Film > Salvate il soldato Ryan
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Autore: Abby_da_Edoras    15/12/2023    3 recensioni
È buffo scrivere in un fandom in cui praticamente nessuno ha mai scritto o letto, ma io questa storia me la porto dietro da più di vent'anni, da quando vidi il film la prima volta, e anche a distanza di tanto tempo, per quanto assurda e impossibile sia, ci credo e ci sogno, tanto che adesso posso finalmente anche metterla in ordine e pubblicarla (e finire alla neurodeliri definitivamente!). Dunque, io sono quella che nelle ff salva tutti i personaggi e si inventa le ships più improbabili, no? Ed ero così anche vent'anni e più fa, per cui ecco a voi la mia follia: il soldato tedesco che Miller decide di liberare (e che qui ha un nome e una storia) non è un ingrato, bensì lo ritroveremo a Ramelle e arriverà in tempo per salvare Mellish! Quindi Miller e i suoi decideranno di prenderlo sotto la loro protezione e... e lui pian piano inizierà a provare qualcosa proprio per Mellish, il soldatino che ha salvato.
Non scrivo a scopo di lucro e personaggi e situazioni appartengono a registi, autori e produttori del film Salvate il soldato Ryan.
Genere: Angst, Drammatico, Hurt/Comfort | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: AU, Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Cap. 23: Bridges

 

Now I see the road

Of leading lights

Showing me where I should go and what to leave behind

 

There is always time to get back on track

Tearing down the walls slowly every step

Now I see myself

Building up a world of bridges

 

You will find a way

To begin again no more time to waste

Or to play pretend

Now I see myself

Building up a world of bridges!

(“Bridges” – Alika)

 

Mellish e Saltzmann erano rimasti interdetti alle parole del prigioniero tedesco, non sapevano a cosa si stesse riferendo e, a dirla tutta, Josef era sempre più preoccupato che quell’uomo, nonostante la stanchezza, l’amarezza e la debolezza della prigionia, avesse colto il punto debole del suo giovane compagno e che adesso stesse per colpirlo con una cattiveria che lo avrebbe spezzato. Purtroppo, come Saltzmann sapeva bene, in guerra avvenivano fin troppi episodi vergognosi che poi venivano insabbiati e, probabilmente, questo era uno di quelli e ne erano stati protagonisti proprio i soldati americani. Si rendeva conto che Mellish, fiducioso e generoso com’era, non aveva piena consapevolezza degli orrori che una guerra si porta dietro, sapeva vagamente di stupri di gruppo, violenze e uccisioni gratuite compiute tanto da tedeschi quanto da italiani, sovietici, inglesi, francesi o americani, ma questo episodio doveva essere stato particolarmente tragico e il ragazzo avrebbe potuto reagire molto male.

Per un istante desiderò non aver mai deciso di incontrare i prigionieri tedeschi, ebbe la tentazione di afferrare Mellish e portarlo fuori da quella stanza perché non ascoltasse… ma poi il prigioniero parlò e fu troppo tardi.

“Io combattuto in Italia estate scorsa” disse l’uomo, “ero là quando vostri aerei distruggere scuola piena di bambini.”

Mellish impallidì così tanto che sembrava che stesse per svenire. Saltzmann lo strinse a sé, cercando di proteggerlo dalle parole che sarebbero state per lui più dolorose di una sventagliata di mitragliatrice al petto, e gli parlò con dolcezza all’orecchio.

“Non ascoltare lui, Stan, vuole solo fare male, non è niente vero quello che dice, è sua vendetta perché prigioniero” mormorò, ma poi si rivolse in tedesco al connazionale con una freddezza e una durezza che Mellish non gli aveva mai visto. “Non so che cosa stai per raccontare ma non farlo, questo ragazzo non ti ha fatto niente e non hai motivo per farlo soffrire.”

Il tedesco continuò come se Saltzmann non avesse parlato, i suoi occhi erano fissi su Mellish e su ogni reazione del suo volto e del suo corpo.

“Io e miei compagni essere a Milano in ottobre scorso, quando vostri bombardieri colpire città e paesi vicini” riprese. “Fare come con Germania, voler colpire fabbriche e stabilimenti per costringere Italia a resa.”

“Questo lo so, te l’ho già detto, non vado fiero di questo tipo di guerra che devasta le città e distrugge anche le case dei civili oltre alle infrastrutture e agli stabilimenti, anzi, sinceramente sono contento di essere un soldato semplice e non un aviatore, perché così mi sono trovato a sparare solo contro altri soldati armati e posso dormire la notte, sapendo di non aver mai ucciso un innocente” replicò Mellish. “Ma non capisco perché vuoi raccontare queste cose proprio a me. Io non sono mai salito su un aereo e non ho mai bombardato niente e nessuno, né in Italia, né in Francia, né in Germania. Prenditela con quelli dell’aviazione, se vuoi trovare dei colpevoli.”

Un sorriso cattivo si dipinse sulle labbra del tedesco.

“No, io dico a te perché tu ebreo” ribatté, e dal tono in cui lo disse si capiva che, per lui, i campi di sterminio non erano poi quel grande scandalo… “Tu credere che tedeschi tutti mostri perché uccidere quelli come te e anche donne e bambini ebrei, ma voi americani non essere meglio e strage di Gorla dimostra questo.”

Saltzmann era forse ancora più sconvolto di Mellish. Possibile? Aveva davanti un Nazista di quelli convinti, di quelli che odiavano davvero gli ebrei, e ci aveva portato il suo Stan? Come poteva essere stato così egoista, così sciocco? Stan aveva ragione, gli aveva detto di stare lontano dai prigionieri tedeschi, ma lui aveva voluto vederli e parlarci e ora… era solo colpa sua, era colpa sua se quell’uomo avrebbe straziato il suo sensibile ragazzo con le parole, visto che non poteva più farlo con le armi!

“Io sicuro che tu pieno di compassione per poveri bambini ebrei morti in campi di sterminio, ma ora tu pensare anche a poveri bambini italiani morti per bombardamento americano” sibilò il prigioniero. “Era 20 ottobre, venerdì, io e miei compagni essere a Milano e sentire bombardamenti in tanti posti di città, noi pensare a salvare noi stessi, poi però saputo cosa fatto americani. Vostri bombardieri partiti per colpire fabbriche di Milano, ma poi sbagliare direzione, virato destra invece che sinistra, errore può capitare, ma a quel punto aviatori americani avere bombe innescate, non poter tornare con arei carichi a base.”

“È stato un errore, allora, lo hai detto tu stesso” provò a dire il giovane, ma il prigioniero lo interruppe.

Ja, errore, prima, però poi scelta di aviatori americani” disse, col veleno nella voce. “Loro poter sganciare bombe in mare prima di tornare a base, e nessuno fare male, invece loro sganciare bombe su città sotto, più di trecento bombe sopra Gorla che essere quartiere di Milano. Tanti morti tra civili, ma una bomba cadere in vano scale di scuola e colpire in pieno bambini e maestre, più di duecento schiacciati da macerie, fatti in pezzi.* Ora tu pensare anche a questi bambini oltre che a bambini ebrei?”

“Io…” riuscì appena a mormorare Mellish. I suoi occhi erano pieni di lacrime e non riusciva a non vedersi davanti agli occhi le scene strazianti e orribili che il prigioniero tedesco aveva descritto, tremava in tutto il corpo e questa sua reazione fece veramente infuriare Saltzmann. Era in collera con se stesso perché si rendeva conto che era stato lui a voler andare a parlare con quegli uomini e a portarci Mellish, ma era anche pieno di rabbia verso quel prigioniero che, ora l’aveva capito, forse non aveva approvato la guerra di Hitler, ma in compenso ne condivideva gli obiettivi riguardo la soluzione finale. Spinse delicatamente il ragazzo fuori dalla stanza, lo abbracciò per un attimo sussurrandogli di stare calmo, che sarebbe andato tutto bene, poi lo lasciò insieme ai soldati che montavano di guardia per ritornare dentro e dirne quattro in tedesco al prigioniero.

“Sei veramente un vigliacco, lo sai? Ti sei fatto catturare dagli Americani per non dover più combattere per Hitler, ma poi sei bravissimo a traumatizzare un ragazzo che non ha mai fatto del male a un civile” gli disse a brutto muso. “Erano tutte menzogne, non è così? Tu odi gli Americani e non volevi arrenderti, tu sei dalla parte di Hitler, solo che hai avuto paura perché la Germania sta perdendo la guerra e tu non vuoi lasciarci la pelle. Mi fai schifo!”

Era veramente molto raro vedere Saltzmann così arrabbiato, ma la subdola malvagità del prigioniero verso il suo Stan lo aveva mandato fuori di testa.

“E dei tuoi compagni che mi dici? Siete tutti dei fanatici Nazisti che però hanno abbandonato la nave prima che affondasse?” continuò.

Il prigioniero lanciò una rapida occhiata verso gli altri tedeschi nella stanza, ma nessuno di loro pareva aver seguito la conversazione, erano tutti troppo deboli, abbattuti e depressi.

“Oh, no, loro no, loro sono davvero dei poveretti costretti a combattere e sono preoccupati solo per le loro famiglie ancora in Germania” rispose l’uomo, con sufficienza, come se disprezzasse anche i suoi stessi commilitoni. “E non ho mentito, nemmeno io volevo la guerra. Hitler è stato uno stupido e un presuntuoso. È solo colpa sua se la nostra Germania sarà distrutta, mentre sarebbe potuta diventare un Paese potente, il più potente d’Europa, ricco e libero da tutti quegli esseri inferiori che lo infestavano, gli ebrei, i rom e tutti quegli altri… Hitler aveva iniziato bene, aveva rimesso in piedi l’economia tedesca e rastrellato quegli esseri inferiori che contaminavano la Germania per spedirli nei campi di sterminio. Sarebbe andato tutto benissimo, nessuno si sarebbe interessato di quegli scarti, cosa credi? Anche gli Americani, gli Inglesi e i Francesi disprezzano gli ebrei, i rom e tutte quelle sporche razze inferiori, lo avrebbero lasciato fare, e così noi avremmo lasciato ai nostri figli una nazione forte, rispettata e pura. Invece quell’idiota ha voluto occupare la Polonia e poi la Cecoslovacchia, ha fatto di tutto perché scoppiasse questa guerra maledetta, lui e le sue ridicole ambizioni, credeva di diventare il padrone del mondo e adesso abbiamo perso tutto! Maledetto Hitler!”

Saltzmann era disgustato, quasi incredulo. Sapeva che tra i tedeschi c’erano molti che credevano davvero alle teorie razziste di Hitler, ma per sua fortuna non aveva mai incontrato uno di quei fanatici. Adesso si trovava davanti uno dei peggiori, uno che aveva sposato le follie di Hitler riguardo lo sterminio di popoli e persone sgraditi, ma che non aveva neanche le palle per combattere per le idiozie in cui credeva. Si sentiva nauseato alla sola idea di far parte della stessa nazione di quel mostro…

“Non credere di passarla liscia così facilmente” gli disse, prima di uscire da quella stanza che ormai considerava appestata. “Sono anch’io un prigioniero, è vero, ma ho ottenuto un po’ di fiducia da parte degli Americani perché ho accettato di collaborare con loro e… beh, quando sarai rinchiuso in un campo di lavoro in America non sarai trattato come gli altri. Farò in modo che si sappia che sei un fanatico Nazista e anche un vigliacco, così ti odieranno sia le guardie sia i tuoi stessi compagni. Non meriti altro.”

E con queste parole si sbatté la porta alle spalle. Non aveva mentito: sperava davvero di poter fare in modo che quel prigioniero avesse delle brutte esperienze nei campi di lavoro americani e che non potesse godere di nessuno dei privilegi riservati agli altri.**

Ma adesso non voleva più pensare a lui, quello che contava era rassicurare Mellish, fargli dimenticare le cose orribili che quell’uomo gli aveva detto e… non sarebbe stato facile. Il giovane americano era sensibile e generoso, nonostante i modi spesso bruschi, e il tedesco aveva fatto leva proprio su questo per colpirlo dove sapeva che gli avrebbe fatto male. Infatti, per tutto il resto della giornata, nonostante la presenza continua, affettuosa e sollecita di Josef, Mellish rimase taciturno e cupo, con lo sguardo spesso perduto nel vuoto e non riuscì a svolgere i suoi compiti come al solito. Non mangiò quasi niente e, la sera, invece di rimanere in giardino a rilassarsi fumando una sigaretta, si chiuse presto in camera e Saltzmann lo trovò lì, disteso sul letto, singhiozzando con la faccia affondata nel cuscino.

L’uomo si affrettò a raggiungerlo, a mettersi nel letto con lui e a stringerlo tra le braccia.

“Stan, non piangere, non piangere, mio Stan” gli disse dolcemente, accarezzandolo e baciandolo. “Lo so, è cosa bruttissima quella di scuola e bambini, ma tu non colpevole e neanche tuoi compagni. Persone cattive e senza morale sono in tutti i Paesi, ma questo non vuol dire tutti Americani cattivi, come non vuole dire tutti Tedeschi cattivi. Tu sai questo ormai, no?”

“Io… sì, lo so, ma… non è questione di chi è la colpa, io penso a quei bambini e mi sento male, è stata una cosa vergognosa e io… non riesco…” Mellish parlava a fatica tra ansiti e singhiozzi.

“Non potere fare nulla per aiutare loro, ma noi potere aiutare famiglie che stanno qui, e quando noi in America magari fare cose per aiutare bambini poveri e famiglie che hanno bisogno” propose Saltzmann, cercando in tutti i modi di consolare il suo sensibile ragazzo. “Noi fare questo insieme, va bene, Stan? Meglio così?”

Il giovane guardò in volto Saltzmann, vide i suoi occhi buoni, il suo sorriso gentile e ricordò quanto invece era riuscito a mostrarsi gelido e severo con quel prigioniero. Josef era un uomo buono e lo amava, avrebbero potuto fare tante cose buone insieme per la gente e lui… lui sentiva sempre di più che era stato fortunato a incontrarlo e che non avrebbe più potuto fare a meno del suo amore.

“Sì, è meglio. Grazie, Josef, tu sei sempre tanto buono con me e io… io… ti amo, ecco” mormorò, arrossendo e distogliendo lo sguardo.

“Mio Stan!” esclamò il tedesco, finalmente felice e soddisfatto dopo quella giornata terribile. Lo strinse più forte tra le braccia accarezzandolo con tenerezza, come se avesse tra le mani una statuetta di cristallo, lo circondò con un abbraccio caldo e intenso e lo baciò a lungo, assaporando la sua bocca morbida e il suo bacio fu come la fusione dei loro respiri, come un cuore solo diviso in due corpi. Lo prese con tenera lentezza, languidamente, cercando la fusione più totale con Mellish e i due combaciarono sentendo che ogni parte di loro trovava il suo giusto incastro, che i loro corpi erano nati per quello, che le loro anime dovevano dissolversi per poi ricomporsi in una sola. Il mondo si ridusse a null’altro che a loro, all’unione dei loro corpi, anime, bocche e respiri che si cercavano e si prendevano come se non avessero mai fatto altro per tutta la vita, e attorno c’era una meravigliosa volta celeste piena di costellazioni sconosciute, una melodia perfetta cantata dai loro corpi e dalle loro anime, un capolavoro spettacolare di amore vero e intenso, fino all’onda calda che li fece esplodere insieme, incendiando ogni bruttura, ogni cattiveria, ogni immagine spaventosa di guerra e massacro.

Alla fine di tutto, Saltzmann avvolse Mellish in un tenero abbraccio e gli fece posare la testa sulla sua spalla, accarezzandogli con dolcezza i capelli.

“Ora tu stanco e devi riposare, dormire e non pensare più a brutte cose” mormorò. “Io qui con te, io non lascio mai te, io amo tanto te, Stan. Dormi bene.”

E il giovane americano si abbandonò all’abbraccio caldo e protettivo di Josef e cercò di addormentarsi, di dimenticare le immagini orribili che quel prigioniero gli aveva messo in testa, di pensare solo al futuro sereno e bello che lui e Saltzmann avrebbero costruito insieme, facendo del bene agli altri perché quella era la strada migliore per distruggere ogni male e costruire ponti per unire i popoli.

Fine capitolo ventitreesimo

 

 

 

* La strage di Gorla, del venerdì 20 ottobre 1944, è una delle pagine più tragiche della Seconda Guerra Mondiale. Nella storia io faccio apparire il tedesco crudele, vendicativo, perché vuole colpire Mellish in quanto ebreo, ma è comunque un episodio in cui gli Americani fanno una figura vergognosa. I piloti scelsero consapevolmente di sganciare le bombe sopra centri abitati e non lasciarle cadere in mare, e l’esercito americano ha sempre taciuto su questo terribile episodio. Una bomba si infilò nella tromba delle scale della scuola elementare Francesco Crispi di Gorla e esplose, provocando il crollo dell’edificio, delle scale e del rifugio, facendo precipitare bambini e maestre nel cumulo di macerie. Anche molti genitori che erano accorsi a scuola per riprendere i figli dopo aver sentito l’allarme perirono nel crollo. Morirono 184 bambini, la direttrice, le maestre e i custodi. Questa tragedia è stata poco ricordata nel corso degli anni perché i colpevoli furono gli Americani, ma da quando ne sono venuta a conoscenza mi è sembrata così dolorosa e terribile che non si può più ignorare e così ho trovato il modo di citarla nella mia storia.

** I prigionieri tedeschi cominciarono ad arrivare negli Stati Uniti in gran numero nella tarda primavera del 1943, dopo le vittorie degli Alleati in Africa, pervenendo poi nel paese in un flusso costante dopo l'invasione della Francia. I prigionieri di guerra erano autorizzati a ricevere pacchi contenenti cibo e di alcuni altri articoli, poterono quindi ricevere tali pacchetti da parte dei membri delle loro famiglie o dalla Croce Rossa tedesca ed era loro consentito scrivere e ricevere lettere dai familiari. Furono impiegati in panifici, mense e lavanderie, nella costruzione di strade ed edifici e in lavori di pulizia generale oppure in lavori privati, per lo più in aziende agricole e alcuni di essi potevano anche andare a lavorare fuori dai campi. I detenuti godettero di piena libertà nell'esercizio della loro religione, inclusa la partecipazione ai servizi celebrativi di ciascuna fede, tenutasi all'interno dei campi. Per quanto possibile, furono incoraggiate attività intellettuali e manifestazioni sportive tra i prigionieri di guerra. Naturalmente, Saltzmann spera che tutto questo non sarà consentito al prigioniero che ha dimostrato tanto odio al suo Stan…  

 

   
 
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