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Autore: elyxyz    17/09/2009    15 recensioni
Breve raccolta sulle Origini del Mito, adattato ovviamente al telefilm.
* I STORIA: Little Bundle
Qualcosa doveva aver scatenato le ire delle Creature dell’Antica Religione, si andava sussurrando.
E forse era davvero così.
(...) Occhi dorati. Occhi dorati!
Gli occhi dorati portano sventura!
, ricordò vacillando, perché Hunith conosceva a memoria le superstizioni della sua gente.
Vincitrice della Sfida sul fandom Merlin “Il momento della verità” indetto da slayer87 – Collection of Starlight
* II STORIA: Arthur
Fu quel pensiero a fargli capire di averla persa per sempre.
Era la sua anima. Il suo cuore.
E lei non c’era più.
(...) Il re osservò il figlio che tanto aveva desiderato e che aveva ucciso sua madre.
Sua madre, che si era sacrificata per lui, perché vedesse la luce.
“Ha gli stessi capelli biondi di Ygraine,” constatò, sfiorando la testolina con le dita callose.
“E anche gli occhi, mio signore. Azzurri come laghi di montagna.”
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro Personaggio, Gaius, Merlino, Principe Artù, Uther
Note: What if?, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Lady Ygraine: The Queen of Camelot'
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Questo è il mio 250° capitolo caricato in EFP

Questo è il mio 250° capitolo caricato in EFP!!!

WOW! (lo so, me lo sto dicendo da sola >/////< ma è un traguardo di cui vado molto fiera. ^^)

 

 

Questa fic si aggancia ad alcuni fatti raccontati negli episodi 9 e 13; ma se ne discosta in parte, essendo una mia re-interpretazione personale degli eventi, la cui bozza è nata prima della visione delle suddette puntate, che l’hanno poi, ovviamente, influenzata.

La cosa curiosa è che io avevo dato per scontato che l’argomento fosse un must.

Ogni fandom ha i suoi, no? Argomenti ricorrenti su cui prima o poi tutti vogliono dare il proprio contributo.

Tipo: il momento della verità, quando Merlino confesserà ad Artù i suoi poteri, o comunque il principe li scoprirà e ci saranno le conseguenze... allo stesso modo, credevo che anche la nascita di Artù – che segna l’inizio della fine, e l’ira di Uther contro la magia – o la descrizione del patto con Nimueh, fossero argomenti tra i più quotati, e invece… ho trovato pochissime fic, anche spulciando fandom stranieri e fic tradotte.

A questo punto, non mi resta che augurarvi buona lettura, sperando che mi diciate se la mia versione dei fatti vi è parsa verosimile.

 

Dedicata a quanti hanno commentato il precedente capitolo: Ichigo_85, Yuki, Rinalamisteriosa, Tinebrella, Fosuke, Orchidea, Sariel e Antote.

E a quanti lo faranno.
Grazie.


 

 

Arthur

 

 

 

“Non parlare mai più di lei in questo modo!

Era la mia anima, il mio cuore. E tu me l’hai portata via!”

 

(Uther a Nimueh, # 1x09)

 

 

 

 

Re Uther passeggiava avanti e indietro, consumando il pavimento di pietra della sala delle udienze.

In quelle lunghe ore di sofferta attesa era stato inevitabile, per lui, rivivere con la mente e col cuore tutti gli avvenimenti di quei lunghi mesi.

 

Suo padre gli aveva sempre ripetuto che un re che non sa dare discendenza al suo casato lo porterà inevitabilmente alla rovina.

Lui stesso aveva visto con i propri occhi le guerre intestine per la successione al trono nei territori di confine: nobili cavalieri ridotti a belve senza scrupoli, pronti sbranarsi a vicenda.

 

Re Uther ricordava ancora, nitidamente, l’espressione delusa del proprio genitore sul letto di morte.

Non era riuscito a presentargli in tempo un nipote prima che spirasse, pur nella sua vecchiaia.

E non gliel’avrebbe mai perdonato, ne era certo.

 

 

Il Fato era stato magnanimo e avaro al contempo, con lui, si disse.

Gli aveva fatto incontrare la sua anima gemella, una donna che aveva sposato per amore e non per costrizione; cosa assai rara, a quei tempi.

Ma, per ironia della Sorte, quella stessa compagna che si era scelto aveva un ventre sterile, incapace di concepire quell’erede tanto necessario a perpetuare la dinastia dei Pendragon.

 

Uther rammentava le lune che si susseguivano, le primavere che sfiorivano e ritornavano.

Gli inutili tentativi e il dolore della sua consorte.

Non gliene aveva mai fatto una colpa. Amava troppo Ygraine.

Ma era lei stessa a sentirsi rea della propria incompletezza.  

 

Un’infinità di volte gli aveva suggerito di giacere con un’ancella, una dama o una serva.

Qualcuna che riuscisse a donargli quello che a lei era negato.

Ma Uther aveva sempre rifiutato.

Per quel suo senso di lealtà e quell’amore così forte che provava per la sua compagna.

 

Pur pensando costantemente ai suoi doveri di discendenza, egli era certo che vi fosse una soluzione.

In certi momenti, però, temeva di essere schiavo di un’assurda convinzione, reso cieco dall’amore.

Talvolta perdeva la speranza e meditava la possibilità di adottare qualche figlio di parenti lontani.

Alla fine, pur essendo un uomo pragmatico e agnostico – lui credeva nella forza del suo potere e nella sua abilità di uomo e condottiero – pur non essendo mai stato devoto a nessun culto, si era ritrovato a pregare con disperazione qualsivoglia divinità, ad invocarla affinché essa compisse il miracolo.

 

E quel giorno, dal nulla, era apparsa lei, Nimueh, arcana detentrice dei segreti dell’Antica Religione.

 

Ferma in quel medesimo posto in cui si trovava lui ora, aveva sorriso in modo magnetico ed enigmatico, calando sulle spalle il cappuccio che le celava gli occhi.

Era una donna straordinariamente bella e altrettanto pericolosa, Uther ne era conscio. Ma lui l’aveva evocata e lei aveva risposto al suo appello.

 

“Cosa desideri, re Pendragon?” aveva cinguettato, servizievole in modo inquietante.

 

“Un figlio. Un erede per la mia discendenza.”

 

Ed ella aveva annuito. “Un figlio maschio?”

 

“Oh!” Questo andava ben oltre le sue aspettative. “Sì, mia signora. Sarei pronto a pagare qualunque prezzo.”

 

Ella sorrise compiaciuta. “Così sia. Ma ti costerà molto caro.”

 

“I miei forzieri, le mie terre, tutto ciò che vuoi!”

 

Ma la strega – perché quello lei era, Uther ne era consapevole – rise, ripetendo tra sé: “Molto, molto caro.”

 

Poi era scomparsa nel nulla, d’incanto, com’era venuta.

E così, suo malgrado, aveva stipulato un patto con lei.

 

Già al plenilunio successivo il miracolo s’era compiuto. Ma lui lo seppe solo due lune dopo.

Ricordava con assoluta precisione il momento esatto in cui Ygraine era corsa lì dentro dopo aver parlato con Gaius, mentre lui riceveva un gruppo di delegati stranieri, e gli aveva stretto le mani con uno sguardo intraducibile a parole.

La regina era raggiante. Semplicemente raggiante.

 

Nel suo grembo v’era finalmente il seme dei Pendragon.

 

E lui l’aveva abbracciata, pur con i modi rudi dell’uomo d’arme che era, cercando di essere il più delicato possibile.

 

Nei giorni appena successivi, il re s’era aspettato che la strega tornasse da lui per pretendere il pagamento che le era dovuto, ma lei non arrivò.

 

E così si lasciò avvolgere da quel periodo di felicità, dimostrandosi sfacciatamente accondiscendente con la sua consorte, che tendeva già a viziare da che l’aveva conosciuta.

 

Anziché stancarla, quel bimbo dentro di lei le infondeva nuovo vigore e inesauribile energia ma, poiché Gaius – in qualità di medico di corte – le aveva vietato categoricamente di cavalcare e l’aveva dissuasa dal fare le lunghe passeggiate a cui era avvezza, a lei non era rimasto che oziare con interminabili ricami che avrebbero colmato un corredino già considerevole.

Tra una bavaglia infiorettata e una copertina da culla, presa dal sacro fuoco dell’alacrità, aveva messo mano perfino al cerimoniale di corte, perché – a suo dire – era ora di ammodernare anche le tende delle sale, gli arazzi polverosi, le divise dei servitori del castello.

 

Non che lui fosse particolarmente contento di queste variazioni, ma vederla così gioiosa e vivace dopo tanto penare era una cosa che gli allargava il cuore.

Ogni capriccio di Ygraine, diventava un ordine che lui non aveva saputo rifiutarle.

Ed era pura letizia stare con lei ogni istante concessogli, tra un Consiglio di Guerra e i suo doveri di Feudatario.

 

Uther ripensava spesso alle proprie mani di guerriero su quel ventre rotondo.

All’impertinenza del suo erede nel calciare quella mano.

Con gli occhi della mente si vedeva sorridere. Lui, Uther Pendragon, sorrideva come un pivello.

E gli occhi di lei brillavano, pieni d’amore e grati alla vita per quel miracolo insperato.

 

Non le aveva mai detto come ciò fosse stato possibile.

Aveva serbato il segreto per non turbarla, con l’assurda convinzione che quell’accordo con la strega – una volta conclusosi – sarebbe stato dimenticato per sempre.

 

Eppure, una sera a cena, la sua consorte gli aveva accennato di una donna affascinante che le era venuta incontro mentre riposava nel giardino d’inverno.

Non l’aveva mai vista al castello, gli disse, e ne era certa perché la sua bellezza non passava inosservata.

 

Il vino che il re stava bevendo divenne per lui fiele, mentre chiedeva alla regina cosa le avesse detto la dama sconosciuta.

 

“Sarà un maschio.” Aveva risposto Ygraine, citando le parole dell’estranea. “L’ha detto con una certezza che mi ha stupito. Ma, se fosse vero, ne sarei entusiasta, amor mio!

 

E lui aveva sorriso suo malgrado, fingendosi altrettanto compiaciuto.

Tuttavia, una volta rimasto solo, aveva chiamato la strega a lungo e a gran voce, ma lei non era ricomparsa.

Almeno non fino al mese successivo, quando aveva fatto nuovamente ritorno per colloquiare con la sovrana mentre ella era senza le sue dame.

Si era interessata del suo stato, l’aveva nuovamente blandita con quella lusinghiera profezia sulla virilità del nascituro e si era dileguata poco dopo.    

Quell’incontro si era ripetuto altre quattro volte, e Uther sapeva di non poterlo impedire, perché la maga si prendeva gioco di lui, ignorando i suoi richiami e presentandosi al castello a suo piacimento.

 

Malgrado questo inconveniente che gli opprimeva il cuore, il tempo scorreva e l’erede al trono scalpitava per nascere, e il re era felice e ansioso al tempo stesso.

 

Spesso origliava Ygraine, mentre ella – credendosi sola – parlava al suo pancione, accarezzandolo piano, con devozione, e cantava tenere nenie per calmare i movimenti del figlio che cresceva dentro di lei.

Lo avrebbe allevato viziandolo spudoratamente, Uther ne era certo, e sarebbe toccato a lui inculcargli un po’ di sana disciplina. Ma lo pensava sorridendo con indulgenza.

 

Poi, una sera verso l’ottavo mese, mentre sedeva nel suo studio privato intento a studiare una missiva importante, le luci delle candele ondeggiarono stranamente sul punto di spegnersi, senza che vi fosse alcun soffio di vento.

 

La strega – Nimueh, l’aveva chiamata sua moglie – era dinnanzi a lui, bella e letale come la ricordava.

 

Sei venuta a riscuotere il tuo compenso?” le chiese, scrutandola circospetto.

 

“Non è ancora tempo.” Rispose lei, sondandolo con sguardo penetrante.

 

“E allora dichiara cosa vuoi, strega, di modo che lo disponga!”

 

“Non sarò io a decidere il pagamento. E’ la legge della magia: per creare una vita serve una morte, così l’equilibrio del mondo sarà rispettato.

 

“La morte di chi?” ringhiò il re.

 

Lei scosse la testa, con diniego. “A nessuno è dato saperlo. Ma arriveranno i segni.” Profetizzò.

 

“Prendi uno dei miei sudditi, o fra i miei cavalieri!” la supplicò.

 

“Ottenere e perdere. Gioia e dolore. Serve uno scambio equivalente!” spiegò la maga. “E loro non sono niente per te, tu non pagheresti nulla in prima persona!”

 

“Tu non…”

 

“La magia dona, la magia toglie.” Affermò, poi scomparve. 

 

Fu in quell’esatto istante che tutti i tasselli del mosaico andarono a posto.

La verità lo colpì come un colpo di lancia in resta, lasciandolo stordito a boccheggiare sconvolto.

 

Uther corse subito da Gaius, fidato servitore e amico e gli svelò tutto, pregandolo di sopprimere quel bambino che sarebbe stato la loro rovina.

Non importava come. Solo la vita di Ygraine contava.

 

Ma era troppo tardi ormai, rispose il cerusico, troppo avanzato lo stato della gravidanza.

Uccidere il bimbo avrebbe significato ucciderne la madre.

Senza contare che la regina si sarebbe opposta, ne era certo.

 

E di fronte a quell’abominio inconcepibile Uther chinò il capo, sconfitto.

Pregava in cuor suo di essersi sbagliato.

E che il presagio di sventura non si sarebbe avverato.

 

Confessò ad Ygraine la verità quella sera stessa, ed ella reagì come aveva previsto il medico.

Ciò nondimeno le parole fiduciose di lei ebbero il potere di acquietarlo. Era giovane, era sana. Cos’avrebbe mai potuto colpirla?

Uther si lasciò convincere, si lasciò persuadere.

 

I giorni frattanto passavano inesorabili, il dì fatale s’avvicinava.

 

 

Quel Vespro era come gli altri, il declino di una giornata ordinaria.

Ma, quando una sentinella era giunta per informarlo che un essere mostruoso era stato avvistato poco oltre le mura esterne, lui seppe che quello era l’inizio della fine.

 

La Bestia Errante’, l’aveva definita Gaius, desumendone il nome dai racconti e dalle descrizioni delle vedette di guardia sui torrioni.

Però non aveva potuto spiegargli di più, perché la regina si era sentita male a causa delle improvvise doglie del parto e l’archiatra era corso ad assisterla.

 

 

Re Uther camminava ancora, ed era quasi l’alba.

Ma neppure quella fatica riusciva ad acquietarlo.

Ricordare non era servito che a distrarsi per qualche momento e nulla più.

 

Se tendeva l’orecchio, poteva udire il verso stridulo di quell’essere maligno e i bisbiglii delle dame del castello affaccendate per la loro sovrana.

 

Poco prima che il portone del salone fosse aperto, Nimueh gli fu accanto.

 

“Il Destino si è compiuto.” Dichiarò, senza infamia e senza lode.

 

“Tu mi hai tradito, io ti ho dato la mia fiducia!” l’aggredì lui, sguainando la spada in un gesto impulsivo e disperato.

 

La strega si schermò con estrema semplicità, facendo volare l’arma del re oltre il lungo scranno.

 

“Non addossarmi colpe non mie, Pendragon!” sibilò, perdendo la calma invidiabile. “Tu hai chiesto. Tu hai ottenuto! Eri disposto a pagarne il prezzo, ma esso non sarà deciso da te!

 

L’eco di un vagito fendette l’aria del castello, Uther sussultò impreparato.

 

“Vai!, vai a conoscere l’erede che tanto hai bramato.” Lo schernì, scomparendo ancora una volta.

 

Fu in quel mentre che una delle dame oltrepassò la soglia; tutta scarmigliata, compì un inchino frettoloso.

“Mio signore…” lo salutò, titubante. “Gaius vi chiama! E’ urgente, Sire.”

 

Uther non perse tempo a raccogliere la spada, né si rese conto che la Bestia Errante aveva smesso di strillare e si era eclissata.

Oltrepassando lo stipite, si diresse verso gli appartamenti reali.

La prima cosa che notò era il cupo silenzio che gravava su tutti, interrotto solo dai gemiti del neonato che veniva pulito e accudito da una levatrice.

Le serve stavano rassettando la stanza, mentre Gaius gli si appressava tetro.

 

Ignorando in parte la sua febbrile attesa, il medico si ripulì le mani insanguinate su uno straccio e scosse la testa, chinando il capo mestamente.

 

Il ruggito furioso che uscì dalle labbra del sovrano fece sussultare tutte le donne nella stanza, mentre percorreva la distanza che lo separava dal letto a baldacchino.

“Lasciateci soli!” ringhiò in un tono quasi disumano, mentre i servi lo abbandonavano alla privatezza del suo dolore.

 

Scostò i pesanti tendaggi e deglutì a vuoto quando vide il volto pallido della sua amata consorte tra le coltri ancora chiazzate di vermiglio.

Si chinò su di lei, accarezzandole i lunghi capelli biondi sfuggiti alla treccia. E poi la fronte sudata, e gli zigomi delicati.

Rimboccandole le coperte, quasi fosse stata una bambina, le si sdraiò di fianco, cullandola, baciandole una tempia con devozione.

Era ancora calda, e forse stava solo dormendo, si mentì.

Ma non percepiva il suo respiro oltre le labbra esangui e d’improvviso realizzò che non avrebbe più veduto quegli occhi azzurro cielo che tanto adorava.

Non avrebbero più brillato per lui, né con gioia né con malizia.

 

Fu quel pensiero a fargli capire di averla persa per sempre.

Era la sua anima. Il suo cuore.

E lei non c’era più.

 

Per questo ora percepiva solo un vuoto incolmabile dentro al costato, dov’era certo che, un tempo, albergasse l’amore.

 

Ma l’amore era una cosa frivola, che inevitabilmente portava alla delusione, al dolore.

 

Si maledisse quindi per aver fatto ricorso alla magia.

La magia era il male, si disse. Essa porta alla rovina, alla distruzione.

Chi la pratica è malvagio, perverso. Ricordò la bellezza sovrumana di Nimueh e il modo in cui si era fatta beffa di lui.

In quello stesso istante prese una decisione irrevocabile.

Giurò solennemente che avrebbe sradicato l’Antica Religione dal suo regno, e avrebbe ucciso ogni mago e strega che avesse incrociato nel suo cammino.

L’Epurazione avrebbe avuto inizio quella sera stessa, decretò risoluto.

 

Poi, depositando un casto bacio sulle labbra della compagna, ricompose le sue spoglie mortali e si diresse fuori dalla camera.

 

Nel salottino adiacente vi era rimasto solo Gaius col piccolo erede che avrebbe perpetuato la stirpe dei Pendragon.

 

Il fedele medico fece un leggero inchino col capo, porgendogli il bimbo, ma Uther rifiutò con un gesto spazientito, spezzato dal dolore e carico d’ira.

 

“E’ sano?” domandò, con tono quasi risentito.

 

“Sì, mio signore. E’ un maschio sanissimo.”

 

Maschio.” Ripeté, sputando quella parola come se fosse stato uno spregio crudele.

 

“Sire… se mi è concesso…” tentò l’archiatra, incerto su come proseguire. “So che avete la morte nel cuore, ma…”

 

“Cosa vuoi saperne, tu?!” l’aggredì, mettendo mano all’elsa per puro istinto, giacché la spada era ancora nel salone delle udienze.

 

“Vi assicuro che la regina si è spenta serenamente, dopo aver tenuto in braccio vostro figlio per qualche istante.”

 

A quelle parole il volto di Uther s’addolcì per un attimo. I lineamenti feroci si distesero, lasciando il solco delle pesanti rughe della sofferenza.

 

“Dammelo.” Gli ordinò laconico, allungando le braccia in un moto di stizza.

 

Gaius parve esitare, ma glielo consegnò.

 

Il re osservò il figlio che tanto aveva desiderato e che aveva ucciso sua madre.

Sua madre, che si era sacrificata per lui, perché vedesse la luce.

 

“Ha gli stessi capelli biondi di Ygraine,” constatò, sfiorando la testolina con le dita callose.

 

“E anche gli occhi, mio signore. Azzurri come laghi di montagna.”

 

Lo sguardo di Uther s’accese all’improvviso d’una antica tenerezza.

Gaius, avanti! Tu c’eri! Cos’ha…? Lei… ha…?”

 

“Prima di morire, la regina vi ha invocato, poi è spirata chiamando il nome del bambino.”

 

“Così sia.” Le spalle del re si piegarono rassegnate sotto un peso invisibile, mentre egli assentiva. “Proferiscilo.”

 

“La sua ultima parola è stata…”

 

Il neonato si destò in quell’istante, strillando a pieni polmoni.

 

“…Arthur.”

 

Fine



Disclaimers: I personaggi citati in questo racconto non sono miei; appartengono agli aventi diritto e, nel fruire di essi, non vi è alcuna forma di lucro, da parte mia.

 

In una delle centinaia di fic che ho letto, c’è un accenno al fatto che la veste da cerimonia dei servitori di Camelot (ricordate quell’assurdo cappello nel telefilm?) è probabilmente un capriccio di Ygraine, che Uther non aveva saputo rifiutarle.

Ecco, mi sembrava giusto chiarirlo, anche se non ricordo né in che fic fosse il riferimento né l’autore del racconto in questione.

Se qualcuno riconosce gli estremi dell’informazione e me li riporta, sarò felice che mettere i credits. ^^

 

Note varie: Un piccolo appunto personale XD

Artù è davvero nato ignorando le leggi della natura, grazie alla magia, non si spiegherebbe altrimenti la sua composizione genetica. Cioè... diciamocelo, è biondo con gli occhi azzurri.

Suo padre è brizzolato ma di tendenza castano scuro, con occhi verde-marroni.

L’unico modo per uscire così è che sua madre fosse bionda e con gli occhi azzurri, che notoriamente sono caratteri recessivi.

Il povero Mendel si sarebbe rigirato nella tomba, sia per la magia utilizzata (era un monaco, lui!) sia per i pasticci di genetica che si sono combinati, saltando bellamente i caratteri ereditari dominanti. ^______^

 

Ah, il riferimento allo “Scambio Equivalente” sull’avere e il perdere è frutto di anni di scorribande nel fandom di FMA ed è ormai un pensiero imprescindibile dal mio cervellino. XD

 

 

Uh! Lo confesso: mi sono rammollita. Era un pezzo che non scrivevo cosette così angst.

E per tirarmi su di morale, mi è uscita anche la versione comico/demenziale del finale.

La posterò in separata sede, giusto per non uccidere la dignità di questa fic. XD

Non so ancora se sarà all’interno della stessa raccolta o in un’altra a parte, perché anche del capitolo uno “Little Bundle” mi è uscita una versione comica.

Vi invito quindi a dare un’occhiata al primo capitolo di questa raccolta, se non l’avete fatto.

(E magari a lasciare un parere XD).

 

 

 

Un grazie alle 177 persone che mi hanno inserita tra i loro autori preferiti.

Ne sono onorata (_ _)

 

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Come sempre, sono graditi commenti, consigli e critiche.


Grazie (_ _)

elyxyz

 

   
 
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