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Autore: crazy lion    14/12/2023    4 recensioni
Da quando frequentavo il liceo, qualche volta al mese, sogno di mettere al mondo un bambino o una bambina, o a volte anche dei gemelli. Qualche volta ho sognato di tenere in braccio bambini delle mie storie e fanfiction, non di partorirli, quindi mai mi sarei aspettata quello che è accaduto stanotte.
Ho sognato Tarzan. E non solo di tenerlo in braccio, ma di partorirlo, proprio come se fosse mio figlio. Non so perché sia successo. In realtà ne ho una vaga idea, ma ora che sono sveglia voglio mettere in chiaro che il fatto che io l'abbia dato alla luce non significa che voglia mancare di rispetto ai suoi veri genitori. I sogni sono frutto della nostra mente e non si possono controllare.
Ero non vedente, come sono sul serio, avevo la stessa età, ma il nome che ho scelto è diverso dal mio. Ho coccolato Tarzan, il mio bambino, l'amore della mia vita, che era tutto il mio mondo. Ho provato un mix di emozioni forti.
Ma poi mi sono svegliata. E allora, come ogni volta, è iniziato l'inferno.
Disclaimer: il personaggio di Tarzan non mi appartiene, ma è proprietà della Disney. La fanfiction non è a scopo di lucro-
Genere: Fluff, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio, Tarzan
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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“Ma io mi sentivo così forte e felice! Perché stavo per avere un figlio e non mi importava di niente.”
(Frase pronunciata da Carol nella serie televisiva CentoVetrine)>
 
 

“I sogni sono come le stelle, basta alzare gli occhi e sono sempre là.”
(Jim Morrison)
 
 
 
Dal suo cuore nasce amore
è un raggio di sole che illumina la stanza
[…]
E tiene in braccio il suo bambino
apre gli occhi è piccolino
[…]
muove le ali è un uccellino...
Sta tutto dentro ad una mano
(Luca Carboni, La mia ragazza)
 
 
 
NIENT’ALTRO CHE UN SOGNO
 
Questa notte l'ansia mi riempiva il petto, mi girava la testa, tutto sembrava sprofondare. È stato uno degli attacchi più brutti che io abbia mai avuto, ma mi è già capitato. Ero lì, paralizzata sul letto. Non riuscivo nemmeno a muovere un muscolo e avevo il respiro pesante, veloce e irregolare. Il cuore mi batteva forte, mi sembrava di impazzire.
È un momento difficile per me: sto soffrendo moltissimo. Di sicuro è stato per quello.
Poi, quando è passato, la stanchezza mi si è rovesciata addosso come un mare e mi sono addormentata.
Da quando sono al liceo, due o tre volte al mese sogno di mettere al mondo dei bambini, ma tu eri speciale.
Ho sempre voluto essere mamma un giorno, è il mio più grande sogno, il più profondo desiderio che ho, ma questo è lontano, ho tanta strada da fare prima di arrivarci. Sono non vedente e, per quanto io abbia ventinove anni, non sono abbastanza autonoma, non ancora, almeno.
Ero in sala travaglio, nel sogno, con i miei genitori al mio fianco. Era una fredda notte di inizio marzo e fuori pioveva. Urlavo e l'ostetrica mi diceva di spingere con tutte le mie forze.
Ho gridato:
“Ho paura! Non ce la faccio!”
Mi sono aggrappata alle sponde del letto.
“Mamma?”
“Sono qui, amore.”
Mi ha asciugato il sudore dalla fronte.
“Ho paura, ma so che non va bene per il bambino.”
“Anch’io ne avevo. Andrà tutto bene, vedrai.”
“Sei sempre stata una roccia, Freya. Ce la farai anche stavolta.”
Dopo aver pronunciato queste parole, mio papà mi ha dato un bacio sulla fronte.
E allora ho capito: nel sogno stavo bene. Perché dentro mi sentivo così. Non soffrivo né di depressione, né di ansia, né di attacchi di panico. Ma avevo comunque avuto tutte le perdite che ho subito ed ero stata vittima di bullismo al liceo. In ogni caso non volevo pensarci. Dovevo concentrarmi su di te, anche se ancora non sapevo che saresti stato tu.
Anche l’ostetrica mi ha calmata.
“Stai andando benissimo. Spingi!”
Ho urlato in modo quasi grottesco mentre mi sforzavo al massimo.
“Coraggio, andrà tutto bene. Non sei da sola, ci sono qui io e anche i tuoi genitori."
"Siamo qui, amore. Ecco, ora ti faccio un massaggio."
"Ho la schiena bloccata, mamma!"
Avevo gli occhi pieni di lacrime e mi sono morsa un labbro.
"Lo so, lo provavo anch'io."
"Aiuto la mamma."
Mi parlavano in modo gentile e comprensivo. Io ero nata prematura, in ventisei settimane, e questa era la causa della mia cecità. Mio fratello era venuto al mondo un mese prima del dovuto. Chi, più di mamma e papà, poteva capire quello che stavo passando?
Lui era a casa. Lo avevamo avvertito, ma gli avevo chiesto di andare solo con la mamma e il papà. Non per escluderlo, solo che mi sentivo più sicura così. Mi aveva risposto:
“Non ti preoccupare. Se è quello che senti, lo rispetto. Ma avvisatemi, quando nasce. Resterò sveglio e terrò il cellulare acceso."
Un'altra contrazione mi ha distratta da quei pensieri e riportata al presente. “Sta arrivando, sento che sta per nascere.” “Perché è la verità. Su, tesoro" mi ha incoraggiata mio papà.

“Non ce la faccio! Sento troppo dolore!" Ma non avevo voluto l'epidurale, me lo ricordavo. Il travaglio durava ormai da otto ore.

Continuavo a spingere, a respirare con la bocca, come mi diceva l'ostetrica, ma la testa del bambino non si vedeva ancora. Ho dato altre spinte, mi sono sollevata in posizione quasi seduta perché lei ha chiesto ai miei genitori di tenermi così: forse mi avrebbe aiutata. Ma non stava funzionando. “Come sta il bambino?” ha chiesto mia mamma.

Sapevo che ti stavano monitorando in continuazione, ma anch'io volevo esserne certa. Stavo per domandarlo con l'ansia alle stelle, quando un medico ha risposto:

“Benissimo. Non è in sofferenza fetale.” Ho tirato un sospiro di sollievo e, di sicuro, è stato così anche per i miei, ma ero troppo occupata a spingere per preoccuparmene. Non so dire quante contrazioni ho avuto, quante volte i miei genitori mi abbiano massaggiato la schiena, ma a un certo punto mi sono sentita lacerare dentro. Ho gridato come non avevo mai fatto in vita mia. “Raccogli tutte le tue forze e spingi! Esatto, brava. Ecco, lo vedo! È uscita la testa. Continua così, Freya!” “La testa…”
L’ho sussurrato.
Quella era la parte più difficile, potevo farcela.
“Coraggio, i tuoi genitori e io siamo tutti qui per te. Presto potrai tenere fra le braccia il tuo bambino.”
Tenevo la mano di mia mamma, gliela stritolavo, facevo lo stesso con quella di mio papà. E pensavo che sarei morta, o che saremmo deceduti entrambi, piccolo. Mi sono messa a piangere e mi sono morsa un labbro. La mia schiena era bloccata. Ho alzato e abbassato le braccia: non ne potevo più.
Ho spinto, spinto e spinto ancora. Non so quante volte. Non ho idea di tutte le contrazioni ravvicinate che ho avuto.
E, alla fine, un grido penetrante ha riempito la stanza. Un pianto. Eri nato.
“È un bambino! È un maschietto, tesoro” ha detto l'ostetrica. “È bellissimo!”
Io mi sono messa a ridere e a piangere dalla gioia, mentre anche i miei si emozionavano.
Ero diventata mamma.
La donna ti ha pulito e quando ti ha messo tra le mie braccia, ancora nudo, ha detto:
“Tienigli sollevato il collo. In questo modo, brava."br /> “Sto facendo la cosa giusta? Davvero? Non vorrei fargli male! Non me lo perdonerei."br /> "Va tutto benissimo, Freya. Sei fantastica. Ci sai fare con i bambini."br /> "Sì, ne so qualcosa, ma avrò tantissimo da imparare."br /> "Certo, ma coccolalo finché è piccolo."br /> "Quando sei nata," ha detto mio papà, "e ti abbiamo portata a casa, ho pensato a quanto saresti stata bella a diciotto anni. E il tempo sembra volato in un attimo, l'ostetrica ha ragione."br /> Ho sorriso.br /> La mamma e la donna sono state d'accordo.br /> "Lo farò, mamma e papà."br /> "Mmmm."
"Sì, piccino. Lo farò! Te lo prometto."br /> Mi si è impastata la bocca e ho pianto ancora un po'. Non ero mai stata tanto felice in vita mia.br /> "Bisogna sempre sostenere il collo ai neonati, è importantissimo" ha continuato l'ostetrica. "Poi ti insegnerò ad allattarlo nel modo corretto. Lo terrai con te per un po', dopodiché i dottori dovranno controllare i parametri vitali e fare altri esami, lo visiterà una pediatra, ma andrà tutto bene, ne sono sicura. Per ora goditelo! Ha gli occhi azzurri, ma non sono certa del fatto che rimarranno così per sempre. I bambini appena nati hanno gli occhi blu, oppure di un colore indefinito.”
“I suoi capelli?” ho sussurrato.
Questi nove mesi sono stati un viaggio lungo, difficile, perché ho rischiato di perderti una volta e ho dovuto passare tutta la gravidanza o a letto o sul divano. Ero sempre a rischio di aborto o parto prematuro. Ed essendo nata prematura io stessa, non volevo che succedesse la medesima cosa a te.
“Devi essere forte, amore della mamma” ti dicevo. “I miei genitori hanno avuto tantissima paura di perdermi. Ma tu sei forte come la mamma. Ce la faremo insieme.”
Ho svolto diversi controlli, ma è sempre andato tutto bene.
Adesso ero lì, non avevo voluto l’epidurale. Volevo sentire tutto, ma era così doloroso e difficile. Non c’erano complicazioni, però ero paralizzata.
Ero stanca e debole, ma piena di gioia. Dopo otto ore di travaglio, ero diventata mamma. Avevo ventinove anni, ero non vedente, non sapevo nulla del mio ragazzo perché mi aveva lasciata quando ero incinta, ma avevo affrontato la cosa con l'aiuto e il sostegno dei miei genitori. L'aborto non è mai stato un pensiero o un'opzione, non ho mai pensato di non tenerti, piccolo mio. Sono contro di esso, sono cresciuta con questa convinzione e tale resterà per sempre.
E non sono stati mesi facili, ma adesso eravamo lì.
“I suoi capelli sono castani” mi ha risposto la mamma, mentre piangeva.
“Ha la testolina rotonda, la fronte alta e due belle guance rosee e paffute” ha aggiunto mio papà e poi ti ha baciato la testa.
Strillavi a squarciagola.
“Shhh, buono. Ci sono io! Va tutto bene. Va tutto bene.”
La mia voce era sempre più dolce.
Ti sei calmato, ma solo per un attimo.
“Non è possibile. Io ho i capelli castani, ma Marco aveva gli occhi neri e i miei sono grigio-verdi.”
Tutti hanno concordato sul fatto che fosse una cosa insolita, stranissima e l’ostetrica ci ha spiegato che non c’era spiegazione scientifica alla cosa, a meno che il colore dei tuoi occhi non sarebbe cambiato nel corso del tempo. Ma io sentivo, dentro di me, che non sarebbe stato così. Quelli erano i tuoi occhi, azzurri e bellissimi. Li immaginavo come pozze profonde, che mi guardavano quel tanto che riuscivano.
“Ciao, ciao, piccolo mio! Sono la tua mamma, tesorino! Che bel bambino che sei, e hai una voce meravigliosa e potente” ho detto in tono pacato, con le lacrime che scendevano dai miei occhi alla tua testa. “Sei tutto il mio mondo.” “Saremo insieme sempre, te lo prometto. Per sempre.”
Perché ci univa un legame indissolubile, quello fra una mamma e il suo bambino, che niente e nessuno, nemmeno la morte stessa, avrebbe mai potuto spezzare.
Eri così piccino. Ti ho toccato la testolina, le spalle minuscole, le braccia che si agitavano, le gambette, le unghie piccolissime, ancora molli e le tue mani.
“Uah!” hai esclamato.
Ci siamo messi a ridere tutti.
“Questo bambino sa già ciò che vuole” ha detto mia mamma.
“È fortunato ad avere una mamma come te.”
“Grazie, papà. E spero di essere una brava mamma, come voi siete dei genitori fantastici per me.”
“Aaaah!” hai urlato.
“Siete stupendi insieme” ha detto l’ostetrica.
Ho sorriso. E tu hai smesso di piangere all'istante.
“Oh!”
Non me lo sarei mai aspettato.
Ti o baciato ancora, ma stavolta sono passata alle guance, più e più volte.
Non avevo mai provato una gioia simile.
“Sei il mio amore, lo sai?”
“Il potere della mamma” ha detto l'ostetrica. “Come vuoi chiamarlo, tesoro?”
“Non ne ho idea, ci sto ancora pensando.”
Nei mesi precedenti non avevo voluto sapere di che sesso fossi, perché non era quella la cosa importante. Per me contava, anche adesso, che fossi sano e stessi bene. Tutto ciò che avevo affrontato… ne era valsa la pena. Perché ora che eri lì mi sentivo la persona più fortunata della Terra. Eri nato a termine e i dottori ti avrebbero portato via se fossi stato male, ma non era così.
Avevo preso in considerazione tanti nomi, scrivendomi persino una lista.
Ma adesso io ero sicura, in verità, su come chiamarti. Lo ero stata da quando l’ostetrica ti aveva descritto.
Durante la gravidanza ti avevo parlato.
Ho avvicinato una mano al tuo naso. La mia professoressa di francese del liceo ci aveva detto, non mi ricordo in che contesto, che i neonati riconoscono la mamma dalla voce ma prima di tutto attraverso l’odore. Mi hai annusata.
“Eh!” hai esclamato.
Sembravi apprezzarlo.
Quel versetto aveva qualcosa che mi ricordava…
Eri troppo simile a lui per non chiamarti così. La tua pelle era morbidissima. Profumavi di sangue – un odore nauseabondo in verità, ma che in quel momento non mi dispiaceva affatto –, di vita, di tutte le cose belle e buone che ci sono al mondo.
“Eh, eh.”
Continuavi a gorgogliare piano.
“Sì, amore. Hai ragione.”
“Mmm.”
Io ho riso.
“So che è un nome strano, ma voglio chiamarlo Tarzan!”
Soltanto il fatto di dirlo mi ha procurato un’ulteriore ondata di gioia e il mio cuore batteva ancora di più, talmente pieno d’amore per te! Ti avrei amato anche se non fossi stato lui, intendiamoci, ma ero così emozionata in quel momento che solo dire il tuo nome mi ha fatta di nuovo piangere.
Avevo una creatura minuscola da amare e da proteggere. Una responsabilità non da poco, ma in quel momento volevo solo concentrarmi su di te, Tarzan, e su quanto stavo provando.
Hai afferrato una delle mie dita con la tua manina e ho capito che, in qualche modo, avevi accettato il nome che ti avevo dato e che ti piaceva.
“Tarzan? Sei sicura?” mi ha chiesto mia mamma. “È come… voglio dire, non intendo offendere il mio nipotino, ma sembra un nome selvaggio.”
“Non è affatto male, ma è bizzarro. Quanti bambini al mondo ci saranno con questo nome? Pochissimi. E poi ci sono così tanti bei nomi qui in Italia.”
“Be', voi mi avete chiamata Freya. E questo è un nome nordico che vi piaceva perché avevate incontrato una bambina, mia omonima, che vi stava simpatica."
"Non ha tutti i torti" ha detto la mamma.
"Già."
"Hai ragione, non è un nomeitaliano. Ma papà, io ho sempre preferito quelli stranieri, ve l’avevo già detto. E poi Tarzan era solo un bambino. Non pensare a lui come a un umano allevato dai gorilla. Cerca di guardarlo con altri occhi! Era un bimbo, come mio fratello, è nato umano e tale è rimasto.”
E io sono sicura che sia proprio tu, pagnottina ho pensato. Ti ho chiamato con quel soprannome solo perché eri paffuto, non per prenderti in giro. Sei tu, Tarzan, sei tu, quello vero. Io lo so, lo sento dentro, nel cuore, nei recessi più profondi dell’anima!
“Ah!”
Mi hai toccato il viso e allora ho capito: avevo ragione. Eccoti. Eri tu: Tarzan.
“Okay, se sei sicura… Mi sembra strano, non sono d'accordo, ma è tuo figlio.”
“Sì, papà ha ragione, quindi hai il diritto di chiamarlo come vuoi.”
“Le due a, la z e la n sono lettere dolci, come lui, se ci riflettete bene” ho spiegato. “Il nome mi piace, anzi, lo adoro. È perfetto”“
“Non l’avevo mai considerato sotto questo punto di vista” ha detto mia mamma.
“Nemmeno io.”
“Vada per Tarzan, allora?” ha chiesto l'ostetrica.
“Sì” ho risposto, decisa, e ti ho baciato la testa.
Dio, era così piccola!
Non avrei mai smesso di baciarti. Forse mi stavi guardando e mi dispiaceva non fare lo stesso. Ma continuavo ad accarezzarti il pancino tondo.
“Mi piace” ha commentato lei. “Freya, dammelo un momento. Lo avvolgo in una copertina, così starà al caldo.”
Quando ti ha preso ti sei rimesso a piangere e mi si è spezzato il cuore, ma sei ritornato subito da me.
“Tarzan, è tutto a posto. Siamo di nuovo insieme. Lei vuole occuparsi di te, non portarti via. Nessuno lo farà mai.”
Dopo un altro vagito, hai smesso di nuovo.
La tua fontanella era tanto tenera che l’ho toccata con dita delicatissime, memore di quelle rare volte nelle quali avevo preso in braccio bambini di appena un giorno e di ciò che mamma e papà mi avevano insegnato quando era nato mio fratello.
Mi sono goduta il tuo tepore. Eri un fragilissimo essere umano, assomigliavi a un uccellino nudo che non era pronto a volare e aveva bisogno della sua mamma. E io ero lì per amarti e proteggerti.
“Ti amo, Tarzan” ti ho detto. “Più di me stessa, di tutto e di tutti.”
Ma poi…
Mi sono svegliata all’improvviso. Ho avuto un forte tremore alle gambe e ho spalancato gli occhi. Era tutto finito. Era stato solo un sogno. Nient’altro che questo.
Mi sono messa a immaginare.
Io ti avevo tenuto ancora in braccio e ti avevo parlato.
“Sei bellissimo e ti proteggerò sempre, te lo prometto. O, almeno, finché non riuscirai a farlo da solo. Sono così felice che tu sia qui con me, ora.”
“Mmm, mmm.”
“Il mio dolcissimo bambino. Il mio piccolo Tarzan!”
Poi, di sicuro, quando i dottori ti avevano portato a fare visite ed esami, a me avevano fatto delle flebo per reidratarmi e farmi recuperare le forze.
E adesso ero sveglia, sola e in camera mia. I gatti non c’erano. Li amo quasi come dei figli, ma dormivano da qualche altra parte, forse sul divano o sulla poltrona.
Mi sono seduta di scatto, lanciando via le coperte che pesavano come una montagna.
Mi sono alzata in piedi in fretta e furia e mi è girata la testa. Mi sono infilata al volo le ciabatte e mi sono precipitata fuori dalla camera e giù dalle scale.
Ho corso per tutta la casa come una pazza, come faccio sempre quando sogno i bambini. Ti ho cercato, ti ho chiamato sussurrando il tuo nome, ma non c’eri.
Poi è come se mi fossi svegliata sul serio.
E la realtà mi ha colpita come una secchiata di ghiaccio in testa.
Non eri reale. Eri stato solo un sogno. Bellissimo ma pur sempre tale. Tutti i sogni hanno fine. E tanti non si possono realizzare.
Eri e sei un bambino, Tarzan, un bimbo immaginario, ma in quel sogno eri così vivo e vero.
Non era quello l’incubo, mi sono resa conto. Lo era un’altra cosa: la realtà.
Ho pianto sempre più forte, mi sono seduta sul divano e mi sono sentita così stanca. Ero distrutta, questo succede ogni volta che sogno tale genere di cose. Tossivo, singhiozzavo, avevo i conati di vomito, ma facevo attenzione a non svegliare nessuno.
Mi sono sentita persa, svuotata di tutto, come ogni volta.
Sono stata in ansia per ore, ho anche avuto un attacco di panico. Non sai cosa avrei fatto per essere sul serio la tua mamma, per stringerti fra le mie braccia per davvero, non in un sogno.
Sono tornata in camera mia e ho pensato:
Ieri ho parlato con le mie beta reader della mia futura fanfiction su di te, di una ragazza non vedente, in parte simile a me, in parte no, che ti trova e ti adotta. Una storia Alternate Universe. È per questo che ti ho sognato?
Probabilmente sì.
Ma perché doveva andare in questo modo orribile? Perché accidenti ho sognato una cosa stupenda, quello che ho sempre voluto, essere mamma, e poi è tutto finito in un attimo, senza una vera conclusione?
Questi amari pensieri e le domande che continuavano a ronzarmi in testa mi hanno fatta piangere sempre di più e mi hanno tenuta sveglia per il resto della notte
Cosa c'è che non va in me, Tarzan? Cosa c'è di sbagliato dentro di me, bambino mio?
Avrei voluto che tu mi toccassi la mano, che mi stringessi il dito, che facessi qualsiasi cosa. Ma non c'eri. Non ci sei. Non c'era nessuno. Non volevo svegliare i miei genitori per raccontare il mio sogno. Mi avrebbero detto che sono stupida.
Quando, qualche mese fa, ho parlato a mia mamma dei sogni che faccio sui bimbi, sai cosa mi ha risposto?
“Mettiti tranquilla e pensa che non è reale.”
Ha ragione, il problema è che non riesco a farlo. Ci ho provato, ma non ne sono in grado. È più forte di me, Tarzan. Altre volte ho sognato bambini delle mie storie, ma nessuno di loro era così reale, tanto vivo come te. Tu mi sei apparso in un modo incredibile, ho sentito tutto, ho vissuto ogni attimo come se fosse stato vero.
Così ho bevuto un bicchiere d'acqua, sono tornata a letto, ho pianto e poi ho iniziato a scrivere questa storia, perché sentivo il bisogno di buttar fuori e condividere ciò che avevo dentro, sia le cose belle, sia quello che mi ha fatta stare così tanto male.
Poi sono crollata e sto concludendo questo racconto la mattina.
Mi duole il petto per l’ansia. Mi fa male tutto. Mi manca il fiato. I miei occhi bruciano da quanto ho pianto.
Ti avevo partorito, Tarzan, e la mia protagonista ti adotterà nella fanfiction, quindi realizzerò il mio sogno, anche se tra le pagine di quello che io considero un romanzo, del quale sto completando la prima stesura. Ma in questo momento mi sento vuota, priva di qualsiasi energia fisica e mentale e talmente stanca e con il cuore spezzato che mi pare di sentirne lo schiocco secco. Tac. E poi si rompe ancora. Crack.
Sono non vedente. Non ho un lavoro perché non riesco a trovarlo. Non sono una mamma. E vorrei abbracciarti, adottarti e prendermi cura di te sul serio. Lo farò, nella fanfiction a cui sto lavorando, ma ora mi sento sola e disperata. Perché non sei qui, Tarzan.
   
 
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