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Autore: Immiriel    18/12/2023    1 recensioni
Fanfiction OC sul mondo di Eragon. Ripercorrerò la Caduta dei Cavalieri raccontando la storia di due elfi rimasti orfani durante la guerra. Nella lettura incontrerete molti dei personaggi della storia originale, missing moments, mistero, avventura e chissà, forse anche un tocco di love story!
Un piccolo estratto: Leum volava veloce come una freccia elfica, senza curarsi delle fiamme che lambivano ferocemente le guglie dei palazzi, delle urla dei sofferenti sotto di lui e della pioggia sferzante. Lacrime roventi, lacrime di drago gli scorrevano lungo le squame e subito venivano spazzate via dal vento impetuoso. Un solo pensiero gli attraversava la mente: Devo trovarla per lui. Devo proteggerla. È quello che mi ha chiesto. Devo proteggerla.
Genere: Avventura, Drammatico, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo Personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Nda: ho unito alcuni capitoli per organizzare meglio la storia dato che i prossimi saranno tutti sulle 2000-3000 parole. Qui ho unito il il capitolo intitolato Aiedail all'ultimo che ho pubblicato.

Nel corso dei giorni successivi Firnen esplorò la nave elfica con gli occhi curiosi di ogni bambino. Inizialmente aveva preferito riposare e piangere i suoi cari nella penombra della sua cabina, ma al terzo giorno Oromis l'aveva costretta ad uscire con la scusa di farle respirare un po' di aria fresca. Le aveva presentato tutti i membri dell'equipaggio, che si erano rivelati estremamente gentili e sollevati nell'apprendere che stava bene e che era sufficientemente in salute.

C'erano ancora momenti in cui la bambina veniva colta da fastidiosi attacchi di tosse che la lasciavano senza fiato, ma Firnen era pienamente consapevole che quello era un prezzo quasi infimo da pagare rispetto a ciò che l'isola aveva riscosso al resto dei suoi abitanti.

Firnen era rimasta affascinata dalla maestosità e dell'eleganza della nave, una leggiadra imbarcazione dai contorni sinuosi che incarnava l'arte elfica nella sua forma più pura. Solcava il mare con grazia, come sospinta da un'incantesimo che pervadeva l'aria di una vibrazione frizzante, una magia invisibile forse intessuta nella struttura stessa della nave. Le vele rilucevano d'argento e di oro nelle ore del crepuscolo, ali leggere che si gonfiavano nel vento conducendoli verso l'orizzonte.

Contemplando le onde che si estendevano a perdita d'occhio Firnen riusciva persino a dimenticare, anche se solo per qualche attimo, gli eventi drammatici accaduti a Vroengard. Il capitano, Edeviel, era un elfo alto e dagli occhi scuri come una notte senza luna. Le aveva detto che il nome della nave era Aiedail, Stella del mattino, e le aveva mostrato il grande timone finemente intarsiato al centro del quale emergeva la figura di un drago in miniatura sullo sfondo di un cielo punteggiato di piccoli astri.

Spesso Firnen aveva attraversato i ponti di legno levigato in compagnia di Oromis, che in quelle occasioni era lieto di raccontare alla bambina storie di draghi e di antichi tesori perduti. Firnen ascoltò avidamente gli aneddoti dell'elfo, storie che evocavano un tempo di pace che nella sua breve vita non aveva ancora potuto conoscere e apprezzare. Il Cavaliere diventò una presenza rassicurante e piacevole in quei pomeriggi passati a conversare e Firnen iniziò ben presto a considerare Oromis con profonda ammirazione e rispetto. Era proprio durante una di quelle conversazioni che Firnen aveva scoperto che Oromis era non solo un Cavaliere dei draghi, ma anche il Maestro che decenni addietro aveva addestrato suo padre Ahorin e Leum.

Intorno a loro gli elfi si muovevano silenziosamente, figure eteree immerse nelle loro attività quotidiane che lavoravano con una precisione conferita da secoli di pratica nella navigazione. Passeggiando sul ponte Firnen si convinse persino di sentire l'aura antica di Aiedail, un'aura profonda quanto lo stesso oceano. Da millenni la sua razza si era stabilita nella Du Weldenvarden, ma gli elfi non avevano mai dimenticato il fascino per il mare e Aiedail appariva alla bambina come la personificazione di quell'amore.

Un giorno un elfo dell'equipaggio aveva recitato alcuni versi del Du Silbena Datia, un poema che decantava proprio la passione elfica per l'oceano e le sue meraviglie. Al suono della sua voce cristallina tutti gli elfi avevano interrotto ogni faccenda per ascoltare rapiti il canto del compagno:

 
Oh, mare tentatore sotto l'azzurro cielo,
la tua distesa scintillante mi brama e mi chiama.
Veleggerei per sempre nel sole e nel gelo, ma c'è un'elfica fanciulla che mi ama e mi chiama.
A sé mi attira con le sue trecce bionde.
Ahimè, il mio cuore langue fra la terra e le onde.

Quel giorno il tramonto stese un meraviglioso manto rosa screziato d'arancio. Firnen si sporse sul parapetto per osservare l'oceano, i capelli d'ebano che ondeggiavano al ritmo della brezza. La luce solare ormai morente si rifletteva sull'acqua assumendo tonalità fugaci che si compenetravano in guizzi luminescenti, simili al brillio di piccole pietre preziose. Si lasciò trasportare dai giochi di luce, immaginando di trovarsi sulle sponde del lago Ardwen, nei pressi della città elfica di Silthrim.

Ad un tratto Firnen notò che la superficie dell'acqua era increspata da sussulti irregolari. Strinse gli occhi per scrutare meglio le profondità marine, accorgendosi che gli spruzzi stavano diventando sempre più intensi e frequenti. Di quale animale poteva trattarsi? Avvertendo una crescente inquietudine mista a curiosità la bambina espanse un flebile tentacolo di coscienza verso l'animale, ma subito si ritrasse istintivamente di fronte a quell'immensità oscura, proprio come si fa quando ci si avvicina troppo alle fiamme. Le sembrò di essersi sporta da un precipizio senza fine, di averne fissato il vuoto e di aver lasciato irrimediabilmente cadere dentro di esso una parte del proprio essere.

Firnen si allontanò subito dal parapetto indietreggiando di qualche passo. Non fece in tempo a dire una sola parola che il suono del corno di allarme echeggiò nell'aria diffondendo un'unica nota squillante. La bambina alzò lo sguardo sul nido di vedetta e vide un'elfa che, abbassato il corno, gridò un'unica parola: «Nïdhwal!»

Nïdhwal, serpente marino. Non era affatto un animale. Firnen aveva letto qualcosa al riguardo durante uno dei pomeriggi d'inverno passati nell'immensa biblioteca di Doru Araeba. Erano estremamente rari da avvistare ed erano considerati una sorta di cugini alla lontana dei draghi, tanto da venire soprannominati "draghi di mare". Quando aveva chiesto a Leum di parlargliene, il drago le aveva raccontato che i Nïdhwal erano creature intelligenti in grado di sfruttare il potere della mente per immobilizzare le proprie prede. Inoltre si pensava possedessero un organo simile a un Eldunarì, anche se gli elfi ipotizzavano che avesse funzioni diverse rispetto a quello dei draghi.

Tutti gli elfi dell'equipaggio accorsero sul ponte in un vortice frenetico di passi ed esclamazioni. Firnen vide Oromis dirigersi al centro del tumulto e discutere concitatamente con alcuni dei suoi compagni, tra cui Edeviel. Gli altri si disposero a mezzaluna intorno a loro, in attesa di ordini. Uno di loro incoccò una freccia, pronto a far scattare la corda in direzione della bestia che ancora rimaneva sul filo dell'acqua.

Oromis lo fermò: «Compagno, abbassa il tuo arco. I Nïdhwal sono creature rare e antiche. Dobbiamo fare il possibile per non nuocergli in alcun modo».

L'elfo allentò la corda di controvoglia, un'espressione tesa sul volto glabro: «Oromis-elda, dovremmo almeno cercare di allontanarci in fretta. I Nïdwhal sono creature volubili e quando affamati non disdegnano neppure di cibarsi dei propri simili».

Firnen si mescolò alla calca incurante del pericolo e lieta che fossero tutti troppo impegnati a discutere per notarla. Vedere un Nïdwhal! Chissà se nella vita avrebbe avuto un'altra occasione simile. Di certo non poteva sprecarla.

Probabilmente mi spediranno sottocoperta entro breve, pensò con una punta di amarezza. Non era una sprovveduta, ma la guerra l'aveva temprata più di quanto necessario e il suo spirito indomito non aiutava più di tanto.

Edeviel si diresse con passo deciso verso il parapetto, gli occhi scuri fissi sulle acque increspate. Si rivolse al vecchio Cavaliere: «Ha ragione. Potrebbe decidere di attaccare in qualsiasi momento. Dobbiamo allontanarci subito se non vogliamo ingaggiare battaglia».

Molti elfi proruppero in cenni di approvazione. Firnen notò che Oromis, la fronte aggrottata per la concentrazione, era tra coloro che sembravano non condividere quel piano. I suoi dubbi vennero subito confermati: «Fuggire potrebbe rivelarsi un'arma a doppio taglio. I Nïdhwal, così come i draghi e ogni altro predatore, amano il brivido della caccia. Se ci poniamo come prede rischiamo di risvegliare il suo istinto di cacciatore».
 
Il serpente marino si avvicinò ulteriormente e le sue spire si fecero piu chiare sotto la superficie dell'acqua. In quel momento la nave fu scossa come da un rombo di terremoto. Gli elfi si aggrapparono ai corrimano per mantenere l'equilibrio mentre Edeviel correva svelto verso il timone: «Oromis, non abbiamo scelta! Ammainare le vele!»

 
Aiedail scivolava leggera nonostante le onde agitate dell'oceano. Oromis si affacciò sul ponte della nave, gli occhi fissi sull'orizzonte infuocato dal tramonto. Il Nïdwhal li inseguiva con costanza, ma senza alcuna urgenza. Gli elfi erano rimasti interdetti dal comportamento insolito dell'animale: il serpente li inseguiva da un intero giorno eppure non sembrava intenzionato ad attaccarli.
Nel momento in cui Edeviel aveva ordinato di ammainare le vele la nave elfica era sfrecciata via riuscendo a distanziare in breve tempo l'enorme serpente marino, ma la creatura sembrava guidata da una determinazione implacabile e continuava a inseguirli, attratto dalla nave come una falena lo è dalla luce.
 
Glaedr!

A quel richiamo mentale il suo compagno sfiorò la sua coscienza e subito si sentì rincuorato della presenza del drago. Negli anni il loro legame si era perfezionato a tal punto che ormai non avevano bisogno delle parole per comunicare. Così Oromis riversò nella mente del drago i ricordi degli ultimi eventi, comprese le circostanze misteriose in cui Firnen si era salvata, l'incantesimo compiuto da Leum per proteggerla dall'esplosione che aveva distrutto e avvelenato Vroengard e in ultimo l'inseguimento del Nïdhwal.
 
I due si scambiarono qualche commento sull'esito della guerra e con sorpresa del Cavaliere, il drago, che nelle ultime settimane aveva rischiato di annegare nel dolore a causa dell'estinzione inevitabile della sua razza, parlò con rinnovato vigore: Ci vorrà del tempo prima che la trama degli avvenimenti che hanno squassato Alagaësia si districhi agli occhi delle creature che abitano questa terra, ma non tutto è perduto...
 
Oromis era dello stesso avviso: È come se gli ingranaggi primordiali che muovono Alagaësia si fossero inceppati d'un tratto. La guerra, la fine dei Cavalieri e dei draghi. Le razze magiche che hanno nutrito e fatto prosperare Alagaësia si sono indebolite sempre di più perché l'Ordine è stato avvelenato dal tradimento e dalla sete di potere. Il regno di Galbatorix non segna l'inizio di una nuova era, ma il principio della fine che porterà a un'età più prospera e giusta. 
 
Oromis avvertì un'onda di affetto provenire dal drago, che si materializzò nelle sue parole: E tu come stai, Oromis? Non abbiamo più parlato di quanto accaduto...
 
Nelle ultime settimane il Cavaliere aveva cercato di pensare il meno possibile alle torture infertegli da Kialandí e Formora, i due Rinnegati che lo avevano catturato per cercare di estorcergli informazioni sull'Ordine e piegarlo al volere del Re Nero. Ora che la guerra era giunta alla sua conclusione, però, i ricordi della prigionia giungevano sempre più vividi alla sua memoria, per quanto cercasse di relegarli in un remoto angolo della sua mente. 
 
Non avrebbe voluto mostrarsi fragile di fronte al suo drago e accendere la sua preoccupazione per lui, ma sapeva che celargli la verità dei fatti sarebbe stato inutile, se non controproducente: il loro legame era troppo intimo e stratificato per mentirgli senza che il drago se ne accorgesse: La mia mente e il mio corpo sono menomati, Glaedr. Le convulsioni mi assalgono senza preavviso, ma sono sempre meno frequenti. Forse, con il tempo...
 
Glaedr parlò infondendo ai suoi pensieri un flusso di energia magica che lo rinvigorì: Siamo sopravvissuti. È questo ciò che conta. Se le tue gambe non reggeranno ti donerò le mie ali e se invece sarà la tua mente a vacillare ti sosterrò con la mia magia. Non ti lascerò annaspare nella disperazione. Ne riemergeremo insieme.
 
Oromis fu pervaso dalla riconoscenza e ringraziò il suo drago. Finché sarebbero stati uniti la speranza non lo avrebbe abbandonato. Oromis si accomiatò interrompendo il flusso di pensieri e si voltò ancora verso il Nïdhwal, le cui spire ora parevano più vicine che mai.
 
Chiamò Edeviel e pochi attimi dopo l'elfo era al suo fianco. Alla vista del serpente che si avvicinava sempre di più il volto del capitano impallidì. Oromis, d'altro canto, animato dalle parole incoraggianti di Glaedr, diede mostra di una risolutezza imperturbabile: «ci raggiungerà entro qualche minuto» constatò piattamente.
 
«Cosa dovremmo fare, Oromis-elda?»
 
Fu allora che il Cavaliere percepì un'immenso potere magico proprio alla sua sinistra. Una fonte di luce intrappolata che scalpitava di uscire e propagarsi in tutte le direzioni. Proveniva da qualcosa, da qualcuno. Il serpente li stava forse inseguendo perchè aveva percepito la presenza di qualcosa di anomalo a bordo di Aiedail?
 
Si voltò. Firnen stava in perfetto equilibrio sul corrimano, sbracciandosi per attirare il Nïdhwal in quella direzione.
 
«Sono qui!» gridò la piccola elfa nell'Antica Lingua.
 
Edeviel a quel punto non fu più in grado di nascondere il nervosismo che incrinava la sua voce: «Che cosa sta facendo quella bambina? Qualcuno la porti giù di lì!»
 
«No!» ribatté il Cavaliere. Si rivolse anche agli altri elfi accorsi sul ponte di Aiedail: «che nessuno si muova. Mantenete le posizioni».
 
Oromis corse verso la piccola elfa: «Firnen, sai cosa vuole da noi il Nïdhwal?»
 
Firnen scese dal corrimano e lo guardò risoluta: «Non ci farà del male! Vorrebbe solo parlare con me».
 
Oromis rimase interdetto da quell'affermazione inaspettata: «come fai ad esserne certa?»
 
«È stato lui a dirmelo»
 
Il Cavaliere era sicuro del fatto che Firnen stesse omettendo un dettaglio importante, ma nel frattempo una nuova consapevolezza lo invase, come se un velo invisibile gli avesse celato una verità che ora si stagliava limpida davanti ai suoi occhi centenari. 
 
Si maledisse per non essersene reso conto prima. Come aveva fatto a non pensarci, proprio lui che era un Cavaliere? Ora gli era ben chiaro da dove provenisse il potere magico che sentiva fluire nel corpo dell'elfa. 
 
La creatura emerse innalzando zampilli di acqua salata che piovvero sul ponte della nave come gocce di pioggia. La testa del Nïdhwal era simile a quella di un drago e sormontata da due corna allungate e sottili, ma il suo muso era più poderoso e massiccio.
 
Le pupille nere del serpente scandagliarono il ponte della nave e d'un tratto le membra di Oromis si irrigidirono impedendogli qualsiasi movimento. L'incantesimo che i Nïdhwal erano soliti usare per bloccare le loro prede agì senza che gli elfi potessero fare nulla per sfuggirgli. Oromis sperò con tutto il cuore che la sua intuizione fosse giusta, che il Nïdhwal fosse davvero solo curioso come diceva Firnen, che non avesse intenzione di sbranare lui e i suoi compagni uno per uno e che li avesse immobilizzati solo per evitare che gli elfi dell'equipaggio scoccassero le loro frecce e scagliassero le lance contro di lui. Con grande sollievo il Cavaliere vide che l'unica a non essere intrappolata dalla magia del serpente era proprio la piccola elfa.
 
La bambina risalì sul corrimano con un balzo, alzò una mano verso il muso squamoso dell'animale e lo sfiorò con i polpastrelli. Il Cavaliere non poteva vedere il viso di Firnen, ma era impossibile non notare il tenue bagliore che emanava dalla sua pelle candida. Quel corpicino era troppo piccolo per contenere tanto potere, così l'energia magica non poteva fare altro che straripare e rendersi visibile in un'aura di luce condensata. 
 
Era grazie a quel potere nascosto che Firnen era riuscita ad infrangere il materiale in cui Leum si era tramutato? Che cos'era accaduto davvero a Vroengard?
 
Oromis rimase immobile come una statua di marmo mentre elfa e Nïdhwal comunicavano silenziosamente. Pochi attimi dopo Firnen ritrasse la mano e il serpente alzò il lungo collo squamoso per poi scivolare negli abissi come se niente fosse. Le membra di Oromis si sciolsero dalla tensione mentre Firnen osservava il mare nel punto in cui il Nïdhwal si era immerso. Il bagliore che appena prima la circondava era svanito e il suo sguardo era distante, perso tra le onde increspate che sembravano aver inghiottito il serpente nelle oscurità marine.
 
L'incantesimo che aveva immobilizzato anche gli altri elfi si sciolse: sui loro volti erano dipinte espressioni di incredulità, confusione e sollievo, le stesse emozioni che Oromis immaginava riflesse sul suo stesso viso. 
 
«Anche a Vroengard è accaduto qualcosa di simile?»
 
L'elfa esitò, ma poi annuì. In quel momento Edeviel li raggiunse e fece per parlare quando Oromis lo fermò con un gesto della mano: «Ha bisogno di riposare. Lascia che la accompagni alla sua cabina. Parleremo dopo».
 
Edeviel capì che lo sguardo fermo e autorevole del Cavaliere non ammetteva repliche e tornò dai suoi compagni, alcuni dei quali si stavano ancora sciogliendo gli arti intorpiditi dall'incantesimo del Nïdhwal.
 
La notte si addensava rapidamente avvolgendo Aiedail in un manto scuro. Oromis tornò da Edeviel, radunò l'equipaggio e dopo aver risposto evasivamente alle loro domande li fece giurare di non rivelare a nessuno quanto accaduto. 
 
Quando tornò esausto alla sua cabina sedette alla scrivania, intinse il pennino nell'inchiostro e iniziò a scrivere una lettera rivolta alla sovrana degli elfi per aggiornarla sugli ultimi avvenimenti. Aveva scritto una manciata di righe quando la porta della sua cabina scricchiolò rivelando la figura esile di Firnen. Come era accaduto solo qualche ora prima, la sua pelle risplendeva, ma questa volta Oromis notò anche una luce diversa nei suoi occhi smeraldini. 
 
Si avvicinò e comprese con sgomento che quelli non erano gli occhi di una bambina e nemmeno quelli di un'elfa. Le menti dei due si sfiorarono e Oromis fu sopraffatto dallo stupore e meraviglia: «Lo sospettavo... ma non immaginavo fossi proprio tu. Hai parlato con il Nïdhwal e hai aiutato Firnen ad infrangere la parete, non è così?»
 
Quella che era Firnen, e che allo stesso tempo non lo era, annuì: «La notte è giovane, ma abbiamo molte cose di cui parlare, Oromis-elda».
 
Gli ingranaggi inceppati di cui aveva parlato con Glaedr avevano iniziato inaspettatamente a muoversi prima del previsto. Il Cavaliere riacquisì la consueta compostezza e chiuse a chiave la porta della cabina per poi pronunciare sottovoce l'incantesimo che avrebbe impedito a chiunque di ascoltare le loro parole. Nel frattempo Aiedail si inoltrava nell'oscurità della notte, scivolando tra le onde come una freccia scagliata nel buio.
 
NdA: e qui si conclude l'introduzione a questa storia: il primo atto, diciamo così. Il prossimo capitolo avrà un timeskip di ben dieci anni. 
   
 
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