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Autore: Giandra    13/12/2023    0 recensioni
❧ PatPran
➥ The Big Door Prize!AU; post-canon
“Facciamo una cosa” gli propose a un certo punto, dopo che Pat ebbe smesso di singhiozzare, “andiamo a vedere cosa dicono le nostre carte.”
“Adesso?”
“Adesso.”
“Perché?”
Pran gli sorrise. “Perché è del tutto irrilevante. Forse ti darà una pista da seguire, o forse ti confermerà cose che già sai. A prescindere non cambierà niente di niente tra me e te.”
Genere: Fluff, Hurt/Comfort, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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BEING WITH YOU IS MY LIFE POTENTIAL

 This love is difficult, but it’s real. Don’t be afraid: we’ll make it out of this mess. It’s a love story, baby just say: yes.
 
           PAT ERA DAVVERO giunto al suo limite, gli sembrava di star impazzendo. Gli capitava di rado che un pensiero fosse in grado di scorrazzare nella sua mente così a lungo da monopolizzarla, rendendo tutto il resto sgranato e ovattato; quando succedeva, di solito riguardava Pran. Quel giorno, però, non era l’amore della sua vita a star barricando il suo cervello, ma quella stramaledettissima macchina blu, con una grossa farfalla bianca in cima, spuntata dal nulla, che stava rivoluzionando la vita a mezza Pathum Thani, rendendo all'improvviso la cittadina natale sua e di Pran una meta turistica più che ambita. MORPHO, si chiamava.
            Ne aveva scoperto l’esistenza quando, all’incirca una settimana prima, sua sorella Paa aveva spalancato la porta di casa dei loro genitori, in un pomeriggio in cui anche lui era andato a trovarli, si era fiondata di corsa verso il salotto e, invece che salutarli con un caloroso abbraccio, aveva sbattuto in faccia al padre una carta azzurra, rettangolare e plastificata, urlando che adesso non aveva più scuse: doveva per forza gettare la spugna e smetterla di metterle pressione per lavorare nell’azienda di famiglia; Pat era più che d’accordo con l’idea che Paa percorresse la strada che desiderava per se stessa, ma in quel momento non aveva realizzato come quella carta avesse potuto c’entrare con l’argomento. Il padre l’aveva afferrata con la lentezza di un bradipo, reggendola tra pollice e indice, e aveva letto quanto vi era scritto, cioè film maker, tirando su con il naso e aggrottando le sopracciglia, e poi le aveva chiesto di cosa si trattasse. Paa aveva raccontato alla famiglia che nella tabaccheria dietro l’angolo si era manifestata tutt’un tratto una macchina magica — o, comunque, avvolta nel mistero —, capace di rivelare, a chiunque avesse inserito il proprio numero di previdenza sociale e fornito le proprie impronte digitali, quale sarebbe stato il suo futuro (o meglio – come poi aveva spiegato in un secondo momento, quando si era sentita meno euforica –, quale fosse il potenziale nascosto di ogni individuo che si sottoponeva al test).
            “Sul serio credi a questa roba?” le aveva chiesto Pat, con una nota di sdegno. “Ti facevo più intelligente.”
            Paa si era limitata a rispondergli con una faccia schifata e oltraggiata.
            Pat non era sicuro di quale fosse il motivo per il quale l’esistenza di quella macchina gli desse così tanto sui nervi, ma così era. Quando lo aveva raccontato a Pran, sperando in una reazione altrettanto furiosa, lui si era limitato a ridacchiare e ad affermare che era contento che Paa avesse trovato un ulteriore modo per opporsi alle imposizioni del padre. “Magari è la volta buona che si arrende” gli aveva detto. Pat non aveva saputo cosa ribattere; certo che sarebbe stato felice anche lui se Paa fosse riuscita a convincere Ming a non rinfacciarle più di aver abbandonato l’attività di famiglia, ma doveva essere per forza quello il modo?
            Scontato: ogni loro conoscenza non fece altro che blaterare di quella stupida macchina tutto il tempo, per quasi un mese. Pran spediva un sorrisetto accondiscendente a chi gli giurava che ricevere la propria carta avesse rappresentato la svolta della propria vita — e almeno Pat si lasciava consolare dalla consapevolezza che neanche lui aveva preso quella questione sul serio.
            Restava il fatto che tutta quella storia lo rendeva agitato. Aveva il terrore di uscire di casa e di ascoltare l’ultimo racconto di qualcuno che aveva ripreso a disegnare dopo aver letto artist sulla propria carta, o a fare paracadutismo, o a darsi all’ippica. Per Pat, ognuno era libero di fare quel diavolo che voleva con la propria vita, ma l’idea che le persone fossero così facilmente condizionabili lo spaventava. O, almeno, quella era la ragione che aveva scelto di attribuire al malumore che si impossessava di lui ogni volta che qualcuno menzionava l’argomento.
            “Non capisco perché ti dà così fastidio”, lo incalzò un giorno Pran, interrompendo la sua trafila di lamentele e imprecazioni dirette contro la MORPHO, “cos’è che ti fa tanto arrabbiare?”
            Pat non era in grado di vedere la propria espressione, ma era certo di starlo squadrando come se gli avesse appena chiesto perché un pesce non potesse camminare sulla terra ferma. “Com’è che invece a te non fa né caldo e né freddo?”
            Pran fece spallucce. “Non so quale sia il meccanismo dietro la macchina e... non voglio credere per davvero che sia qualche sorta di incantesimo magico: in fondo, per farla funzionare servono delle informazioni ben precise, e non credo che uno stregone ne avrebbe bisogno. Però, a prescindere da quale sia il criterio... dà alla gente un motivo per essere felice, no?, per confermare le proprie passioni o per esplorarle, se non lo ha mai fatto. Sono d’accordo che c’è chi le sta dando troppa importanza, ma... di base mi sembra una cosa carina.”
            Quando sentì quelle parole, e diede loro il tempo di penetrare nella sua mente e di sedimentarvisi, Pat comprese in un batter d’occhio quale fosse il reale motivo dietro al suo astio innato verso la MORPHO — e a giudicare dal modo in cui la sua espressione si ammorbidì, addolcendosi, lo capì anche Pran, ma non disse niente; Pat gliene fu grato.
 
(:(
 
            NELLA SETTIMANA SUCCESSIVA alla sua realizzazione, il fastidio che aveva provato fino a poco tempo prima si trasformò in vergogna e senso di inadeguatezza. Aveva il disperato bisogno di parlarne con Pran, che mai più si era permesso di affrontare di nuovo la questione e che evitava accuratamente di farlo finire in situazioni nelle quali qualcun altro avrebbe potuto farlo, sviando conversazioni e spegnendo la televisione al momento giusto, o stringendogli le guance tra le mani, e stupendolo con un dolce e scoppiettante bacio a stampo, ogni qual volta notava che fosse sovrappensiero. Pat sapeva da un pezzo di amarlo, ma in quegli ultimi giorni il sentimento straripante nel suo petto lo portò a osservare il volto del suo ragazzo con ancora più adorazione del solito.
            Quella domenica, Pran si stava rilassando sul loro divano, sdraiato su di un fianco, la testa poggiata sul palmo della mano mentre si sosteneva con il gomito, capelli scompigliati e un’espressione attenta sul viso mentre guardava l’ultimo episodio di un drama che lo aveva preso come succedeva di rado. Pat sarebbe rimasto ore con lo sguardo fisso su di lui, beandosi dei suoi lineamenti morbidi, rilassati, del modo in cui si concedeva di non essere sempre perfetto e composto quando erano soli; sarebbe stato un’eternità a osservarlo con indosso una delle sue t-shirt senza maniche del tutto assenti nel guardaroba di Pran, che non avrebbe mai calzato fuori dal loro appartamento e con la quale ancora di rado si mostrava persino a lui.
            “Pran?” richiamò la sua attenzione, sentendo impellente la necessità di intavolare la discussione.
            “Uhm?” Pran non distolse lo sguardo dalla tv.
            “Posso parlarti un attimo di una cosa?”
            L'altro afferrò il telecomando, mise in pausa l’episodio e girò il capo verso di lui, annuendo. Pat gli sorrise. Gli si avvicinò e si sedette sul loro tavolino da caffè, dove poggiavano tutte le cianfrusaglie alle quali non riuscivano a trovare nell’immediato una collocazione precisa. “Tutto okay?” gli domandò Pran, un lampo di preoccupazione negli occhi.
            Pat annuì, le labbra ancora all’insù. “Sì, sì. È solo che... ho capito come mai la MORPHO mi dà tanto fastidio” annunciò.
            Pran increspò i lati della bocca, scosse la testa su e giù e attese che Pat si sfogasse con lui.
            “Questa macchina... sta dicendo a tutti qual è il loro vero potenziale, no? E tutti sembrano... felici, quando lo scoprono. Alcuni magari sono stupiti all’inizio, ma finora ho incontrato solo persone che pare abbiano ricevuto una rivelazione.” Deglutì. “Anche Paa, che alla fine ha avuto proprio quello che voleva, e che fa già, è contenta perché così si sente... validata. Ink non mi ha voluto dire cosa ha preso, ma anche lei sembrava soddisfatta. A Wai e Korn è uscito ‘investor’... e alla fine è quello che loro sono diventati, no?, con il bar, e con la loro amicizia, con la fermata del bus... un po’ con ogni cosa che hanno fatto. Insomma, sembrano tutti felici e contenti.”
            Pran tornò ad annuire, come aveva già fatto mentre Pat gli aveva narrato i suoi pensieri, per dargli man forte e segnalargli che lo stesse seguendo.
            “Sì, ecco... So che è una cosa bella. Magari è una cazzata, magari dietro c’è un semplice algoritmo che per il momento ci ha sempre preso, e qualcuno dietro le quinte si sta facendo bei soldi”, premise, stritolandosi le dita le une con le altre, e piantando gli occhi sul pavimento, “o forse è davvero un trucco di magia, chi lo sa. Il punto è solo che... io non ho idea di cosa voglio, Pran. Non l’ho mai avuta. Ho finito il Mattayom a pieni voti perché lo voleva mio padre, ho scelto Ingegneria all’università perché lo voleva mio padre, e adesso cos’è che sto facendo? Lavoro per l’azienda di mio padre. Neanche mi piace quello che faccio!” Era la prima volta che lo diceva ad alta voce. Pran gli aveva suggerito, ormai diverso tempo prima, di licenziarsi e trovare unaltra occupazione, considerando quanto sapere di essere dipendente da suo padre fosse per lui una vera e propria fonte di stress. Pat aveva sempre glissato sull’argomento, facendo spallucce, convincendosi che le cose stavano andando come dovevano andare, rifugiandosi nel suo santuario, che era il tempo passato con Pran; si era ripetuto che non importava se il modo in cui si garantiva i soldi in tasca non fosse quello che desiderava, fintanto che fosse funzionale al suo obiettivo finale, ovvero costruirsi un futuro con il suo amato compagno.
            Da quando era arrivata quella macchina, però, non aveva potuto evitare di soffermarsi sul fatto che, magari, suddetto compagno avrebbe meritato qualcosa di più; che magari Pran, ambizioso com’era, pieno di sogni e di aspettative, si sarebbe annoiato, prima o poi, a stare con una persona che neanche sapeva quale fosse il suo scopo nella vita. Se glielo avesse chiesto, Pat gli avrebbe con ogni probabilità risposto che il suo scopo fosse proprio... stare con lui. Mai nessun’altra cosa lo aveva spronato di più, per nient’altro aveva lottato con le unghie e con i denti, determinato a vincere e a non permettere a nessuno di ostacolarlo; ma al di là di quale sarebbe stata la reazione di Pran, era proprio lui a sentirsi in difetto, circondato da persone piene di vita, che parevano possedere la verità in tasca, che avevano un sogno nel cassetto e lo avevano avuto fin dall’infanzia. Di nuovo, Pat riusciva solo a ricordare che, fin da quando era stato in grado di pensare, intendere e volere, aveva modellato la sua intera vita attorno a Pran, aveva fatto di lui la sua ragione e il suo scopo più grandi. Con il tempo i sentimenti provati per l’altro erano cambiati, ma l’incessante bisogno di averlo al suo fianco lo aveva accompagnato per tutta la sua vita.
            Avvertì il rumore di tessuti che sfregavano tra di loro, che lo distolse dai suoi pensieri, e capì che Pran si era messo seduto sul divano, incurvando la schiena per avvicinarsi a lui quanto più possibile. Con il palmo destro avvolse le mani di Pat e con il sinistro gli carezzò il volto. Non disse nulla; era probabile che sapesse quanto avesse ancora bisogno di aprirsi con lui.
            “Ho così tanta paura di quello che potrebbe uscirmi. Non so nemmeno io quello che voglio, come potrebbe saperlo una macchina?” gli chiese, senza desiderare una vera risposta. “È...” sbuffò, con una nota di stizza, “così frustrante.”
            Pran portò anche l’altra mano sul suo viso, accarezzandogli entrambe le guance con dolcezza, e asciugandogli una lacrima che Pat non si era accorto fosse scivolata dal suo occhio sinistro; dopodiché gli disse: “Pat, lo sai che, se mai dovessi scegliere di farlo, per me non sarebbe un problema se ti licenziassi, vero?”
            Pat grugnì, ma non si allontanò dal suo tocco, anzi abbassò lo sguardo, gli agguantò i polsi e si spalmò le mani di Pran sulla sua faccia. “Lo so”, gli disse, consapevole che la sua voce suonasse ovattata, “ma non è quello il punto. Se anche mi licenziassi – e comunque non mi piace l’idea di diventare un peso per te –, non saprei lo stesso cosa mi andrebbe di fare.”
            “Non potresti mai essere un peso per me” lo rassicurò subito Pran. “E avere più tempo a disposizione, senza dover pensare a fare cose che in fondo non ti piacciono, potrebbe aiutarti a capirlo.” Pat sollevò il capo, intrecciò le dita alle sue e lo guardò negli occhi, scontrandosi la gentilezza e l'amore che vi risiedevano. “Se vuoi, è chiaro. Altrimenti, potrebbe essere un modo per prenderti finalmente un po’ di riposo. Sei sicuro che questa insicurezza venga da dentro di te e non dal fatto che ti senti solo un po’ diverso, in questo momento?”
            Pat aggrottò le sopracciglia, confuso. “Diverso?”
            Pran fece spallucce. “Sì, diverso. Non è mai bello essere l’unica voce fuori dal coro.” Si prese una manciata di secondi senza dire nulla, ma Pat continuò a fissarlo con probabile aria interrogativa e quello dovette spronarlo a continuare: “Quando mi resi conto che mi piacevi, in Mattayom 3... oltre al fatto che era una prospettiva terrificante, per la situazione tra le nostre famiglie, era anche molto strano essere l’unico ragazzo in classe a cui non interessavano le ragazze. Mi sono chiesto un sacco di volte perché fossi così, mentre tutti gli altri erano in un altro modo. Sapevo che nessuno mi avrebbe giudicato se lo avessi rivelato, ma ne avevo paura lo stesso, perché non c’erano altre persone come me, che io conoscessi almeno.”
            Fu il turno di Pat, stavolta, di prendergli il volto tra le mani, prima di sporsi per dargli un delicato bacio sulla fronte. Pran non si sfogava quasi mai riguardo al periodo pre-universitario, con difficoltà gli raccontava aneddoti relativi ai tre anni che avevano passato separati, dopo che era stato forzato a trasferirsi. Quando lo faceva, per Pat era sempre un privilegio e, anche se ormai si trattava di ferite rimarginate, che non bruciavano più, cercava sempre di leccargliele nel miglior modo possibile. “Mi dispiace, Pran.”
            L’interpellato scosse il capo. “Fa niente. Era una vita fa.” Gli lambì il mento con pollice e indice e gli rivolse un tenue sorriso. “Hai capito, piuttosto, cosa intendo dire?”
            Pat annuì. “In parte è così. In parte hai ragione. Mi sento a disagio circondato da persone che, a differenza mia, sanno con precisione quello che vogliono dalla loro vita.” Pensò agli occhi di Paa, così brillanti mentre imparava a maneggiare la sua prima cinepresa, alla soddisfazione di Wai e Korn, quando avevano raccolto abbastanza soldi per comprare il bar che anni prima era stato testimone della loro inimicizia, alla felicità sul volto di Ink, quando aveva letto la sua carta, qualsiasi fosse la cosa che c’era scritta sopra; non era riuscito a non provare almeno una punta di invidia, nonostante fosse anche contento per tutti loro. “In parte è pure che... mi fa sentire come se non fossi all’altezza di stare con te.”
            Pran gli rivolse il primo cipiglio della giornata, uno che non aveva niente di sarcastico. “Ma che dici?”
            Dico”, non che Pat avesse molta voglia di discuterne, in realtà; ma era stato lui a mettere in mezzo l’argomento e sapeva che Pran non gli avrebbe permesso di chiudere la conversazione senza approfondirlo. “... che magari tu meriteresti una persona più sicura di quello che vuole.”
            Pran lo fissò intensamente per quelle che gli sembrarono ore — ma che, difatti, furono con ogni probabilità pochi secondi, forse un minuto —, poi gli rivolse una mezza risata spontanea e parlò: “Non penso di aver mai visto una persona più decisa di te, quando anni fa ti sei infiltrato nel campo estivo di Architettura solo per convincermi a rivolgerti la parola.” Pat rise, più un sospiro divertito che altro, al ricordo di quegli eventi ormai così lontani, ma che all’epoca erano stati fondamentali per la loro relazione. “Forse oggi non saremmo qui assieme se allora non mi fossi corso dietro. E anche prima di quel momento, tutte le volte in cui io ho cercato di allontanarmi da te, è stata la tua determinazione a trascinarmi di nuovo nella tua orbita. Ed è stata una buona cosa.” Avvertì un piacevole tepore al livello del cuore nell’ascoltare quelle frasi, specie considerando che Pran non fosse sdolcinato per natura e che si sbilanciava solo quando ce n’era davvero bisogno, come in quel momento. “Mi vuoi dire che non era deciso il modo in cui hai urlato in faccia a tuo padre che io e te stavamo assieme?” Pat sentì la vista farsi appannata e cercò di trattenere le lacrime, sebbene ricordare quella lunga e faticosa mattinata lo rendeva difficile. “Sei la persona più testarda e caparbia che conosco; nel bene e nel male. E io ho bisogno di te, di come sei, perché siamo e siamo sempre stati complementari; lo sai: te l’ho già detto.” Sì, glielo aveva detto, in quella notte d’estate passata a Pha Pan Dao tanto tempo prima; Pat gli aveva rivelato di non poter vivere senza di lui e Pran, senza che ci fosse bisogno di aggiungere altro, non solo gli aveva concesso di ammetterlo, ma aveva anche affermato che per lui fosse lo stesso. “Non mi interessa quale sia il lavoro che fai, Pat, fintanto che sta bene a te. Rimarrai sempre e comunque la persona più bella e coraggiosa che io abbia mai incontrato. Per me è un onore essere amato da te.”
            Questa volta non riuscì a trattenere le lacrime, che scorsero copiose sulle sue guance, prontamente asciugate dal suo ragazzo; si abbracciarono per un lasso di tempo che gli parve infinito e si lasciò coccolare dalle calde e confortevoli braccia di Pran, più gracili delle sue ma in quel momento così forti, capaci di sorreggerlo anche mentre sentiva di star sprofondando.
            “Facciamo una cosa” gli propose a un certo punto, dopo che Pat ebbe smesso di singhiozzare, “andiamo a vedere cosa dicono le nostre carte.”
            “Adesso?”
            “Adesso.”
            “Perché?”
            Pran gli sorrise. “Perché è del tutto irrilevante. Forse ti darà una pista da seguire, o forse ti confermerà cose che già sai. A prescindere non cambierà niente di niente tra me e te.”
            Pat ricambiò il sorriso e si sentì l’uomo più fortunato al mondo.
 
(:(
 
            UNA VOLTA DENTRO la macchina, avvertì il battito del suo cuore accelerare e deglutì, prima di poggiare le mani sullo schermo per concedere al sistema le sue impronte digitali; dopodiché fornì il proprio numero di previdenza sociale e, voilà!, una tessera plastificata di colore blu uscì automaticamente dal generatore. La afferrò e la aprì senza girarci intorno... e ciò che lesse lo portò quasi a piangere di nuovo.
            Uscì dalla cabina con un sorriso a trentadue denti che dovette sforzarsi di smorzare per non avvertire dolore alla mascella. Pran lo scrutrò e portò pure lui le labbra all’insù, contento. «Entro anch’io» gli disse. Pat annuì e attese.
            Nel tragitto verso casa, dopo che entrambi ebbero riposto le loro tessere nelle tasche dei pantaloni, si tennero per mano senza dire una parola, ma l’aria non era tesa: al contrario, entrambi parevano piuttosto allietati e contenti — Pat sapeva di esserlo. Sciolsero l’unione delle loro dita quando si trovarono di fronte alla porta del loro appartamento e Pran dovette estrarre le chiavi dal borsello per aprirla. Una volta dentro, si lavarono le mani e indossarono il pigiama. Pat non gli diede neanche il tempo di abbottonarselo fino al collo, che lo tirò a sé per abbracciarlo. Pran reagì con un sospiro divertito, una mezza risata, e ricambiò la stretta, carezzandogli la schiena come se fosse un gattino a cui dare attenzioni.
            Quando si separarono, Pat si rivolse a lui con un sorriso e lo trovò intento a fare lo stesso.
            Si beò dell’espressione stupita di Pran, che lo guardò perplesso nel momento in cui Pat andò a inginocchiarsi di fronte a lui. La confusione durò qualche secondo, poi sul suo viso crebbe un ghigno malizioso e gli domandò: “Oh, è questo il tuo potenziale nascosto? Io me ne ero accorto anni fa.”
            Pat rise per l’innuendo e gli colpì la coscia con un leggero schiaffo. Pran ridacchiò a sua volta. “Quello è più un talento naturale che altro.” Pran sbuffò con una nota divertita. Pat inspirò ed espirò profondamente, prima di estrarre un piccolo cofanetto rosso di velluto da dietro la sua schiena.
            Stavolta, gli occhi del suo ragazzo si fecero larghi e lucidi, visti dal basso brillavano come due belle stelle nel cielo notturno. Pat aprì la piccola scatola che aveva tra le mani, sfoggiando l’anello d’argento che c’era al suo interno. “Volevo chiedertelo da un sacco di tempo” annunciò, “e so che avresti voluto anche tu, perché ti ho visto adocchiare degli anelli l’ultima volta che siamo stati dal gioielliere.” Pran scosse il capo con ilare disapprovazione, ma non cercò di negare quel fatto. “Non riuscivo a trovare il momento giusto. E so che ci sono ancora un sacco di situazioni da risolvere prima di poter andare fino in fondo.” Tanto per menzionarne una: il fatto che i loro genitori si rifiutavano di ammettere ad alta voce l’evidenza per la quale loro due stavano ancora assieme, preferendo un silenzio complice a una verità cocente. “Però so che riusciremo ad affrontarle insieme. Come sempre.” I tratti del volto di Pran si addolcirono e tirò su col naso dopo aver sbattuto un paio di volte le palpebre. Una lacrima furtiva gli solcò la guancia, ma non sembrò intenzionato ad asciugarsela; Pat si alzò in piedi e, con delicatezza, lo fece lui stesso, tracciandone il percorso con l’indice per poi poggiarvi le labbra. “Pran Parakul Siridechawat, mi vuoi sposare?”
            Pran gli stava indirizzando una di quelle sue espressioni a metà tra lo spazientito e l’innamorato. Senza rispondergli, si diresse verso il loro armadio, sotto gli occhi indagatori di Pat, e ne estrasse qualcosa, prima di tornare da lui. Gliela mostrò: un cofanetto, proprio come il suo; lo aprì, rivelandone un anello argentato con sopra un piccolo punto luce in oro bianco. “Volevi battermi sul tempo?” gli chiese, sarcastico, la voce un po’ roca per il pianto.
            Pat rise. “Dovevo aspettarmelo.”
            Pran annuì. “Pat Napat Jindapat, mi vuoi sposare?”
            “Te l’ho chiesto prima io.”
            “E allora?”
            “Dillo prima tu.”
            “No, prima tu.”
            “Prima tu.”
            Si fissarono dritti nelle orbite per almeno dieci secondi, nessuno dei due che voleva darla vinta all’altro, mordendosi le labbra per non scoppiare a ridere — ma fallendo miseramente. Pran arrivò ad appoggiarsi alle sue spalle per non perdere l’equilibrio per quanto forte si stava sbellicando. Quando furono in grado di controllarsi, dopo una serie di respiri profondi, Pran gli disse: “Sì, lo voglio.”
            Pat sgranò gli occhi. “Ma- Stavo per cedere io!”
            Pran sogghignò. “Lo so.” Non aggiunse altro, ma Pat poté leggerglielo negli occhi: È quello che fai sempre, per questo stavolta ho voluto farlo io. Avvolse la mano destra a coppa attorno al suo viso, carezzandogli le guance; Pran gli concesse il più tenero dei sorrisi. Pat estrasse l’anello dal cofanetto e lo infilò attorno allanulare di Pran, seguito dal suo fidanzato, che fece lo stesso. Non ebbero bisogno di altro che di uno sguardo complice prima di sugellare il patto facendo pugno contro pugno, le parti più alte delle loro falangi allineate. Pat era così intento a fissare quel punto di unione che non si accorse del movimento fulmineo di Pran, il quale gli strinse con delicatezza la nuca prima di attirarlo a sé per baciarlo, labbra su labbra, finché non le schiusero per permettere alle proprie lingue di scontrarsi, fino a restare senza fiato.
            Pat appoggiò la sua fronte a quella di Pran, avevano entrambi il fiatone mentre esalavano piccole risate spezzate. Dopo un po’, si allontanò dal suo fidanzato e si diresse verso l’altro lato della loro camera da letto. Prese la sua tessera della MORPHO dal comodino dove l’aveva appoggiata e la porse a Pran, che la afferrò tra indice e pollice; sfilò con le dita dell’altra mano la carta dall’interno del foderino di plastica e lesse ad alta voce, con il suo impeccabile accento inglese, quanto c’era scritto: “Loving husband slash father”. Marito amorevole/padre. Un senso di euforia e, allo stesso tempo, di sollievo lo aveva avvolto non appena Pat ebbe posato gli occhi su quella scritta. Si era sentito uno stupido per non aver mai riflettuto sul fatto che, se non riusciva a concepire altro a cui dedicare la sua vita al di fuori dell’amore che provava per Pran, evidentemente era a quello che gli toccava consacrarla.
            “Sei soddisfatto?” gli chiese.
            “Più che soddisfatto” Pat gli rispose, con un mezzo ghigno sborone. Pran scosse la testa, chiaramente compiaciuto. “Posso vedere la tua?”
            Annuì. Si diresse di nuovo verso l’armadio e la estrasse da qualche cassetto che Pat non riusciva a vedere dalla posizione in cui si trovava, poi gli si avvicinò e gliela porse. Interior designer/song writer. Pat fu incapace di trattenere un enorme sorriso e avvertì i propri occhi farsi lucidi. “Anche a te sono capitate due cose” commentò. “È molto raro.”
            Pran gli poggiò i gomiti sulle spalle, stringendogli con gentilezza i capelli con le mani. “Noi siamo speciali, infatti.”
            Pat rise. “Ben detto.” Passò un paio di secondi a perdersi nel suo sguardo, del quale non si sarebbe mai stancato, poi gli domandò: “Tu sei soddisfatto?”
            Pran annuì. “Sì. Non mi sono mai pentito di aver passato altri cinque anni a studiare per la specializzazione in Interior design. Fare l’architetto mi piace, molto, ma non è la cosa che voglio di più. In quanto alla seconda occupazione...” arricciò il naso e increspò le labbra, assumendo un’aria incredibilmente adorabile, “mi piacerebbe dedicarmi di più alla musica. Non lo nego. Ma non è un hobby che ho mai davvero pensato potesse diventare una carriera.”
            “Secondo me sì” affermò Pat senza esitazione, “secondo me diventeresti un cantante famosissimo, io verrei ai tuoi concerti e sarei super geloso di tutti i tuoi fan.”
            Pran scoppiò a ridere; poi inclinò il capo a sinistra e gli indirizzò un’occhiata beffarda. “Perché mai mio marito dovrebbe essere geloso di un fan?”
            Pat era consapevole che quella di Pran fosse una provocazione, ma non fu in grado di replicare in modo altrettanto caustico, troppo impegnato a guardarlo come se fosse un’apparizione divina. Sbatté le palpebre più e più volte, incapace di cancellare il sorriso a trentadue denti dalla propria faccia, e lo abbracciò, fiondandosi nell’incavo del suo collo e inspirando forte il suo buon odore.

            Pran ridacchiò e gli accarezzò la testa con dolcezza. “Cosa mi dici, invece, della tua seconda occupazione?” gli domandò. Lo stava guardando con un’aria che era per metà di sfida e per metà colma di aspettativa. 
            “Tu ci hai mai pensato?” gli chiese, indirizzandogli la sua stessa domanda.
            Il suo fidanzato inspirò forte dal naso ed espirò dalla bocca, prima di mordersi il labbro. “Sì” gli rivelò, “ma non ho mai pensato fosse una cosa... fattibile.”
            Pat annuì. “Vale lo stesso per me. Però,” continuò, facendo un passo avanti verso di lui, i loro busti che andarono a collidere, “non ho più intenzione di permettere ai nostri genitori di dirci cosa possiamo o non possiamo fare. Tanto, dubito che sarebbero concordi al matrimonio; tanto vale dargli più di una notizia scioccante insieme, tipo paghi uno prendi due.” Pran emise un suono gutturale che palesò il suo divertimento per la battuta. “Non vedo perché lasciare che ci impediscano di costruire una famiglia insieme, se lo vogliamo.”
            Pran incurvò le labbra all’insù mostrandogli le sue belle fossette, prima di esalare un’altra risata genuina. Pat sollevò le sopracciglia, perplesso. “Eccola qua,” gli disse Pran, mentre tracciava i contorni del suo viso con le dita, “la determinazione di cui parlavo prima.”
            Pat si sciolse in un sorriso commosso. N
on era mai stato più certo in vita sua del fatto che il suo scopo nella vita fosse rimanere al fianco delluomo che amava finché morte non li avrebbe separati.
 

Questa storia è dedicata a Sara: sono il tuo Secret Santa e spero vivamente che ti sia piaciuta! ♥ Non potevo non scrivere di Pat e Pran e mi auguro sul serio di averli resi IC. The Big Door Prize è una serie televisiva statunitense che non mi ha fatta impazzire ma che ha una grande premessa, quella raccontata stesso nella storia, relativa a a questa macchina in grado di dire a chiunque quale sia il suo life potential. Appena la vidi, pensai subito di scrivere una storia sui PatPran con questa stessa premessa e ho finito per revisionarla, continuarla e ultimarla proprio grazie all'iniziativa del SS sul gruppo Facebook "Prompts are the way~". 

La storia partecipa anche ad altre tre challenge: alla "Everything has CHALLENGED" sul forum Ferisce La Penna, alla "BTS - Challenge" sul forum La Torre di Carta e alla (inattiva) "Things you said" sul forum di EFP. 
   
 
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