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Autore: auburngods    14/12/2023    3 recensioni
[ JOXER/AUTOLYCUS - 1980s!AU ] [ Scritta per il Calendario dell'Avvento di Fanwriter.it ]
La famiglia di Joxer tiene l’annuale festa di Natale nella loro villa degli Hamptons. Joxer ha invitato Autolycus, ma passano le ore e ancora non vi è traccia di lui. Joxer, nervoso per questo ritardo, è convinto che gli abbia tirato un bidone e s'interroga sulla natura della loro relazione. Ma la serata può ancora riservare sorprese.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Autolycus, Gabrielle, Joxer, Xena
Note: AU, Lime | Avvertimenti: nessuno
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PREAMBOLO !! 

Questa fan fiction è la mia entry per il Calendario dell'Avvento di Fanwriter.it 
Ho scelto come data il 14 Dicembre in modo da avere qualcosina di pronto per il compleanno di Ted Raimi, l'attore che ha interpretato Joxer/Corilo/come lo volete chiamare e che purtroppo devasta da mesi i miei sogni, insieme a Bruce Campbell: era solo questione di tempo prima che iniziassi a shippare seriamente Joxer e Autolico (sui quali ho comunque già scritto in occasione del Writober). Qualcuno potrà pensare che sia una ship peculiare, ma ho notato con piacere come fosse abbastanza popolare alla fine degli anni Novanta/inizio anni Duemila: ho letto praticamente tutte le fan fiction trovabili su di loro e ora vivo solo con l'intenzione di riportarla ai suoi antichi fasti (e sto fallendo miseramente). 
Per quanto riguarda la fan fiction in sé, inzialmente avrei voluto scrivere qualcosa ambientato nell'universo canonico: da pagano, sarebbe stato interessante esplorare le usanze nel mese di Posideone (le Dionisie rurali e le festività in onore di Demetra), ma alla fine ho scelto una comfort zone, un'AU ambientata nella New York degli anni '80. Cosa c'entra con Xena? Nulla, è solo un'ambientazione che ho usato e strausato e quindi mi ci muovo bene (e nella quale avevo già pianificato di ambientare una long, ma alla fine è un progetto di cui mi sono rimasti solo degli headcanon). 
Ho considerato l'idea di dare un nome un po' più "normale" ad Auto e fingere che questo sia magari il suo nome di strada (nell'AU che ho in testa rimane sempre comunque un ladro, oltre che un marchettaro), ma alla fine mi sono detto sticazzi, è una fan fiction e cambiare i nomi non ha senso. Quindi trovate tutti i nomi originali. La famiglia di Joxer è sempre invischiata con roba di guerra, nel senso che suo padre è un generale dei Marines. 
La fan art allegata è opera di me medesimo. 
Detto questo, vi lascio finalmente alla lettura: spero che qualcuno trovi questa fan fiction e la apprezzi e ancora TANTI AUGURI TEDDY!! 

 

 

 

Now it's like snow at the beach

Weird but fuckin' beautiful

Flying in a dream, stars by the pocketful

You wanting me tonight feels impossible

But it's comin' down, no sound, it's all around

Like snow on the beach

 

Taylor Swift & Lana Del Rey, Snow On The Beach

 
Come-Neve
 

“Non verrà.” Joxer indicò l’orologio a pendolo nell’ingresso con un gesto stizzito della mano.  

Xena, appoggiata al muro come se fosse a fare serata in qualche locale, teneva una coppa di champagne in ciascuna mano. Era stupenda nel suo abito da cocktail in velluto, completamente nero, nonostante Joxer avesse il sospetto che i vistosi fiocchi sulle spalle fossero stati un’idea più in linea con i gusti di Gabrielle. Da lei veniva senz’altro il maggior entusiasmo per la serata, fin da quando Joxer le aveva invitate a quel maledetto party. 

Lui aveva semplicemente convenuto che, ora che aveva degli amici, il raduno annuale della sua famiglia negli Hamptons in occasione delle feste natalizie sarebbe stato più facilmente tollerabile: le ragazze erano le sue stampelle, il suo sostegno morale, consapevolezza che Xena aveva passivamente accettato in nome della loro consolidata amicizia. Per Gabrielle, anima romantica che sognava di balli raffinati e usanze sociali di moda forse solo nei film in costume, era l’avverarsi di un piccolo desiderio: per qualche incomprensibile ragione, gente come la famiglia di Joxer l’affascinava (Xena gli aveva confidato che sospettava che tutto ciò avesse a che fare con la passione di Gabrielle per Dynasty). Di certo non capitava tutti i giorni che una fanciullina di campagna, alle prese con la dura realtà della Grande Mela, venisse invitata alla festa di un Generale dei Marines e di una magnate dell’industria di bellezza. 

Gabrielle aveva duramente lavorato al proprio abito per due settimane, procurandosi il miglior raso che potesse permettersi al mercato delle stoffe e apportando continue modifiche al modello che l’avevano tenuta sveglia per notti intere fino a quando il risultato non l’aveva soddisfatta. Ancora durante il loro viaggio in taxi aveva dato voce agli ultimi dubbi circa il taglio della gonna, borbottando qualcosa a proposito del fatto che potesse apparire troppo retrò, incertezze sfumate nel momento in cui aveva abbandonato il soprabito e conquistato sguardi estasiati e pareri favorevoli da parte di tutti i presenti. 

Jace, che aveva aiutato Gabrielle a procurarsi il materiale, aveva squittito che fosse arrivata a togliergli il primato del miglior abbigliamento della serata. Suo fratello, che indossava un kimono scarlatto dalle rifiniture dorate, avrebbe potuto sostituire l’albero di Natale nell’ingresso e nessuno avrebbe notato la differenza. Joxer aveva scosso la testa all’incapacità di Jace di presentarsi con un vestiario consono, prima di incontrare il cipiglio assassino di Xena e rammentare il suo grande monito Che-ti-importa-se-tuo-fratello-vuole-sembrare-un-membro-dei-Village-People. E poi aveva udito da qualche ospite che il kimono fosse un abito formale nella tradizione giapponese quindi, in teoria, Jace non aveva trasgredito in alcun modo al dress-code. E, anche se l’avesse fatto, Jolene lo aveva talmente in adorazione che avrebbe approvato qualsiasi diavoleria, purché allietasse gli ospiti con la sua voce. 

Joxer si sentiva così stupido per il regalo fatto a sua madre, un set di candele profumate alla lavanda. Non era certo qualcosa che le mancasse: Jolene aveva un’ossessione per la lavanda. La coltivava da anni in un angolo del giardino, in casa si poteva trovare lavanda ovunque: saponette nei cassetti della biancheria, profumatori sul fondo dell’armadio, fasci di steli lasciati ad essiccare in cucina. Aveva fatto i milioni con la sua linea di cosmetici alla lavanda, e Joxer aveva avuto la brillante idea delle candele. 

Jolene lo aveva ringraziato con un sorriso educato che di personale non aveva nulla, e il bacio che gli aveva lasciato sulla guancia era così lontano dalla calorosità che Joxer aveva conosciuto da bambino, quando sua madre ancora riponeva in lui speranze appagate soltanto grazie al talento di Jace. Lo aveva interrogato su cosa facesse in quel periodo, e Joxer aveva bofonchiato qualcosa a proposito dello sviluppo di una nuova idea imprenditoriale, cercando di mascherare il progetto suo e di Gabrielle di aprire un caffè letterario come un’enigmatica e brillante trovata da yuppie, prima che l’odiosissimo volpino della Pomerania che sua madre si portava appresso gli mordesse le dita. Un tempo, almeno, era stato il favorito del beagle da caccia di suo nonno, prima che entrambi passassero a miglior vita. 

Suo padre, invece, aveva trascorso gran parte del tempo a mettere in mostra Jett. Entrambi impeccabili nelle loro divise dei Marines, quella di Jett nuova di zecca, con la toppa da Gunnery Sergeant appuntata sul bicipite, l’uno il riflesso concreto delle aspettative dell’altro. Joxer si era sforzato di inghiottire parecchi bocconi amari, da quando era arrivato, ma tutta la continua approvazione nei confronti di Jett, le lodi, gli sguardi carichi di orgoglio per la brillante carriera militare, erano ciò che più gli aveva inacidito lo stomaco. Quello, l’alcol e il bidone che Autolycus gli aveva tirato. 

“Non riesco a credere che mi abbia fatto questo. Me lo aveva promesso, aveva promesso che sarebbe venuto!” 

Rubò una delle coppe dalla mano di Xena e tentò di mandare giù lo champagne in una sola sorsata, fallendo miseramente e sbrodolandosi con il vino. Alcune gocce caddero sul pavimento tirato a lucido. 

“Quello era di Gabrielle”, commentò Xena, contrariata. 

“Oh, Jett gliene prenderà un altro.” Joxer sventolò il bicchiere, indicando il centro della sala, dove Gabby e suo fratello dondolavano su una versione di Baby It’s Cold Outside dalla fasulla inflessione iberica. “Non ti manda in bestia?” 

“Jox, stanno solo ballando.” 

“Gli uomini sono porci, Xena. Peggio, Jett è infimo. Non fai in tempo a battere le palpebre che ti ha già sgraffignato il tuo giocattolo preferito da sotto il naso. Credimi, parlo per esperienza.” 

“Gabrielle non è un giocattolo. Cosa dovrei fare, impedire che si diverta?” 

“No,” bofonchiò Joxer, abbandonandosi contro la parete. Si slacciò il papillon e i bottoni del colletto ormai floscio: stava sudando come una prostituta dentro a una chiesa, se per i fumi dell’alcol o per l’atmosfera claustrofobica non sapeva dirlo. “Almeno per uno di noi la serata non sarà un fiasco totale.” 

“Mi fido di Gabrielle.” Xena prese un sorso dalla propria coppa, e benché non esibisse una tecnica particolarmente aggraziata, senz’altro fu più composta di lui. “Sei tu che non ti fidi di Autolycus. Probabilmente ha pensato che un po’ di ritardo fosse trendy.” 

“La festa è iniziata da due ore, Xena.” Joxer indicò nuovamente l’orologio a pendolo. “Due ore! Mezz’ora è trendy, un’ora è Ho avuto un imprevisto, due ore è Non vengo!” 

In fin dei conti, Joxer non riusciva nemmeno a incolparlo per non voler avere a che fare con quella pagliacciata. Lui stesso si domandava cosa diamine lo spingesse ad accettare ogni anno l’invito di sua madre, spedito per via di chissà quale ultimo barlume di pietismo nei suoi confronti (o forse, semplicemente, su insistenza di Jace). Si domandava perché si sforzasse di sopportare tutti quegli imbarazzanti convenevoli messi in atto per dare una parvenza di calore in una casa sulla quale era calato il gelo da ormai molto tempo. Una volta, tra quelle pareti avevano risuonato anche le sue risate e il ticchettio dei suoi piedi sul parquet la mattina di Natale ora si stringevano attorno a lui, intrappolandolo in una morsa opprimente. Eppure, anno dopo anno, insisteva a ripresentarsi con la speranza di poterle spingere di nuovo un po’ più indietro, con il desiderio di tornare a respirare in presenza dei suoi genitori, di sorridere a sua madre e mantenere con fierezza lo sguardo di suo padre. Oh, come si era illuso quell’anno, quando aveva pensato che avrebbe addirittura avuto il coraggio di presentare Autolycus ai suoi! Certo, forse non sarebbe sceso nei dettagli… ma forse non ne avrebbe nemmeno avuto bisogno: quanti uomini sulla trentina facevano lo sforzo di invitare un amico o un coinquilino all’esclusivo party di Natale dei propri genitori? 

Insomma, Autolycus si stava risparmiando uno spettacolo patetico. Con ogni probabilità, a quell’ora ne stava ridendo insieme a un bel fusto palestrato in un bar del Meatpacking District, o peggio, le chiacchiere erano finite ed erano spalmati l’uno contro l’altro sulla pista da ballo a scambiare saliva e sudore. 

Joxer si sentiva un idiota per aver pensato di poter dare una svolta a qualunque cosa vi fosse tra loro. Si rendeva conto di essere stato avventato, nonché più codardo di quanto fosse disposto ad ammettere. Lui e Autolycus si frequentavano da appena qualche mese e da ancora meno avevano deciso di rendere la loro frequentazione esclusiva (e già vacillavano le convinzioni di Joxer circa la fedeltà di Auto). Lui non aveva nemmeno le palle di ammettere di essere gay. Si era sforzato di reprimere quell’aspetto di sé per così tanto tempo che navigare una relazione con un uomo ancora gli lasciava residui di vergogna. Eppure, Autolycus lo faceva sentire più coraggioso, più orgoglioso. Da quando stava con lui si sentiva imbarcato in un viaggio esplorativo: ogni giorno era un’avventura, ogni giorno scopriva cose di sé che mai prima avrebbe osato considerare. 

Xena, che evidentemente aveva notato le sue guance roventi, propose di andare a prendere una boccata d’aria in veranda. 

Fuori aveva ripreso a nevicare. Joxer si strinse nel cappotto, memore e nostalgico dei vecchi moniti di sua madre circa gli sbalzi di temperatura. Il vialetto era stato ripulito quel pomeriggio affinché gli ospiti accedessero in modo sicuro, ma ora era nuovamente ricoperto da un sottile strato di neve. Oltre il cancello, le dune di sabbia si erano trasformate in un magico paradiso invernale, così candido da illuminare la notte, fino a dove l’oceano inghiottiva la neve. 

“Non avevo mai visto la neve sulla spiaggia”, mormorò Xena. “È bellissima. Strana, ma bellissima.” Affondò le mani nel cappotto alla ricerca delle sigarette. Joxer, in un ispirato atto di galanteria, si offrì di accendergliela con uno dei suoi ultimi fiammiferi. 

“Una mattina di Natale, tanti anni fa, ci siamo svegliati con tutta questa neve.” Joxer si appoggiò alla balaustra, dando le spalle al paesaggio, incapace di affrontare a viso aperto i ricordi che affioravano a quella vista, memorie di un’infanzia che non gli apparteneva più. “Io e i miei fratelli abbiamo giocato tutto il giorno nella neve. Credo che papà fosse di servizio, o non ce l'avrebbe mai permesso. Mio nonno ci aveva costruito delle slitte. Quella di Jett era la più veloce, ovviamente, e Jace mi convinse a spingerlo fuori pista. Solo che rimasi imbrigliato e finimmo insieme dentro la siepe degli Hewitt. Più tardi, Jett si vendicò lanciandomi una palla di neve dritta in bocca.” 

Xena ridacchiò, intenerita, e perfino Joxer, benché ancora ricordasse il bruciore della neve e del colpo sulle labbra, si lasciò sfuggire l’accenno di un sorriso. “I tuoi fratelli ti vogliono bene, Joxer”, gli assicurò la donna. “Forse Jett è troppo aggressivo e Jace troppo esuberante, ma non dovresti dubitare del loro affetto. Specialmente, se fatichi a riallacciare i ponti con i tuoi genitori.” 

“E di avere dubbi sull’affetto di Auto che mi dici?” Joxer strinse le braccia al petto. Adesso aveva freddo e voleva nasconderlo senza farsi sfuggire alcun tremolio, ma aveva anche l’impressione che premere le nocche contro la gabbia toracica aiutasse a mitigare il dolore e la delusione che gli gonfiavano il cuore. Ogni respiro era uno sforzo per non scoppiare a piangere: si sentiva come un cane abbandonato per la strada. 

Xena prese un lungo tiro dalla sigaretta e gli riservò uno sguardo accigliato: “Se hai questi dubbi, perché sforzarsi di mantenere una relazione?” 

“Non… non voglio rompere con lui!” La sola idea gli risultava insostenibile. “È solo… credevo che, per una volta, questa stupida festa sarebbe stata meno miserabile, se solo lui fosse venuto. Non fraintendermi, è bello avere te e Gabby qui… ma non è la stessa cosa. So di poter contare su di voi. Volevo solo capire se lui prendesse sul serio questa relazione tanto quanto me. Direi che ho avuto la mia risposta.” 

“Forse Autolycus non è ancora pronto a conoscere questo lato della tua vita. In ogni caso, dovresti parlargliene. Non saltare immediatamente alla conclusione che non gli importi nulla di te.” 

“Sì, beh… tra qualche giorno gliele canterò per bene!” 

Si era a malapena accorto che le labbra di Xena erano distese in un sorriso ilare. “Voltati, squinternato.” 

Joxer aggrottò le sopracciglia, confuso, e ubbidì. 

Autolycus stava arrancando lungo il vialetto d’accesso: la sua andatura, solitamente agile e leggiadra, era incerta, mentre procedeva con accortezza sul nevischio umido. Joxer lo fissò, incredulo, l’aria gelida e dal retrogusto salmastro che gli entrava dalla bocca spalancata: era decisamente Autolycus. Nessun altro si sarebbe presentato a una serata formale avvolto in un cappotto di pelliccia e diamine-, nessuno sarebbe stato più attraente, mentre scuoteva la testa, spolverando fiocchi di neve dai folti capelli, e salutava con un sorriso smagliante, più luminoso di tutte le luci decorative intorno al perimetro dell’abitazione. “Ehi!” disse, semplicemente. Alzò una mano in segno di saluto, la stessa da dove pendeva una borsa di plastica da regalo. 

Joxer scese le scale del portico, andandogli incontro con passo furioso. “Due ore di ritardo!” strillò. 

“Come le star!” 

“Ti presenti qui con due ore di ritardo e tutto quello che riesci a dire è Ehi-AAAAAARRGH!!!” 

I piedi di Joxer scivolarono all’indietro, mandandolo a faccia in giù nella neve. Non era abbastanza per attutire la caduta: il naso colpì le fredde mattonelle del vialetto, e il sapore ferroso del sangue gli riempì la bocca. Per l’ennesima volta nella sua vita, Joxer si sentì patetico, inerme sul selciato, scosso dai brividi, mentre il cielo gli nevicava addosso come per coprire ogni sua vergogna, o forse era lo sputo di Dio. 

Xena e Autolycus gli furono subito accanto e Joxer si arrese al loro aiuto per rimettersi in piedi. “Sto bene”, mugugnò, avvertendo le lacrime formarsi agli angoli degli occhi. Si sforzò di reprimerle. Tentò di darsi una ripulita con il dorso della mano, ma solo sfiorare la punta del naso gli provocò una fitta lancinante e pregò che non fosse rotto. Autolycus gli impedì di peggiorare le cose, afferrando la sua mano tra le proprie: erano sorprendentemente calde. Tutto di quell’uomo irradiava calore, anche nei momenti più gelidi. 

“Sta’ fermo,” gli intimò Auto, “hai preso una bella botta.” 

“Non forte come quelle che ti darei in questo momento!” Come per sottolineare le proprie intenzioni, Joxer fece atterrare un pugno contro la spalla di Autolycus. Non fu così forte e Joxer era fin troppo consapevole della pastosità dei propri muscoli, ma udire le proteste di Auto gli diede comunque un certo appagamento. 

“E va bene, me lo merito,” ammise, “ma lasciami almeno spiegare!” 

“Perché voi due piccioncini non portate i chiarimenti in casa?” intervenne Xena. Joxer avvertì le forti dita della donna chiudersi intorno ai suoi avambracci e si lasciò trascinare premurosamente lungo le scale del portico. “Vieni, Joxer, andiamo a darti una ripulita.” 

 

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Il maggior epicentro di lavanda era il bagno della camera matrimoniale: svariati flaconi di prodotti per l’igiene nel cestello della doccia, oli essenziali nell’armadietto sopra il lavandino e, come sospettava, una schiera di candele alla lavanda decorava il perimetro della vasca. Il profumo rimase sulle mani di Joxer, una volta che ebbe lavato via tutto il sangue dal viso col sapone e, mentre si tastava il naso con la punta delle dita, lo assalì una ventata di nostalgia: non si era mai reso conto di quanto gli mancasse quel profumo, di quanto, da piccolo, tentasse di inalarlo dalla pelle di sua madre quando lei lo cullava in un abbraccio. Ma era anche un odore troppo persistente che lo nauseava. 

Arricciò il naso, e tutto il suo viso si contorse in un’espressione involontariamente stupida. Xena gli aveva praticato una delle sue brusche ma miracolose manovre, ed era grato che il setto non fosse rotto: sarebbe stato proprio un gran bel regalo di Natale! 

Nello specchio, incontrò gli occhi ambrati di Autolycus. Il suo compagno lo guardava divertito, appoggiato allo stipite della porta, rigirandosi tra le mani la borsa del ghiaccio che si erano procurati in cucina. 

“Vieni qui.” Entrò nel bagno, avvicinandola al viso di Joxer. 

“Non la voglio.” Il ragazzo si scostò. Il lato destro del volto doleva ancora, ma non era particolarmente ammaccato, a parte un livido nerastro sullo zigomo. 

“Jox, ti fa bene.” 

“È troppo fredda. Suvvia, non sono messo così male.”  

Auto sospirò e si arrese a posare la borsa del ghiaccio sul lavandino. “No,” convenne, e il sorriso riapparve sotto i baffi scuri. Le sue mani si posarono sul petto di Joxer, i pollici che giocherellavano con le bretelle. Si morse il labbro inferiore, trattenendo un gemito alla sensazione dei muscoli di Joxer tesi al di sotto della camicia. “Mi piace tutta questa eleganza. Ti dona.” 

Joxer arricciò le labbra in un mezzo sorriso, incapace di fingersi immune agli apprezzamenti più dozzinali. Compiacere uno come lui, così poco abituato ai complimenti, era semplice e questo Autolycus lo sapeva benissimo. Una persona con più autostima, forse non si sarebbe mai lasciata abbindolare così facilmente dal fascino di quell’uomo, e Joxer cominciava a sospettare che per Auto fosse fin troppo conveniente sguazzare nel suo bisogno di validazione  necessità che era stata Gabrielle a sottolineare, di fronte alla sua totale reticenza. Ci aveva riflettuto solo una volta disteso nel letto, allo stesso modo in cui rifletteva su molte altre cose: solo, in silenzio, lo sguardo vacuo rivolto al soffitto. 

“Scommetto che adesso mi dirai che starebbero meglio sparsi sul pavimento”, osservò Joxer. Fremette quando Autolycus gli cinse i fianchi, attirandolo a sé. 

“Mi conosci così bene…” mormorò. Il suo respiro era caldo sulle labbra di Joxer, e il bacio che annullò la distanza tra loro fu gentile, delicato, attento a non fargli male. 

Shono ‘ncora arbiato con te…” borbottò Joxer, tra un bacio e l’altro. Ciononostante, non poté fare a meno di abbandonarsi alle splendide attenzioni della bocca di Autolycus: le sue labbra erano così piene e morbide contro le proprie, sottili e crespe per via dell’esposizione al freddo. Si aggrappò alle sue spalle, alla camicia dorata rivestita in glitter (Joxer non poteva credere che l’avesse indossata sul serio!), lasciandosi sfuggire un gemito mentre lui posava una scia di baci lungo la mandibola appuntita. Ridacchiò come un idiota quando Auto premette il viso sul suo collo, i baffi che gli solleticavano la pelle. Joxer si sforzò di fare appello al poco autocontrollo che gli era rimasto per articolare una frase senso compiuto: “Credevo… credevo non saresti venuto…” 

Autolycus sospirò e abbandonò la presa intorno ai suoi fianchi. Joxer temette di aver rovinato tutto e si trovò a fronteggiare i vividi occhi del suo compagno: era la prima volta che li vedeva adombrati da un velo di… rammarico? Malinconia? Era difficile leggere le espressioni altrui, soprattutto quando erano insolite sulle persone più insospettabili. 

“Per un po’ ho pensato di non venire,” ammise Autolycus. “Non perché mi facesse piacere bidonarti. È solo… mi sono agitato, d’accordo? Non sono abituato a tutto questo.” 

Agitò le mani per aria, indicando l’ambiente circostante. 

Joxer aggrottò le sopracciglia: “A un bagno decorato con troppa lavanda?” 

Autolycus emise una mezza risata e si appoggiò al ripiano del lavandino. “Intendo dire che quando mi trovo in una casa di ricconi, di solito non ho ricevuto prima un invito. Ho temporeggiato. Quando mi sono finalmente deciso a zompare sul treno pensavo sarei stato in ritardo di un’oretta al massimo.” 

Joxer replicò che lo aveva avvertito secoli prima di quanto tempo vi s’impiegasse a raggiungere gli Hamptons. Autolycus si limitò a stringersi nelle spalle, afferrargli una mano e lasciare un dolce bacio sul palmo. 

Si spostarono nella stanza da letto, anch’essa profumata di lavanda, ma i rivestimenti in legno alle pareti e la luce dalle lampade in vetro Tiffany la rendevano più calorosa. Un lato del letto matrimoniale era coperto da una pila di soprabiti e borse. Joxer notò come Autolycus adocchiasse quest’ultime e sperò non gli venisse la brillante idea di derubare gli ospiti: per quanto l’idea lo divertisse, lo entusiasmava meno il pensiero che Auto potesse mettersi nei guai. 

“Comunque, non sono un grande fan dei genitori.” Autolycus si voltò, le braccia incrociate sul petto. “E il disdegno è solitamente reciproco.” 

“Che vuoi dire?” 

“Non sono esattamente materiale da fidanzato, Jox.” 

All’improvviso, le pellicine intorno alle proprie unghie parvero a Joxer materia di grande interesse. “Non ti avrei presentato come mio fidanzato,” bofonchiò. Un filo di sangue era rimasto raggrumato sotto l’unghia del pollice. Tentò di pulirlo via, mentre sedeva sulla sponda libera del letto, e si rese conto che dare le spalle ad Autolycus lo aiutava a elaborare meglio i propri pensieri. Addirittura, covava un po’ di coraggio ad esprimerli. Autolycus era meraviglioso: focoso, irruento, passionale, eppure dotato di una gentilezza e un altruismo al di fuori del comune. Caratteristiche che, su sua stessa ammissione, era stato proprio Joxer a far emergere. Di questo, se ne compiaceva. Allo stesso tempo, non poteva fare a meno di chiedersi come fosse possibile che proprio lui gli avesse fatto perdere la testa, che cosa mai avesse di tanto speciale da fargli cambiare idea sul proprio conto: non aveva mai dimenticato le battute infelici di Autolycus circa la sua utilità nel mondo o l’atteggiamento di pura irritazione quando Joxer entrava nella stanza. Parole che bruciavano come lame conficcate nel petto, soprattutto perché lui non aveva fatto altro che mostrare un gran rispetto nei suoi confronti. Prima di capire quanto lo attraesse, Joxer lo ammirava in tutto: ne invidiava la bellezza, il carisma, la furbizia. Autolycus era l’uomo che sognava di essere… e di avere al proprio fianco. Lui e Autolycus insieme non avevano senso  eppure funzionavano. Auto aveva visto qualcosa brillare in lui, sotto tutta quella patina da scemo del villaggio che lo ricopriva; e Joxer lo aveva reso meno bubero, meno solitario. 

Ripensò alla neve che cadeva sulla spiaggia, uno spettacolo all’apparenza insensato, peculiare, ma non per questo meno bello. Ma pensò anche alle onde dell’oceano che lavavano via la neve, e al terrore di perdere la cosa più bella che gli fosse capitata nella vita: temeva di vedere svanire Autolycus allo stesso modo. Temeva che un’onda avrebbe lavato via quella spolverata di felicità. 

“È colpa mia,” sospirò Joxer. “Non ci frequentiamo da molto… avrei dovuto capire che non saresti stato a tuo agio. Io… volevo solo che questa serata non fosse un fiasco totale, come tutti gli anni. Mi sento così bene, quando sei con me…” 

Non ebbe il cuore di dirgli che era già notevolmente migliorata nell’esatto momento in cui si era presentato: che gli importava di uno stupido ritardo? Autolycus era lì, era venuto per lui e, come sempre, la sua presenza rendeva ogni cosa più raggiante. 

Avvertì la sua mano vigorosa sotto il mento, e quasi gli fecero male gli occhi nel sollevarli su di lui. L’idea che Auto potesse avere delle insicurezze pareva così surreale. Era magnifico, era radioso come il sole: non per la pelle abbronzata, l’abbigliamento vistoso, gli orecchini e gli anelli luccicanti nell’atmosfera aranciata della stanza, ma per il modo in cui colmava gli spazi negativi. Soprattutto quelli nel cuore di Joxer. 

“Sai,” disse Auto, “facciamo ancora in tempo a salvarla.” 

Joxer mise su un falso broncio, e Autolycus ne approfittò per far scorrere un dito lungo le sue labbra. “Perché non restiamo ancora un po’ qui?” mormorò, le speranze colmate quando vinse l’approvazione dell’uomo. 

Joxer chiuse gli occhi, abbandonandosi alle carezze di Autolycus, beandosi finalmente della sua presenza. Gli si sedette accanto e Joxer lasciò che lo attirasse a sé. Questa volta fu lui ad affondare il volto contro il suo compagno: s’impresse con forza, nell’incavo tra la spalla e il collo, come nel tentativo di sigillare per sempre quel perfetto incastro. In quel momento, separarsi da Autolycus avrebbe significato dover tornare ad affrontare il mondo al di fuori della stanza, ma il suo viso si nascondeva così bene, i suoi occhi erano inconsapevoli di tutto ciò che lo circondava, la sua bocca pregna del gusto speziato della pelle dell’uomo, l’acqua di colonia che utilizzava. Sorrise nel notare come lui non fosse immune al piacere suscitato dai suoi baci: ogni brivido, ogni gemito soffocato erano una vittoria. Non passò molto tempo prima che Auto reagisse. Joxer percepì le dita dell’uomo chiudersi tra i suoi capelli, prima di essere trascinato in un bacio appassionato, un bacio che non tratteneva più il desiderio, e la sua risposta non fu meno smaniosa. 

“Cosa dicevi dei tuoi vestiti sul pavimento?” Autolycus gli intrappolò il labbro inferiore tra i denti. 

“Sei così prevedibile.” Joxer ridacchiò sui suoi baffi. 

Si lasciò spingere contro il materasso, il corpo di Autolycus che gli mozzava il fiato, le dita esagitate che gli slacciavano la camicia. 

Di tutti i luoghi i bizzarri in cui si erano saltati addosso, il letto dei suoi genitori pareva a Joxer quello più strano di tutti. Vi trovò una certa ilarità, mentre guardava la neve cadere fuori dalla finestra. Finalmente aveva smesso di avere freddo: tutto il suo corpo era ancora teso nell’emozione del sesso, grondante di sudore e umori lascivi. Il petto villoso di Autolycus premeva contro la sua schiena, le gambe muscolose strette intorno ai fianchi. L’uomo borbottò qualcosa di incomprensibile, prima di lasciare una serie di baci sulla nuca e sul collo del ragazzo. “Giraffa.” 

Joxer gli tirò uno schiaffo sul sedere. Autolycus rise e lo schiacciò ancora di più contro il cuscino, rubandogli un gemito quando la sua erezione scivolò tra le natiche del giovane. 

“Sei ancora arrabbiato con me?” 

Gno,” borbottò Joxer, la la bocca premuta contro la federa. “Direi, mhpf, che ti sei fatto perdonare a dovere.” 

Autolycus gli lasciò un altro bacio dietro l’orecchio, prima di liberarlo. 

Joxer si voltò, guardandolo scendere dal letto. Nell’euforia, avevano fatto cadere un paio di cappotti. 

“Dobbiamo proprio tornare giù?” si lagnò. 

Autolycus gli riservò un ghigno: “Non credi si stiano domandando dove siamo finiti?” 

“Oh, che importa?” 

“Meglio darsi una rinfrescata, prima. Dubito che i tuoi si berranno la scusa del coinquilino se ti vedono scendere in queste condizioni.” 

Joxer gli fece una linguaccia, prima di lasciarsi trascinare giù dal letto. Mentre seguiva Auto in bagno, lanciò un’occhiata preoccupata alle coperte spiegazzate, domandandosi a chi avrebbero dato la colpa del macello che avevano lasciato. 

 
   
 
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