Libri > Harry Potter
Segui la storia  |       
Autore: Signorina Granger    19/12/2023    4 recensioni
INTERATTIVA || Iscrizioni Chiuse
Chiunque abbia mai messo piede a Beauxbatons ha sentito parlare della sua celebre società studentesca, anche se c’è chi dice che non esista più ormai da decenni. Ogni anno, invece, 10 studenti le cui identità restano ignote ai più vengono scelti per entrare a farne parte, ritrovandosi la strada spianata per occupare un giorno posizioni di prestigio all’interno della società magica. Se qualcuno potrebbe azzardare ad indovinare i nomi dei membri della società lo stesso non si può dire delle loro pratiche, tutt’ora ignote, che sono da sempre oggetto di curiosità e teorie più disparate da parte del resto della scuola: c’è chi pensa che durante le riunioni prendano vita rituali di natura esoterica, chi sostiene che il gruppo lasci frequentemente i confini della scuola per darsi ad opere di vandalismo, chi che questi studenti non siano altro che un gruppo di ricchi snob. Alcuni sostengono che il più grande segreto della società potrebbe essere che i suoi segreti in realtà sono essenzialmente banali, ma nessuno può sapere con certezza quale teoria corrisponda al vero. Eccetto, naturalmente, per i dieci studenti che ogni anno vengono scelti per entrare a farne parte.
Genere: Introspettivo, Romantico, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Maghi fanfiction interattive
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Capitolo VII
 


 
Mercoledì 9 novembre


 
 
Dante si ridestò dall’abbraccio di Morfeo dischiudendo debolmente le palpebre, prendendosi qualche breve istante per fare mente locale e riflettere su che giorno della settimana fosse e quali impegni lo aspettassero prima di decidere di poter richiudere gli occhi per altri cinque minuti, girandosi sul fianco per dare le spalle al comodino e alla sveglia impostata sul suo telefono che prima o poi avrebbe inesorabilmente iniziato a suonare. Non avrebbe saputo dire con certezza quanto tempo fosse passato, avrebbe potuto trattarsi di pochi istanti come di qualche minuto intero visto il stato di dormiveglia in cui ancora riversava, ma ad un certo punto Dante riaprì gli occhi, questa volta acquistando un briciolo di lucidità e rendendosi conto di aver avuto l’impressione di scorgere qualcuno in attesa accanto al suo letto quando poco prima si era svegliato. In un misto di sorpresa, curiosità e orrore il Papillonlisse si girò nuovamente sul fianco, questa volta facendo sprofondare il gomito sul cuscino per usarlo come leva per tenersi sollevato di qualche centimetro prima di posare il proprio sguardo su Nerea, che gli rivolse un sorriso a trentadue denti prima di lanciarsi su di lui per abbracciarlo.
“Buon compleanno Dantuccio!”
“Cazzo Nerea, perché ti sei appostata qui come una serial killer?!”
“Non ti volevo svegliare! Tanti auguri.” La ragazza gli stampò due sonori baci sulle guance prima di arruffargli i lisci capelli neri con un gesto della mano, blaterando qualcosa a proposito di quanto da bambino fosse stato infinitamente più carino e gentile nei suoi confronti mentre l’amico si rigettava disperato sul materasso, deciso a restare nascosto sotto al cuscino fino al giorno seguente.
“Senti ciccio, non fare lo struzzo, ti devono fare gli auguri anche gli altri.”
“Gli altri chi?!”, domandò Dante colto dalla disperazione riemergendo da sotto la federa nera del cuscino e finendo col precipitare in un vortice di terrore un attimo dopo, quando scorse l’amica armeggiare in maniera inequivocabile con il proprio telefono.
“Non ti azzardare a chiamare nessuno!”, ordinò cercando invano di strapparle di mano il telefono e la cover verde pastello coperta da adesivi di teneri animaletti, ma per sua sfortuna Nerea, senza l’impiccio delle coperte, riuscì a levare prontamente il braccio mettendolo al sicuro:
“Ma mi hanno detto di chiamarli quando saresti stato sveglio, ti devono fare tutti gli auguri! Non fare il musone asociale, dai!”
Dante si nascose completamente sotto il copriletto – nero come il suo umore e la sua vita –, deciso a non emergere mai più allo scoperto mentre Nerea cercava di strapparglielo di dosso con energici strattoni, sibilando tra i denti di avere un amico dannatamente più testardo persino del suo amatissimo asinello.

 
divisore

 
La porta d’ingresso blu notte del Dormitorio maschile si aprì e richiuse con un cigolio alle spalle di Antoine e Gisèle, che fece cenno all’amico di precederla lungo il corridoio dalle pareti bianche e il soffitto stuccato con un lieve e sbrigativo movimento del capo. Pur non essendo particolarmente convinto di quanto si stavano accingendo a fare Antoine, sapendo bene di non poter in qualcun modo far desistere l’amica dal suo intento, obbedì e si avviò calpestando le mattonelle di pietra levigate roteando i grandi occhi azzurri e con Gisèle, che riusciva a muoversi senza far rumore persino indossando i tacchi bassi della divisa, subito dietro.
Meno di un minuto dopo i due si fermarono davanti alla porta della camera del ragazzo, e solo all’ora Gisèle si permise di aprire bocca guardandosi attorno con aria guardinga:
“Sicuro che non ci sia?”
“Sì che sono sicuro, ti ho detto di averlo visto scendere a fare colazione!”
“Va bene, allora vado. Tu resta e fai da palo.” Gisèle aveva bisogno di prepararsi psicologicamente prima di mettere piede in una stanza abitata solo da ragazzi, e infatti inspirò profondamente dicendosi di cercare di sopportare tutto gli orrori che si sarebbe trovata a fronteggiare mentre Antoine, in piedi accanto a lei davanti alla porta ad arco blu, persisteva nel guardarla accigliato:
“E se torna che faccio?”
Intrattienilo.”, asserì la strega con una noncurante stretta di spalle mentre impugnava il pomello d’ottone laccato d’oro della porta. Antoine le chiese seccato se per caso l’avesse scambiato per un giocoliere, ma anziché farci caso l’amica girò il pomello e aprì la porta, pronta a varcare la soglia della camera del cugino.
 
Milad si trovava in piedi alle spalle del suo letto, impegnato a finire di preparare la sua borsa a cartella di cuoio ponendovi all’interno un libro dietro l’altro, quando la porta della sua camera si aprì consentendo all’ultima persona che si sarebbe aspettato di vedere lì dentro di entrare. Anziché infilare nella borsa il libro di Métamorphose Milad si bloccò tenendo il libro a metà strada, i profondi e interrogativi occhi scuri puntati su Gisèle mentre la compagna, in piedi davanti alla soglia, si chiudeva la porta alle spalle tenendosi gli occhi coperti con la mano libera:
“Siete tutti vestiti?”, domandò la ragazza tenendosi ostinatamente gli occhi coperti mentre Milad, sempre più perplesso, annuiva istintivamente anche se lei non poteva vederlo in volto:
“Sono solo io, Icaro è in bagno. E sì, sono vestito.”  Le sue parole sembrarono tranquillizzare parecchio la giovane strega, che si levò la mano dal viso rivolgendo al compagno un largo sorriso impregnato di sollievo:
“Bene, ottimo. Rilassati Milad, non farò nulla al tuo letto questa volta.”
“Mio dio, c’è un odore terribile qui dentro! Non le aprite mai le finestre?!”
“Sì che le apriamo.”, obbiettò Milad inarcando offeso un sopracciglio, perfettamente consapevole di essere non solo un ragazzo molto ordinato e diligente – si faceva il letto da solo tutte le mattine prima di andare a lezione –,ma anche pienamente in grado di mantenere più che dignitose le condizioni della stanza dove dormiva. Gisèle però sembrò non starlo a sentire, perché sollevò i lembi della camicia azzurra della divisa per coprirsi naso e labbra e dalla sua borsa tirò fuori un flacone bianco che il belga riconobbe rapidamente, sempre più attonito, come deodorante.
 
Icaro si stava lavando i denti quando, udito l’eco indistinto di una voce femminile provenire dalla sua camera, aprì la porta del bagno per fare capolino oltre lo stipite solo con la testa, lo spazzolino in mano e la bocca piena di dentifricio. Si aspettava di vedere pressappoco chiunque, era anche pronto a chiedere a Milad se per caso si fosse trovato una fidanzata senza dirlo a nessuno, tranne Gisèle Delacroix, e lo stupore di vederla in territorio nemico – così chiamava la camera del cugino –, per di più impegnata a spargere nubi di deodorante, fu tanto da spingerlo a parlare dimenticandosi di avere la bocca impastata dal dentifricio alla menta piperita:
“Pefchè Gifèle fta mettendo deodorante ofunque?”, domandò l’italiano aggrottando la fronte e accennando verso la ragazza con il suo spazzolino mentre Milad, a pochi metri da lui, scuoteva il capo sconsolato:
“Non ne ho idea.”, mormorò infatti il belga senza smettere di seguire con lo sguardo i movimenti della compagna di classe, che si stava circondando da una nuvola di deodorante borbottando seccata parole incomprensibili a proposito delle penose capacità dei suoi coetanei di mantenere profumati i loro alloggi.
“Bene, ora sì che si respira.” Gisèle chiuse il flacone di deodorante alla lavanda e se lo rimise in borsa prima di sollevare la bacchetta e puntarla verso la finestra a lei più vicina, che si spalancò all’istante con un cigolio mentre Milad, sempre in piedi alle spalle del suo letto, le rivolgeva un’occhiata offesa:
“Si respirava anche prima!”
“Si respirava l’aria velenosa respirata da mio cugino, vorrai dire. Bene, non badate a me, devo commettere un furto. Orsini, i denti ce li si lava in bagno.”   Gisèle si diresse con passo deciso verso l’angolo della camera circolare dove si trovavano il letto, il comodino e la cassapanca del cugino prima che i suoi occhi indugiassero su Icaro, ancora in piedi davanti alla porta aperta del bagno e con lo spazzolino blu in mano, rivolgendogli un’occhiata piena di disapprovazione che il ragazzo non accettò affatto di buon grado:
“Lo ftavo fafendo!”, obbiettò stizzito Icaro prima di sbuffare, girare sui tacchi e tornarsene davanti ad uno dei lavandini di marmo mentre Gisèle sollevava il coperchio della cassapanca blu di Guillaume per iniziare a frugarci all’interno, stupendosi nel non trovare nessuna sua fotografia marchiata con una “x” scarlatta.
“Cosa stai cercando, se possiamo saperlo?”, domandò Milad facendo il giro del letto per avvicinarsi, sempre più curioso, alla compagna, la borsa con i libri dimenticata sul copriletto blu mentre Gisèle, inginocchiata sulle assi di legno a spina di pesce del pavimento, sbuffava piano senza smettere di rovistare tra cumuli di vestiti e libri.
“Il libro.”
“Quale libro?”
“Il registro della Brigade, quello che per motivi a me del tutto incomprensibili lui è stato incaricato di conservare fino al prossimo anno.”
“Non glielo potevi chiedere e basta? Non è che sia vietato consultarlo.” Pur sforzandosi Milad non riusciva a comprendere il senso delle azioni di Gisèle e per quale motivo la ragazza si stesse evidentemente complicando la vita per niente intrufolandosi in camera loro e cercando qualcosa che avrebbe potuto semplicemente chiedere in prestito, ma capì che probabilmente mai nessuno sarebbe riuscito a cogliere il profondo significato della faida che intercorreva tra lei e il cugino quando vide Gisèle interrompere le sue ricerche, voltarsi e rivolgergli un’occhiata dalle sfumature a metà tra l’indignato e lo scandalizzato:
Io che chiedo qualcosa a lui?! Mai! E comunque non me lo avrebbe mai lasciato, figuriamoci!”
“Che cosa succede, sei venuta per piazzare un’altra Salamandra nel letto di tuo cugino?”
Icaro uscì dal bagno, questa volta perfettamente in grado di parlare normalmente, allacciandosi la cravatta blu e oro attorno al collo e con gli occhi scuri che andarono rapidamente a posarsi su Gisèle, che si concesse di sorridere nel ripensare all’episodio risalante all’anno prima mentre teneva in bilico su un ginocchio una vistosa pila di maglioni:
Quello sì che è stato un bello scherzo.”
“Per fortuna quella volta hai individuato il letto giusto.”
“Dai Milad, ti ho chiesto scusa mille volte! Comunque qui non c’è niente, che palle!” Gisèle ricacciò i maglioni all’interno della cassapanca prima di alzarsi sbuffando infastidita, richiudendola prima di dirigersi con falcate decise verso il comodino del cugino.
“Cosa sta cercando?”, domandò Icaro volgendo lo sguardo su Milad dopo aver finito di annodarsi la cravatta, dirigendosi verso il proprio letto per prendere gilet e giacca e finire così di vestirsi mentre la strega metteva a soqquadro il comodino del cugino.
“Il libro.”, si limitò ad informarlo vagamente il belga con una pigra stretta di spalle, gli occhi scuri sempre puntati su Gisèle come per volersi assicurare che non arrecasse troppi danni alla loro camera mentre Icaro lo guardava perplesso e senza capire:
“Il libro?”
“Sì.”
“… La Bibbia?”
“Ma quale Bibbia, il registro!”
“Se parlate in codice che cosa volete che capisca?!”, sbottò Icaro scuotendo capo e capelli scuri infastidito mentre si abbottonava il gilet e Gisèle, richiusi i cassetti del comodino del cugino, cercava di sollevare il materasso per assicurarsi che il libro non fosse lì sotto, appurando rapidamente che Guillaume non l’aveva riposto nemmeno lì sotto. Ormai non sapendo più dove cercare la strega prese a fare avanti e indietro nello spazio che divideva il letto di Guillaume da quello di Icaro, gli occhi puntati pensosi sul pavimento e le lunghe braccia strette al petto mentre borbottava qualcosa a proposito del nascondiglio ridicolo scelto dal cugino.
Gisèle ignorò il consiglio di Milad, che le suggerì speranzoso di arrendersi e limitarsi a chiedere a Guillaume prima di devastare tutta la camera, prima di fermarsi all’improvviso e puntare accigliata lo sguardo sulle assi del pavimento che aveva appena calpestato.
Milad e Icaro la guardarono perplessi picchiettare i tacchi delle francesine blu e celesti prima su alcune assi e poi su altre, scambiandosi un’occhiata incerta prima che l’italiano le suggerisse di andare ad esercitarsi altrove con il tiptap. Il commento venne caldamente ignorato dalla francese, che invece si inginocchiò di nuovo sul pavimento per cercare di sollevare una delle sottili assi di legno:
“Quando mia nonna ci riempiva di schifezze ci diceva di nasconderle sotto le assi del pavimento, così gli Elfi e le nostre madri non le avrebbero trovate.”, mormorò la strega prima che, riuscendo a sollevare facilmente un’asse, come trattandosi di un’operazione che veniva ripetuta di frequente, un sorriso le distendesse la labbra carnose. Un minuto dopo Gisèle la rimise a posto e si rialzò in piedi stringendo tra le mani un libro dalle spesse pagine ingiallite e la copertina di cuoio che mostrò compiaciuta ai compagni asserendo di, come sempre, non essersi sbagliata.
 

 
divisore

 
Venerdì 11 novembre
 
 
“Non vedevo l’ora che questa settimana finisse, adoro i weekend lunghi(1)! Anche mettere la divisa un giorno in meno a settimana è una gioia. Che cosa vuoi fare oggi?”  Lucinda spalmò una generosa quantità di marmellata di ciliegie sul sottile strato di burro con cui aveva precedentemente farcito il suo croissant tagliato a metà e aperto sul piattino bianco dai bordi decorati da un delicato motivo floreale azzurro e bianco, di ottimo umore grazie al giorno di vacanza che attendeva lei e Daphné. L’amica, che le sedeva accanto, si prese qualche istante prima di risponderle per finire di masticare il boccone di croissant alle fragole e cioccolato bianco che aveva precedentemente addentato, coprendosi educatamente la labbra con la mano destra adornata da sottili anelli d’oro prima di parlare spolverandosi distrattamente le briciole cadute sulla gonna verde salvia abbinata alla camicia infilata sotto ad un maglione bianco e al nastro che aveva annodato in mezzo ai lunghi capelli castani.
“Devo assolutamente portarmi avanti con il prossimo numero del giornale, o Guillaume mi uccide. Penso che passerò la mattinata in Biblioteca.”
Che barba. Va bene, allora io me andrò su alla torre per esercitarmi un po’, almeno faccio qualcosa di utile. Sai che cosa potremmo fare questo pomeriggio, invece?” Un sorriso che ormai la francese conosceva quasi fin troppo bene allargò le labbra di Lucinda mentre si sporgeva leggermente in avanti verso di lei, e Daphné inarcò scettica un sopracciglio mentre sollevava la tazza di caffellatte con petali di rosa inzuppati tenendola delicatamente per il sottile manico dorato:
“Farci le unghie? A lezione di Botanique mi si è rovinato il french.”
“… Anche. Ma prima potremmo andare ad assistere all’allenamento di Quidditch della squadra, che ha prenotato il campo approfittando dell’assenza di lezioni. Che ne dici? Lo so che non ti piace molto, ma vieni a farmi compagnia!”  L’espressione sul viso di Lucinda assunse sfumature imploranti mentre guardava l’amica tamburellandole piano le dita su una gamba, sorridendo vittoriosa quando vide Daphné arrendersi e annuire con un lieve sospiro:
“Va bene, se ci tieni ci vengo se riesco a finire prima i compiti.”
“Grazie, ti voglio bene!” La portoghese si sporse verso l’amica sollevando da terra le gambe sinistre della sua sedia, scoccandole un bacio su una guancia mentre la francese, prima di sorseggiare un po’ di caffelatte, si domandava distrattamente a voce alta che cosa mai potesse spingere l’amica ad avere tanta smania di assistere all’allenamento.
 

 
divisore

 
Non sapeva bene nemmeno lui come, ma nonostante l’allenamento di Quidditch di quella mattina li avesse lasciati entrambi a dir poco esausti e desiderosi di poltrire per tutto il resto della giornata Icaro dopo pranzo era riuscito a trascinare Phoenix con sé in Biblioteca, deciso ad approfittare del giorno di vacanza privo di lezioni per prendersi avanti con i compiti e avere di conseguenza meno da fare nel weekend. Certo Nick si era dedicato ai compiti più o meno per mezz’ora – e solo delle uniche materie che gli piacevano, ossia storia e letteratura – per poi tirare fuori dallo zaino una raccolta di racconti di Francis Scott Fitzgerald e immergersi nella lettura senza più degnare di uno sguardo i libri di testo, ma Icaro poteva comunque ritenersi soddisfatto per il risultato ottenuto.
Stava litigando con le ciocche di lunghi capelli corvini che continuavano a scivolargli davanti al viso pallido dandogli fastidio quando qualcuno aveva occupato la sedia rimasta libera accanto alla sua, destandolo dalla brutta copia del tema sulle Maledizioni senza perdono che stava scrivendo:
“Ciao Icaro!”, lo salutò sua sorella con un tono esageratamente allegro e benevolo, condito da un sorriso fin troppo affettuoso a cui Icaro rispose con un’occhiata di sbieco e un saluto pigro, certo che Clelia non si fosse unita al tavolo per godere della sua compagnia.
“Che cosa vuoi Clelia?”, domandò infatti il ragazzo distogliendo lo sguardo dal volto sorridente della sorellina per tornare a concentrarsi sull’ammasso disordinato di fogli e penne di cui si era circondato cercando invano di tirarsi indietro i capelli affinché non gli dessero fastidio mentre stava chino sul tavolo.
“Niente, sono in Biblioteca, secondo te che cosa sono venuta a fare, se non i compiti? Vuoi un elastico? Ciao Phoenix.”  Clelia porse al fratello maggiore un sottilissimo elastico nero tirato fuori come per magia dalla tasca dei jeans tenendo gli occhi puntati sul suo migliore amico, e improvvisamente ad Icaro apparve chiarissimo chi avesse spinto la sorella a sedersi con lui invece che in compagnia delle sue amiche. Ma accettò comunque l’elastico, visto che gli serviva, mentre Phoenix distoglieva lo sguardo dalle pagine del suo libro per far indugiare brevemente i brillanti occhi cerulei su Clelia, abbozzando un sorriso mentre ricambiava il saluto:
“Ehy, ciao Clelia. Come stai?”
“Bene, sono solo terribilmente indietro con i compiti. Se solo qualcuno potesse darmi una mano con il Romanticismo e Victor Hugo!”
“Io ho da fare.”, asserì secco Icaro rileggendo le ultime righe che aveva scritto prima dell’arrivo della sorella, che gli scoccò un’occhiataccia, come a volergli dire di non voler affatto il suo aiuto, prima che Phoenix, dopo un breve tentennamento, le facesse sapere di aver già finito la sua relazione sulla poetica del padre del Romanticismo francese. Clelia questo lo sapeva benissimo grazie a Diego, ma si finse comunque sorpresa strabuzzando gli occhi con fare teatrale prima di assumere un’espressione adorabilmente implorante:
Davvero? Allora ti dispiacerebbe aiutarmi? Penso di aver perso qualche passaggio a lezione.”
“Tuo fratello lo farebbe sicuramente meglio di me, ma se proprio vuoi posso provare.”  Phoenix si strinse nelle spalle, non del tutto convinto di essere in grado di aiutare qualcun altro a fare i compiti, ma Clelia si era già alzata per fare il giro del tavolo e andare a sedersi accanto a lui prima ancora che finisse di parlare.
“Figurati se passo i miei appunti preziosissimi, ordinatissimi e frutto di ore e ore di copiature fino a notte fonda senza farmi pagare.”
“È tua sorella.”, gli fece notare l’amico inarcando un sopracciglio mentre Clelia si preparava a fingere di non aver capito nulla di quanto spiegato nelle settimane precedenti, ma Icaro si strinse nelle spalle senza smettere di studiare la brutta copia del suo tema:
“Mi farei pagare il doppio proprio per questo.”
“Taci capellone, nessuno ti ha chiesto niente.”
Da sempre molto sensibile quando la sua chioma fluente era argomento di discussione Icaro fece per ribattere piccato che la sua fosse solo pura invidia, ma venne distratto da una notifica che fece vibrare il suo telefono, capovolto in modo da ridurre al minimo la tentazione di tergiversare con lo studio, sul tavolo. Incuriosito, l’italiano lo prese e lo voltò mentre Clelia iniziava a fare domande al suo migliore amico sbattendo esageratamente le lunghe ciglia scure, tanto da portarlo a chiedersi se non corressero il rischio di impigliarsi tra loro. Quando però lesse le parole che erano apparse sullo schermo la sua sorpresa aumentò a dismisura:
 
Gisèle Delacroix ti ha aggiunto al gruppo “Non vorrei fare niente di tutto ciò ma mi tocca
 
 
Gisèle non era quella che fuggiva dalle chat di gruppo alla velocità della luce? Sempre più accigliato, Icaro toccò la notifica e lesse il conciso e perentorio messaggio che la compagna di Casa aveva appena inviato:

 
Gisèle: Vediamoci al secondo piano alle 17, davanti al dipinto di Harriette Charbonneau.

 
Oltre al fatto che non aveva la più pallida idea di quale fosse il quadro indicato, Icaro lesse le parole che avevano fatto capolino sullo schermo del suo telefono inarcando offeso un sopracciglio: Gisèle pensava forse che non avesse di meglio da fare nel suo tempo libero, per dare appuntamenti con così poco preavviso?! Stizzito, si affrettò a rispondere:

 
Tu: Mancano due ore, se avessi altro da fare?!
Gisèle: Ti stupirà sapere che possiamo sopravvivere senza di te.

 
Icaro si era sentito raramente tanto offeso in vita sua, ma prima di poter replicare per dar voce alla sua profonda indignazione Nerea lo precedette infilandosi nello scambio comunicativo:

 
Nerea: Io porto i biscotti🥰!
Milad: Va bene, ci sarò.
Gisèle: Rea non portare niente, sono a dieta!
Nerea: Ma uffaaaaaa, è l’ora della merenda!
 
 
Icaro uscì dalla chat e posò nuovamente il telefono sul tavolo sbuffando infastidito, limitandosi a scuotere la testa in segno di lasciar perdere quando Nick gli domandò che cosa avesse. Stava per tornare a fare i compiti, deciso a chiudere il tema alla svelta per riuscire a ricopiarlo in bella copia e finire tutto quello che si era programmato di fare quel giorno prima della sottospecie di riunione improvvisata che lo aspettava di lì ad un paio d’ore quando scorse la più piccola delle sue sorelle andare a sedersi insieme alle sue amiche ad un tavolo poco distante. Icaro salutò Atena con un cenno della mano, ma quando lo vide la ragazzina arrossì fino alla radice dei capelli e si affrettò a distogliere lo sguardo, come se fosse a disagio, tornando a confabulare con le sue amiche, tutte visibilmente reticenti ad aprire i libri di testo e impegnate invece a mostrarsi foto sui rispettivi telefoni.
“Perché Atena è strana? E perché confabula con le sue amiche?”
“Per il Ballo, presumo.” Clelia si limitò ad una debole stretta di spalle, decisa ad ignorare il fratello per tornare rapidamente a parlare con Phoenix, ma il maggiore non mollò la presa e anzi continuò a guardarla inarcando perplesso un sopracciglio:
“Lei non ci viene al Ballo, è al terzo anno.”
“Ma il suo fidanzato è al quarto, quindi ci viene.”  
La Papillonlisse si rese conto di aver detto troppo con appena un istante di ritardo, quando non scorse alcun movimento muscolare sul viso di Icaro, che rimase a guardarla immobile per un paio di istanti mentre elaborava quanto appena udito senza nemmeno battere le ciglia. Phoenix, accanto a lei, si lasciò sprofondare lentamente sulla sedia per nascondersi parzialmente dietro al tavolo prima che la voce dell’amico tornasse a farsi sentire con un paio di ottave in più rispetto a quelle socialmente accettate all’interno di una Biblioteca:
“… Il suo CHE COSA?!”
 
 
Nerea aveva appena posato il telefono sul tavolo dopo aver scritto a Gisèle per chiederle il motivo della convocazione quando sollevò la testa, guardandosi attorno con un sopracciglio inarcato: le era parso come di udire l’eco di una voce maschile familiare parlare in italiano, anche grazie ai pavimenti di marmo che facevano rimbalzare ottimamente i suoni per tutta la Biblioteca. La si sarebbe potuta trovare una scelta edificativa discutibile, ma si diceva che la prima Preside della scuola avesse deciso di scoraggiare il più possibile ogni tipo di chiacchiericcio quando gli studenti si trovavano in quella particolare area del castello dove tecnicamente avrebbe dovuto vigere il silenzio.
Dicendosi che forse si era solo immaginata la voce di Icaro Nerea tornò a concentrarsi sullo schermo del suo pc acceso, raddrizzando la schiena per far sì che le spalle non le dolessero al termine della sua lunga sessione di studio e di scrittura: nel corso dei giorni precedenti le erano arrivati non sapeva nemmeno più quanti messaggi, e doveva finire di leggerli tutti e fare una scrematura per decidere quali informazioni incorporare e quali no nel numero successivo del giornale della scuola.
Daphnè si era unita a lei più o meno un’ora prima, quando si era avvicinata al tavolo dell’italiana chiedendole se potesse sedersi di fronte a lei. Nerea, che preferiva di gran lunga stare in compagnia anche quando si trattava di studiare, aveva immediatamente rivolto un largo sorriso alla francese, assentendo e invitandola allegra a sedersi senza indugi.
Ora Daphné sedeva sì di fronte all’italiana e con gli occhi chiari puntati nervosamente sullo schermo del suo pc, trattenendo l’impulso di mordicchiarsi le unghie e rovinarsi ulteriormente il french che aveva comunque bisogno di una bella ripassata: sua madre ripeteva sempre che unghie rovinate e smalto sbeccato fossero un tremendo segnale di sciatteria, e la ragazza se l’era sentito ripetere talmente tante volte dall’aver finito col prendere l’abitudine di controllarsi le unghie ogni mattina prima di andare a lezione e ogni qualvolta in cui doveva uscire di casa. Esattamente come Nerea anche Daphné si stava momentaneamente dedicando al giornale, e come avveniva ogni settimana stava rileggendo e rileggendo ad oltranza ciò che aveva scritto: ogni settimana procrastinava per almeno due ore dopo aver finito la sua sezione prima di decidersi ad inviarla a Guillaume, e lo stesso avveniva con l’impaginazione, della quale era incaricata. Non importava quante volte le sue amiche potevano assicurarle di non aver riscontrato errori di ortografia, un uso scorretto della punteggiatura o periodi sconclusionati, la sola idea di mandare qualcosa di poco soddisfacente l’atterriva a dir poco.
“Non crederai mai a cosa mi hanno scritto, Daphnè. Come si fa ad andare dietro ad un tizio simile?!”
Al suono sgomento delle parole di Nerea la francese si sentì capitombolare giù dalla sedia, tanto che si scordò delle sue mansioni e puntò inorridita lo sguardo sull’italiana mentre questa fissava lo schermo del suo computer con le labbra dischiuse e gli occhi sgranati, un’espressione quasi inorridita stampata sul bel volto.
“Di chi parli?” Daphné deglutì a fatica mentre cercava di ricordarsi come si respirava ad un ritmo regolare, pronta a fare la valigia e a mettere Duchess nel suo trasportino per andarsene dalla scuola – e dal Sud della Francia – se ciò a cui Nerea stava facendo riferimento riguardava proprio lei.
“Me l’ha scritto quella cretina di Giulia Innocenti, quindi sono piuttosto scettica, ma a quanto sembra ad una ragazza della sua classe piace Lucien Richer. Il Cacciatore della mia squadra che se potessi caccerei a pedate, peccato che siamo in democrazia e serve la maggioranza di tutti gli altri.” Daphné scorse distintamente l’espressione di Nerea incupirsi parecchio al solo menzionare il tanto detestato compagno di Casa e di squadra, sfortunatamente ammesso insieme a lei, quando ancora non rivestiva il ruolo di Capitano, sentendo un peso sollevarsi dal suo petto. La francese si concesse di sorridere, provando un sollievo che Nerea non avrebbe potuto nemmeno immaginare:
“Non è quella ragazza bionda del quinto con l’aria, emh… un po’ poco simpatica?”
“Mh-mh. Detesto parlare male delle persone, ma è così antipatica… è quella che lo scorso anno si fece invitare al Ballo e poi mollò quel poverino del suo accompagnatore per stare con quel tizio belloccio che poi si è diplomato. Nah, non penso che sia vero, non lo scriverò.”
Nerea scosse la testa con stizza mentre cestinava il messaggio, decisa a dare credito alle parole di una tale gallina soltanto qualora fosse giunto il giorno in cui un uragano si sarebbe abbattuto sulla scuola. O il giorno in cui Dante si sarebbe vestito di rosa cipria, evento che si sarebbe potuto verificare con le medesime probabilità. Stava giusto tornando a visionare i messaggi – non si poteva assolutamente permettere di divulgare falsità – quando le saltò all’occhio un nome familiare. Un nome talmente familiare da farle schizzare verso l’alto entrambe le sopracciglia, salvo poi esibirsi in un sospiro rassegnato:
“Scrivo a Gisèle di finirla di implorarmi di pubblicare false notizie su suo cugino. Sono una persona seria io!”
Nerea scosse il capo mentre riprendeva il telefono per scrivere all’amica, che la pregava di scrivere illazioni sul cugino almeno una volta al mese, e Daphné tornò a concentrarsi sullo schermo del suo pc con un accenno di rossore sulle guance che sperò fosse passato inosservato allo sguardo dell’italiana. In realtà Nerea era perfettamente a conoscenza della sua cotta per Guillaume, ma si guardò bene dal dire qualcosa a riguardo per farglielo intuire anche quando Gisèle, appreso che Daphné fosse seduta giusto di fronte all’amica, le chiese di provare a capire se per caso non fosse sotto l’effetto di un filtro d’amore.
Nerea alzò gli occhi al cielo, certa che l’amica fosse drammatica come suo solito: era del tutto impossibile che fosse vero. L’italiana posò di nuovo il telefono sul tavolo per tornare al suo lavoro, anche se le parole di Gisèle le lasciarono addosso la vaga ombra di un dubbio che la portò a gettare un’occhiata un tantino accigliata a Daphné da sopra il bordo dello schermo luminoso, salvo poi scuotere il capo e intimarsi di tornare alla lettura senza dar peso alle assurde teorie della sua migliore amica.  
 
Lucinda aveva appena trascorso più di un’ora chiusa nella sala da prove dell’orchestra per esercitarsi, approfittando dell’assenza di lezioni e della possibilità di avere tutto lo spazio a sua completa disposizione mentre il suono della sua voce risuonava all’esterno della torre fuoriuscendo da una finestra aperta. Dopo aver provato tutti i pezzi che avrebbe dovuto eseguire il lunedì successivo a lezione aveva lasciato la torre per raggiungere Daphné in Biblioteca e studiare per un po’ insieme a lei, finendo col dover superare numerosi scaffali colmi di libri e file e file di tavoli prima di trovare quello che era stato occupato dall’amica:
“Ciao bellina, finalmente ti ho trovata. Sono ufficialmente pronta a ricopiare tanti di quegli appunti che potrei quasi mettermi a piangere. Ciao Nerea.”
La Papillonlisse mollò senza tante cerimonie il suo zaino viola sulla porzione di tavolo bianco rimasta libera accanto a Daphné e rivolgendo un accenno di sorriso gentile a Nerea, che ricambiò sorriso e saluto prima di sollevare entrambe le braccia sopra la testa, distendendo i muscoli e prendendosi una breve pausa dalla postura rigida in cui era rimasta ferma per troppo a lungo. Mentre Lucinda prendeva posto Daphné si rivolse all’amica con un gran sorriso, mostrandole i suoi due astucci piene di penne colorate, pennarelli dalla punta fina ed evidenziatori invitandola ad usufruire senza remore della sua invidiabile collezione.
“Ho anche i post-it ovviamente. Ecco, serviti pure.” La francese tirò fuori dal suo zaino bianco – sempre talmente immacolato da portare quotidianamente l’amica a sospettare che ci avesse lanciato sopra un qualche strambo incantesimo anti-macchie – un raccoglitore trasparente che Lucinda sapeva bene contenere la sua immensa quantità di post-it, rigorosamente divisi per colore e di tutte le forme e di tutte le sfumature cromatiche attualmente sul mercato. Nerea si guardò bene dal fare commenti, ma non poté esimersi dallo strabuzzare gli occhi verdi, impressionata.
“Ma te li porti dietro sempre? Come fai?”, domandò Lucinda dando voce alla perplessità propria tanto quanto quella dell’italiana mentre girava le buste trasparenti del raccoglitore piene di post-it e Daphné tornava a concentrarsi sulla bozza dell’impaginazione della prima pagina del giornale a cui stava lavorando con una debole stretta di spalle:
“Non si sa mai che colori possano servire. Non potrei mica usare il viola per Botanique, che ha il verde!” Daphnè rabbrividì al solo pensiero, e scosse subito il capo per scacciarlo via, lontano da lei.
Per certi versi Nerea sentiva di trovarsi d’accordo con lei, ma non ebbe il tempo e nemmeno il modo di farglielo sapere: quando il suo sguardo indugiò nell’angolo in basso a destra dello schermo del suo pc consentendole di appurare che ore fossero l’italiana trasalì, sgranando inorridita gli occhi verdi prima di iniziare a ficcare tutte le sue cose alla rinfusa all’interno dello zaino Fjällräven verde salvia. Era già discretamente in ritardo per il suo appuntamento al campo di Tiro con l’arco.
“Porco Merlino, perché perdo sempre la cognizione del tempo… Mi ci vorrebbero tre sveglie! Ciao ragazze, buono studio!” Dopo aver chiuso il pc e averlo infilato nello zaino Nerea chiuse la zip, sorrise alle due Papillonlisse e dopo essersi issata una bretella sulla spalla destra sistemò la sedia che aveva occupato fino a quel momento, correndo via facendo il più piano possibile per non disturbare i compagni che stavano studiando. Daphné e Lucinda restarono a guardare in silenzio lo scaffale dietro al quale Nerea era scomparsa dal loro campo visivo per silenzioso qualche breve istante, finchè la seconda non parlò inarcando un sopracciglio e con tono assorto:
“Chissà se deve vedere Dante.”
“Ti prego non chiedermi di travestirmi da cespuglio e di seguirla…”
“Però il verde ti dona molto.”
“Grazie!”


 
divisore
 

Diego aveva deciso di impiegare il pomeriggio libero – da quando frequentava Beauxbatons l’undici novembre era rientrato di diritto nella lista dei suoi giorni favoriti del calendario – in ciò che meglio gli riusciva: rintanarsi in un angolo isolato e molto poco frequentato del castello, le cuffie nelle orecchie e lasciandosi cullare in solitudine dalla musica ad alto volume. Certo gli sarebbe piaciuto anche suonare, ma sapeva per certo che qualche membro dell’Orchestra si sarebbe recato alla torre per esercitarsi approfittando del giorno libero, e non ci teneva a replicare l’incontro non programmato che qualche tempo prima aveva visto coinvolti lui e Daphné Blanchard.
Il ragazzo se ne stava comodamente disteso su un divano a triclinio dallo schienale alto, foderato con un soffice velluto color verde bosco che insieme a dei soffici cuscini di piume lo rendeva particolarmente confortevole. Il capo leggermente reclinato e sprofondato su uno di quei morbidi cuscini – provava spesso il desiderio di rubarne uno e di portarlo in camera sua, ma era anche certo che avrebbe finito col riportarlo al suo posto, vinto dal senso di colpa –, le caviglie incrociate e le mani intrecciate all’altezza del petto Diego era immerso nella sua bolla fatta di musica, che nella sua mente riusciva ad assumere delle forme dall’apparenza quasi concrete tanto intensamente la sentiva, quando inavvertitamente l’incanto si spezzò, e qualcuno gli sfilò con gentilezza la cuffia dall’orecchio destro:
“Ciao Dieghino. Che cosa ascolti?” 
Dopo aver spalancato di scatto gli occhi azzurri, sorpreso da quell’interruzione imprevista, Diego non ci mise molto per mettere a fuoco il familiare volto sorridente di sua cugina, che lo guardava con cipiglio divertito standosene inginocchiata sul pavimento accanto all’elegante divano verde dallo schienale alto, gli occhi scuri puntati dritti su di lui. Con ogni probabilità parte del divertito visibile sul viso della ragazza era dovuto all’espressione accigliata con cui il cugino stava ricambiando il suo sguardo, ma Clelia era ormai abituata alle sopracciglia quasi perennemente aggrottate di Diego, così come ai suoi occhi azzurri socchiusi: molti potevano anche credere che la sua forse un’aria costantemente scocciata e infastidita, ma lei sapeva benissimo che l’espressione corrucciata del cugino era semplicemente dovuta alla miopia a cui Diego si ostinava di non far rimedio indossando gli occhiali.
Anziché dargli il tempo di rispondere Clelia si accostò la cuffia all’orecchio, prendendosi qualche istante di ascolto prima di riconoscere il celeberrimo brano che il cugino stava ascoltando al momento del suo arrivo:
“Oh… Wagner le terrible. Non vieni mai colto dal desiderio improvviso di invadere un Paese centro europeo quando lo ascolti?” Clelia restituì la cuffia nera al cugino inarcando un sopracciglio e con l’angolo destro delle labbra sollevato a dar forma un accenno di sorriso sbilenco che Diego ricambiò, trovandoci come sempre qualcosa di incredibilmente familiare con i sorrisi di Icaro. Il ragazzo scosse il capo mentre riprendeva la cuffia senza indossarla, anzi mise in pausa la riproduzione del brano su Spotify per poter parlare liberamente mentre faceva leva sui gomiti per sollevare il busto, mettendosi a sedere sul divano:
“No, per il momento no.”
“Allora, che fai tutto solo?”, domandò Clelia allargando il suo sorriso e sedendogli accanto non appena il cugino ebbe abbassato le gambe, incrociando le proprie sul soffice materasso e aggiustandosi qualche ciocca di capelli scuri dietro le orecchie per poterlo guardare meglio mentre Diego si stringeva debolmente nelle spalle, le mani pallide e piene di calli frutto di anni e anni passati a suonare e a scrivere che giocherellavano distrattamente con le cuffie ormai silenziose.
“Non sono da solo, ci sei tu. Come sapevi che ero qui?”
“Non lo sapevo, ho tirato a indovinare. Non è proprio insolito trovarti qui, no?”
Era successo due anni prima, durante le vacanze di Natale: Diego stava suonando malinconicamente Für Elise al pianoforte, nascosto in uno degli infiniti saloni che si snodavano tra i lunghi e bui corridoi della vasta dimora dove era cresciuto, perlomeno nei periodi della sua infanzia vissuti a Roma tra i numerosi spostamenti su e giù e fuori dall’Italia. Sua madre si era allontanata dalla festa dalla quale il figlio era felicemente rifuggito per raggiungerlo, sapendo benissimo dove trovarlo, e gli si era seduta accanto. Diego ricordava di averle confidato qualcosa che non aveva ancora mai trovato il coraggio di rivelare a suo nonno Terenzio, colui che gli aveva insegnato a leggere uno spartito e lo aveva iniziato allo studio della musica finendo inevitabilmente con lo scoprire del suo eccezionale dono, ovvero che anche se con dispiacere a scuola suonava molto di rado. Era stato allora che Tosca gli aveva sorriso e gli aveva raccontato di un particolare anfratto del castello che lei stessa ricordava di aver scoperto quasi per caso insieme a delle amiche quando ancora era una giovanissima studentessa: magari lì, aveva suggerito la donna con la splendida e soave voce ereditata dalla madre cantante d’opera, donandogli un sorriso e accarezzandogli i lisci capelli castani, potresti suonare senza essere disturbato. E di certo per opera della madre Diego, la prima volta in cui spostando un arazzo verde smeraldo e imboccando un lungo e stretto corridoio di pietra era giunto in quella piccola saletta circolare piena di luce e dalle alte finestre, vi aveva trovato un violino, una viola e un violoncello, un corno francese, un oboe, un sassofono e persino una chitarra classica. Gli aveva scritto assicurandogli di potergli far avere anche un pianoforte, ma Diego aveva declinato l’offerta, seppur con gratitudine.
Aveva custodito il segreto di sua madre per circa un anno, quando aveva ceduto e dopo le sue assidue insistenze aveva finito col confidare alla cugina dove sparisse per tante ore tutte le settimane fuori dall’orario di lezione. Clelia però gli aveva solennemente promesso di non farne parola né con Atena, né con Icaro: sarebbe stato il loro piccolo segreto. Anche perché, come aveva prontamente sottolineato la Papillonlisse, il fratello maggiore avrebbe con ogni probabilità finito col portarci qualche ragazza. E allora addio segreto.
“Pensavo fossi venuta a cercarmi sperando di trovarmi con Nick, che strano.” Diego rivolse alla cugina un sorriso eloquente che la ragazza ricambiò, gongolando visibilmente mentre si faceva dondolare sul divano spostando il peso corporeo a destra e a sinistra:
“Phoenix mi ha gentilmente aiutato a fare i compiti giusto poco fa. Oh, e non sai cosa ti sei perso. Atena ha uno spasimante, Icaro non lo sapeva… Beh, ora lo sa, e mi sembra abbastanza scosso dalla notizia.”
“Noo, perché non ci sono mai quando succedono queste cose?!”
Mentre Clelia ridacchiava al ricordo della faccia scandalizzata del fratello maggiore – era determinata ad imprimerla per bene nella sua memoria non avendo avuto la possibilità di scattarvici una foto – Diego sospirò amareggiato, ma anziché consolarlo la cugina gli assestò una debole pacca sulla spalla, dandogli una lieve spinta che lo smosse solo di qualche centimetro:
“Perché te ne stai a fare il Gobbo di Notre-Dame qui tutto solo, ecco perché!”
“Grazie Clelia, sei carina. E vivo in un castello, non in una cattedrale.”
“Lo so, lo so… e soprattutto sei molto più carino di Quasimodo, ma prima ho studiato Victor Hugo, sai com’è.” Clelia si strinse debolmente nelle spalle, liquidando la questione con un pigro gesto della mano prima di prendere uno dei cuscini tanto amati dal cugino e metterselo in grembo, abbracciandolo mentre faceva vagare distrattamente lo sguardo sulle alte pareti ridipinte con una rilassante tonalità color salvia che ben si sposava con le venature verdastre del marmo che costituiva l’architrave e i piedritti del caminetto, quel pomeriggio acceso per scaldare l’ambiente dal gelo autunnale, a cui stando seduti sul triclinio davano le spalle.
“Quindi la piccola Atena andrà al ballo?”, domandò infine Diego mettendosi seduto più comodamente sul divano, poggiandosi allo schienale mentre Clelia, davanti a lui, sorrideva divertita:
“Tutti andranno al ballo, Die’. Penso che ci siano persino delle vecchie armature polverose che ci andranno.”
“Io ne dubito.” Esattamente come la cugina aveva preventivato Diego aggrottò le sopracciglia e arricciò il naso quasi con stizza, certo che avrebbe trascorso la serata lì dentro, o nella sua camera. E la cosa gli andava benissimo.
“Tu sei proprio stupido. Nonostante l’aria arcigna che hai sempre sei carino, sai? Sarà per questo che sei tanto amico di Nick.”
“Non sono arcigno, è che non ci vedo.” 
Mentre parlava Clelia gli lanciò il cuscino e si alzò in piedi, sorridendogli mentre si chinava verso di lui per arruffargli i lisci capelli castani con un gesto della mano:
“Ma questo lo sappiamo noi e basta, no?”
Sua cugina non aveva torto, e Diego non replicò mentre la guardava strizzargli l’occhio prima di raggirare il divano, avvicinandosi al caminetto per scaldarsi le mani infreddolite e darsi una ravvivata ai capelli studiando la propria immagina riflessa dal pesante ed enorme specchio dalla cornice d’oro che era stato posato sopra al caminetto, a dividere le due alte finestre in mezzo alle quali si trovava.
“Icaro ci va?” Dalla sua angolazione Diego riusciva perfettamente a scorgere il volto della cugina riflesso nello specchio, e la vide annuire con un lieve cenno del capo mentre si aggiustava le ciocce di capelli scuri che le incorniciavano il volto.
“Difficile dire che cosa passi nella testa di mio fratello, ma immagino proprio di sì. Potrebbe sempre trascinare Nick in un ballo, chi lo sa.”
Clelia poggiò le mani sul bordo tiepido dell’architrave di marmo del caminetto studiando pensosa il proprio riflesso per qualche istante; dopo una breve esitazione si voltò per cessare di dare le spalle al cugino e posare direttamente gli occhi scuri sul suo viso pallido, facendo sì che i loro sguardi si incrociassero:
“In realtà a volte penso che non gli piaccia poi così tanto andarci… O che non riesca a goderselo davvero, non come gli altri. Non lo so. Capisci cosa intendo? L’anno scorso c’è stato un momento in cui mi sono voltata e l’ho visto, stava seduto ad un tavolo vicino a Nick, ovviamente. Poi Nick si è alzato, si è allontanato, non so per andare dove… e quando l’ho visto restare solo ho capito che non si stava divertendo davvero. Solo per un attimo, poi mi ha vista e mi ha sorriso, e quello che credevo di aver visto è sparito.”
“Fare finta è più facile.”
“Sì, ma perché fare finta con me? O con te, o con Nick. Non capisco.”
Clelia scosse il capo mentre tornava a sedersi sul triclinio, questa volta sul bordo e nel verso opposto rispetto a poco prima, dando le spalle all’ingresso della stanza e rivolgendosi invece verso la finestra che le stava davanti, parzialmente coperta da pesanti tendaggi bianchi. Diego le mise una mano sulla spalla, sperando che il gesto le fosse in qualche modo di conforto mentre guardava il profilo della cugina scrutare accigliato il cielo grigio, la mente altrove e di certo persa tra i ricordi.
“Credo che se persino con noi fa finta di nulla semplicemente non gli va affatto di parlarne.”
“E secondo te dovremmo rispettarlo o parlargliene noi?”
Questa volta Clelia parlò voltandosi dritta verso di lui, e pur non vedendoci affatto bene mentre esitava cercando le parole giuste da dire Diego scorse della tristezza negli occhi scuri della cugina. Infine scosse il capo, la voce bassa e profonda ridotta ad un mormorio mentre distoglieva lo sguardo, chinandolo sul velluto verde che rivestiva il divano:
“Non lo so Clelia. Vorrei saperlo, ma non lo so.”
A causa della miopia la vista di Diego era irrimediabilmente compromessa, ma si sporse ugualmente verso la cugina per cingerla in un abbraccio quando gli parve di scorgere una lacrima sgorgarle dall’occhio destro e bagnarle il viso rotolando verso le labbra.

 
divisore

 
La freccia sferzò l’aria gelida con un lieve sibilo e interruppe la sua traiettoria conficcandosi nel bersaglio di paglia quasi in pieno centro, infilzando il primo dei due cerchi concentrici scarlatti e destando così un accenno di sorriso compiaciuto sulle labbra di Dante, che abbassò le braccia e l’arco di legno con loro mentre Milad, in piedi accanto a lui in attesa del suo turno di tiro, sollevava entrambe le sopracciglia in segno di apprezzamento:
“Niente male.”
Dante distolse lo sguardo dal bersaglio per posarlo sul compagno, allargando con gratitudine il sorriso che gli aveva sollevato gli angoli delle labbra prima di stringere l’arco solo con la mano sinistra per passargli una freccia con la destra, spostandosi di poco per lasciargli spazio e permettergli di tirare a sua volta.
“Grazie. Nerea dove pensi che sia finita?”
Milad prese il posto del Papillonlisse sistemandosi con cautela la freccia sottobraccio, sfilandosi i guanti di lana neri per far sì che le sue mani avessero la maggior aderenza possibile sull’arco prima di infilarseli nelle tasche del cappotto e prendere l’arco che Dante gli stava porgendo, sollevandolo stringendo il riser per incoccare la freccia sul poggiafrecce e tendere la corda. Di Nerea al contrario, appurò Dante gettandosi una rapida occhiata attorno, non vi era ancora alcuna traccia nonostante i tre avessero deciso di usare parte del pomeriggio libero per allenarsi con qualche tiro.
“Nerea ha sempre migliaia di cose da fare, non mi stupirebbe se stesse arrivando di corsa dopo essere stata ad un allenamento di Quidditch… o magari ad invasare piantine nelle Serre. Oppure nel serraglio ad accudire qualche creatura con una zampa ferita.”
“Non riesco ancora a ricordare esattamente tutte le cose che fa. Me ne scordo sempre una.”, ammise Dante scuotendo leggermente il capo mentre si affrettava ad infilarsi le mani nelle tasche della giacca a vento nera che indossava, pentendosi amaramente di non essere stato lungimirante come Milad portandosi dietro un paio di guanti. Dopo aver parlato rimase in religioso silenzio, lasciando al compagno il giusto tempo per concentrarsi adeguatamente e prendere la mira, impresa resa più ardua del solito a causa della poca luce che quella giornata grigia aveva deciso di concedere loro.
Milad dal canto suo aveva iniziato ad amare quello sport, iniziato più che altro per curiosità e per la volontà di prendere parte a più di un’attività extrascolastica – si era iscritto più che con gioia al Club di Scacchi, ma il Quidditch non lo aveva mai interessato neanche lontanamente, così come l’Orchestra o la possibilità di prendersi cura delle Creature della scuola –, quando si era reso conto di ciò che tirare con l’arco comportava: precisione, concentrazione e silenzio. Tutte caratteristiche che lo avevano reso rapidamente il suo sport preferito, tolto il calcio.
 
Nerea arrivò di corsa riempiendosi i polmoni di aria gelida proprio mentre la freccia colpiva il cerchio giallo più esterno del bersaglio, vicinissima al centro e a quella di Dante. L’italiana raggiunse i due quasi col fiatone – adorava la sua scuola, ma perché doveva essere così dannatamente enorme? –, biascicando delle scuse tra un respiro e l’altro dopo essersi fermata ad un metro di distanza da Milad e all’arco che il belga impugnava.
“Eccoti finalmente. Ti eri scordata di noi?” Dante guardò l’amica inarcando un sopracciglio con ironia non troppo sottile: a giudicare da quanto sembrava esausta Nerea doveva aver attraversato di corsa metà scuola per giungere col minor ritardo possibile al loro punto d’incontro.
“No, scusate, ero… stavo lavorando al prossimo numero del giornale in Biblioteca, non ho guardato l’ora per dieci minuti di troppo.”
Nerea scosse il capo mentre Milad abbassava l’arco assicurandole di non preoccuparsi, e Dante si colpì lievemente la fronte con una mano prima di guardare il belga indicando l’amica con un sorriso: tra tutte le numerose attività che occupavano le giornate di Nerea ce n’era sempre una che gli sfuggiva quando si sforzava di elencarle tutte.
“Ecco cosa mi ero scordato, il giornale! Lo vedi, c’è sempre qualcosa che mi passa di mente.”
“Che intendi dire?”, domandò la ragazza inarcando confusa un sopracciglio mentre i suoi occhi verdi rimbalzavano dal suo viso a quello di Milad, che si affrettò a scuotere il capo prima di porgerle gentilmente l’arco:
“Niente. Vado a recuperare le frecce, così puoi dilettarti anche tu.”
Il belga aveva percorso appena un paio dei metri che li dividevano dalla fila di sei bersagli, sistemati ad altezze diverse anziché essere perfettamente allineati sul prato per aumentare o diminuire i gradi di difficoltà, quando Dante disse qualcosa senza guardare l’amica, le mani in tasca per metterle il più possibile al riparo dal freddo pungente e lo sguardo puntato distrattamente sulla schiena di Milad:
“Sai, non fosse che ci conosciamo da sempre penserei che hai una gemella segreta con cui ti alterni.”
“Le gemelle segrete sono sempre cattive, e in me non c’è neanche l’ombra di cattiveria.”, ribatté Nerea stringendosi nelle spalle e sollevando il mento con aria sostenuta, assolutamente certa che nessuna gemella avrebbe potuto in ogni caso eguagliare neanche lontanamente il suo altissimo livello di simpatia e il suo buon carattere. Dante tuttavia sembrò di un altro avviso, perché le gettò un’occhiata mostrandole un sorrisetto beffardo che ormai l’italiana avrebbe scorto e riconosciuto anche a metri e metri di distanza:
“Interessante riflessione. Io pensavo più che altro a quanto sarebbe ardua la mia esistenza con non una Nerea, ma due.”
Milad tornò dai due compagni per porgere le frecce a Nerea giusto in tempo per vederla assestare una lieve sberla sul braccio dell’amico, ma anziché chiedere o fare commenti rimase in silenzio, sia perché non era avvezzo a farsi gli affari altrui sia per la certezza che Dante se lo fosse meritato prendendola in giro.
 
Mezz’ora dopo, quando il turno di andare a recuperare le frecce fu di Dante, Milad si sfilò il telefono dalla tasca del cappotto per controllare l’ora con una fugace occhiata al proprio telefono, appurando così che l’appuntamento che lui e Nerea avevano con Gisèle fosse ormai vicinissimo. Il ragazzo ripose rapidamente il telefono in tasca e dopo aver osservato brevemente Dante, troppo lontano per sentirli, si rivolse all’italiana parlando con tono pacato:
“Nerea, Gisèle ci aspetta tra dieci minuti.”
Nerea smise di osservare con aria adorante il tenero scoiattolino che si stava arrampicando su un albero poco distante – come avrebbe reagito sua madre se le avesse detto di voler adottare uno scoiattolo? – per voltarsi di scatto e guardare Milad sgranando gli occhi verdi, tornata bruscamente alla realtà: si era quasi scordata dell’incontro misterioso a cui Gisèle li aveva convocati. Forse Dante aveva ragione nel dire che avesse troppe cose da fare!
“Cavolo, è vero… e credimi, non è il caso di farla aspettare troppo. Come facciamo ad andare via senza destare qualche strano sospetto in Dante?”
“Direi che prima potresti allontanarti tu, magari dicendo che devi vedere Gisèle.” Milad si strinse debolmente nelle spalle mentre Dante, poco lontano, litigava con una freccia che si era incastrata in mezzo alla paglia, imprecando in cinese a bassa voce mentre cercava di estrarla senza rovinare la punta o creare uno squarcio eccessivo nel bel mezzo del bersaglio. Di nuovo gli occhi verdi di Nerea, che mal sopportava l’idea di dover mentire di continuo a chi le stava attorno, si spalancarono, accogliendo di buon grado l’ottima idea del belga:
“Il che non sarebbe nemmeno una bugia!”, osservò infatti la strega con un sorriso allegro, felice di non dover riempire Dante di bugie. O almeno non per quel giorno.
“Esattamente. Prima vai tu, io aspetterò un paio di minuti e poi menzionerò una ricerca da finire.”
Di nuovo Milad si strinse nelle spalle, il tono di voce controllato come sempre e un’espressione difficile da decifrare mentre Dante gioiva per aver vinto la sua battaglia contro la freccia. Nerea al contrario del compagno annuì vivacemente, manifestando ben più entusiasmo di lui per la sua idea mentre lo colpiva leggermente sulla spalla sinistra:
“Direi perfetto Milad. Però aspetta, io devo andare anche in cucina a prendere i biscotti!”
Milad le avrebbe chiesto se fosse davvero necessario fare quella tappa, ma le parole gli morirono in gola quando scorse tutta la determinazione che stava animando lo sguardo di Nerea, che prendeva sempre molto sul serio la sua missione volta a non far morire di fame la sua migliore amica. Milad tacque (più o meno un quarto d’ora dopo sarebbe rimasto pazientemente ad aspettare che Nerea scegliesse quali biscotti portare all’incontro) mentre Dante li raggiungeva facendosi roteare pigramente una freccia tra le dita della mano sinistra, chiedendo ai due chi volesse essere il prossimo. Da come i due si zittirono nell’esatto istante in cui posarono lo sguardo su di lui Dante venne sfiorato dalla netta sensazione che avessero appena cessato di parlare di qualcosa che non avevano nessuna intenzione di condividere, ma si limitò ad accigliarsi senza dire nulla mentre passava le frecce alla sua amica d’infanzia, che tornò a sorridergli allegra e a parlare del più e del meno alla rapidità della luce.   

 
divisore

 
Secondo piano
 

Mentre diversi metri più in basso Nerea si struggeva per l’ardua scelta tra due vassoi di frollini quasi del tutto identici Icaro era semplicemente fuori di sé: le 17 in punto erano scoccate ben cinque minuti prima e lui aveva raggiunto il luogo prestabilito per l’appuntamento misterioso indetto da Gisèle, ma dei suoi compagni neanche l’ombra. Grazie all’aiuto di altri dipinti aveva persino trovato il ritratto di quella tale Harriette Charbonneau, un orrendo dipinto ad olio dallo sfondo di una terribile tonalità a metà strada tra il verde e il marrone che restituiva al suo sguardo sempre più seccato l’immagine di una donna pallida, vestita di nero e con un gatto, il cui pelo lo avrebbe quasi fatto confondere con l’abito della donna non fosse stato per i cangianti occhi verdi, stretto tra le braccia. Icaro non aveva idea di chi fosse quella donna, ma stava rapidamente appurando di non provare particolare simpatia nei confronti suoi, della sua aria sgradevolmente sostenuta e del suo gatto dallo sguardo torvo.
“Senta, le dico che dietro il suo dipinto ci deve per forza essere un qualche passaggio segreto. Mi faccia passare!”
Ogni traccia di garbo era scomparsa dal tono del ragazzo, che si stava facendo invece sempre più impaziente man mano che il tempo passava e quella donna dall’aria arcigna non ne voleva sapere di dargli una qualche spiegazione, limitandosi a fissarlo torva con le labbra sottili strette in una smorfia che trasudava puro fastidio e antipatia:
“Qui non c’è un bel niente ragazzino, vai a importunare qualcun altro!”
“Dovrei incontrare una persona esattamente qui. Per caso vede una ragazza con i capelli ricci qui intorno? Ci dev’essere per forza un passaggio o una stanza segreta!” Icaro agitò le braccia esasperato, ormai non sapendo più che pesci prendere: le aveva provate tutte. Aveva chiesto più e più volte a quella donna tremenda se ci fosse una qualche parola d’ordine per passare (e non avrebbe avuto senso, o Gisèle l’avrebbe scritta), aveva provato a spostare la cornice del dipinto, ci era passato davanti in tutti i versi e in tutte le direzioni… aveva persino picchiettato in più punti il muro verniciato di bianco attorno alla spessa cornice dorata, ma nessuna porta segreta si era magicamente spalancata di fronte a lui.
“Io non ho visto nessuna ragazza con i capelli ricci. Magari ti ha dato buca.”
Harriette si strinse debolmente nelle spalle prima di aprire il suo ventaglio vermiglio con un pigro movimento del polso destro, prendendo a farsi aria sollevando il mento appuntito e senza guardarlo, come se non fosse minimamente degno della sua attenzione. Dopo un breve e sgomento silenzio le sue parole destarono in Icaro un accenno di risata che ben prestò risuonò nel corridoio deserto, e il ragazzo la guardò scuotendo il capo come certo di avere a che fare con una perfetta squilibrata. Forse anche cieca.
Non credo proprio che sia un evento verificabile. Non è che devo colpire il quadro da qualche parte? O ha un indovinello da propinarmi come le Sfingi?”
“Ti dico di no ragazzino, lasciami in pace!” Sfortunatamente per Harriette, Icaro si era già sfilato la bacchetta dalla tasca dei pantaloni per iniziare a picchiettarne la punta su punti randomici del dipinto, le sopracciglia aggrottate mentre cercava di capire quale angolo dovesse colpire per far scattare il passaggio segreto. Quando colpì accidentalmente la donna sul naso si esibì in una profusione di scuse molto poco sentite, e dovette stare a guardare Harriette agitargli contro il ventaglio prima di alzarsi dalla seggiola dove secoli prima si era seduta per posare e andarsene indispettita, cambiando dipinto insieme al gatto dandogli del “vile screanzato del tutto sprovvisto di buone maniere”.
“Torni qui, mi deve dire come si passa! Beh, sa che le dico? Non mi importa se è morta da due secoli, è proprio una stronza!” Icaro la guardò allontanarsi unendosi alla festosa cena di un gruppo di maghi di inizio Novecento, dove di certo si sarebbe dilungata in uno sproloquio sui terribili giovani del presente e sulla perdita di educazione che aveva inesorabilmente colpito la modernità, e proprio quando stava per tornare a cercare di spostare la cornice dorata dalla parete una voce familiare giunse inaspettatamente da un punto imprecisato alle sue spalle:
Ma che stai facendo?”
Dapprima pietrificato, Icaro ruotò di 180 gradi per rivolgersi alla parete opposta del corridoio, sgranando sgomento gli occhi scuri quando il suo sguardo indugiò sull’espressione a dir poco accigliata di Gisèle Delacroix, apparentemente apparsa dal nulla. Momentaneamente incapace di formulare un pensiero di senso compiuto Icaro tornò prima a guardare lo sfondo verdastro del dipinto vuoto e poi a rivolgersi alla compagna di Casa, indicando il quadro alle sue spalle mentre apriva e chiudeva la bocca cercando di ritrovare le parole.
“Non c’è… Non c’è una dannata stanza segreta?!”, riuscì infine a boccheggiare interdetto l’italiano continuando ad indicare il dipinto alle sue spalle, sgranando gli occhi con ulteriore sgomento quando vide la francese esibirsi in una stretta di spalle prima di indicare a sua volta la parete vuota dietro di lei:
“Sì, è qui dietro.”
In poche parole Gisèle se n’era stata ad aspettare comoda comoda e, non vedendolo arrivare, invece di dare un segno di vita era rimasta ad ascoltare la sua lite furibonda con una sgradevole scheda morta poco dopo la Rivoluzione francese?
E ti scocciava farmelo sapere?!”
“Onestamente pensavo che la conoscessi… poi ti ho sentito interloquire con Harriette e ho capito, ma mi dispiaceva impedirvi di afre amicizia.”  Le labbra carnose di Gisèle si distesero per dar forma ad un sorriso dall’aria docile, e la strega guardò il compagno sbattendo amabilmente le ciglia mentre quello, sbuffando cupo, si allontanava dal dipinto di cui non avrebbe voluto sapere nulla per un bel po’ dirigendosi con un paio di lunghe falcate verso la parete opposta:
Piuttosto farei amicizia con una pianta succulenta.”
“Sì, è proprio una stronza. Tu entra pure, io aspetto Milad e Nerea… Non vorrei che si mettessero a litigare con quel povero bambino con il modellino dell’aeroplano ritratto in fondo al corridoio.” Il sorriso sul volto di Gisèle non vacillò mentre la strega spingeva lievemente un pannello inserito nella parete, aprendolo come l’anta di una porta senza fare il minimo rumore. Icaro voleva sbrigare la faccenda al più presto e la precedette inoltrandosi all’interno della stanza misteriosa, ma non prima di averle scoccato un’ultima occhiata profondamente infastidita:
“Non sei simpatica, sai?”


“Quindi, Gisèle… Vieni spesso qui?”
Milad aveva preso posto tra Icaro e il bracciolo del divano a tre posti color ocra addossato alla parete, esattamente alla base di un enorme specchio che rifletteva la piccola saletta quadrata dalle pareti azzurro chiaro in cui si erano riuniti nella sua interezza. Nel parlare, mentre Gisèle gli dava le spalle tracciando con un pennarello blu delle linee verticali per formare delle colonne su una lavagna magnetica bianca spuntata da chissà dove, lo sguardo del belga indugiò brevemente su Icaro, che da dietro il cuscino su cui si era seduto aveva appena sfilato una foto di Guillaume bucherellata in più punti, come se fosse stata usata come bersaglio lanciando delle freccette, e gliela stava mostrando con un sopracciglio che sfiorava l’attaccatura dei folti capelli scuri.
Finito di creare tre colonne Gisèle richiuse il pennarello premendo il tappo sulla punta e fissò brevemente la superficie lucida della lavagna aggrottando la fronte, prendendosi qualche breve istante di riflessione mentre Icaro, per nulla intenzionato a fare la stessa fine della foto, la faceva prontamente sparire nella fessura tra lo schienale del divano e la parete dietro di lui.
“Mah, ogni tanto. Quando mi stufo dell’umanità…”
“Gisèle, sei sicura di non volere un frollino?”, domandò Nerea prendendo un biscottino dal mucchio che era andata a raccogliere in cucina per sé e per i compagni mentre sedeva tra Icaro e il bracciolo del divano
“Sì.”, assicurò la francese con un tono che non era sicuro affatto nel voltarsi verso i tre compagni e gettare uno sguardo malinconico al piattino di biscotti che Nerea si teneva le sue ginocchia, guardandola mangiucchiarne uno e venendo ben presto imitata sia da Icaro che da Milad. Fortunatamente l’indomani avrebbe potuto mettere in pausa la sua dieta e mangiarsi montagne di carboidrati, si disse la francese tirando un sospiro interiore prima di ordinarsi di tornare seria e indicare la lavagna con il pennarello con un gesto perentorio:
“Allora, vi ho chiesto di vederci per parlare di questa gigantesca cazzata che siamo costretti a fare. Non ne ho alcuna voglia, ma ancor meno ho voglia di perderci troppo tempo, pertanto sono giunta alla conclusione che facendo le cose per bene finiremo col guadagnarci tutti sbrigandocela in fretta.”
“Perché le tre colonne?” Rincuorato e in piccola parte divertito dall’efficienza di Gisèle Milad si spolverò le briciole dalle mani prima di posare i gomiti sulle ginocchia e intrecciare le dita olivastre tra loro, sporgendosi leggermente in avanti per poter scrutare meglio la lavagna mentre la compagna di Casa prendeva un secondo pennarello dal tappo scarlatto dal tavolino di legno circolare a tre gambe che aveva vicino, usandolo per scarabocchiare sbrigativamente qualche parola in cima ad ogni colonna.
“La prima è per quelli che scartiamo, la seconda per i forse. La terza per i forse molto probabili.”
Forse molto probabili è troppo lungo, chiamala “Forse forse”.”, suggerì Nerea indicando la lavagna con un biscotto a forma di cuore, salvo venir smentita da Icaro nell’istante successivo:
Forse forse non mi piace, perché non “Molto forse”?”
“Non mi suona granché corretto.”
“Perché “Forse forse” è corretto?”
Vedendo che Nerea stava per replicare Milad si alzò in piedi optando per una soluzione che accoglieva molto di rado: s’intromise in un discorso altrui, anche se per una buona causa comune, ovvero non perdere tempo.
“Chiamale “No”, “Forse” e “Forse sì”. Prendo il libro per dare un’occhiata, anche se non voglio includere gente solo per il cognome che ha ereditato.” Dopo aver rivolto un lieve quanto sbrigativo cenno a Gisèle il belga si allontanò brevemente dal divano per giungere in prossimità del tavolino che si trovava accanto alla lavagna, raccogliendo il registro che la francese aveva portato con sé per aprirlo e sfogliarlo mentre tornava al suo posto, guadagnandosi un’occhiata colma di pacata gratitudine da parte della strega:
“Grazie Milad. Ci vorrebbe una lista completa degli studenti del VI anno, a dire la verità… magari con qualche informazione aggiuntiva su ciascuno, che non farebbe male.”
“E dove la troviamo questa lista per farci gli affari altrui?”
“Nell’ufficio della Preside, ovviamente.” Icaro si allungò verso Nerea per prendere un biscotto dal piattino con una noncurante stretta di spalle e tono d’ovvietà, addentando con placida calma il dolcetto mentre la compagna lo guardava inarcando scettica un sopracciglio:
“Grazie Archimede, e come ci arriviamo all’ufficio della Preside? Bussiamo alla porta e le chiediamo di prestarci le sue cose?”
“Qualcuno dei vostri genitori la conosce, magari? Se c’è qualche famiglia con degli agganci tra maghi, qui dentro, sono di certo le vostre.”
Milad, il libro ancora aperto sulle ginocchia, sollevò la testa per gettare un’occhiata sui volti di ciascuno dei compagni, gli occhi scuri che rimbalzavano da un’espressione pensosa all’altra finchè Nerea, come colta da un’illuminazione improvvisa, non sgranò gli occhi verdi guardando Gisèle.
Quella sembrò capire quale pensiero avesse appena colto l’amica, ma anziché esultare le labbra della francese si tesero all’ingiù in una smorfia: avrebbe proprio dovuto telefonare a casa.
 
Al termine di un’ora di discussione collettiva e dopo aver scattato numerosissime foto alle pagine del vecchio e pesante libro Gisèle aveva affidato il registro a Milad, chiedendogli di rimetterlo nel punto da cui lei stessa l’aveva prelevato qualche giorno prima senza che il cugino se ne accorgesse. Prima di uscire tutti insieme dalla stanza il belga aveva visto la francese indugiare, china su un tavolino e intenta a strofinare con veemenza una gomma da cancellare su una delle pagine adibite agli alberi genealogici delle famiglie che storicamente contavano più membri all’interno della Brigade. Dopo essersi avvicinato incuriosito insieme ad Icaro, mentre Nerea spingeva di appena un paio di centimetri il pannello che collegava la stanza con il corridoio per accertarsi che fosse deserto, Milad aveva faticosamente trattenuto uno scrocio di risate. Icaro invece, dopo aver gettato un’occhiata perplessa alla francese e ai ricci capelli castani che le erano scivolati davanti al viso sfiorando le spesse pagine di pergamena e le sottili linee che componevano l’albero genealogico, aveva parlato inarcando scettico un sopracciglio:
“Gisèle, questo libro è incantato. Pensi che una normalissima gomma da cancellare sia più forte della magia e del DNA?”
Dopo aver cercato di invano di cancellare quell’odiosa linea vermiglia che testimoniava la sua parentela con Guillaume Gisèle, costretta ad arrendersi, sollevò la testa, ricambiando brevemente lo sguardo dell’italiano con cipiglio torvo prima di chiudere il libro con un tonfo sordo e depositarlo senza tante cerimonie tra le braccia di Milad:
“Ci sono giorni in cui spererei che lo fosse.”


 
divisore

 
Cosa non si era disposte a fare per le proprie amiche, si ritrovò a riflettere Daphné mentre si stringeva nel suo elegante cappottino bianco, la sciarpa di cashmere rosa ben annodata al collo e le mani fasciate da guanti del medesimo colore sprofondate nelle tasche. Lei e Lucinda stavano assai coraggiosamente sfidando il freddo e la progressiva carenza di luce stando sedute sugli spalti dello stadio, la seconda visibilmente compiaciuta all’idea di avere per sé tutto lo spazio che voleva mentre se ne stava seduta con le gambe esili distese davanti a sé, le graziose caviglie sottili incrociate e appoggiate sullo schienale del sedile di fronte al suo.
“Hai freddo Daph? Ho portato questo, tienilo… Non voglio mica che ti ammali.”
Dal suo vivace zainetto lilla ricco di spillette colorate che raffiguravano i loghi di squadre di Quidditch e gruppi musicali Lucinda tirò fuori un barattolo di vetro che racchiudeva delle fiammelle blu, cedendolo all’amica con un sorriso affettuoso prima di recuperare anche una confezione quasi del tutto piena di Gelatine Tutti i Gusti + 1. Lucinda aprì la confezione bianca e rossa mentre Daphné stringeva grata il barattolo scaldato dall’incantesimo, abbracciandolo quasi come se si fosse trattato di una stufetta portatile.
Una stufetta portatile? Daphné sgranò meravigliata gli occhi verdi senza degnare di uno sguardo i loro compagni di scuola, tutti in divisa lilla, che sfrecciavano davanti a loro passandosi la Pluffa, rincorrendo un Boccino che brillava nella semioscurità o cercando di indirizzare un Bolide impazzito. Quello sì che sarebbe stato un meraviglioso e più che propizio regalo di Natale! Un sorriso trasognato incurvò le labbra sottili della giovane strega mentre pensava alla stufetta portatile rosa dei suoi sogni, colei che l’avrebbe scaldata anche negli attimi più freddi e tenebrosi.
“Grazie Luli. Non sarebbe meraviglioso avere una stufetta da portarci mentre spiamo l’allenamento del ragazzo che ti piace?”, domandò con un sospiro agognante la francese mentre Lucinda, una gelatina al burro aromatizzato alle erbe tra i denti, le porgeva la confezione senza distogliere lo sguardo dal campo neanche per un istante:
Noi non spiamo, noi assistiamo. E comunque non dire così, messa in questo modo sembra che io sia una di quelle cretine che si interesse allo sport solo quando vede un tizio carino con la divisa, a me è sempre piaciuto il Quidditch e sempre piacerà. Vuoi una? Ok ma andiamo, ha mancato l’anello di tre metri, non possiamo mica perdere anche la prossima partita!” Visibilmente innervosita Lucinda si animò levando i piedi dallo schienale del sedile e sporgendosi in avanti verso il campo, i brillanti occhi chiari ridotte a due fessure per studiare meglio l’andamento dell’allenamento mentre Daphnè, accanto a lei, studiava con estrema attenzione la valanga di gelatine colorate – potenzialmente deliziose quanto terribili al gusto – cercando di individuare un colore che difficilmente avrebbe potuto trarla in inganno. L’anno prima aveva fatto il madornale errore di accettare la sfida di assaggiarne una grigia per avere l’ultima fetta di tarte tatin a cena, contesa tra lei e tutti i suoi fratelli maggiori, e aveva finito col tossire per cinque minuti buoni sentendosi la gola piena di fumo acre.
“Però non c’è molta luce… Io lancerei così male che potrei colpire qualcuno.” Alla fine la francese optò per una gelatina di una calda sfumatura aranciata che faceva ben sperare, estraendola dalla confezione per studiarla in muta preghiera mentre l’amica, accanto a lei, si stringeva debolmente nelle spalle liquidando il discorso con una mano:
“Pf, ho visto partite di mio fratello giocate con meno luce di così. E con la pioggia.”
“Tuo fratello è un fenomeno, non so quanto regga come confronto… Comunque non riesco ad immaginare niente di più terribile, a parte forse suonare Wagner su un piede solo.”
“Perché mai dovresti suonarlo su un piede solo?! Vedi, quello era un bel lancio.”, asserì Lucinda indicando Dante con un sorriso soddisfatto, risentita solamente verso l’ora tarda a cui si stava svolgendo l’allenamento e che di certo aveva impedito al compagno di Casa di vedere lei e Daphné sedute sugli spalti. Se non altro, rifletté per consolarsi mentre accanto a lei Daphné sospirava laconica dicendo qualcosa a proposito di un incubo ricorrente che le dava il tormento, avrebbe potuto andare a salutarlo più tardi, fuori dal campo. Dopodiché si sfilò dallo zaino un sacchetto di carta pieno di popcorn al burro ancora gradevolmente tiepidi al tatto: quanto adorava gli Elfi Domestici.
Daphné al contrario addentò la gelatina, masticandola brevemente prima di tirare un sospiro di sollievo: caramello salato. Ingollò la seconda metà decidendo di poter azzardare e fare un secondo tentativo e riprese la confezione per scrutare le caramelle dopo aver gettato una rapida occhiata pensosa al viso concentrato dell’amica, che stava studiando l’allenamento con visibile interesse, prima di dar voce ai propri pensiero con tono vago:
“Comunque quando ti piace un ragazzo è abbastanza raro che ti interessi per più di qualche settimana di fila… Allora ti piace parecchio.”
Anziché rispondere immediatamente Lucinda si prese qualche breve istante per riflettere sulle sue parole chinando il capo sul sacchetto di popcorn che teneva sulle ginocchia, scrutando accigliata i chicchi di mais scoppiati prima di scuotere debolmente il capo scrollando piano i corti capelli scuri che le incorniciavano il viso grazioso: una parte di sé era perfettamente consapevole che Daphné aveva ragione, ma la verità era che non lo sapeva nemmeno lei. Considerando poi che non lo conosceva nemmeno così bene, quel ragazzo, la cosa la lasciava perplessa e per certi versi intimorita al tempo stesso.
“Non lo so.”

 
divisore

 
Dante stava facendo ritorno dall’allenamento di Quidditch quando, diretto verso il castello insieme a Daphné e a Lucinda dopo essersi imbattuto nelle due compagne fuori dal campo (la prima tremando dal freddo e agognando visibilmente una tazza di tè bollente, la seconda accogliendolo con un sorriso) aveva scorto Phoenix seduto sotto un albero, apparentemente deciso a sfidare il freddo mentre fumava una sigaretta.
“Ah, io non lo farei.”, aveva decretato Lucinda scuotendo la testa, smuovendo i corti ciuffi di lisci capelli corvini rimasti scoperti dal berretto a trecce di lana lilla, quando seguendo la direzione dello sguardo del compagno aveva intuito la natura del suoi pensieri. “Non ama che lo si disturbi. Dico davvero.”
Nonostante Daphné avesse avallato la tesi dell’amica annuendo e assicurando a Dante che di norma ci si doveva tenere alla larga da Phoenix Anastasakis se lo si vedeva impegnato a leggere per i fatti propri – salvo che il tuo nome fosse Icaro o Diego – il ragazzo chiese alle due compagne di precederlo fino al castello, abbandonando il sentiero di ghiaia per dirigersi, la scopa sottobraccio e lo zaino nero con il cambio sulle spalle, verso il faggio sotto al quale Phoenix si era sistemato.
L’Ombrelune naturalmente lo vide arrivare, e lo osservò fino a quando non gli fu ad un paio di metri di distanza, rivolgendogli un sorriso molle mentre teneva la sigaretta accesa tra le dita della mano sinistra, un libro aperto sulle gambe lunghe distese fasciate da jeans neri ormai leggermente sbiaditi.
“Ciao. Ti allenavi per la prossima sconfitta?”
“Sei davvero simpatico come dicono in giro.”  Dante si lasciò scivolare lo zaino dalle spalle per farlo cadere con un lieve tonfo sul prato ghiacciato e umido, ben presto seguito dal suo manico di scopa. Sedette accanto al compagno senza preoccuparsi di chiedergli se fosse d’accordo o meno, scrutando le serre che si ergevano in lontananza raccogliendo le gambe verso il petto e puntellandosi i gomiti sulle ginocchia mentre Nick si stringeva nelle spalle:
“Ci tengo a tenere fede alla mia reputazione. Vuoi una?”
Quando il greco agitò debolmente la sigaretta che teneva in mano Dante annuì, lasciando che gliene passasse una insieme ad un accendino nero che gli restituì poco dopo, non appena l’ebbe usato per accendersi la sigaretta. Per qualche istante nessuno dei due parlò, finchè Dante non disse qualcosa esalando il fumo della sigaretta e strappando distrattamente qualche sottile filo d’erba con la mano libera:
“Le ragazze mi hanno detto che sei famoso per essere inavvicinabile.”
“Meglio così. Preferisco avere solo un paio di amici piuttosto che essere circondato de deficienti.”
“Non è male come filosofia di vita. Con me non sei mai stato esageratamente stronzo, però.”
Dante smise di scrutare la vasta area della tenuta della scuola che si estendeva davanti a loro per voltarsi e gettare un’occhiata in direzione del compagno, che non ricambiò e anzi si strinse nelle spalle non noncuranza mentre si fingeva interessato ad un segno di matita sul bordo della pagina dei Racconti dell’età del jazz(2):
“Non so, ti eri appena trasferito, non conoscevi nessuno. Forse in fondo ho il cuore tenero. Forse passo troppo tempo con Diego.”
“Forse non sei così male come pensano.”, osservò Dante ruotando la testa per gettare solo una rapida occhiata in direzione del compagno, guardandolo esitare e aggrottare leggermente le sopracciglia mentre fissava pensoso la sigaretta accesa che teneva tra le dita. Lo vide annuire, ma tornò a fissare il tetto a cupola dell’enorme serra della tenuta prima di poter udire nuovamente la voce del greco:
“Già, forse. Allora, come ti va la vita a Beauxbatons?”
“Potrebbe andare peggio, credo.” Dante espirò il fumo della sigaretta sollevando leggermente il mento appuntito, scrutando distrattamente il cielo carico di sfumature rosa e arancioni che si mischiavano insieme. Gli tornarono in mente, come ancora spesso avveniva, stralci di ricordi confusi risalenti all’anno prima, e provò – in parte inconsapevolmente – un gran moto di sollievo nel potersi crogiolare nella convinzione che non avrebbe mai più messo piede a Mahoutokoro, e che difficilmente avrebbe rivisto a breve le persone che per mesi avevano dato il tormento a lui e a suo fratello. Prima tra tutti gli tornò sgradevolmente alla memoria sua nonna, e all’improvviso si convinse di aver appena trascorso forse uno dei migliori compleanni della sua vita, pur non avendolo festeggiato affatto, senza doversi più preoccupare di lei.
“L’altro ieri era il mio compleanno.” Tale rivelazione giunse inaspettatamente per Nick tanto quanto per Dante, che aveva pronunciato una precisa successione di parole che qualche giorno prima aveva fermamente deciso di non confidare a nessuno, lì a scuola. Non che pensasse che a qualcuno potesse importare del suo compleanno, ma la sua voglia di festeggiare anche solo in minima parte quell’anno era ai minimi storici.
“Davvero? Perché non lo sapevo?”, domandò Phoenix d’istinto dopo una breve esitazione, sentendosi sorpreso da quella rivelazione inaspettata mentre guardava Dante prendere un altro tiro dalla sigaretta dandogli le spalle. Eppure, finì col dirsi l’Ombrelune, non avrebbe nemmeno dovuto provare stupore: nascondere il suo compleanno in modo che passasse inosservato era esattamente ciò che aveva intenzione di fare a sua volta.
“Ho fatto giurare Nerea di non dirlo a nessuno, ecco perché… non è stato facile, ho dovuto ricattarla usando una delle sue piantine grasse, ma ha funzionato.” Questa volta un sorriso increspò le labbra di Dante, un sorriso sincero che da mesi a quella parte era raro scorgergli in viso. A Phoenix quel privilegio venne negato non essendo l’amico rivolto direttamente verso di lui, e il greco si limitò a fissargli pensoso la nuca coperta dai lisci e lucenti capelli corvini prima di annuire:
“Il mio compleanno è tra un mese. Ma non è poi questa gran cosa, in effetti.” Icaro e Diego lo sapevano, naturalmente. E naturalmente avrebbero ignorato le sue richieste di far finta di nulla, tanto che Phoenix si disse con un sospiro di doversi iniziare a preparare psicologicamente con almeno una settimana di anticipo. Dante, nel frattempo, annuì mentre si rigirava fissandola la sigaretta ormai parzialmente consumata tra le dita:
“Quando ero piccolo quasi lo detestavo, il mio compleanno. Avendo gli occhi di tutti puntati addosso si presupponeva che il mio comportamento dovesse essere ancora più impeccabile.”
“Hai una famiglia rompicoglioni?” La domanda di Nick giunse talmente candida e a bruciapelo da strappargli un sorriso, e Dante annuì mentre con una parziale rotazione del busto tornava a posare lo sguardo sul viso pallido e sui brillanti occhi cerulei del compagno:
“Metà della mia famiglia è cinese e piuttosto tradizionalista. Quindi sì, per usare un eufemismo. Mia nonna è stata il mio incubo per anni.”
“Mia nonna mi rompe le palle perché sono troppo magro, secondo lei, e perché mi comporto da deficiente. Immagino che non sia la stessa cosa.”
“No. Decisamente no. Penso che potrei benissimo non rivederla mai più ed esserne solo profondamente grato e felice.”
Dante parlò con un sorriso, certo che senza quella parte della sua famiglia la qualità della sua vita non ne avrebbe certo risentito. Si rese conto di aver inavvertitamente disteso le labbra solo dopo qualche istante, e si affrettò a farsi sparire quella smorfia dal viso nonostante nessuno potesse scorgerla.
 

 
divisore
 

Cesare, ma tu lo sapevi che Atena ha un fidanzato?!”
Tenendosi il telefono accostato all’orecchio destro Icaro parlò senza smettere di percorrere con ampie falcate la lunghezza della Salle Comune, un costosissimo pigiama blu notte addosso e i capelli scuri celati alla vista dall’asciugamano nero nel quale li aveva avvolti: aveva deciso di chiamare il fratello maggiore mentre teneva in posa la maschera ai frutti tropicali, ma era stato costretto a lasciare la sua camera per parlare con Cesare a causa della pessima linea.
Gisèle, seduta su un divano accanto a Milad, dopo aver gettato un’occhiata in direzione del compagno di Casa sbloccò il telefono e gli scattò con discrezione una foto prima di riporlo e tornare a concentrarsi come se nulla fosse sul computer che teneva aperto sulle ginocchia, soddisfatta. Nel frattempo Icaro, ascoltata la risposta di Cesare, fece dietrofront per rifare da capo tutto il tragitto gesticolando nonostante il fratello non potesse vederlo:
“No che non lo sapevo, te lo sto dicendo ora! No, non so bene chi sia, so solo il nome. Sì, devo indagare. Ma non è illegale avere il fidanzato a 13 anni?!”
“Cosa pensi si stiano dicendo?”
Milad non parlava più di un paio di parole d’italiano e non aveva idea di quale fosse l’argomento dell’accesa telefonata che vedeva coinvolto Icaro: benchè fosse una persona estremamente riservata e per niente incline al gossip e a farsi gli affari altrui dovette ammettere a se stesso di essere un tantino curioso mentre parlava rivolgendosi a Gisèle senza alzare lo sguardo dal libro che teneva in mano, limitandosi a girare pagina mentre la compagna evidenziava e sottolineava gli appunti presi a lezione e ricopiati sul pc.
“Presumo qualcosa a riguardo della sorella. Siamo quasi a metà novembre, a breve impazziranno tutti per il ballo, non c’è da stupirsi.” La strega rispose con una scrollata di spalle e senza distogliere a sua volta lo sguardo dallo schermo luminoso, rileggendo accigliata ciò che aveva trascritto quella stessa mattina in Biblioteca attraverso le lenti degli occhiali da lettura rosa cipria. Le sue parole risvegliarono in Milad dei ricordi dolorosi che fino a quel momento erano rimasti dormienti, forse per rifiuto, e il belga sgranò inorridito i profondi occhi scuri prima di gemere sommessamente e passarsi una mano tra i capelli:
“Dio, il ballo…”
Milad si lasciò sprofondare un poco in mezzo ai soffici cuscini del divano azzurro, desiderando di sparire mentre si copriva il volto con il romanzo di Proust che stava leggeva: se c’era una cosa che mal sopportava legata alla sua vita scolastica era proprio il ballo che tutti gli anni si ostinavano ad organizzare prima di Natale. Gisèle, a sua volta ferrea detrattrice del Ballo da quando era costretta a prendervi parte, si strinse nelle spalle e parlò senza battere ciglio, correggendo un errore di ortografia:
“Io sto progettando di darmi malata, se vuoi unirti.”
“Gisèle, tu sai ballare. Vorrei solo che si potesse tornare a casa dalle vacanze prima di quel dannato ballo…” Milad sospirò mentre si toglieva il libro aperto dal viso per adagiarselo sul petto, studiando affranto il soffitto blu notte della Salle Comune, decorato con le costellazioni che ormai conosceva a memoria grazie ad anni di lezioni di astronomia.
“Ballare per me è il problema minore. Anche se quello, per me, lo si può chiamare così a malapena... Mia madre va matta per questo genere di cose, vuole che ci vada.”
La cosa peggiore, per Gisèle, era l’impossibilità di mentire a sua madre assicurandole di andare al ballo per poi darsela a gambe a causa della sgradita presenza di suo cugino, che di certo non avrebbe esitato a tradirla solo per la gioia di assicurarle una ramanzina e qualche manfrina a proposito di quanto deludente fosse la sua condotta.
“Anche la mia, dice che ci devo andare perché è l’ultimo anno!” Di norma evitare coscientemente di accontentare sua madre non rientrava tra le intenzioni di Milad, che al contrario avrebbe fatto pressochè qualsiasi cosa per renderla felice e orgogliosa di lui, ma in quella precisa situazione era quasi tentato di fare qualcosa che di norma ripudiava: mentire, o inventare delle scuse. Non aveva nemmeno idea di come dovesse andarci vestito, al ballo, quel che era certo era che dubitava fortemente  di potersi presentare in tuta, ma si astenne dal condividere i suoi dubbi con Gisèle, cresciuta in un ambiente ricco di eventi da cravatta nera, per paura di fare la figura del deficiente. Che era esattamente ciò che lo spingeva a voler fuggire il più lontano possibile dalla serata.
“La mia speranza è che nessuno mi inviti, così avrò la scusa per-fetta per starmene in camera mia. Di sicuro mia madre non vorrebbe che si veda sua figlia senza accompagnatore, sarebbe uno smacco, quindi se nessuno mi invitasse forse persino lei mi darebbe il benestare per fingermi emigrata su Marte.” Gisèle si mise più comoda contro lo schienale del divano – alle loro spalle Icaro stava ancora parlando al telefono con il fratello maggiore, presi da un’accesa discussione su come liberarsi del cognato indesiderato senza destare sospetti sul loro conto – gongolando con un sorrisetto compiaciuto sulle labbra, soddisfattissima della sua trovata-anti-ballo. Milad invece, poco convinto, la guardò inarcando scettico un sopracciglio:
“E se qualcuno ti invita?”
“Fuggo alla velocità della luce, o mi auto-trasfiguro in una cassetta postale. Correre tutti i giorni darà i suoi frutti, no? Tu non vuoi andare perché non sapresti con chi andarci?”
“Quello e tanti altri motivi.”, borbottò cupo Milad tornando a puntare lo sguardo dritto davanti a sé, sulle fiamme che ardevano scoppiettando allegre nel caminetto di marmo bianco, separato dal divano dove sedevano da un’elegante griglia parascintille di metallo e dall’ottomana blu sulla quale Gisèle aveva sistemato i piedi incrociando le caviglie sottili.
“Beh, se proprio ti serve una ragazza te la troviamo. Con tutti i lombrichi che trovano della accompagnatrici vuoi non riuscirci tu? Anche se credevo che avessi la ragazza, a casa, e che non volessi venirci per questo.”
“Chi te l’ha detto?!”  Milad si voltò verso di lei con un movimento talmente fulmineo del capo che Gisèle si chiese interdetta come fosse riuscito a non farsi male al collo, pentendosi di aver parlato non appena scorse l’espressione serissima e quasi seccata sul volto del compagno:
“Forse Antoine. Ma non dirglielo, gli dev’essere scappato.”
“Non è la mia ragazza.”, bofonchiò il belga tornando a sprofondare nel divano, imbarazzato – cercava sempre di tenere le sue questioni personali lontane dalle conversazioni – e maledicendo mentalmente Antoine e la sua parlantina mentre Gisèle, accanto a lui, tornava a concentrarsi sui suoi appunti scuotendo il capo, per nulla intenzionata ad infierire e a farsi gli affari suoi:
“Non è affar mio. Ma se decidi di andare non ti preoccupare, a tutto c’è rimedio. Sguinzaglieremo Nerea e ti troveremo un’accompagnatrice.”
Sempre senza guardarla e sempre imbarazzato Milad mormorò cupo un ringraziamento mentre Icaro, finito di discutere con il fratello, li raggiungeva andando a sedersi sulla poltroncina rimasta libera accanto al camino (qualcuno aveva avuto l’ardire di occupare il suo divano prediletto, aveva deciso di soprassedere su quella vergognosa mancanza di rispetto solo perché aveva passato gli ultimi minuti al telefono con Cesare) con un sospiro esausto:
“Ah, ragazzi, che serata impegnativa. Di che parlavate?”
“Niente, del ballo. Carina la tua mise.”  Gisèle gli rivolse un sorrisino che il ragazzo ignorò, troppo occupato a pensare al fidanzato della sorella ancora senza nome e senza volto:
Non m’importa se sei sarcastica, per avere capelli belli come i miei gli impacchi servono. E comunque non parlatemi del ballo, devo impedire a mia sorella di andarci!”
“Perché non vuoi che Clelia ci vada?”
“Non lei, Atena!”
“… Ma non è troppo piccola?”
“Ha un dannato fidanzato del quarto anno, quindi se la invita può andarci. Stupidi tizi del quarto anno. Noi eravamo molto meglio di loro alla loro età! … Nick, vieni qui, abbiamo una missione!”
Quando vide l’amico rientrare dal terrazzo dopo aver fumato una sigaretta Icaro si sbracciò in direzione di Phoenix per farsi notare e intimargli di raggiungere lui, Gisèle e Milad, cosa che in effetti il greco fece rimettendosi cartine e accendino nella tasca del chiodo nero. Quando su abbastanza vicino per scorgere per bene la mise di Icaro Nick si immobilizzò, scrutandolo attonito per un breve istante prima di scoppiare in una fragorosa e rara risata, tastandosi le tasche alla ricerca del telefono per immortalare il momento:
Ma che cazzo ti sei messo?! Aspetta, devo farti una foto per l’annuario…”
“Ci ho già pensato io, guarda.”  Gisèle sorrise mentre si sfilava il telefono dalla tasca dei pantaloni della tuta color panna per mostrare soddisfatta la sua opera d’arte a Phoenix, che si chinò sullo schienale del divano per ammirarla prima di scoppiare una seconda volta a ridere e chiederle di mandargliela. Gisèle obbedì mentre Icaro scrutava torvo la scena, aggiustandosi l’asciugamano con fare sostenuto prima di parlare sollevando stizzito il mento:
“Siete tutti invidiosi dei miei capelli. Tutto qui.”
“Non farmi ridere, i miei sono più belli dei tuoi.” 
All’udire una simile follia Icaro quasi si strozzò con la sua stessa saliva, guardando Gisèle continuare a dedicarsi non nonchalance ai suoi appunti, come se non avesse appena pronunciato un’eresia, con gli occhi scuri strabuzzati e le labbra dischiuse, incredulo e inorridito:
“Cosa hai detto?! Nick, domani mattina dovrai decretare chi tra me e Gisèle ha i capelli più belli.”
“Non ci penso nemmeno a perdere tempo con queste stronzate.” Dopo aver gettato una rapida occhiata alla foto dell’amico che Gisèle gli aveva appena inviato Nick girò sui tacchi e si allontanò in direzione del Dormitorio per mettere via la giacca e recuperare un libro, determinato a tenersi alla larga da questioni talmente stupide da non meritare lo spreco del suo tempo, ignorando Icaro quando lo sentì dargli dell’”amico inutile” mentre se ne andava.
“Milad?”
“Sinceramente non mi reputo un esperto, se non ve ne siete accorti i miei li tengo corti per non perderci tempo.”
Siete uno più inutile dell’altro. Voi e il fidanzato di mia sorella.”
“Ma se nemmeno sai chi è?”
“Lo so e basta.”





 
 
(1): L’11 novembre in Francia è festa nazionale per celebrare l’armistizio del 1918
(2): Raccolta di racconti di Francis Scott Fitzgerald del 1922

 
 
 
 
 
 
 
…………………………………………………………………………………………
Angolo Autrice:
Buonasera a tutte!
Mi spiace averci messo parecchio per aggiornare, ma nelle ultime settimane sono piena di OS da scrivere che stanno irrimediabilmente rallentando non poco la stesura dei capitoli💔
Spero di pubblicare un altro capitolo entro la fine dell’anno, in caso contrario ci risentiamo a gennaio.
A presto,
Signorina Granger  

 
   
 
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: Signorina Granger