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Autore: time_wings    16/12/2023    3 recensioni
[La storia partecipa al Calendario dell'Avvento indetto da Cora e Sia sul Forum "ferisce la penna"]
La storia di Shoko in formato sigaretta.
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Geto Suguru, Gojo Satoru, Ieiri Shoko
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Shoko Ieiri aveva smesso di essere se stessa.
Quando è difficile dirlo, a un certo punto era successo e basta. Non era stata maledetta, forse la cosa inversa.
Era una notte calma, in cielo appena qualche nuvola, giusto per non renderla speciale. L’accendino illuminò la punta della sigaretta e questa cominciò a bruciare. Dalla fine all’inizio, dalla punta al filtro, non era l’ordine giusto delle cose. Era l’ordine inverso.
Andava sfatato un mito, era bene farlo subito: fumare faceva schifo. Univa la parte pungente dell’amaro e quella dolciastra delle cose morte. Non si fumava necessariamente perché aveva un buon sapore, altrimenti non si viveva nemmeno, se si voleva seguire questa regola.
Shoko esisteva sulla soglia tra l’esserci e il ritirarsi, era un gioco di prestigio o un gioco di equilibrio. Non voleva la gratitudine di nessuno, non gliene poteva fregar di meno, faceva semplicemente quello che sapeva fare. Non voleva nemmeno uno status sociale. Le piaceva, a dire il vero, essere invisibile abbastanza da fumare un po’ dove le pareva. Tanto la verità era che a nessuno fregava un cazzo. Andavano tutti avanti, si costruivano una strada. E lo faceva anche lei, eh, l’aveva fatto. Si era pure messa a studiare. Solo che poi la trascinavano indietro.
Forse vedevano la strada da cui veniva, forse aveva lasciato tracce di cenere lungo la via. Solo che quando aveva smesso di fumare – e l’aveva fatto così tante volte da lasciare per strada al massimo una linea tratteggiata – le era venuto il dubbio che la scia di cenere fosse qualcosa di più di una sigaretta.
 
C’era stata anche lei.
Sapeva riportare in vita anime spacciate eppure era consapevole di una cosa che mancava anche a chi di mestiere si proclamava senza limiti: sapeva di averne. La vita intera era un limite, la sua tecnica era un limite, la sua ininfluenza era un limite. Era vero per tutti, ma soprattutto per chi lo riconosceva.
Era importante ragionare per inversi. La cosa sorprendente del suo modo di lavorare era che ne vedeva più di morti.
“Lo sapete che prima o poi tocca a voi, sarà un giorno molto tranquillo per me.”
“Oh, andiamo,” Gojo tirò la testa indietro e poi si lasciò cadere sulla panchina accanto a lei. La guardò da sotto le lenti degli occhiali, poi le sorrise, mentre le passava un braccio sulle spalle. “La tua è una finta.”
“Non sprecherei tutte queste energie per fingere.”
Geto anche sorrise, aveva quella stortezza furba di quando era sereno. Si sedette accanto a lei. Odiava quando la mettevano in mezzo. “Stai mentendo,” le disse, poi le sottrasse la sigaretta dalle labbra e fumò lui.
“Sicuro andremmo più d’accordo se voi foste sul mio tavolo.”
 
C’era qualcosa di demoralizzante nel guardare due persone scambiarsi qualcosa di così intimo e segreto da diventare evidente. Demoralizzante al punto che, arrivata a metà sigaretta, se la tolse di bocca e lasciò cadere la cenere a terra, poi tirò ancora, il telefono che squillava all’orecchio.
Perché c’era stata anche lei.
“Anche deprimersi perché nessuno ti capirà è piuttosto infantile, secondo me.”
Poteva non aver paura di Geto, poteva non aver paura neanche dell’altro capo del telefono.
Era un privilegio anche questo, poter prendere il sacro e il profano ugualmente a parole. Una specie di inversione di ruoli.
 
Si erano guardati negli occhi.
Onestamente? Non erano niente di speciale, anche se gli valevano il titolo.
Era un ragazzino, era ingenuo. Vedeva cose indescrivibili eppure non aveva visto quello che vedeva lei.
C’era qualcosa di demoralizzante nel guardare due persone scambiarsi qualcosa di così intimo e segreto da diventare evidente. Demoralizzante al punto che, con la sigaretta che bruciava ridotta quasi al filtro e nessun corpo tra le mani, guardò Gojo scrollare le spalle.
“Oh,” disse lei. “Sei sicuro? Guarda che è meglio.”
“No, non serve. È morto.”
Certo, perché solo a lui era concesso soffrire. C
era stata anche lei, quando Geto era diventato lombra di se stesso. Anche lei non laveva saputo guarire. Anche lei non laveva saputo fermare. Anche lei gli aveva chiesto spiegazioni. Non erano solo Gojo e Geto. Per essere il più forte, era ironico quanto non sapesse essere distaccato. “Come ti pare.”
Perché davvero, avrebbe vinto alla fine e non aveva voglia di stargli dietro. 
Era un privilegio anche questo, poter guardare il sacro e il profano distruggersi a vicenda a cadenza decennale.
 
Strinse le labbra attorno al filtro e tirò.
“Pensavo che avessi smesso di fumare.”
Il buio davanti a lei e la sua attesa erano fatti più o meno della stessa cera. Spense la sigaretta sulla ringhiera. “Mi sento solo un po’ nostalgica dei miei tempi da studentessa.”
La scia di cenere era qualcosa di più di una sigaretta. 
La gente di solito aveva rapporti meno pratici con la morte, la cenere la chiudeva da qualche parte e inspiegabilmente questa guadagnava molteplicità.
Diventava ceneri.
No, lei non sapeva che farsene di queste finezze. Non si fumava perché il fumo era buono.

C’era stata anche lei.
Quanto ancora, prima che restasse solo lei?



 
   
 
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