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Autore: Cladzky    05/12/2023    1 recensioni
Leggendo l'Eneide l'autore si addormenta e finisce in un terribile oltretomba scritto in terzine ma anti-Dantesco, dove non sono i morti a essere puniti, ma i suoi peccati letterari. Il buon Virgilio, come al solito, recupera la sua funzione di guida in questo inferno laico, traghettandolo da un'anima furiosa all'altra, pronta a randellarlo. Un'opera per ridere, ma anche di riflessione interiore e soprattutto di insulti, piena di personaggi storici.
Genere: Hurt/Comfort, Introspettivo, Parodia | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Canto XXII - Fuga e seconda riconciliazione. Sala dei magni.


Lesti, scarlatta la veste dell'aspide,

Addosso indossiamo e fora si scatta

Affabulando chi segue il figlio di Davide


Con le visa feroci che fece la matta.

Per segreti passaggi e scuri dongioni

I dedalici angoli de la mural fratta


Tutti indaghiamo, saggiamo i saloni

Lugubrati in decori di ossei capitelli

Bucrani, festoni, veri e propri costoloni


A seguire del gotico i gaji modelli

Lucenti e allegri nel mondo di sopra

Mai macabri e orrendi a questi livelli.


Infine, che immersi nella nostra opra

Scordiamci de la vista il nostro ausilio

E scontriamci con un'alma che già scopra.


Fermossomi in quell'infestato peristilio;

In fronte m'apparve chi mi conosce

Un omo d'Etruria, Publio Vergilio.


Me paenitet, mihi ignosce

Cadogli ai piedi e tutto il bacia

“Idiota” Leva le cornee sue mosce


E mi ragguaglia parola mendacia:

“il latino ecclesiastico ha un suono molle

A rimar col mio non avresti audacia.


Ragionar d'inezie noi non volle

Tu dimmi ora come scampasti

Te c'hai voluttade fiacca e solle.”


“Io non saprei ben dir com’ai nefasti

Scampai che un istinto mi ghermì tutto

E scuse sarebbero atti pleonasti


Che il possessor di tale veste ho distrutto.”

“Per nostra madre Anadiomene!”

Gridò il poeta e tarpossi il condutto


E ascondemmo retro a du’ lesene.

“Tu non lo dire” intimossemi l'arguto

“Che se si scoprisse hai voglia le scene!


Peggio facesti di Cassio e di Bruto.

Ignorante sei a chi hai fatto dispetto?

Che santa fosse pur viva era saputo:


Teresa d'Avila, cui Bernini diè rispetto

Con quel marmo posto in Maria vittrice.

Or quella, se pur morta avea l’aspetto,


Tornerà, quella cruda precettrice,

E non in tre giorni, che quivi è spedita:

Com’il mostro di Lerna, ch’Idra s’addice,


Così in poche ore cicatrizza la ferita

E l’osso ritorna sotto il suo muscolo,

Il nervo irretisce la carne invigorita


Com’Ezechiele nella valle al crepuscolo.

Ma forse fortuna ci arride se spogli

Il vello del crimine, del delitto corpuscolo,


Poichè se al cervello la vita tu togli

Quando riparte la memoria si perde

E dunque chi pur seminò i logli.


Or rechiamci in paesaggio più verde

Che meglior compagnia aggia mostrare.”

Così recammoci fuor da quell'erde


E seguendo quel mio dotto luminare

Fuor de pregione me trasse fin dova

Apriva una sala, marviglioso contraltare


Al loco cui speme (fuor d'uscire) non trova.

Questo palaggio era sì grosso e sperticante

D'esser invidia all'Alcazar di Cordova


E l'occhio si perde come fe Bradamante,

E quei paladini, da Ferraù ad Orlando,

Nella turlipiniera reggia d'Atlante.


Stavasi specchi ovunque e di rimando

Dalle travi a terra infissi al pavimento

Da superar Versailles e il mio poetando.


Ad incorniciar quest'abbacinamento

Stavasi quadri dipinti con maestria

Raffiguranti i cicli del sacramento


Dai tempi di Eva, poi Jesse e Maria

Fin’a suo figlio e gli altri che il seguiro,

Dal suo più amato e a chi le chiavi dia,


Poi vien Saul, che da Damasco e Tiro

Veleggiò Cipro, l'Ellade e la Frigia,

Passò le terre di Alessandro e Pirro epiro.


Naugragò a Malta e sbarcò sulla battigia

Dove rimase al freddo e in compagnia

Ivi scaldossi a una viperin cinigia.


Riprese e discese all'isla Trinacria,

Risalì lo stretto di Cariddi e Scilla,

Poi dalla terra dei Bruzi e sannitìa


Giunse a Roma e di Nero la villa.

Predicosse e non bastò cittadinanza

A impedir che'l collo il sangue spilla.


Altre storie avean quivi figuranza

Senza remore di spazio, tempo o moti

E la cappella di Sisto non ha baldanza


Pur a fresco del grande Buonarroti.

Comincia l'Eden con tutti gli animali

Dipinti da chi a minuzia diede i voti


Illustrati p'ogne pelo e piuma d'ali

Seguendo il solco dell'arte fiamminga.

L'assedio di Sòlima non havvi eguali


Tanto solida è la roccia guardinga

E tanto feroce la difesa Israelita

Quanto pullula chi Nabucco arringa


Levando un mare di soldataglia ardita

E una selva di lance, scale e gonfaloni.

Altdorfer e Brueghel a cotal partita


Con Isso non potean far paragoni.

Appena io e il mio duca di Pietole

Femmo ingresso, un cor dai matroni


Annunziò, con voce carezzetole:


Mantuanus vates laete cantamus:

Medios hostes sancta ecclesiae,

Nazarenus puer extremus propheta

idem qui, sub Pilatus, crucifigetur.

Omnes laudate Publio  Vergilius.


In mezzo la stanza stava parecchiata

Smaltata di bianco e su gambe leonine,

Di marmo e porfido una gran tavolata


A cui presiedevano sette teste vicine.

Persone di gran decoro ed apparenza

Dai visi fra gioia e tristi al confine,


Apatica invero era quivi reggenza.

“Chi furo costoro?” Io chiesi rattrappito 

Ma il duca dall'alto di secolare scienza


Intimosse silenzio col suo lungo dito:

“Cheta che costor conteran completi.”

Poscia un di quei del governo archimandrito


Levosse e stette fra questi arcipreti.

“Bentornato augusteo compare,

Il più grande fra i latin poeti,


Seppimo del tuo nuovo missionare

A chi vivo pur'anco ivi s'aggira

E saltuarmente appare in queste are


E si smarrisce sinché il mattin lo spira.

Il tuo proposito approviamo prontamente;

Prontamente adiuveremo chi t'ammira


Cosicché comprenda e lesto poi si pente

Isperando che salti questa attesa

Che noi consuma lontan dal sommo Ente.


Noi siamo i sette guardiani della chiesa;

Non i migliori ma certo i meno peggio

Fra chi lasciò ch'el peccar ci lesa.


Da molti anni occupiamo il seggio

Dacché morimmo, ognuno a suoi modi.

Seguimmo l'esempio, bene io veggio,


D'Antonio egizio cui tu già odi,

Noi siam successori in questa eptarchia.

Io già nacqui re d'un popol di prodi


Ch’a Poiters l'Europa scampò da tirannia

E io, di mio, impegnammi non da meno,

In Outremer e la mission di Tunisia


Ove mi unsi ne lo tifoide seno.

Ma più di me cantò lo mio pupillo

E del mio esercito lo mio palafreno;


Dico Jean de Jeanville, quello brillo

Che mi fu accanto più de l'ombra mia

E sognommi che già spento aveo il lapillo.


Molte cose avria da dir ma modestia,

Ch'in vita mi fe lavandar li piè cenciosi,

Mi spinge a tacere e lassar la via


Ai miei pari, non men di me degnosi.”

   
 
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