suggerito di seguire una specifica dieta dopo aver perso il simbionte – e due bombe fritte al cioccolato per me – tanto avrei smaltito i grassi in una scazzottata o due nei panni di Spider-Man.
   “Ohibò, l’olio stantio conferisce alla pietanza una pesantezza inferiore rispetto a quanto avessi malignamente pronosticato” dissi dopo aver addentato la prima bomba “Vuoi un morso?” chiesi a Harry.
   “Non dovrei…”
   “Ma lo vorresti.”
   Harry scoccò alla mia merenda un’occhiata vogliosa.
   “Preferisci che ti lasci solo con la mia bomba? Sembri più attratto da lei che da me!”
   “Ma che dici? Davanti a tutti poi!” protestò lui, il viso avvampato per la vergogna. Era un ragazzo all’apparenza molto estroverso, ma su certi temi diventava timido come un eremita.
   “Ti prego, assaggiala. Se non lo fai mi sentirò in colpa come se mi fossi frapposto nell’amore tra te e lei.”
   “Sei uno stupido” disse con la testa china incalcata nella sciarpa. Quando si allungò per dare un morso alla bomba, mi sporsi in avanti con un gesto fulmineo – quanto siete utili, poteri da ragno! – e gli rubai un bacio sulle labbra.
   “Marrano, hai approfittato di me” protestò portandosi l’avambraccio davanti alla bocca. Farfugliò qualche altra parola, ma mi concentrai a studiare l’intensità della tonalità di rosso di cui si erano tinti i lobi delle sue orecchie e le fossette sulle sue guance. Captai solo qualcosa sulla mia “slealtà” e, per articolare una linea difensiva piuttosto generica che potesse scagionarmi da qualsiasi capo d’accusa, non trovai di meglio che fargli la linguaccia.
   “Basta, mi riprenderò il bacio che mi hai rubato dentro il tunnel. Andiamo” disse e, presomi per mano, mi guidò verso l’attrazione. Lo seguii, per una volta docile.
   D’improvviso le mie gambe cedettero. Cadendo a terra persi la presa della mano di Harry e sbattei con le ginocchia sul terreno duro e ruvido. Sollevando la testa vidi Harry troneggiare sopra di me con sul viso un’espressione mortalmente spaventata. Il mondo come si inclinò quando finalmente caddi con il tronco a terra. Il fiato mi si mozzò e provai un senso di oppressione al cuore, come se questo avesse preso a funzionare al contrario e, invece di pompare il sangue al resto del corpo, lo aspirasse a sé. Mi portai la mano alla sua altezza e artigliai la pelle come a voler convincere il cuore a funzionare normalmente.
   Harry si inchinò su di me e trasse da una tasca interna del cappotto una piccola scatola di forma oblunga e la poggiò a terra. Si cacciò la mano in una tasca del cardigan, ne prese la tessera identificativa della Fondazione Emily-May e ne passò il chip cucito su un lato davanti a un pannello ottico della scatola. Essa si aprì e Harry ne prese una sorta di epipen, le siringhe simili a penne da scrittura che si usano per dare scariche d’adrenalina a chi sta avendo un attacco di cuore. Apertomi il cappotto e sollevatomi il maglioncino con dita tremanti – nonché straordinariamente fredde, credo per la paura che provava, ma cercai di non farci caso per non spaventarmi da solo –, Harry mi punse sul petto con la punta dell’epipen. Una scossa mi attraversò per tutto il corpo provocandomi un dolore lancinante. Esso dissolse il torpore di cui iniziavo a cadere preda.
   “Pete Pete Pete” sussurrò Harry, il capo chino sul suo torace e le mani strette intorno all’epipen come fosse in preghiera. “Cerca di concentrarti sui tuoi poteri” disse adesso, incurante di essere sentito dalle persone che ci si affollavano attorno, chi intimando agli altri di lasciarmi spazio sufficiente per respirare, chi correndo a chiamare il personale medico del parco. “Questa è l’epipen creata dal Dottor Connors per un’eventualità come questa. Ricordi come ti ha spiegato di fare?” mi disse tentando di tenermi sveglio e, allo stesso tempo, distogliere la mia attenzione dal malore. “Il tuo corpo risente ancora del fatto che sei stato posseduto da Venom.” Nel frattempo si tolse il cappotto che gli limitava i movimenti e mi pose le mani sul petto. “Dobbiamo far ripartire bene il cuore” continuò. Probabilmente su una persona comune spiegare l’attacco che questa stava subendo non sarebbe stata una strategia efficace, ma su di me – nerd di professione e dotato di poteri i quali mi garantivano una resistenza di gran lunga superiore in confronto a una persona normale – essa funzionò nell’aiutarmi a concentrarmi su di lui e le cure che mi dava. Gliene fui immensamente grato. Harry cominciò a farmi pressione sul petto con intervalli di qualche secondo per permettere al cuore di riprendere a funzionare regolarmente e all’adrenalina dell’epipen di fare effetto. Poco prima di fare pressione, tuttavia, la sua voce si spezzava per una frazione di secondo e avrei giurato che stesse per scoppiare in singhiozzi. Ne rimasi commosso.
   “Pete Pete Pete” mi sussurrò mentre avvicinava il viso al mio per farmi la respirazione bocca a bocca. Le sue labbra premettero sulle mie e quando espirò nella mia bocca percepii l’aria aprirsi la strada verso il mio cuore. Per farmi forza, cercai di concentrarmi sulle sue labbra come se stessi assaporando il bacio appassionato che mi avrebbe dato nel tunnel dell’amore. Al pensiero una lacrima scese sulla mia guancia. Harry si agitò: dovette averla vista, e aver pensato al peggio. Preoccupato di averlo sconvolto, quando ripose le labbra sulle mie lo baciai intenzionalmente e, accarezzandogli il ciuffo di capelli sul lato del viso, mi sollevai da terra. Il fiato gli si mozzò e cominciò a piangere.
   “Ti sei ripreso!” urlò felice. “Stai bene! Se ti fosse successo qualcosa io…” la sua voce si spezzò e si accasciò a terra poggiando la testa sul mio petto.
   Da dietro di me sentii la folla di astanti bisbigliare in tono eccitato, presumibilmente sollevati dalla mia pronta ripresa, e poi farsi da parte dietro di me. Avvertii un rapido movimento d’aria e subito dopo il rumore ritmico delle pale di un elicottero.
   “È un’ambulanza mobile della Oscorp. È stata allertata quando ho aperto la scatola dell’epipen.”
   Un personale medico efficientissimo mi caricò su una barella e poi a bordo del velivolo. Harry mi tenne tutto il tempo per mano, senza mai allontanarsi nemmeno di un passo.
   “Può venire presso di me, messere?” gli domandai.
   “Cosa desidera, buon uomo?” rispose stando prontamente al gioco.
   “Solo un portafortuna” dissi e sporgendomi dalla barella gli rubai di nuovo un bacio. L’elicottero prese il volo.
   “Se vorrà rifarsi dei baci che Le ho carpito stasera dovrà accordarmi un nuovo appuntamento qui al parco divertimenti.”
   “Allora è un appuntamento” rispose reprimendo una risata.
   “È un appuntamento” confermai portandomi il dorso della sua mano sulla fron
te.
   
 
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