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Autore: lady lina 77    28/12/2023    1 recensioni
Una AU con protagonisti i personaggi di Poldark creati dal meraviglioso W. Graham.
Siamo in Germania, negli anni neri del nazismo, nell'affascinante Annaberg-Buchholz, in Sassonia, fra boschi, miniere, case a graticcio e antiche tradizioni. Ross Poldark è un giovane tenebroso, volenteroso, proprietario di alcune miniere lasciate in eredità dal padre. Non è ricco ma ha tanta voglia di fare, da lavoro a molte persone che lo aiutano e rispettano ma questo non può bastare: è ebreo, anche se non praticante. E nella Germania di quegli anni questo potrebbe non essergli perdonato.
Genere: Drammatico, Romantico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Demelza Carne, Dwight Enys, Elizabeth Chynoweth, George Warleggan, Ross Poldark
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Annaberg-Buchholz, maggio 1937

Anche se solo pochi giorni prima gli aerei della Lutfwaffe, assieme ad altri appartenenti al regime fascista italiano, avevano preso parte alla distruzione della città spagnola di Guernica, il clima in Germania pareva sereno e incurante del fatto che molti temessero che questo non fosse che una prova generale per una guerra su più ampia scala.
La gente viveva come se la cosa non la riguardasse, in una sorta di strana tranche guidata dall’utopia di non venire mai toccati perché protetti dal grande ed invincibile Furher. Anche se non tutti erano così ottimisti e più persone vivevano in silenzio la loro preoccupazione non potendo e non sapendo cosa fare, la vita procedeva in una strana tranquillità dove veniva lasciato sempre più spazio alla politica e alle leggi del regime come se fosse giusto così e non ci si potesse fare nulla. Le bandiere con le svastiche adornavano sempre più case, strade e piazze, le divise naziste erano ormai parte dell’abbigliamento comune e persino la scuola ormai era diventata parte integrante della propaganda e i bambini venivano educati ai dettami del governo e all’odio verso chi doveva essere ritenuto diverso e inferiore.
Demelza aveva ormai compiuto diciotto anni e anche se si riteneva grande abbastanza per non dover indossare più la divisa della gioventù hitleriana durante le manifestazioni di piazza, Ross Poldark l’aveva quasi costretta a continuare a farlo, dicendo che per il suo bene doveva fare così.
La ragazza aveva dovuto cedere ma la indossava solo quando effettivamente era necessario farlo – e lo diventava sempre più spesso perché il nazismo stava prendendo piede in ogni campo anche della vita privata dei cittadini – ma per quella domenica aveva deciso che non era necessario. Era il suo giorno libero ed aveva ricevuto un invito…
Pochi giorni prima, mentre faceva la spesa in piazza, aveva incontrato un giovane ragazzo inglese, uno studente di nome Hugh Armitage. Poco più grande di lei di un anno o due, stava conducendo i suoi studi universitari all’università di Dresda durante il semestre invernale e aveva conosciuto alcuni ragazzi di Annaberg-Buchholz che lo avevano invitato a trascorrere qualche giorno di vacanza con loro. Quella domenica avevano organizzato un pic-nic e il ragazzo, attaccando bottone con lei mentre aspettavano di essere serviti dal panettiere, l’aveva invitata.
Demelza conosceva gli altri ragazzi che avrebbero fatto parte della combriccola: c’erano Hans Koiffer e sua sorella Thereza, i giovani Johan Strable e Mark Hessman e infine Thomas Schulz, il figlio del sindaco del villaggio. Da bambini avevano giocato qualche volta nella piazza del villaggio ma Demelza aveva smesso di frequentarli perché di classe sociale troppo differente e successivamente anche per la loro vicinanza al partito e alle idee naziste.
Però Hugh Armitage, coi suoi occhi color verde, i suoi capelli chiari e leggermente ondulati e la sua dolcezza e simpatia, l’avevano convita ad accettare.
Si legò i capelli, si mise un vestito rosso con le maniche a sbuffo e infine prese un cappello di paglia ornato con un nastro del medesimo colore dell’abito e si apprestò ad uscire prima delle dieci del mattino. Avrebbero pranzato in campagna, fuori dal villaggio, e poi lei e Hugh sarebbero andati al cinematografo. Era uscito un cortometraggio animato di Walt Disney, Biancaneve e i sette nani, e Hugh, appassionato di cinema e teatro oltre che di musica e poesia, l’aveva invitata ad andare a guardarlo. Sarebbe stata una domenica diversa e forse, anche se le idee erano divergenti come il giorno e la notte, sarebbe stato divertente passare del tempo con dei ragazzi della sua età.
Mentre Garrick, in cortile, rincorreva le galline, in casa regnava la pace. Demelza aveva lasciato pronto del pasticcio di carne per il suo padrone, aveva pulito la casa e lui non avrebbe avuto problemi durante la sua assenza del pomeriggio.
Scendendo le scale, Ross la incrociò mentre si metteva il cappello in testa. Starnutì vigorosamente una, due, infine tre volte. Poi tossì. “Passerai ancora la giornata con Caroline al cinematografo?”.
Demelza lo osservò starnutire di nuovo. “No…”. In realtà non aveva raccontato a nessuno i suoi piani per la giornata anche se non c’era motivo di tenerli nascosti, però si sentiva imbarazzata a raccontare dell’invito di Hugh.
Ross parve sorpreso. “Oh… Che gran novità!”.
Demelza sorrise. “Caroline oggi è con Dwight a trovare una sua zia, saranno suoi ospiti a pranzo. Io invece andrò a un pic-nic con alcuni ragazzi del paese”.
Ross starnutì di nuovo. “Credevo non ti fossero particolarmente simpatici”.
Demelza annuì. “E’ solo per un pranzo e un pomeriggio. In realtà sono stata invitata da un ragazzo inglese che si è unito alla loro compagnia dopo averli conosciuti in università a Dresda. E’ un giovane artista che arriva da Londra, starà qui in villeggiatura pochi giorni e ci siamo conosciuti mentre facevo la spesa. E’ gentile e mi ha invitata e ho pensato che forse mi divertirò pure, dopo tutto, con gente della mia età. O cominceranno a pensare che sia diventata un’orsa brontolona!”.
Ross sentì una stretta allo stomaco. Un ragazzo l’aveva invitata? Di che si stupiva, poi? Era cresciuta, non era più una ragazzina ed era normale che stesse succedendo. Però...
Starnutì di nuovo e poi tossì e stavolta Demelza si preoccupò. “Signore, state bene?”.
Benissimo”.
Non smettete di starnutire e tossire. Vi state ammalando, temo… Forse sarebbe meglio chiamare Dwight stasera”.
I Poldark non si ammalano MAI e non ho bisogno di Dwight!” – tagliò corto lui.
Demelza lo fissò, scettica. Poi alzò una mano a toccargli la fronte. “Scottate un po’”.
Il contatto con la mano fresca e liscia della ragazza gli provocò un brivido e Ross si ritrasse subito. “Ti ho detto che sto bene e se continuerai a perdere tempo con me, arriverai tardi al tuo appuntamento”.
Non è un appuntamento, è un pic-nic”.
Anche Ross sembrò non credere alle sue parole e quasi come una piccola vendetta, gli venne voglia di stuzzicarla e farla imbarazzare. “Lo è, se un ragazzo ti ha invitata ad uscire”.
Non la vedo così”.
Starnutì di nuovo. “Sarà, ma sta attenta”.
A cosa?”.
Ross sospirò, sentendosi schifosamente paternalista. “Ai desideri dei ragazzi. Dei maschi…”.
Lei arrossì, anche se si sentiva ancora abbastanza inesperta in materia, la imbarazzava quel botta e risposta con lui e sentiva di doversi giustificare anche se non sapeva bene per cosa. “Non è quel genere di…”.
Ross si sentì irritato. “Certo, come no!”.
Volete che stia a casa?” – chiese lei, confusa.
Perché dovresti farlo?”.
Siete malato”.
Non sono malato! E tu hai un appuntamento!”.
Demelza strinse i pugni, irritata. Non sapeva perché la infastidiva il fatto che lui pensasse a una cosa simile ma le sue parole la facevano sentire nervosa e improvvisamente confusa. Forse avere diciotto anni ed essere diventata in qualche modo ‘grande’, rendeva tutto più complicato. “Non è un…”.
Demelza, va e sbrigati!”.
Il tono di Ross sembrava perentorio, come se glielo stesse ordinando. E lei vi scorse una sorta di strana tensione che non riusciva a decifrare. “Il pranzo è nella pentola, cercate di riposare e stare in casa per oggi. Tornerò presto”.
Non ce n’è bisogno”.
Demelza lo guardò con aria di sfida. “Io penso di sì!”. Poi si mise il cappello in testa e dopo avergli lanciato un’occhiata nervosa e tesa, uscì diretta al luogo di ritrovo con gli altri ragazzi.
Ross rimase ad osservare in silenzio la porta dietro a cui lei era scomparsa. Era strano ma provava sentimenti contrastanti. Da un lato gli mancava la ragazzina senza freni accolta in quella casa ormai quattro anni prima, dall’altro lo intrigava e attraeva questa nuova Demelza ormai quasi donna, decisa, ironica, intelligente e affascinante. Il problema era che forse non era l’unico a provare questo genere di sensazioni e anche se sapeva che era giusto così, che lei DOVEVA stare con persone della sua età e vivere tutte le esperienze collegate, da un altro punto di vista si sentiva fuori dai giochi e dalla vita di quella ragazza fino a quel momento strettamente connessa alla sua. Demelza aveva reso di nuovo Nampara una casa accogliente, aveva riempito molti vuoti del suo animo tormentato e ora stava per spiccare il volo chissà per dove. E lui, ebreo e con dieci anni più di lei, poteva farci ben poco. Poteva, DOVEVA essere contento per lei ma in realtà non lo era affatto.
Starnutì di nuovo e poi si toccò la fronte.
Forse era davvero il caso di mettersi a letto e di smettere di pensare a lei in modo così diverso…


Mangiarono salsicce, wurstel e patate e il pic-nic fu divertente. O quanto meno lo fu fino al momento del brindisi quando Thomas Schulz decise di brindare alla salute del Furher e alla grandezza del Reich. D’altronde era il figlio del sindaco, che poteva aspettarsi di diverso? Quanto meno ringraziò il fatto che nessuno accennò mai al suo impiego verso un uomo ebreo e anzi, soprattutto i maschi si dimostrarono gentili e premurosi…
Però ecco, il brindisi al Furher fu il neo della giornata. Demelza si irrigidì, odiava farlo, odiava sempre quella parte ormai immancabile delle loro vite. Si morse il labbro sperando che gli altri non cogliessero il suo disappunto e brindò a denti stretti mentre Hugh Armitage non le toglieva lo sguardo di dosso. Sperò che non se ne fosse accorto e che eventualmente non lo raccontasse in giro, non andare in estasi alla parola ‘Furher’ poteva essere pericoloso nella Germania di quegli anni.
Per fortuna fu solo questione di pochi attimi prima di passare alla crostata di mele e cannella portata da Hugh.
Lei e il ragazzo lasciarono gli altri alle quattro del pomeriggio, poi andarono al cinematografo per gustarsi quella storia che, scoprirono, era decisamente infantile ma anche tenera e romantica. Demelza pensava che Walt Disney fosse un mago e riuscisse, con la sua mano e la sua matita, a creare sogni e magie. I suoi disegni, i colori, le ambientazioni e la storia di Biancaneve, della strega cattiva e l’amicizia sincera coi nani la intenerivano. E il bacio col principe azzurro le fece battere il cuore e sognare un amore simile, forte e puro. Si stupì perché era sempre stata un maschiaccio fin da bambina mentre ora, negli ultimi tempi, stava sviluppando una strana attitudine anche per il romanticismo.
Quando uscirono dal cinematografo, erano ormai le sei del pomeriggio passate. Si stava facendo tardi e Demelza, nonostante fosse soddisfatta della giornata, si sentiva inquieta. Ross Poldark quella mattina non era in forma e mentre lei era in giro a divertirsi, forse era in un letto preda di febbre e tosse e senza nessuno che potesse occuparsi di lui. Certo, la logica le doveva suggerire che non era un problema suo e che quello era il suo giorno libero da obblighi però sapeva di non potersi permettere di sentirsi così. Ross Poldark, da quando lo aveva conosciuto, era sempre stato più di un semplice datore di lavoro. L’aveva salvata dalla miseria, le aveva aperto mondi ed orizzonti, le aveva insegnato a leggere e scrivere, le aveva permesso di accedere alla sua biblioteca, le aveva dato una casa, stabilità, pace e gentilezza, una sorta di intimità vagamente famigliare che non aveva mai provato prima. La sera, dopo cena, era bello chiacchierare e scherzare con lui sulle cose accadute durante la giornata così come erano preziose ai suoi occhi la sintonia e l’intimità delle loro conversazioni e l’atmosfera serena che sapeva chiudere le brutture del mondo fuori dalla porta di casa… Ed ora non poteva non sentirsi preoccupata per lui.
Hugh le indicò la piazza. “Ci facciamo una passeggiata davanti ai negozi?”.
Lei sembrò combattuta. “Non so, forse sta diventando tardi”.
Le giornate si stanno allungando, siamo in piena primavera. O hai impegni?”.
Demelza sospirò. “No… Ma il mio padrone non stava bene stamattina e forse dovrei…”.
Hugh sembrò perplesso. “E’ un uomo adulto, sarà pur capace di occuparsi di se stesso senza dover essere assistito”.
Sì certo… Ma…”.
Hugh le indicò un negozio di dischi. “E’ il tuo giorno libero Demelza e non hai obblighi. Adoro la tua compagnia e purtroppo domani dovrò ripartire. Dai, fermati ancora un po’”.
La ragazza abbassò il capo, combattuta. Hugh aveva ragione e anche lei trovava che lui fosse un’ottima compagnia ma si sentiva comunque preoccupata per Ross, anche se non ce n’era effettivamente motivo. “D’accordo, solo due passi…” – rispose infine, arrendendosi alle sue insistenze almeno per qualche minuto ancora.
Hugh le studiò l’espressione del viso. “Sembri molto coinvolta… Insomma, è  solo il tuo padrone, no?”.
Demelza avvampò. “Certo… Ma ecco… Gli sono affezionata”.
Lui parve perplesso. “Più che affezionata, sembra”.
Quelle parole la colpirono. Da quando si sentiva così legata a Ross Poldark? Perché si sentiva così? Perché non ci aveva mai pensato fino alle parole di Hugh? Era sbagliato sentire verso di lui quella sorta di affetto e quel legame? Era una ragazzina al suo servizio dopo tutto e lui il suo padrone. E quello era il suo giorno libero, che diavolo le prendeva?! Deglutì, decidendo di non pensarci al momento e cambiando discorso. “Ti è piaciuto il film?”.
Hugh non parve troppo sorpreso da quel cambiamento di argomento così repentino davanti a un argomento che forse per lei stava diventando scottante ed imbarazzante. “Sì, forse era da bambini ma io studio arte ed architettura e quei disegni animati per me sono pura poesia. E a te?”.
Demelza sorrise. “Sì… Forse sto sviluppando uno strano animo sentimentale e forse, come dice il mio padrone, sono ancora una bambina dopo tutto”.
Ancora il suo padrone? Doveva essere ben più di questo per lei, sospettò il ragazzo… “E’ ebreo, dicono. Sei coraggiosa a lavorare per lui”.
Lei si incupì. “Non c’è nulla di coraggioso nel lavorare onestamente”.
Lo so, intendevo rispetto a questi tempi dove in Germania, essere ebreo…”.
Demelza lo fissò negli occhi con irritazione. “Per me questo non rappresenta affatto un problema”. E voleva che fosse chiaro!
Hugh ricambiò lo sguardo, colpito da tutta quella determinazione e fedeltà. “Me ne sono accorto”.
Demelza avvampò di nuovo. “In che senso?”.
Lui sorrise. “Beh, non sembravi propriamente felice oggi, a brindare al Furher e alle sue idee”.
Lei deglutì. “Si notava molto?”.
Hugh scoppiò a ridere. “Abbastanza! Se vuoi un consiglio, esercitati a diventare più convincente o ti caccerai nei guai”.
Demelza rimase per un attimo in silenzio. In quegli ultimi anni era riuscita a trovare un buon equilibrio fra i suoi pensieri e le sue azioni e se dentro di se odiava senza se o ma Hitler e il nazismo, in pubblico aveva imparato a denti stretti a non farlo notare, a rimanere nell’ombra e a mostrarsi fintamente compiacente nei fatti che riguardavano la politica tedesca. Ross le aveva detto di stare attenta e soprattutto per lui, perché si fidava dei suoi consigli, lo aveva fatto. Aveva partecipato alle manifestazioni di pubbliche del partito, aveva indossato la divisa della gioventù hitleriana e aveva imparato a fare il saluto nazista se necessario e anche se odiava tutto ciò che quel mondo rappresentava e il male che stava facendo agli ebrei, si era piegata perché aveva avvertito, nei consigli di Ross, affetto e preoccupazione sinceri verso di lei. Ross, ancora Ross, sempre Ross nei suoi pensieri, dannazione! E lei stava bivaccando lontana da casa e lui forse aveva bisogno che tornasse…
Osservò Hugh, indecisa se fidarsi o meno. Lui era inglese e apparentemente non aveva nulla a che fare con la politica locale ma in quegli anni lei aveva imparato che vi erano spie ovunque e che non ci si doveva fidare di nessuno o quasi. Quindi rimase sul vago. “E’ che certe cose mi sembrano così sciocche a volte… Voglio dire, Hitler non era lì, che piacere potrebbe provare da un brindisi in suo onore di cui non sa nulla?”.
Hugh parve stupito da quella risposta e si sentì ammirato per la sua intelligenza e per come sapeva condurre la discussione senza tradirsi. “Questo è vero, ma voi tedeschi amate nominarlo sempre e comunque, no?”.
Non è proprio così…”.
Lui, Hitler, quindi ti piace?”.
Demelza si morse il labbro davanti a quella domanda così diretta. “E’ il capo di questa nazione e non ci sono alternative e quindi spero che possa lavorare bene”.
Non hai risposto alla mia domanda, però”.
Demelza decise di giocare ancora sul sottile gioco della furbizia. “Non posso farlo, non capiresti”.
Perché?”.
Perché voi avete un re, è tutto diverso”.
Hugh scoppiò a ridere. “Oh si, ma ti stupiresti se ti dicessi che nella mia nazione non tutti amano la monarchia?”.
No, ma credo che abbiate la libertà di dirlo se vi va”.
Hugh scosse la testa. “Insomma, non del tutto… Comunque sì, abbiamo un re salito al trono a sorpresa l’anno scorso dopo che il fratello ha abdicato per fuggirsene in America con una divorziata”.
Demelza parve divertita dalla piega che prendeva il discorso, lei e Caroline spesso discutevano di gossip, di re e regine e scandali vari e la fuga del re inglese oltre oceano era stata al centro dei loro pettegolezzi per mesi. “Sì certo, se n’è parlato pure qui”.
Hugh si stiracchiò, passeggiando sotto i portici. “Ora c’è un re nuovo, dicono che balbetti. Ma ha una bella moglie e due graziose bambine, Elizabeth e Margareth, e rappresentano la famiglia ideale per guidare la nazione agli occhi degli inglesi. Amanti dei cani, con due bambine di mezzo piene di boccoli e vestiti di pizzi e merletti, di cui una diventerà regina, la gente si affeziona per forza”.
E noi abbiamo Hitler che non ha bambini” – concluse Demelza. Avrebbe voluto aggiungere ‘grazie al cielo’ ma se lo tenne per se.
Hugh annuì. “Sì ma sa essere convincente e usa, per intenerire, i figli di quel suo braccio destro, Goebbles. E urla, urla tantissimo, sa parlare e gridare in modo davvero efficace il vostro furher. La gente va in visibilio”.
Demelza scoppiò a ridere, Hugh sapeva rendere grottesca la figura di Hitler in modo adorabile. “Sì, urla parecchio. Forse è per farsi sentire ovunque… Non è molto alto dopo tutto”.
Hugh le mostrò un dipinto in una vetrina. “Sì, elogia la razza ariana, l’uomo tedesco alto e biondo. Cosa che, mi pare, lui non sia. Non ho mai capito se se ne renda conto…”.
Demelza rise di nuovo, divertita ma comunque sempre attenta a quel che diceva. “Lui è austriaco, non tedesco. E forse in casa non ha specchi e i suoi collaboratori non osano dirgli che non è biondo”.
Hugh le sfiorò la mano, ammirato da come lei stesse tenendogli testa senza sbottonarsi. Era palese che non amasse la figura del Furher e per questo la ammirava. Ma soprattutto era colpito da come, nonostante ciò, riuscisse a parlare di quell’uomo senza dire cose vietate ma al contempo senza elogiarlo andando contro se stessa.
Demelza osservò il sole ormai più basso, che iniziava a scomparire fra i tetti spioventi delle case. “Quando tornerai a Londra?”.
Alla fine degli esami, a giugno. Mi mancherà la Germania, ho visto posti meravigliosi in questa terra”.
Quali?”.
Hugh sorrise. “Beh, Dresda è davvero incantevole ma ho visitato anche Norimberga e Monaco di Baviera. E soprattutto Fussen, era il mio sogno fin da bambino andare lì”.
Il viso di Demelza si illuminò. “Oh, sei stato nei castelli del re folle?”.
Il ragazzo annuì. “Re folle? Re Ludwig? Era un genio, altro che folle!”.
Demelza si stiracchiò, ricordando quando Ross, anni prima, le aveva raccontato la storia dietro a quei castelli che da bambina, quando li vedeva in cartolina, la lasciavano a bocca aperta. “Beh, qui lo chiamiamo a quel modo. Era un sognatore, un visionario. Costruì castelli magnifici, da fiaba come quello in cui Biancaneve e il principe sono andati a vivere alla fine del film. Ma per costruirli, dilapidò il suo patrimonio e mandò in lastrico la Baviera. La sua morte è avvolta nel mistero, morì apparentemente annegato in una pozza d’acqua di dieci centimetri e si narra che il suo fantasma ancora vaghi fra le stanze dei suoi castelli”.
Hugh era deliziato, adorava parlare con lei di arte e storia. “Folle? Ha costruito castelli magnifici. E sì, forse spese molto ma ha lasciato un patrimonio inestimabile a tutti noi”.
Demelza lo occhieggiò, divertita. Forse Hugh non conosceva proprio tutta la storia… “L’ultima cosa che disse, che urlò – un po’ come Hitler – quando lo rinchiusero in uno dei suoi castelli come prigioniero, era che nessuno avrebbe mai posato piede su quei pavimenti. Li costruì per lui, non per i posteri”.
Ma dopo la sua stramba morte, furono aperti al pubblico per rientrare nelle spese. E in tre secoli la Germania ha recuperato alla grande quanto speso. E’ un genio e ciò che ha creato è magnifico”.
Demelza alzò le spalle. “Sì, sono belli!” – ammise.
La campana della piazza rintoccò le sette e la preoccupazione tornò ad attanagliare Demelza. “Hugh, sul serio, ora devo andare”.
Lui sembrò deluso. “Posso accompagnarti?”.
Preferisco andare da sola, cammino velocemente quando ho fretta”.
Il ragazzo le si avvicinò, accarezzandole la guancia e facendola arrossire. “Mi auguro che il tuo padrone sia consapevole della fortuna che ha”.
Lei non rispose ma quelle parole la colpirono, di nuovo. “Quella fortunata ad averlo incontrato sono io, mi ha cambiato la vita”.
E forse tu l’hai cambiata a lui, sei così bella e speciale”.
Demelza sorrise dolcemente, Hugh era un vero galantuomo. “Sono solo una mocciosa cresciuta nella miseria, dubito di poter cambiare la vita di qualcuno”.
Non sottovalutarti, sei molto più speciale di quello che pensi. E sei anche molto intelligente”.
Con un gesto d’affetto e gratitudine per quelle parole che la fecero sentire speciale, Demelza gli diede un leggero bacio sulla guancia. Hugh doveva aver compreso molto di lei, senza che lei gli spiegasse apparentemente nulla di ciò che pensava davvero. “Spero di rivederti prima o poi”.
Hugh sorrise. “Lo spero anch’io. E sta attenta”.
A cosa?”.
Ad essere convincente durante i brindisi”.
Lei rise. “Me lo ricorderò. Grazie di tutto Hugh, è stata una bella giornata e mi auguro che i tuoi studi e il rientro in Inghilterra vadano bene”.
E’ stata una bella giornata anche per me, grazie della tua compagnia. E ora va, si vede che non vedi l’ora di tornare a casa da lui”.
Lei avrebbe voluto replicare che era solo preoccupazione ma dentro di se sapeva che non era del tutto vero e che si sentiva legata a Ross Poldark più di quanto in quel momento sapesse ammettere anche solo a se stessa. “Buona fortuna”.
Poi corse via e lui la guardò sparire nel vicolo.
Che strano posto la Germania e che strane persone la abitavano. Non solo fanatici del regime, indottrinati e senza spina dorsale ma anche persone che avevano le loro idee e cercavano di farle valere in un mondo che metteva a tacere chi la pensava diversamente.
Demelza non lo aveva detto apertamente ma era palese che fosse contraria al regime ed anche se era giovane, in se aveva la forza che forse, assieme a tanti come lei, un giorno avrebbe portato alla rinascita della Germania dopo il buio che la stava avvolgendo. Avrebbe voluto conoscerla meglio ma doveva rientrare. Gli spiaceva non essere stato del tutto sincero con lei ma non poteva dirgli di non essere solo uno studente ma anche e soprattutto una spia del governo inglese, inviata per capire meglio come si muoveva la società tedesca sotto Hitler. Ma d'altronde quelli erano tempi duri e nessuno era completamente sincero, nemmeno Demelza lo era stata in fin dei conti.
Hugh sorrise, quella ragazza gli piacevole e nel suo rapporto avrebbe raccontato anche di lei, senza metterne il nome. Sarebbe stato davvero piacevole dire, nel suo rapporto, che non tutti seguivano come pecore quell’uomo sinistro dai baffetti scuri che urlava e blaterava cose folli alle folle ma che c’erano anche persone oneste per le quali valeva la pena lottare affinché potessero vivere in una nazione libera e prospera, amica delle altre nazioni e non più un pericolo per esse.
No, non avrebbe dimenticato Demelza Poldark e in cuor suo sperava di rincontrarla un giorno…
Anche se, temeva, prima di allora li aspettavano tempi difficili.
Ma per il momento il sole era ancora visibile in cielo ed era stata una bella giornata. Questo per ora bastava.


  
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