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Autore: Pat9015    26/12/2023    1 recensioni
Quattro mesi dopo gli eventi raccontati in Life is Strange: Kairos, Max e Chloe sono tornate nella rinata Arcadia Bay e cercano di andare avanti con la loro vita, riprendendo finalmente una apparente normalità. Dal giorno del tribunale, ultima volta in cui aveva usato i suoi poteri, Max soffre continuamente di emicranie che le causano anche visioni e sbalzi d'umore, che peggiorano fino a un esito tremendo: sta morendo. Questa crisi sembra risolversi con l'arrivo di uno sconosciuto in città che pare conoscere molto bene le ragazze e il potere di Max e le persuade a seguirlo in una ultima, finale avventura: per salvare la vita di Max è necessario che lei ripari ai danni involontari che ha causato manipolando il tempo. Danni che sono molto più profondi e complessi di quello che sembra, che potrebbero cambiarla come donna o distruggerla definitivamente e cancellare la sua esistenza.
In un modo o nell'altro, tutto quello che era iniziato con una visione un anno prima dovrà finire.
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shoujo-ai | Personaggi: Chloe Price, Kate Marsh, Mark Jefferson, Max Caulfield, Nuovo personaggio
Note: Otherverse | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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Parte Seconda:

 

Shoganai

 

Capitolo 1
East Coast – West Coast

 

 

Era una bellissima mattina limpida di primavera.

Il cielo era di un azzurro pastello, senza nuvole, costellato solo da qualche uccello in volo e le scie lontane degli aerei, diretta verso chissà quale destinazione.

La pace del cielo ero disturbata dal rumore del traffico a terra. La giungla urbana, tra grattacieli moderni (altri meno), strade affollate, un patchwork di grigio del cemento e giallo dei taxi, intervallato da umane figure in movimento vestiti in abiti colorati e variopinti, con le vetrine dei negozi che cambiavano come potevano cambiare solo nelle città brulicanti di vita e lavoro.

Ma per lei era tutto normale. Rispetto alle prime settimane, quando dormire era un inferno e la sveglia era sempre un clacson e sempre troppo presto al mattino, ora poteva dirsi decisamente abituata a New York City.

Abituata ma non necessariamente innamorata. Diciamo che, al momento, le andava più che bene per la sua carriera in ascesa, grazie a molte più agenzie e offerte di lavoro che le arrivavano a pioggia.

Oh sì, i primi tempi furono duri, nonostante una encomiabile lettera di raccomandazioni e il più alto voto possibile ottenuto alla ‘School of modern Arts’ a Seattle.

Si rigirò nel letto giusto in tempo per udire il fischio intervallato della sveglia elettronica.

Bip bip bip bip

Fastidiosissimo e continuo, come un piccolo allarme antincendio. La odiava visceralmente ma doveva riconoscere che era efficace.

Era una sveglia pessima comprata nei suoi primi giorni newyorkesi, quando ancora abitava in un monolocale squallido al sesto piano di una palazzina malconcia di mattoni, da un piccolo negozietto dell’usato. Era piatta e grigia, con lo schermo nero. Eccetto qualche graffio e una lieve ammaccatura, era praticamente nuova. Peccato per un adesivo raffigurante una ranocchia che non le piaceva particolarmente ma non aveva voluto rimuovere per dare un minimo di colore a quella odiosissima sveglia grigia.

Si allungò malvolentieri e la cercò a tastoni e quando finalmente la sentì sotto le sue dita, la spense con un gesto secco della mano.

Mugugnò ma si alzò: quel giorno doveva essere libero ma le avevano comunque affibbiato una chiamata di lavoro urgente: avrebbe risposto, avrebbe fatto il suo e si sarebbe rimessa a dormire. Oppure avrebbe fatto una colazione allo Starbuck’s sotto casa, prima di tornare comunque a poltrire.

Facile, comodo e veloce.

Max Caulfield si mise a sedere sul letto, con la sua maglietta XXL bianca dei Giants, regalo involontario del suo ultimo ex ragazzo, una vecchia stella del football liceale, quarterback senza infamia e senza lode. Un cervello di gallina che aveva sopportato a malapena per un paio di mesi in cui, a ben vedere, ne avevano spesi insieme fisicamente a malapena uno.

Aveva dormito da lei forse quattro o al massimo cinque volte (non se lo ricordava) e se c’era qualcosa in cui era ancora più scarso che nel riuscire ad avere una conversazione normale, era indubbiamente il sesso. Se in due mesi è riuscita a ritenersi soddisfatta almeno una volta, forse era un vero miracolo.

Non pianse e non soffrì per la fine di quella relazione: innanzitutto perché lui l’aveva lasciata lo stesso giorno che lei stessa aveva deciso di piantarlo, quindi era un segno del destino, ma soprattutto perché non le aveva mai dato davvero un momento in cui credere in loro. Non aveva provato niente e non aveva nulla in comune con lui. Perciò, la domanda che si era fatta era semplice: perché gli ho detto di sì quando ci ha provato con me?

Ok, era bello e lei si sentiva fortunata ad avere attenzioni di un atleta su di sé, dato che era sempre stata la sfigata, l’emarginata, la solitaria Max Caulfield. Ma il vero motivo? Facendosi un esame onesto era solo uno: solitudine.

Aveva ceduto alla solitudine. Le sue due coinquiline erano sveglie, belle, in carriera. Una aveva una relazione fantastica dai tempi del collage, l’altra era in grado di cambiare partner ad ogni schiocco di dita. Benché avesse un bel rapporto con loro due dal giorno in cui accettò di viverci insieme, rispondendo a un annuncio trovato per caso, appeso a una bacheca di un bar, aveva subito legato. Lei, l’asociale e introversa Max Caulfield.

New York l’aveva trasformata.

Eppure, c’era sempre un buco nel suo petto, un affetto incolmabile. Aveva avuto quella relazione per la solitudine che provava. Ma aveva avuto anche una fugace storia con una ragazza un anno prima, Annabeth Lawrence.

Ancora le si stringeva il cuore a ricordare Annabeth.

Era una giovane barista del ‘Rockin’Box’, un locale che aveva frequentato a lungo durante i suoi inizi newyorkesi. Lei usava quel lavoro per pagarsi gli studi in arte: voleva diventare scultrice.

Era ancora così timida e chiusa…. Fu proprio ‘Beth’ a parlarle per prima, a offrirle uno shot di tequila per rompere il ghiaccio. Il problema è che non era ancora molto abituata all’alcol e la vista le se annebbiò subito. Tutto sommato fu una serata piacevole e rimase a parlare con lei anche oltre la chiusura. Una settimana dopo, Beth la invitò nel suo appartamento adibito anche a studio per mostrarle una sua creazione con la creta.

Due ore dopo stavano facendo sesso su un telo bianco, a terra, imbrattate di argilla, con le luci spente dell’appartamento e solo quelle di New York a illuminarle. Non era mai stata con una ragazza, era la prima volta. Eppure le sembrò così naturale, così bello, così vivo. Non che con i ragazzi non lo fosse stato ma è come se lei si sentisse ‘proprietà’ delle donne.

O forse solo di una.

Forse quella unica donna era Beth.

Per due mesi andò avanti così, baci rubati agli angoli bui, carezze delicate alla mano ogni volta che le porgeva un bicchiere al bancone, un sorriso strappato.

Le scattò tante foto, mentre lavorava alle sue sculture, mentre le preparava un drink, mentre nuda danzava in camera da letto…

Si stava innamorando a una velocità folle. Voleva perdersi in quei profondissimi occhi nocciola, in quella chioma corvina, il fisico asciutto.

Adorava come le parlava di Proust e di Kafka, mentre lei le illustrava e spiegava le opere di Annie Leibovitz e Salgado.

Poi, dopo i due idilliaci mesi, Beth non era più Beth ma era di nuovo Annabeth. Solo Annabeth Lawrence.

Aveva confessato di avere un ragazzo, attualmente nell’esercito e in missione da qualche parte che ora non ricordava. Le disse che non lo aveva mai tradito e che prima di lei non aveva nemmeno mai avuto una relazione con una ragazza, un paio di avventure al collage con delle amiche ma quelle non contavano, diceva, perché era ubriaca ed era un pigiama party alcolico tra adolescenti incuriosite…

Le aveva mentito: solo questo importava.

Il resto erano tutti piagnistei da bambina. Le aveva mentito.

Prese le poche cose che si era permessa di lasciare nell’appartamento di Annabeth Lawrence e se ne andò in silenzio, senza gridare, senza accusare.

Mormorò solo un sommesso ‘ Mi hai mentito ‘ e poi si richiuse la porta alle spalle.

Non rispose ai suoi messaggi e alle chiamate. Non andò per tre mesi al locale dove lavorava, anche se amava andare al ‘Rockin’ Box’ . Non volle saperne di uscire e a malapena lavorava. Le sue coinquiline provarono a interessarsi ma non si sentiva pronta a confessare tutto quello che aveva vissuto.

Solo due mesi ma così vivi, intensi.

Comprese poi che, forse, era un amore sincero, spontaneo, forte.

Ma che fosse per Annabeth? Tutto per lei?

Si sentiva come se, in vita sua, avesse già provato quell’amore ma che non fosse per Annabeth. Lei lo aveva risvegliato ma non ne era la vera padrona.

S’infilò le sue ciabatte rosa con un gattino disegnato sopra e sentì un leggero brivido di freddo alle gambe nude: dopotutto era pur sempre primavera, anche se le dieci del mattino.

Strisciò sbadigliando verso la porta della sua piccola stanza. Era quadrata, molto minimalista: il letto era contro l’angolo a destra, di fianco alla finestra che era opposta alla porta. Sotto la medesima, stava una cassettiera modesta e blu, con tre cassettoni, in cui riponeva varie cose, da oggetti a album fotografici dei suoi lavori. Sopra un piccolo mondo di souvenir sparsi, pochissima bigiotteria, il minimo indispensabile per il make – up.

Nella parete di sinistra, la sua scrivania, una piccola cassaforte dove sistemava i suoi strumenti di lavoro più costosi (aveva due obbiettivi che valevano più di tutto quello che possedeva e non era una esagerazione), varie cose depositate in attesa di una sistemazione, qualche cassetto colmo di oggetti anch’essi in cerca di una meta o di una fine, dal suo primo obbiettivo (terribile ma era economico) a un braccialetto di silicone che era luminescente ma aveva smesso di brillare al buio già nel 2016.

Ultima parte di mobilio, un piccolo armadio in cui appendeva i suoi pochi vestiti e cappotti per l’inverno (rigido a tratti, ma lei era cresciuta tra Oregon e lo stato di Washington, aveva la pelle dura) e qualche ricordo da Seattle.

Sotto aveva un box con delle lenzuola di riserva e qualche altra cianfrusaglia da donna di casa.

Le pareti erano di un colore indefinito e scuro: avrebbe scommesso prugna ma non ne era certa. L’aveva trovata già così e non si era mai data pena di ritinteggiarla: a lei serviva il buio.

Scivolò fuori dalla stanza e annunciò alla casa deserta che era viva con un sonoro sbadiglio. Si stropicciò gli occhi e si guardò attorno.

Era un bell’appartamento, tutto sommato. La luce entrava da una grande finestra nel soggiorno che era unito all’ingresso, alla destra del piccolo disimpegno che portava alle camere da letto ( in origine erano solo due ma il precedente proprietario aveva diviso la matrimoniale in due stanze più piccole e le ragazze avevano deciso di conservarla così per mantenere la privacy di ognuna.) e al bagno. La porta della camera di Max era esattamente al centro. Sulla sinistra c’era il piccolo bagno (ma fornito di tutti i comfort necessari) mentre a destra la porta originale era stata sostituita da due più piccole per le due stanze minuscole che erano state ricavate.

A sinistra c’era la stanza di Jennifer Lagarde, ventiseienne istruttrice di yoga e pilates, relazione stabile da due anni, trasferitasi a New York perché perdette il lavoro che aveva precedentemente in New Jersey. Non era istruttrice ma Max non ricordava di preciso che lavoro facesse prima della sua nuova vita nella Grande Mela e aveva vergogna a chiederlo.

Di nuovo.

L’ultima stanza era di Ashley Rogan. Ventitreenne, ex cheerleader, biondo platino e fisico da urlo. Lavorava come modella part time e arrotondava facendo la cameriera occasionalmente ma stava studiando fisica (nessuno ci avrebbe scommesso un dollaro a riguardo) e sognava di poter rimanere in quel campo un giorno.

Tutto, soggiorno con ingresso e disimpegno, erano tinti di un giallo spento. Non un granché ma si erano abituate.

Infine, divisa da una tenda a perline, alla sua sinistra, quindi di fronte al soggiorno, stava la piccola cucina: un angolo di caos (non che il soggiorno vantasse di essere ordinato) in cui tre giovani ragazze in carriera convivevano con pasti frugali, pentole non sempre lavate subito, piatti scheggiati.

Nonostante tutto, era casa e Max ne era felicissima.

Non ebbe tempo di fare un passo verso il soggiorno che sentì le chiavi nella toppa e fece capolino dalla porta d’ingresso proprio Jennifer, in tenuta grigio scuro e attillata, con un giubbotto in pelle amaranto e un tappetino da yoga sottobraccio. La vide e le sorrise allegramente

“Maximina! Buongiorno!”

Max alzò a malapena la mano

“Ciao, Jen. Già di ritorno?”

La ragazza scosse la testa, facendo ondeggiare la chioma lucente e perfetta

“No, no avevo solo scordato… ah, eccolo!”

Si sporse verso il tavolino all’ingresso dove adagiavano la posta e le chiavi e sollevò il suo smartphone

“Perfetto, posso andare. Tu pronta per quella chiamata di lavoro?”
“Più o meno.”
“Fagli il culo a quello, bad bitch del mio corazon! Ricorda a quello spilorcio che sei tu la fotografa migliore che ha in squadra.”

Detto questo, si voltò e scomparve di corsa dalla porta, senza che Max ebbe il tempo di replicare con un ringraziamento e un saluto. Era di nuovo sola in quella piccola casa.

Digrignò i denti e sibilò un 'cazzo' rabbioso. Tornò rapidamente in camera sua, prese il suo iPhone 8 con lo schermo scheggiato sul lato destro, lo sbloccò e controllò i messaggi. Cercò ossessivamente nella chat di Whatsapp con Charles Mendelson l'orario del loro colloquio telefonico e lo trovò subito, essendo negli ultimi tre messaggi.

Oggi, tra venti minuti.

Sospirò: quanto detestava Mendelson!

Purtroppo però, Charles era il più giovane direttore di una rivista newyorkese e non una rivista qualunque ma di 'Living Things' (il fondatore doveva essere un fan dei Linkin Park, pensò Max la prima volta che le capitò un numero della rivista tra le mani), la rivista di fotografia e attualità più in voga del momento, in costante crescita di vendita, sempre più firme prestigiose e un paio di premi a livello globale incassati nel giro di soli cinque anni dalla sua nascita. Max ebbe la fortuna di collaborare con loro già dopo poche settimane dal suo arrivo a New York, grazie a un annuncio in cui, dicevano, di essere alla ricerca di uno fotografo o una fotografa alla prime armi. L'idea della rivista era di dedicare, per qualche mese, uno spazio ad artisti emergenti e permettere loro di farsi pubblicità. Ovviamente, anche se non se lo sarebbe mai aspettato, Max vinse e fu pubblicata immediatamente, nel numero successivo. Fu, tra gli artisti che vennero selezionati, ad avere più ampio spazio, cinque fotografie contro le tre di tutti gli altri, un accordo con la rivista stessa (unica ad averlo ottenuto) per ben due servizi e la risonanza che ricevette fu oltre ogni sua perversa immaginazione. Non fu pagata granché agli inizi, ma da allora ha costantemente lavorato, per differenti riviste anche non dedicate solo alla fotografia. Ironia della sorte, la rivista che sembrò trattarla sempre peggio fu proprio Living Things.

E oggi, quel coglione di Mendelson voleva pure elemosinare da lei del lavoro extra. Almeno, così suppose. Quando mai quel viscido approfittatore le avrebbe scritto se non per un favore?

Pensierosa, s'avviò verso la cucina per prendere almeno un caffè, senza nemmeno essersi cambiata o truccata: dopotutto era solo una telefonata, non una videochiamata o altro. Ma prima che potesse entrare nella cucina, il telefono iniziò a vibrare in maniera forsennata: Charles era in anticipo.

Alzò gli occhi al cielo esasperata e si trattenne dal lanciare un grido di sofferenza: era sempre cosi, o estremamente in ritardo o fastidiosamente in anticipo. Il vantaggio era che così si rendeva chiaro la sua intenzione: se in anticipo, doveva chiedere un favore, se in ritardo, doveva fartene uno.

Anticipo, molto in anticipo: enorme favore da chiedere a Max Caulfield!

Con un sospiro, Max aprì la conversazione:

“Buongiorno.”
“Buongiorno Max! Come stai? Spero di non disturbarti!”

 

Oh si invece!

“No, figurati. Ero giusto in attesa della tua chiamata. Che posso fare per te?”

Pausa. Altro brutto segnale: il favore era grosso.

“Vedi Max, come saprai aspettiamo le tue foto per il numero di Luglio e...”

“Si lo so devo consegnarvele entro fine mese, me lo ricordo.”

 

Siamo a Maggio ma le vogliono adesso! Che palle!

 

“Si e ti ringrazio ma non era di questo che volevo parlarti. Vedi, per le foto destinate al numero di Luglio noi abbiamo pensato di anticiparle a Giugno. So che così ti mettiamo in difficoltà ma dovresti averle già pronte e....”

“Spero tu stia scherzando Charles!”

“Max sono serio. Credo che tu....”
“Mallory vi ha mollato, vero?!”

Silenzio.

Pausa.

Max comprese di aver fatto centro. Il sospiro aldilà della cornetta diete definitiva prova di ciò che stava affermando: Peter Mallory, forse il miglior fotografo della rivista e sicuramente uno dei migliori giovani fotografi mondiali, pronto a spiccare il volo verso l'Olimpo dell'arte fotografica, e richiestissimo negli ultimi mesi. Non era la prima volta che veniva meno agli impegni presi con Living Things ma i gran signori che reggevano i giochi non volevano privarsi della sua collaborazione e ne perdonavano ogni capriccio: pertanto gli altri fotografi si trovavano a doversi vedere i piani scombinati.

“Senti se volete che vi anticipi il mio servizio lo farò, ma voglio il doppio.”

Charles si riprese

“Cosa? Sei impazzita Max? Le foto le hai già pronte, conosco come lavori! Non puoi chiedere di...”

“Allora chiamate qualcun altro. Non sono interessata ad anticipare i miei scatti di un mese. Ci sentiamo.”

“No, no aspetta!” la supplicò Charles dall'altro capo “Possiamo trattare.”
“Trattare mi sembra il minimo: non è la prima volta che Mallory fa i suoi comodi con voi e voi lo assecondate. Vero, è la prima volta che chiedete a me di fare da tappabuchi ma ho comunque assistito ad altri tre cambi per i suoi capricci. In meno di un anno! E non lo licenziate nemmeno. Quindi, se vede che anche gli altri ragazzi devono essere stufi e vi stanno rifiutando le collaborazioni solo per tappare i vuoi di questo esaltato. Quindi, se proprio sono ridotta a questo compito ingrato, meglio guadagnarci.”

Charles sospirò. Di nuovo.

Ottimo segno.

“Max lo sai che sei tenuta in grande considerazione dalla nostra redazione e puntiamo su di te per il prossimo futuro ma...”

“Ma ora sono solo la tappabuchi di Mallory.”

“Max noi....”

“Voglio il doppio per Giugno e avere comunque lo spazio per Luglio.”

“Cosa?? Due mesi consecutivi? Ma Maxine stai....”
“Si dà il caso che io abbia qualche scatto urban che avrei giusto voluto proporre altrove ma posso cederli a voi per Luglio alla solita cifra. Mentre per Giugno il doppio oppure non se ne fa nulla ne per quel mese e nemmeno per Luglio e andò altrove. Se davvero puntate su di me, siate felici: è arrivata l'ora di dimostrarlo.”

Altra pausa.

Sospiro nervoso: era furioso. Max sorrise.

“Un attimo.”

Sentì che il cellulare di Charles veniva adagiato con una certa veemenza sulla scrivania. Qualche passo e borbottio con una seconda voce. Non riuscì a capire che stessero dicendo ma poco dopo Charles riprese la cornetta e mormorò a denti stretti:

“Ok. Passa tra due settimane in sede.”

“Grazie.E ricorda: Max, MAI Maxine....” rispose lei con un sorriso che non poteva essere visto via telefono.

Non rispose e mise giù, ma la soddisfazione era immensa.

Lanciò il telefono sul letto e corse esultante in cucina a prendersi questo meritatissimo caffè. Appena mise piede nella stanza ( piccola con frigo nell'angolo destro, angolo cottura sempre a destro con credenze in alto, un armadio con le varie provviste a sinistra e tutto in monocromatico giallo uovo e al centro un piccolo tavolo blu notte con quattro sedie. Su quella al capotavola opposta stava seduto Robert che sorseggiava tranquillo un caffè bollente da una tazza color panna. Alzò il sopracciglio con fare sospetto ma Max era troppo euforica per trattenersi

“Ho fregato quel bastardo di Charles: il doppio e verrò pubblicata per due mesi!”

Il tono della voce era stranamente alto e aveva anche scagliato entrambi i pugni in aria, festosa. Robert abbassò la tazza e le rispose con un sorriso sincero

“Congratulazioni, non avevo dubbi. Caffè?” e indicò il posto alla sua destra, con la caraffa di caffè caldo e una tazza vuota.

“Si certo sono.....”

Si congelò all'istante. Fissò la tazza, poi Robert e infine la tazza vuota che la aspettava.

Poi di nuovo Robert, che le sorrideva complice

“CHE CAZZO STO FACENDO?” strillò “Dio mio Robert!”

Si lasciò cadere sulla prima sedia che trovò e sentì la testa girare e farsi pesante.

“Non spaventarti: è normale.” le spiegò Robert “Quando si salta dentro una nuova realtà ci vuole tempo per abituarsi.”
“Ma ero io. Non era la Max di questa realtà, ero io! Mi comportavo come se però questa fosse la mia vita e ho ricordi e....”

Una leggera fitta. Un fastidiosissimo ronzio, come se...”
“Credo che la Max di questa realtà non stia gradendo la mia presenza qui: la sento nella testa.” disse, massaggiandosi le tempie “Non che la senta davvero, non so se sta parlando o altro... però ho questa certezza: lei non mi vuole qui e non è contenta di aver perso il suo spazio. Oh cazzo, non ho realizzato finché non ho visto te...”
“Immaginavo. Volevo lasciarti uno spazio di 'ambientamento' e ridurre lo stress. La prima volta meglio andarci cauti. Però non te la sei cavata male, no?”

“Non so nemmeno se fossi totalmente io!” borbottò “Però questa Max è..beh sembra cazzuta.”

Dentro la sua testa, il ronzio parve placarsi: quindi le lusinghe funzionavano?

“Si, la Max di questa realtà è un po' diversa da te. Più audace ma non meno forte di te anche senza traumi e senza poteri.” spiegò Robert

Max spalancò gli occhi

“Senza poteri? La Max di questa realtà non ha i poteri??”

“Si ma chiariamo: sono sopiti dentro di lei ma non li ha mai scatenati perché non ha avuto mai un fattore di stress così potente da farli esplodere. Ma non intendo spiegarti tutto ora: la prima volta è importante! Devi scoprire piano piano da sola tutto quanto. Diciamo solo che se non avesse avuto i poteri non potevamo viaggiare fino a qui. In ogni caso, siete più simili di quanto tu possa pensare, nonostante lei sia decisamente più grande di te.”

Era vero: Max non si era ancora guardata attentamente allo specchio ma sentiva e sapeva di essere nel corpo di una versione di se stessa di ventiquattro anni. Non le dispiaceva affatto ma avrebbe dovuto abituarsi presto a questo piccolo invecchiamento.

“Quindi non posso usare i miei poteri in questa realtà?” chiese

“Oh no, puoi. Ora sei tu al comando, la tua mente è pronta. Solo, se possibile, evitiamo di farlo: non vogliamo creare altre realtà da qui, no?”

Annuì

“No. Già non li sto più praticamente usando nella mia di realtà, figuriamoci se mi metto a usarli in questa che non conosco. Diciamo che spero solo di non trovarmi con le spalle al muro.”

Si alzò e, avvolta dai dubbi, rifletté ad alta voce

“Dunque dobbiamo darci da fare per risolvere questa prima realtà ma.... ma da dove inizio?”
Lanciò una occhiata a Robert che si limitò a fare le spallucce

“Devi farti le ossa, Max. Dovrai capire da sola. Posso solo spingerti nella direzione più corretta e pertanto direi: cosa dice la tua testa?”

Max strinse le braccia al petto e cercò di pensare a dove sarebbe potuta partire per darsi da fare e risolvere quella realtà e uscirne il prima possibile per tornare alla sua. Per tornare da....

“Chloe!” esclamò “Ho bisogno di Chloe.”

Sentì un tuffo al cuore: anche la Max di quella realtà, in ostaggio dentro di lei, ebbe una emozione nel pensare a Chloe Price.

Perché? Che era successo tra loro?

Istintivamente, con la mano destra, si sfiorò il petto, all'altezza del cuore. La mano dei suoi poteri, la mano incriminata.

“Non fa parte della mia vita. Perlomeno, non fa parte della vita di questa Max e non so perché.... sono davvero sparita più di quanto abbia fatto nella mia realtà? Mi sembra....”

Schioccò le dita e spalancò gli occhi.

Le venne in mente, forse su suggerimento “dell'altra Max” dentro di lei, di controllare sul telefono.

Estrasse l'oggetto e rimase un po' perplessa, come se lo vedesse per la prima volta, anche se lo aveva già usato prima per parlare con il tizio della rivista. Era completamente diverso dal suo e c'erano troppe icone. Sapeva, anche se in realtà non poteva saperlo, che le tre nella seconda riga erano social anche se conosceva solo Facebook.

“Che diavolo è 'Instagram'?” chiese

Robert ridacchiò

“Un social che a una come te potrebbe piacere.”

Max rimase ancora confusa ma non si preoccupò. Pigiò il dito su Facebook e nella barra di ricerca cercò Chloe Price.

Il risultato la lasciò perplessa.

“Non è tra le mie amicizie....” commentò.

Sentì un po' di amaro in gola e una malinconia non sua la sconvolse. Schioccò le dita nuovamente e andò di corsa in camera sua, dove si fiondò sul suo portatile: da lì poteva cercare meglio Chloe sui social. Fece accesso su Facebook nuovamente ( si stupì per un istante di come sapesse già le password) e cominciò a spulciare tra tutte le Chloe Price che trovò, ma nessuna sembrava essere la sua 'Chloe' e nessuna pareva provenire da Arcadia Bay.

Sbuffò e si lasciò scivolare sulla sedia. Senza Chloe si sentiva disarmata e senza un piano per distruggere quella realtà. Un pizzichio alla base del cranio le fece intuire che l'altra Max non era molto d'accordo e si chiedeva cosa intendesse con distruggere quella realtà.

“Novità?”

Robert era comparso nella camera e aveva posto quella domanda, mentre si guardava intorno “Caratteristica la tua stanza in questa realtà.”

“Non la trovo. Non siamo amiche sui social e mi sembra assurdo che io e lei non ci siamo più riavvicinate.... Possibile che io non le abbia mai più parlato? Cinque anni erano già troppi..... Perché, Robert?”

L'uomo scrollò le spalle

“Potrei dirtelo ma non voglio: devi 'rompere il ghiaccio' da sola con l'ambientamento nelle nuove realtà. Sei una ottima investigatrice, hai un ottimo intuito.”

Ma non fu l'intuito ad aiutare Max un minuto dopo, ma una ottima vista. Le cadde l'occhio su un quadretto appeso sopra il suo pc portatile e vide cosa vi era scritto.

“Non sono andata alla Blackwell... ho studiato altrove.... da tutt'altra parte..... Perché non sono andata alla Blackwell? Ah già non mi vuoi rispondere....”
SI alzò e cominciò a passeggiare per la stanza e a rimuginare. Se non era andata alla Blackwell, allora Jefferson avrebbe potuto....

 

No!! no no no no no.... NOOOOO!

 

Con un nodo alla gola e il batticuore, si mise a cercare eventuali notizie di scomparse e....

 

“Nulla. Non c'è nulla....” mormorò “Jefferson sembra... aspetta...”
Su Google, il secondo articolo parlava dell'arresto di Mark Jefferson nel 2008, grazie a una segnalazione di un privato cittadino di nome.....

“MIO PADRE HA FATTO ARRESTARE JEFFERSON???” urlò sbalordita “Come è possibile??”

Robert ridacchiò “Beh questo dovrebbe farti intuire qualcosa...”
Max era ancora scioccata.... non le pareva vero e non riusciva spiegarsi come fosse stato possibile che suo padre facesse arrestare Jeffeson ma.....

Capì perché non era andata alla Blackwell.... ai tempi la scelse proprio per Mark Jefferson ma, se lui era già stato arrestato, probabilmente avevano assunto un altro insegnante di fotografia che non l'aveva molto intrigata e convinta a tornare ad Arcadia Bay.

“Quindi io sarei tornata solo per Jefferson e non per Chloe.... che stronza ingrata che sono stata anche nella mia realtà..... qui si vede che cosa ho scelto.”

“Forse eri troppo imbarazzata per tornare dopo cinque anni e, di conseguenza, questo periodo di silenzio si è prolungato.” suggerì Robert ma più che un suggerimento sembrava un vero e proprio indizio su come erano andate le cose.

“E lei deve avermi rimosso dai social e forse non ha più nemmeno il mio numero...e io il suo....”

Tirò fuori nuovamente il telefono e scrollò i nomi in rubrica: esatto, nessuna Chloe Price.

Sbuffò. Doveva ricontattare Chloe e non aveva modo di farlo.

A meno che.......

Si gettò sul pc e cercò l'unico nome che poteva collegarla a Chloe. Il motore di ricerca rispose rapidamente e rigettò il risultato sperato:

 

Blue Whale Diner

Arcadia Bay

 

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Lesse il numero e lo digitò al volo con il suo telefono. Sentiva il respiro farsi corto e i battiti accelerare. Uno squillo..... ansia...... due squilli......e se non avesse risposto? No era aperto....... tre squilli …............ e se non avesse voluto parlarle???................quattro squilli.... cazzo non aveva calcolato il fuso orario!

Blue Whale Diner, i migliori pancake della della costa ovest. Al momento siamo chiusi, per prenotare la colazione lasciate un messaggio dopo il segnale acustico.”

Voleva arrendersi e riattaccare ma il segnale acustico era partito e, senza riflettere, cominciò a parlare

“Salve sono Max Caulfield e cercavo urgentemente la signora Price per i suoi famosi panck....”

Sentì uno scatto e una voce dall'altro capo del telefono

“Max??? Sei tu???”

Joyce Price aveva la stessa identica voce di sempre, se non che era condita da stupore.

“Joyce? Oh non avevo idea che tu....perdonami io....”

“Come stai, Max? E' una vita che non sento la tua voce....”

Sentì calore e una nota di rimprovero nella voce della madre della sua migliore amica, della sua Ragazza nell'altra realtà.

“Perdonami io..... sono...... sono solo una stronza....”

Sentì una lieve risata e Joyce proseguì

“La vita è strana, Max. Avevi la tua strada e nessuno può colpevolizzarti per questo... E vedendo i risultati che hai ottenuto direi che la stai percorrendo a passo sicuro...”

“I miei....”
“I tuoi ogni tanto si fanno sentire e un paio di volte sono venuti in gita ad Arcadia a trovarmi. Mi hanno portato dei numeri della rivista per cui collabori con i tuoi scatti.... hai sempre avuto un talento incredibile e ne sono orgogliosa come se fossi mia figlia. A che devo questa sorpresa, Max? Volevi ordinare dei pancake? Dubito ti arrivino a New York per tempo anche vengo a questa ora presto per preparare tutto.”

Max sorrise

“Mi mancano i tuoi favolosi pancake ma no, non stavo chiamando per questo. Volevo fare una sorpresa a te e a..... e a Chloe. Sai, forse mi daranno un servizio sulla Costa Ovest e avevo in mente di passare per Arcadia Bay e.... beh vorrei potervi salutare.”

Si accorse di quanto sciocca e patetica deve essere sembrata mentre diceva quella colossale bugia. Per quanto potesse suonare realistica e in linea con la vita che la Max in quella realtà stava vivendo, nella sua voce si poteva percepire la falsità. O meglio, poteva percepirla Joyce che l'aveva praticamente cresciuta come una figlia. Eppure, nonostante il silenzio che ormai superava i dieci secondi, dall'altra parte del telefono non riuscì a percepire nulla, nemmeno un respiro, uno sbuffo divertito.... nulla.

Poi, mentre rimuginava, sentì la voce di Joyce condita da rammarico

“Oh mi farebbe un enorme piacere, piccola mia. Per quanto riguarda Chloe..... c'é una cosa che dovresti sapere...”
 

 

Aveva ringraziato e salutato.

Ora come ora voleva davvero andare ad Arcadia Bay e salutare, abbracciare Joyce.

Ma non poteva. Ora era tutto cambiato.

“Huntington.” borbottò fissando Robert “ Si trova ad Huntington Beach.”

Robert non sembrava sorpreso, cosicché lei continuò

“Cosa cazzo ci fa ad Huntington Beach?”

Joyce le aveva spiegato come si erano evolute le cose dopo la morte di William: per circa due anni, lei e Chloe si facevano visita una volta al mese, due durante le vacanze estive e per un Natale erano riuscite a stare insieme praticamente anche per Capodanno. Purtroppo però, gli impegni scolastici di entrambe erano diventate sempre più distanti l'una con l'altra. Inoltre, anche se Joyce non lo aveva ammesso, il carattere di Chloe andava peggiorando sia perché non aveva davvero mai elaborato il lutto per la morte del padre, sia perché lei aveva scelto di sposarsi con un altro uomo. Max pensava di sapere a chi si stesse riferendo, pertanto fu una discreta sorpresa scoprire che Joyce si era risposata anche quella realtà, non con David Madsen, ma con un certo James Fitzgerald, piccolo commerciante locale.

Si stupì anche di sentire che, per qualche strana ragione, i Prescott stavano abbandonando Arcadia Bay dopo la morte per suicidio di Nathan, avvenuta però in circostanze non molto chiare. Fatto sta che Chloe si era isolata sempre di più e i suoi voti erano andati peggiorando. Stava replicando, anche se con un leggero ritardo sulle tempistiche, la stessa strada che aveva preso nella sua stessa realtà salvo che non fu, alla fine, espulsa. Anzi, aveva preso persino il diploma ma con voti bassissimi e poi, senza motivo, era sparita.

Joyce e lei avevano avuto una pesantissima discussione riguardo al suo comportamento, al fatto che non accettava il nuovo marito della madre, che non trovava un lavoro stabile e così via.

Sentimenti e vicende a parte, Chloe aveva più volte paventato l'idea di andarsene da Arcadia Bay finché un giorno, di due anni fa, lo aveva fatto di nascosto.

“E non ha parlato con sua madre fino a qualche mese fa. L'ha chiamata per Natale e si sono riappacificate e le ha detto dove fosse finita. Huntington Beach! Che cazzo di scelta! Non le ho mai sentito nominare quel posto, nemmeno quando siamo andate in California assieme questa estate! Perché?”

“Max, non puoi confondere la tua Chloe con quella di questa realtà: sono due persone totalmente differenti da ciò che pensi tu. La Chloe di questa realtà potrebbe aver conosciuto persone e luoghi differenti da quella della tua. Comunque, che hai intenzione di fare?” chiese Robert

Max ci pensò su e poi, senza rispondere, si alzò di scatto e andò verso l'armadio, lo spalancò e prese un trolley blu notte che si trovava abilmente posizionato nel ripiano in alto.

Lo gettò a terra e lo aprì, iniziando a vuotare i cassetti e gettando le prime cose che trovò, alla rinfusa, dentro la piccola valigia. Lanciò indistintamente intimo e completi estivi senza troppe remore. Poi, con ancora la valigia incompleta, si gettò di nuovo sul pc e cercò i primi biglietti aerei in partenza per Los Angeles per quel giorno.

“Cazzo, costano decisamente troppo.... non so se posso permettermeli....”

Robert ridacchiò

“Controlla la app della tua banca.” suggerì.

Max, senza farselo ripetere, obbedì. Rimase scioccata

“QUASI VENTI MILA DOLLARI? DIO MIO HO DAVVERO TUTTI QUESTI RISPARMI DA PARTE NONOSTANTE LE SPESE? HO PURE UNA FOTTUTA CARTA DI CREDITO? CAZZZZZZOOOOOO!” strillò entusiasta.

“E sono tuoi. Piccolo consiglio: preleva tutti i contanti possibili e, prima di abbandonare la realtà in cui ti trovi, dalli a me: te li restituirò appena tornerai alla tua perché posso trasportare oggetti da varie realtà e così il tuo patrimonio personale avrà un piccolo step in avanti.”

Max lo fissò sorpresa ma, prima che potesse chiedere, Robert riprese

“Funzionerà, l'ho fatto anche io rubando al mio stesso conto in altre realtà alternative che ho visitato. Piccole cifre ma abbastanza per incrementare ogni tanto il mio bugdet. Solo.... ecco non depositare tutto o per niente i contanti: spendili. E ritira in piccola taglia, sono meno controllati: sai i numeri di serie tra varie realtà possono presentare un piccolo problema di autenticità.”

Max ridacchiò e scrollò le spalle: non si sarebbe mai abituata a quella realtà ma aveva certamente i suoi vantaggi.

 

Due ore dopo era in strada.

Il taxi che aveva prenotato stava per arrivare e l'avrebbe portata all'aeroporto Kennedy e da li sarebbe volata per Los Angeles. Tenendo conto del fuso orario, sarebbe arrivata verso le sei di sera.

“Sicuro che non vuoi venire con me?” chiese Max sospettosa a Robert che, inspiegabilmente, aveva rifiutato di volare con lei.

“Te l'ho già detto Max: posso muovermi liberamente nello spazio e nel tempo delle realtà in cui sono 'ospite', pertanto ti faccio volentieri risparmiare i soldi del biglietto. A meno che tu non ti senta sola, ma credo che tu voglia farti questo viaggio in aereo anche per schiarirti le idee.”

La ragazza lo stava ascoltando ma il suo sguardo vagava lungo la gigantesca strada newyorkese e provò un moto di nostalgia e dispiacere a lasciare quella città che lei, non appartenente a quella realtà, sentì anche suo perché non aveva davvero vissuto quella città che tanto la attirava. Si ripromise, se mai avesse fatto ritorno alla sua realtà facendo tutto correttamente, che vi avrebbe trascinato Chloe.

Già, Chloe....

Ora avrebbe conosciuto un'altra Chloe, una diversa dalla sua e avrebbe dovuto fare molta attenzione a non dare per scontato che pensasse e agisse come quella a cui era abituata. Ma una cosa la lasciava perplessa....

“Robert.... perché ci siamo allontanate? Sono rimasta più presente alla mia realtà eppure....”

“Max non devi farti prendere dal panico, è tutto normale. Voi due siete rimaste legate, in questo mondo, per un tempo più lungo rispetto a quanto hai fatto tu nella tua realtà ma anche separate in maniera più netta e duratura.”

Max si spazientì

“Senti, raccontami e basta. Non dico di svelarmi tutta la realtà, ho capito che vuoi che mi alleni ad assorbire informazioni tramite le mie altre 'me' , ma ho anche bisogno di capire per partire verso questo strampalato viaggio organizzato nella costa ovest. Che diavolo è successo tra noi? Perché non sono tornata alla Blackwell?”

Robert ci pensò su un paio di istanti

“Ok, questo posso dirtelo, tanto ci sei quasi: questa realtà è nata su una scelta opposta a quella che tu presi il giorno della morte di William, ovvero, insistetti con i tuoi genitori per restare da Chloe, per darle conforto. Tu non lo hai fatto, la Max di questa realtà si e ha convissuto in casa Price per una settimana dopo il funerale di William, mentre i tuoi si sistemavano a Seattle. Poi, per circa due anni, ogni volta che potevate vedervi, una volta a testa, nel week end una raggiungeva l'altra. Durante le feste o le vacanze estive cercavate di vedervi ancora di più. Il problema è che questo non ha cambiato Chloe, la sua rabbia e la sua paura di essere abbandonata ha continuato a crescere latente in lei e, ogniqualvolta vi separavate, lei soffriva immensamente e sperava che quella non sarebbe stata la vostra ultima volta insieme. Purtroppo, anche se si è diplomata e tanti fatti diversi ma non troppo da quelli che la tua Chloe ha vissuto negli anni che sai tu, vi siete separate e lei ha preso strade diverse e fatto scelte sbagliate comunque. Forse non ha la stessa rabbia che ha quella che hai conosciuto tu, una diversa, più mirata.... ma comunque non è così diversa su questo aspetto. Mostruosamente diversa in tante altre cose, questo è certo. Non devi dannarti: la tua altra te, in questa realtà, vive comunque con un senso di colpa costante e, non si sa chi delle due per prima lo abbia fatto ma, in qualche modo, i ponti sono crollati, tagliati, in maniera più dura di quanto avevate fatto voi. Anche la tua altra te è molto diversa da quello che sei diventata tu. Più determinata, più matura, più fredda e più emotiva in base alle occasioni, malinconica e in perenne ricerca di un cuore lasciato ad Arcadia Bay: si potrebbe dire che questa Max abbia preso coscienza da sola dell'amore per Chloe senza rivederla e forse anche per questo non ha voluto ricercarla, per timore del rifiuto. In ogni caso, in maniera molto generica, questa è la realtà in cui ci troviamo: la scelta di restare a casa Price dopo il funerale di William.”

Max rimase sbigottita.... una cosa così piccola e un cambiamento così grande? Beh, non era estranea alla teoria del caos, dopoutto....

“E la Blackwell?” chiese, anche se già sapeva la risposta

“Oh si quella è come ti è stato detto: Jefferson è stato beccato e incarcerato. Quindi lui non è potuto andare alla Blackwell a insegnare, i Prescott non hanno accontento un capriccio di Nathan che, senza la figura di Jefferson, si è gettato nella sua follia prima e poi dalla finestra di camera sua la sera di Natale del 2015. La cosa veramente curiosa è chi ha fatto arrestare Jefferson: tuo padre.”

La ragazza spalancò gli occhi

“Già...che cosa assurda, non ti pare?" disse

“Si.” rispose ridendo Robert “Mentre tornava a Seattle dopo aver lasciato te ad Arcadia, ha notato una auto in panne e... beh lo ha colto sul fatto. Jefferson si spacciava per un povero fotografo con l'auto in panne ma tuo padre aveva notato qualcosa di strano.... e una ragazza semisvenuta e mal coperta nel retro. Ovviamente Jefferson ha provato ad assalire tuo padre, una volta scopertosi ma.... beh un bel gancio destro lo ha messo ko. Tuo padre ha chiamato la polizia e.....”

“e tutto solo perché ho scelto di vedere comunque Chloe.....Quindi nella mia realtà, nella realtà in cui io non ho mai voluto rivedere Chloe nei week end, nessuno è passato per quella stradina sperduta nell'Oregon e....”

“E Jefferson la fece franca. Scommetto che anche la Max di questa realtà non lo sapeva.”

Max si fermò un attimo. Non ascoltò più i rumori caotici della città e sentiva solo dentro di se... e poteva sentire stupore, divertimento, sorpresa e orgoglio....

“Si.” disse infine “Credo di si. Direi che è stupita. Molto stupida.”
Robert le sorrise.

“Il tuo taxi, madame.” disse, indicando dietro di lei.

L'autovettura gialla che aveva prenotato era arrivata. L'autista, un gentilissimo ragazzo indiano, si offrì di caricare il suo scarno bagaglio nel baule e di aprirle la portiera della vettura. Prima di salire, Max si rivolse a Robert di nuovo

“Sicuro di non voler venire con me?”

Lui annuì

“Allora ci vediamo a Los Angeles, Robert. Nel frattempo prometto di dialogare di più con... beh con me stessa.”

L'uomo le sorrise e le fece un cenno di saluto con la mano.

La portiera si chiuse e il taxi partì per l'aeroporto. Mentre osservava New York sfrecciare davanti a se, con il viso a un millimetro dal vetro del finestrino, si chiese quanto sarebbe stato difficile cancellare una realtà in cui, lo sapeva, sentiva tanta bellezza da toglierle il fiato.

Mentre i grattacieli, il grigio, il giallo di altri taxi, i suoni ovattati, le insegne luminose si mischiavano mano a mano che lei si allontanava sfrecciando, dentro di sé sentiva solo una gigantesca agitazione.

Una felicità primordiale e una paura unica.

Si massaggiò il petto, come se l'altra lei fosse lì dentro, anche se non poteva essere davvero in quel punto ma, al massimo, dappertutto in lei.

“Lo so, lo so. Anche io sono nervosa all'idea di prendere un aereo” scherzò a bassa voce.

Si imbarazzò di quel momento, come se stesse parlando a un feto.

Voleva solo tranquillizzare lei o entrambe 'lei'?

Non seppe dirlo.

La costa ovest avrebbe dato riposte a entrambe.

   
 
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