Cap. 23: Bridges
Now I see the road
Of leading lights
Showing me where I should go and what to leave behind
There is always time to get back on track
Tearing down the walls slowly every step
Now I see myself
Building up a world of bridges
You will find a way
To begin again no more time to waste
Or to play pretend
Now I see myself
Building up a world of bridges!
(“Bridges” – Alika)
Mellish e Saltzmann
erano rimasti interdetti alle parole del prigioniero tedesco, non sapevano a
cosa si stesse riferendo e, a dirla tutta, Josef era sempre più preoccupato che
quell’uomo, nonostante la stanchezza, l’amarezza e la debolezza della
prigionia, avesse colto il punto debole del suo giovane compagno e che adesso
stesse per colpirlo con una cattiveria che lo avrebbe spezzato. Purtroppo, come
Saltzmann sapeva bene, in guerra avvenivano fin troppi episodi vergognosi che
poi venivano insabbiati e, probabilmente, questo era uno di quelli e ne erano
stati protagonisti proprio i soldati americani. Si rendeva conto che Mellish,
fiducioso e generoso com’era, non aveva piena consapevolezza degli orrori che
una guerra si porta dietro, sapeva vagamente di stupri di gruppo, violenze e
uccisioni gratuite compiute tanto da tedeschi quanto da italiani, sovietici,
inglesi, francesi o americani, ma questo episodio doveva essere stato
particolarmente tragico e il ragazzo avrebbe potuto reagire molto male.
Per un istante
desiderò non aver mai deciso di incontrare i prigionieri tedeschi, ebbe la
tentazione di afferrare Mellish e portarlo fuori da quella stanza perché non
ascoltasse… ma poi il prigioniero parlò e fu troppo tardi.
“Io combattuto in
Italia estate scorsa” disse l’uomo, “ero là quando vostri aerei distruggere
scuola piena di bambini.”
Mellish impallidì
così tanto che sembrava che stesse per svenire. Saltzmann lo strinse a sé,
cercando di proteggerlo dalle parole che sarebbero state per lui più dolorose
di una sventagliata di mitragliatrice al petto, e gli parlò con dolcezza
all’orecchio.
“Non ascoltare lui,
Stan, vuole solo fare male, non è niente vero quello che dice, è sua vendetta
perché prigioniero” mormorò, ma poi si rivolse in tedesco al connazionale con
una freddezza e una durezza che Mellish non gli aveva mai visto. “Non so che
cosa stai per raccontare ma non farlo, questo ragazzo non ti ha fatto niente e
non hai motivo per farlo soffrire.”
Il tedesco continuò
come se Saltzmann non avesse parlato, i suoi occhi erano fissi su Mellish e su
ogni reazione del suo volto e del suo corpo.
“Io e miei compagni
essere a Milano in ottobre scorso, quando vostri bombardieri colpire città e
paesi vicini” riprese. “Fare come con Germania, voler colpire fabbriche e
stabilimenti per costringere Italia a resa.”
“Questo lo so, te
l’ho già detto, non vado fiero di questo tipo di guerra che devasta le città e
distrugge anche le case dei civili oltre alle infrastrutture e agli
stabilimenti, anzi, sinceramente sono contento di essere un soldato semplice e
non un aviatore, perché così mi sono trovato a sparare solo contro altri
soldati armati e posso dormire la notte, sapendo di non aver mai ucciso un
innocente” replicò Mellish. “Ma non capisco perché vuoi raccontare queste cose
proprio a me. Io non sono mai salito su un aereo e non ho mai bombardato niente
e nessuno, né in Italia, né in Francia, né in Germania. Prenditela con quelli
dell’aviazione, se vuoi trovare dei colpevoli.”
Un sorriso cattivo si
dipinse sulle labbra del tedesco.
“No, io dico a te
perché tu ebreo” ribatté, e dal tono
in cui lo disse si capiva che, per lui, i campi di sterminio non erano poi quel
grande scandalo… “Tu credere che tedeschi tutti mostri perché uccidere quelli come te e anche donne e bambini ebrei,
ma voi americani non essere meglio e strage di Gorla dimostra questo.”
Saltzmann era forse
ancora più sconvolto di Mellish. Possibile? Aveva davanti un Nazista di quelli
convinti, di quelli che odiavano davvero gli ebrei, e ci aveva portato il suo Stan? Come poteva essere stato così
egoista, così sciocco? Stan aveva ragione, gli aveva detto di stare lontano dai
prigionieri tedeschi, ma lui aveva voluto vederli e parlarci e ora… era solo
colpa sua, era colpa sua se quell’uomo avrebbe straziato il suo sensibile
ragazzo con le parole, visto che non poteva più farlo con le armi!
“Io sicuro che tu
pieno di compassione per poveri bambini
ebrei morti in campi di sterminio, ma ora tu pensare anche a poveri bambini
italiani morti per bombardamento americano” sibilò il prigioniero. “Era 20
ottobre, venerdì, io e miei compagni essere a Milano e sentire bombardamenti in
tanti posti di città, noi pensare a salvare noi stessi, poi però saputo cosa
fatto americani. Vostri bombardieri partiti per colpire fabbriche di Milano, ma
poi sbagliare direzione, virato destra invece che sinistra, errore può
capitare, ma a quel punto aviatori americani avere bombe innescate, non poter
tornare con arei carichi a base.”
“È stato un errore,
allora, lo hai detto tu stesso” provò a dire il giovane, ma il prigioniero lo
interruppe.
“Ja, errore, prima, però poi scelta di aviatori americani” disse,
col veleno nella voce. “Loro poter sganciare bombe in mare prima di tornare a
base, e nessuno fare male, invece loro sganciare bombe su città sotto, più di
trecento bombe sopra Gorla che essere quartiere di Milano. Tanti morti tra
civili, ma una bomba cadere in vano scale di scuola e colpire in pieno bambini
e maestre, più di duecento schiacciati da macerie, fatti in pezzi.* Ora tu pensare anche a questi bambini
oltre che a bambini ebrei?”
“Io…” riuscì appena a
mormorare Mellish. I suoi occhi erano pieni di lacrime e non riusciva a non
vedersi davanti agli occhi le scene strazianti e orribili che il prigioniero
tedesco aveva descritto, tremava in tutto il corpo e questa sua reazione fece veramente
infuriare Saltzmann. Era in collera con se stesso perché si rendeva conto che
era stato lui a voler andare a parlare con quegli uomini e a portarci Mellish,
ma era anche pieno di rabbia verso quel prigioniero che, ora l’aveva capito,
forse non aveva approvato la guerra di Hitler, ma in compenso ne condivideva
gli obiettivi riguardo la soluzione
finale. Spinse delicatamente il ragazzo fuori dalla stanza, lo abbracciò
per un attimo sussurrandogli di stare calmo, che sarebbe andato tutto bene, poi
lo lasciò insieme ai soldati che montavano di guardia per ritornare dentro e
dirne quattro in tedesco al prigioniero.
“Sei veramente un
vigliacco, lo sai? Ti sei fatto catturare dagli Americani per non dover più
combattere per Hitler, ma poi sei bravissimo a traumatizzare un ragazzo che non
ha mai fatto del male a un civile” gli disse a brutto muso. “Erano tutte
menzogne, non è così? Tu odi gli Americani e non volevi arrenderti, tu sei
dalla parte di Hitler, solo che hai avuto paura
perché la Germania sta perdendo la guerra e tu non vuoi lasciarci la pelle.
Mi fai schifo!”
Era veramente molto
raro vedere Saltzmann così arrabbiato, ma la subdola malvagità del prigioniero
verso il suo Stan lo aveva mandato
fuori di testa.
“E dei tuoi compagni
che mi dici? Siete tutti dei fanatici Nazisti che però hanno abbandonato la
nave prima che affondasse?” continuò.
Il prigioniero lanciò
una rapida occhiata verso gli altri tedeschi nella stanza, ma nessuno di loro
pareva aver seguito la conversazione, erano tutti troppo deboli, abbattuti e
depressi.
“Oh, no, loro no,
loro sono davvero dei poveretti costretti a combattere e sono preoccupati solo
per le loro famiglie ancora in Germania” rispose l’uomo, con sufficienza, come
se disprezzasse anche i suoi stessi commilitoni. “E non ho mentito, nemmeno io
volevo la guerra. Hitler è stato uno stupido e un presuntuoso. È solo colpa sua
se la nostra Germania sarà distrutta, mentre sarebbe potuta diventare un Paese
potente, il più potente d’Europa, ricco e libero da tutti quegli esseri
inferiori che lo infestavano, gli ebrei, i rom e tutti quegli altri… Hitler
aveva iniziato bene, aveva rimesso in piedi l’economia tedesca e rastrellato
quegli esseri inferiori che contaminavano la Germania per spedirli nei campi di
sterminio. Sarebbe andato tutto benissimo, nessuno si sarebbe interessato di
quegli scarti, cosa credi? Anche gli
Americani, gli Inglesi e i Francesi disprezzano gli ebrei, i rom e tutte quelle
sporche razze inferiori, lo avrebbero lasciato fare, e così noi avremmo
lasciato ai nostri figli una nazione forte, rispettata e pura. Invece quell’idiota ha voluto occupare la Polonia e poi la
Cecoslovacchia, ha fatto di tutto perché scoppiasse questa guerra maledetta,
lui e le sue ridicole ambizioni, credeva di diventare il padrone del mondo e
adesso abbiamo perso tutto! Maledetto Hitler!”
Saltzmann era
disgustato, quasi incredulo. Sapeva che tra i tedeschi c’erano molti che
credevano davvero alle teorie razziste di Hitler, ma per sua fortuna non aveva
mai incontrato uno di quei fanatici. Adesso si trovava davanti uno dei
peggiori, uno che aveva sposato le follie di Hitler riguardo lo sterminio di
popoli e persone sgraditi, ma che non aveva neanche le palle per combattere per
le idiozie in cui credeva. Si sentiva nauseato alla sola idea di far parte
della stessa nazione di quel mostro…
“Non credere di
passarla liscia così facilmente” gli disse, prima di uscire da quella stanza
che ormai considerava appestata. “Sono anch’io un prigioniero, è vero, ma ho
ottenuto un po’ di fiducia da parte degli Americani perché ho accettato di
collaborare con loro e… beh, quando sarai rinchiuso in un campo di lavoro in
America non sarai trattato come gli altri. Farò in modo che si sappia che sei
un fanatico Nazista e anche un vigliacco, così ti odieranno sia le guardie sia
i tuoi stessi compagni. Non meriti altro.”
E con queste parole
si sbatté la porta alle spalle. Non aveva mentito: sperava davvero di poter
fare in modo che quel prigioniero avesse delle brutte esperienze nei campi di
lavoro americani e che non potesse godere di nessuno dei privilegi riservati
agli altri.**
Ma adesso non voleva
più pensare a lui, quello che contava era rassicurare Mellish, fargli
dimenticare le cose orribili che quell’uomo gli aveva detto e… non sarebbe
stato facile. Il giovane americano era sensibile e generoso, nonostante i modi
spesso bruschi, e il tedesco aveva fatto leva proprio su questo per colpirlo
dove sapeva che gli avrebbe fatto male. Infatti, per tutto il resto della
giornata, nonostante la presenza continua, affettuosa e sollecita di Josef,
Mellish rimase taciturno e cupo, con lo sguardo spesso perduto nel vuoto e non
riuscì a svolgere i suoi compiti come al solito. Non mangiò quasi niente e, la
sera, invece di rimanere in giardino a rilassarsi fumando una sigaretta, si
chiuse presto in camera e Saltzmann lo trovò lì, disteso sul letto,
singhiozzando con la faccia affondata nel cuscino.
L’uomo si affrettò a
raggiungerlo, a mettersi nel letto con lui e a stringerlo tra le braccia.
“Stan, non piangere,
non piangere, mio Stan” gli disse dolcemente, accarezzandolo e baciandolo. “Lo
so, è cosa bruttissima quella di scuola e bambini, ma tu non colpevole e
neanche tuoi compagni. Persone cattive e senza morale sono in tutti i Paesi, ma
questo non vuol dire tutti Americani cattivi, come non vuole dire tutti
Tedeschi cattivi. Tu sai questo ormai, no?”
“Io… sì, lo so, ma…
non è questione di chi è la colpa, io penso a quei bambini e mi sento male, è
stata una cosa vergognosa e io… non riesco…” Mellish parlava a fatica tra
ansiti e singhiozzi.
“Non potere fare
nulla per aiutare loro, ma noi potere aiutare famiglie che stanno qui, e quando
noi in America magari fare cose per aiutare bambini poveri e famiglie che hanno
bisogno” propose Saltzmann, cercando in tutti i modi di consolare il suo
sensibile ragazzo. “Noi fare questo insieme, va bene, Stan? Meglio così?”
Il giovane guardò in
volto Saltzmann, vide i suoi occhi buoni, il suo sorriso gentile e ricordò
quanto invece era riuscito a mostrarsi gelido e severo con quel prigioniero.
Josef era un uomo buono e lo amava, avrebbero potuto fare tante cose buone
insieme per la gente e lui… lui sentiva sempre di più che era stato fortunato a
incontrarlo e che non avrebbe più potuto fare a meno del suo amore.
“Sì, è meglio.
Grazie, Josef, tu sei sempre tanto buono con me e io… io… ti amo, ecco”
mormorò, arrossendo e distogliendo lo sguardo.
“Mio Stan!” esclamò il tedesco, finalmente felice e
soddisfatto dopo quella giornata terribile. Lo
strinse più forte tra le braccia accarezzandolo con tenerezza, come se avesse
tra le mani una statuetta di cristallo, lo circondò con un abbraccio caldo e
intenso e lo baciò a lungo, assaporando la sua bocca morbida e il suo bacio fu
come la fusione dei loro respiri, come un cuore solo diviso in due corpi. Lo
prese con tenera lentezza, languidamente, cercando la fusione più totale con
Mellish e i due combaciarono sentendo che ogni parte di loro trovava il suo
giusto incastro, che i loro corpi erano nati per quello, che le loro anime
dovevano dissolversi per poi ricomporsi in una sola. Il mondo si ridusse a
null’altro che a loro, all’unione dei loro corpi, anime, bocche e respiri che
si cercavano e si prendevano come se non avessero mai fatto altro per tutta la
vita, e attorno c’era una meravigliosa volta celeste piena di costellazioni sconosciute,
una melodia perfetta cantata dai loro corpi e dalle loro anime, un capolavoro
spettacolare di amore vero e intenso, fino all’onda calda che li fece esplodere
insieme, incendiando ogni bruttura, ogni cattiveria, ogni immagine spaventosa
di guerra e massacro.
Alla fine di tutto, Saltzmann avvolse Mellish
in un tenero abbraccio e gli fece posare la testa sulla sua spalla,
accarezzandogli con dolcezza i capelli.
“Ora tu stanco e devi riposare, dormire e non
pensare più a brutte cose” mormorò. “Io qui con te, io non lascio mai te, io
amo tanto te, Stan. Dormi bene.”
E il giovane americano si abbandonò all’abbraccio
caldo e protettivo di Josef e cercò di addormentarsi, di dimenticare le
immagini orribili che quel prigioniero gli aveva messo in testa, di pensare
solo al futuro sereno e bello che lui e Saltzmann avrebbero costruito insieme,
facendo del bene agli altri perché quella era la strada migliore per
distruggere ogni male e costruire ponti per unire i popoli.
Fine capitolo ventitreesimo
* La strage di Gorla, del venerdì 20 ottobre 1944, è
una delle pagine più tragiche della Seconda Guerra Mondiale. Nella storia io
faccio apparire il tedesco crudele, vendicativo, perché vuole colpire Mellish
in quanto ebreo, ma è comunque un episodio in cui gli Americani fanno una
figura vergognosa. I piloti scelsero consapevolmente di sganciare le bombe
sopra centri abitati e non lasciarle cadere in mare, e l’esercito americano ha
sempre taciuto su questo terribile episodio. Una bomba si infilò nella tromba
delle scale della scuola elementare Francesco
Crispi di Gorla e esplose, provocando il crollo dell’edificio, delle scale
e del rifugio, facendo precipitare bambini e maestre nel cumulo di macerie.
Anche molti genitori che erano accorsi a scuola per riprendere i figli dopo
aver sentito l’allarme perirono nel crollo. Morirono 184 bambini, la
direttrice, le maestre e i custodi. Questa tragedia è stata poco ricordata nel
corso degli anni perché i colpevoli furono gli Americani, ma da quando ne sono
venuta a conoscenza mi è sembrata così dolorosa e terribile che non si può più
ignorare e così ho trovato il modo di citarla nella mia storia.
** I prigionieri tedeschi cominciarono ad
arrivare negli Stati Uniti in gran numero nella tarda primavera del 1943, dopo
le vittorie degli Alleati in Africa, pervenendo poi nel paese in un flusso
costante dopo l'invasione della Francia. I prigionieri di guerra erano
autorizzati a ricevere pacchi contenenti cibo e di alcuni altri articoli,
poterono quindi ricevere tali pacchetti da parte dei membri delle loro famiglie
o dalla Croce Rossa tedesca ed era loro consentito scrivere e ricevere lettere
dai familiari. Furono impiegati in panifici, mense e lavanderie, nella
costruzione di strade ed edifici e in lavori di pulizia generale oppure in
lavori privati, per lo più in aziende agricole e alcuni di essi potevano anche
andare a lavorare fuori dai campi. I detenuti godettero di piena libertà
nell'esercizio della loro religione, inclusa la partecipazione ai servizi
celebrativi di ciascuna fede, tenutasi all'interno dei campi. Per quanto
possibile, furono incoraggiate attività intellettuali e manifestazioni sportive
tra i prigionieri di guerra. Naturalmente, Saltzmann spera che tutto questo non
sarà consentito al prigioniero che ha dimostrato tanto odio al suo Stan…