Levi avanzava tra le macerie,
circondato da decadenza e distruzione. L'aria satura di polvere e
cenere gli bruciava la gola ad ogni inspiro.
Per la seconda volta, Shiganshina era
stata devastata dai Giganti. Gli edifici che cinque anni prima erano
sopravvissuti all'attacco seguito alla breccia nel Wall Maria, non
avevano retto all'assalto del Colossale e ovunque si levavano colonne
di fumo dai detriti che avevano preso fuoco sotto i colpi del nemico.
Le finestre erano per buona parte in
frantumi e si poteva scorgere gli interni abbandonati delle case,
lasciate in fretta e furia da coloro che durante quella prima
incursione erano riusciti a mettersi in salvo, o che forse erano
periti nel tentativo. Macchie di vegetazione infestante si
avvolgevano alle facciate, pendevano dai davanzali e abbracciavano le
grondaie. Le insegne delle botteghe lacerate dalla violenza dei
mostri penzolavano dai sostegni, con i nomi degli esercizi ormai
illeggibili.
Ogni tanto si udiva il rumore di
qualche crollo nelle vicinanze, ma dopo i boati e le urla dello
scontro di poco prima, dominava ora un silenzio surreale su tutto il
distretto. Il silenzio immoto che sempre seguiva l'orrore dei
massacri.
Il peso del corpo di Erwin che gli
gravava sulle spalle era quasi confortante in mezzo a quella
desolazione.
Levi aveva deciso che sarebbe toccato a
lui scortare il Comandante nel suo ultimo viaggio e trovare il luogo
più adatto per permettergli di riposare. In fondo, era stata una sua
scelta quella di usare il siero sul giovane Armin e ora sentiva di
dovere al suo superiore quantomeno un commiato.
Non l'avrebbe riportato entro i confini
del Wall Sina, dove senza dubbio gli sarebbe stata tributata una
sepoltura degna di un re. Erwin aveva sacrificato ogni cosa per il
suo sogno di trovare risposte all'enigma dei Giganti e quelle stesse
risposte giacevano da qualche parte proprio lì, in una cantina di
Shiganshina. Levi non era mai stato il tipo da prestare attenzione a
certe sfumature, ma aveva l'impressione che il luogo migliore perché
lo spirito di Erwin potesse trovare pace, fosse il più vicino
possibile al premio che aveva inseguito per tutta la vita. Ora che
erano giunti fin lì, non gli sembrava giusto riportarlo indietro,
condannandolo a essere costretto per sempre nel cuore della gabbia
che per cento anni aveva imprigionato l'Umanità. Lui non l'avrebbe
voluto.
Hanji si era offerta di accompagnarlo,
ma Levi aveva rifiutato, invitandola a restare accanto al ragazzo
privo di sensi che, suo malgrado, aveva appena ereditato il potere
del Gigante Colossale.
Erano gli unici due veterani del Corpo
di Ricerca ancora vivi ed era necessario che almeno uno dei due
rimanesse con Eren, Armin e gli altri. Senza considerare che anche
lei aveva subito una brutta ferita e un po' di riposo le avrebbe
giovato.
Hanji l'aveva scrutato negli occhi
intensamente, come a voler guardare oltre quelle scuse che, per
quanto sensate, rimanevano tali.
Per favore, Hanji. Non insistere.
Lasciami fare a modo mio. Glielo devo.
Alla fine, la donna
aveva emesso un sospiro stanco e si era protesa verso il corpo senza
vita di Erwin, steso sulla sommità delle Mura. Gli aveva sfiorato la
guancia con il palmo della mano e aveva accostato la fronte a quella
dell'uomo, sussurrando poche parole commosse.
- Addio, Erwin. Ti
giuro che mi impegnerò con tutta me stessa per essere all'altezza
del ruolo che mi hai affidato. -
Dopodiché, aveva
rivolto un ultimo sguardo a Levi, annuendo. - Cerca di fare in
fretta. Dobbiamo andare alla casa di Eren e scoprire cosa nasconde
quella cantina. -
Il Capitano le
aveva restituito il cenno e si era issato Erwin sulle spalle,
calandosi giù dal Wall Maria.
Vagava tra le vie
della città semidistrutta ormai da un po', incapace di trovare un
posto in cui fermarsi e deporre il corpo del Comandante.
Non l'avrebbe certo
abbandonato in un angolo della strada, in balia degli elementi. Ma
gli edifici erano in condizioni talmente precarie da potergli collare
addosso da un momento all'altro.
Levi si stava
domandando se non fosse il caso di tornare sui propri passi quando
una macchia di colore attirò il suo sguardo. Un piccolo riquadro di
terra adiacente a una casa miracolosamente ancora intatta ospitava un
tappeto di fiori variopinti.
S'innalzavano dal
terreno stretti l'uno all'altro, come sorreggendosi a vicenda per
raggiungere il cielo e ondeggiavano dolcemente nella brezza pesante
di fumo e cenere. Eppure erano lì, spudorati e scandalosi, ad
esibire i propri colori vibranti sul suolo impregnato di morte e
sangue.
Levi si sorprese
che nel bel mezzo di quell'inferno, qualcosa di vivo fosse riuscito a
germogliare e crescere nonostante tutto. Era la Vita che seguiva il
suo corso naturale e trovava la via per resistere indipendentemente
da quanto la si calpestasse. Perfino l'odore pungente di cenere si
era diradato per lasciar infiltrare il profumo dei boccioli.
All'improvviso, il
Capitano seppe con certezza di aver trovato il posto che stava
cercando.
La porta
dell'abitazione, già mezza divelta, si spalancò dopo un singolo
calcio e Levi entrò, ritrovandosi in quella che un tempo doveva
essere stata la cucina.
Le pareti e il
tetto parevano abbastanza solidi e anche le vetrate erano ancora
tutte intere. Se Levi fosse stato ignaro dello scenario circostante,
non avrebbe trovato poi molte differenze con una qualunque casa un
po' trascurata di un distretto interno.
Era un buon inizio,
ma il suo obiettivo era il piano di sopra.
Individuò le
scale. I gradini protestarono scricchiolando e gemendo ad ogni suo
passo ma quando arrivò al piano superiore, Levi si guardò intorno
con un cenno d'approvazione.
La camera era
arredata umilmente ma ordinata e provvista di ciò che gli occorreva:
un letto in legno ancora intonso, come se il precedente occupante
fosse in procinto di tornare a casa per coricarvisi quella sera
stessa, accanto al quale era stato sistemato un comodino. Dalla
finestra incrostata, si riversava la luce del giorno, rivelando le
particelle di pulviscolo che volteggiavano placidamente nell'aria.
Levi si avvicinò
al letto e distese delicatamente il corpo di Erwin sulla schiena. I
piedi del Comandante per poco non sporgevano oltre il materasso.
Accidenti a questa tua statura
ridicola.
Perfino nella
morte, la sua struttura imponente non mancava di farsi notare.
Ora diamoci da fare.
Scese le scale e
uscì dall'abitazione, s'inginocchiò tra i fiori che avevano
attirato la sua attenzione e ne recise un paio. Alti e bianchi.
Di fianco alla
porta della casa notò un secchio colmo d'acqua piovana. Riempì una
bottiglia di vetro dal collo spezzato trovata lì accanto e la portò
nella camera, posandola sul comodino accanto al letto e immergendovi
i lunghi steli in un'improvvisata composizione floreale.
Sapeva che
quell'umile omaggio non sarebbe durato e che i petali sarebbero
appassiti e caduti nel giro di qualche giorno, ma non gli importava.
Sentiva di doverlo fare. Per lui, e per se stesso. Già troppe volte
non aveva potuto dire addio ai compagni che aveva perso né offrire
loro un commiato dignitoso.
Il Capitano abbassò
lo sguardo sulle spoglie del suo Comandante. Non c'era molto che
potesse fare per ripulire la ferita all'addome e il bendaggio di
fortuna ormai completamente insanguinato: non disponeva né degli
strumenti adatti né tanto meno del tempo. La missione era tutt'altro
che conclusa e Hanji e gli altri lo stavano aspettando. Lo spazio per
il lutto era assai esiguo.
Si limitò a
sistemargli la camicia e il colletto, ripiegò la manica vuota della
giacca sul torace poi fece lo stesso con il braccio sinistro, che
ormai andava irrigidendosi.
Cercò di essere
più rispettoso che poté quando infilò le dita tra i capelli biondi
scarmigliati per tentare di ordinarli nel modo impeccabile in cui
Erwin era solito pettinarli. Aveva sempre tenuto in modo quasi
maniacale alla cura del suo aspetto.
Scese poi con la
mano sulla fronte fredda e la fece scivolare piano sugli occhi per
chiudergli completamente le palpebre. Il suo palmo indugiò sul viso
di Erwin un po' più a lungo del necessario ma quando ritirò la mano
si accorse che l'espressione dell'uomo pareva ora più distesa e
serena di quanto non fosse mai stata. Come se stesse dormendo un
sonno agognato a lungo. Anche l'ultimo accenno di incertezza si
diradò dinanzi a quella vista.
Salvare Armin era
stata la scelta giusta. Anzi, così facendo, aveva salvato entrambi.
Hai offerto il tuo cuore. Adesso
puoi riposare anche tu.
Una volta composto
il corpo alla meno peggio, Levi sedette sul bordo del letto esalando
un sospiro amaro.
- Sai, Erwin, non
avrei mai pensato di sopravviverti. - cominciò, lasciando che i
pensieri si mutassero in parole e gli rotolassero fuori dalle labbra
prima ancora di accorgersene.
- Ci siamo
avventurati fuori dalle Mura molte volte e abbiamo combattuto contro
i Giganti evitando la morte per un soffio in più di un'occasione. Ma
l'idea che fossi tu a crepare per primo non mi ha mai neanche
sfiorato. Ero pronto a farmi ammazzare anche cento volte prima che i
nemici potessero arrivare a te, e invece guarda qui che casino: ti
sei lanciato in un piano suicida e, come sempre, io ti ho seguito. E
anche quando si è presentata l'opportunità di riportarti da noi, ti
ho voltato le spalle scegliendo la vita del giovane Arlert. Anche se,
tutto sommato, mi domando se tu non avessi preferito così. Forse
stavi solo aspettando che qualcuno ti desse il permesso di morire.
Per questo mi hai ringraziato quando ti ho detto di rinunciare al tuo
sogno e cavalcare verso la tua fine? -
Levi rivolse lo
sguardo al viso di Erwin, come ad aspettarsi una conferma, un cenno
d'assenso. Ovviamente non arrivò nulla.
- Be', sei stato
proprio tu a insegnarmi a non rimpiangere le decisioni quindi no, non
mi pentirò della mia scelta. Semmai, il mio rimpianto è quello di
non essere riuscito a mantenere la promessa che ti ho fatto prima
dell'attacco. -
Levi strinse i
pugni, sentendo montare la collera. - Ti avevo promesso che avrei
ucciso quel bastardo, ma me lo sono lasciato sfuggire tra le mani.
Non sono stato in grado di onorare il tuo sacrificio e adesso quel
maledetto è da qualche parte a ridere di noi e dei nostri morti.
Merda! Merda! Merda! -
Il Capitano si
colpì la coscia con violenza, piegandosi in avanti sulle ginocchia.
- Ti devo così
tanto, Erwin. - proseguì a denti stretti. - Sei stato tu a tirarmi
fuori da quel lurido sotterraneo. È grazie a te che ho visto il
cielo per la prima volta ed è merito tuo se oggi sono l'uomo che
sono. Il tuo uomo. Avevo deciso che ti avrei seguito ovunque,
ma dove sei ora mi è impossibile. Mi dispiace. -
Levi si prese la
testa tra le mani tremanti. Avrebbe voluto poter sfogare la pena che
gli straziava il cuore. Avrebbe voluto poter piangere. Piangere per
Erwin; per tutte le vite spezzate in quegli anni; per gli addii a cui
non aveva mai potuto dare voce; e infine piangere per se stesso, che
ancora una volta era rimasto su quella terra martoriata e senza
neppure aver mantenuto l'ultima promessa fatta al suo Comandante.
Quanti anni erano
passati dall'ultima volta che si era consentito il privilegio
egoistico di soccombere al pianto? Probabilmente, non accadeva dalla
morte di Furlan e Isabel, quando le sue lacrime si erano fuse con la
pioggia e gli schizzi di sangue del Gigante che aveva trucidato in
preda alla furia.
Ma forse uno come
lui non aveva mai avuto abbastanza lacrime da versare e l'esposizione
fin dalla più tenera età alla crudeltà del mondo, gli aveva
precluso anche quella misera consolazione.
No, dalle sue
ciglia non sarebbe sfuggita neanche una singola perla salata. Non
ancora. Sarebbe giunto, prima o poi, il giorno in cui il dolore
sarebbe straripato, rompendo gli argini del suo animo ed esondando
dai suoi occhi. Ma non oggi.
Alla fine, Levi si
sentì straordinariamente calmo e lucido. Capì di aver ritrovato il
controllo ed emise un lungo espiro.
- Oh, ma non devi
preoccuparti, Erwin. Prima o poi quel gran pezzo di merda vedrà la
sua fine per mano mia. Lo giuro qui ed ora, sul tuo cadavere. Sarò
io a uccidere il Gigante Bestia, dovesse costarmi la vita. -
Il sole si era
fatto alto nel cielo. Ormai era giorno inoltrato e Levi non aveva
dimenticato il compito che li attendeva. La cantina. Vi sarebbe
entrato anche per Erwin. Si sarebbe fatto carico del suo sogno.
Era giunto il
momento. Doveva lasciarlo andare e tornare dagli altri.
Levi si alzò e
distese la mantella con lo stemma alato sul busto immobile del
Comandante. Stava per sollevargli il cappuccio sul viso quando un
baluginio verde gli ferì gli occhi. Un raggio di sole aveva colpito
in pieno la gemma al collo di Erwin, rifrangendo il lampo smeraldino
dritto verso di lui.
Levi si fermò,
trattenendo il respiro. Non credeva nei segni... eppure...
Allungò una mano
esitante verso il gioiello e ne toccò la superficie. Si stupì di
trovarla inaspettatamente calda, come se la pietra preziosa avesse
assorbito il tepore vitale del corpo di Erwin, convogliandolo al suo
interno per preservarlo.
Sentì il cuore
mancare un battito e la gola prosciugarsi all'improvviso. Era
probabile che la sua mente, suggestionata dal contesto, gli avesse
giocato un brutto scherzo, ma gli era parso di percepire sotto i
polpastrelli come una pulsazione proveniente proprio dalla pietra.
Deglutì a vuoto e
ubbidendo ad un impulso del tutto irrazionale, sciolse il gioiello
dal collo del Comandante e se lo fece scivolare nella tasca interna
della giacca.
Non capiva per
quale motivo lo stesse facendo. Sapeva solo di doverlo fare.
Esercitando uno
sforzo di volontà non indifferente, girò sui tacchi e si diresse
verso la soglia della stanza, imponendosi di non guardarsi indietro.
Ma prima di accomiatarsi, si volse di nuovo verso il letto, eresse la
schiena con fierezza e si portò la mano destra chiusa a pugno sul
cuore, la sinistra ripiegata sulle reni.
Era l'estremo
saluto del Capitano del Corpo di Ricerca Levi Ackerman al suo
Comandante. Gli offriva il suo cuore per l'ultima volta.
- Ci vediamo,
Erwin. -
***
La cerimonia al
cospetto della Regina Historia si era conclusa.
Levi rientrò nella
sua stanza e si lasciò cadere sulla sedia dello scrittoio. Non aveva
mai aspirato a medaglie e riconoscimenti formali. Essere tra i nove
superstiti del Corpo di Ricerca che avevano fatto ritorno da
Shiganshina non rappresentava un motivo di vanto personale, ma sapeva
che le apparenze erano importanti. Lasciare che la sovrana,
l'esercito e il popolo rendessero onore agli “eroi sopravvissuti”
che avevano riconquistato il Wall Maria avrebbe alimentato i sogni di
gloria dei futuri cadetti e favorito il reclutamento di nuovi membri
tra le loro fila, indispensabili per ricostituire la legione
esplorativa.
Un meccanismo
subdolo ma quantomai efficace e necessario.
Tu lo sapevi meglio di chiunque
altro.
Levi chiuse gli
occhi e i lineamenti fieri del volto di Erwin si dipinsero sullo
schermo nero della sua retina. Il futuro del Corpo di Ricerca, no,
dell'intero Popolo delle Mura, era nelle loro mani. Le preziosissime
informazioni di cui erano entrati in possesso nella cantina di Grisha
Jaeger avevano cambiato ogni cosa per sempre.
Era questa la verità che speravi di
ottenere, Erwin? Queste erano le risposte che ti avrebbero placato?
Era questo il tuo sogno? E ora che cosa avresti fatto?
Levi sospirò. La
realtà che avevano portato alla luce, lungi dal ridurre gli
interrogativi e fornire delle soluzioni, aveva generato tutta una
nuova sequela di domande e il mondo che per anni avevano creduto di
conoscere si era appena fatto enormemente più vasto e complesso.
Nonché decisamente più pericoloso.
L'intelletto, il
carisma e le abilità analitiche di Erwin sarebbero tornate molto
utili in quella delicatissima fase.
Ma in passato si
erano affidati alle sue qualità anche troppo. Adesso sarebbe toccato
a loro mettere in campo le risorse necessarie per fronteggiare il
futuro incerto e spaventoso che li attendeva oltre le Mura.
Sperava solo che,
ovunque si trovasse, Erwin potesse osservarli con orgoglio.
Mentre saltava da
un pensiero all'altro, Levi giocherellava distrattamente con
l'apertura di uno dei cassetti dello scrittoio. Quel cassetto.
Ah, giusto. L'avevo messo qui.
Il Capitano tirò
verso di sé lo scomparto, rovistò tra un fascio di documenti e
trovò sul fondo l'oggetto che stava cercando: una semplice scatola
di legno.
Sollevò il
coperchio. L'ornamento sembrava in tutto e per tutto identico a
quello appena ricevuto, forse solo leggermente più consumato, con
qualche graffio qua e là. Ma chi mai avrebbe potuto notare la
differenza? Scintillava come se il fantasma di Erwin gli stesse
facendo l'occhiolino.
Tsk, ma tu guarda! Stai ridendo di
me, per caso? In effetti non ti biasimo. Quei mocciosi piagnucoloni
mi hanno reso un patetico sentimentale.
Levi si sfilò il
gioiello che la regina gli aveva appena conferito a riprova del
valore dimostrato in battaglia, dopodiché lo sostituì con quello
all'interno dello scrigno.
Regolò il laccio
intorno al collo e sfiorando la pietra verde, avvertì nuovamente
l'impressione di un calore pulsante.
Sta' a guardare, Erwin. Sarai fiero
di noi.
N.d.A.:
So che Isayama ha confermato che in un secondo momento i resti di
Erwin sono stati prelevati da Shiganshina per rendere possibile il
ripopolamento del distretto dopo la sconfitta di tutti i Giganti,
quindi effettivamente non sarà quello il luogo dell'eterno riposo
del Comandante, come invece sembrerebbe da questa storia, ma vi prego
di fare ad una povera fanwriter una piccola concessione e di
sorvolare su questo dettaglio.
Detto questo, ringrazio di cuore chiunque si sia soffermato su questo
scritto e mi auguro davvero che vi sia piaciuto.