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Autore: drisinil    05/01/2024    1 recensioni
Questa storia è stata creata per la challenge #whatsinthestocking del gruppo fb Non solo sherlock ed è dedicata a Silvana Rollins
Genere: Introspettivo, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Età vittoriana/Inghilterra
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DAVANTI AL FUOCO

Londra, 1876

 

Samuel Worthington era ubriaco. Parecchio ubriaco. E di cosa ci facesse in piena notte, ridotto a quel modo, sotto la sua finestra, Henry non aveva idea. Non era stato neppure facile, alto com’era, caricarselo in spalla e portarlo di sopra. Per fortuna, mancavano un paio di giorni a Natale e nelle old chambers non era rimasto nessuno.

Lo aveva trascinato fino alla sala comune e scaricato senza troppi riguardi sul divanetto smollato di Mr Babbage, che anche lui, in barba all’incarico di censore, si era dileguato, lasciandogli le chiavi. Tanto Mr Temple non sgarrava mai. 

In realtà, considerando che era quasi mezzanotte, l’ottimo Henry Temple aveva già violato due delle auree regole dei dormitori del King’s College: niente visitatori dopo le dieci e cancelli chiusi alle undici. La scintilla con cui si accese il fiammifero contro il metallo ruvido di uno degli alari sancì la terza, nonché la più deplorevole, delle infrazioni: un camino in funzione dopo il coprifuoco era inammissibile.

Faceva un gran freddo, però. E soprattutto quell’idiota di Worthington era mezzo congelato, la coperta che gli aveva buttato addosso di certo non bastava. 

Che diavolo ci faceva ubriaco fradicio in mezzo alla strada? 

Mandava tanfo di birra da quattro soldi, per giunta, il che era di per sé un affronto al buon senso: uno come lui avrebbe dovuto come minimo puzzare di porto invecchiato e fare in modo sbronzarsi comodamente accasciato su un divano in qualche salotto di Mayfair. Ma era un tipo strano, quello là.

Si voltò a guardarlo, la coperta gli era scivolata di dosso: dormiva come un sasso, tutto storto e sbracato, il cappotto allacciato male, la cravatta aperta, il gilet sdrucito, la faccia arrossata e i capelli biondi scarmigliati come se fosse appena uscito da una rissa (il che non era del tutto da escludere).

Che soggetto.

Il fiammifero, quasi del tutto consumato, gli scottò le dita ed Henry lo lanciò nel camino imprecando in un gallese ruvido e sommesso. Le pagine di cronaca del Times presero fuoco allegramente, propagandosi a una manciata di gherigli di noce, fino ai tre ceppi al centro della catasta, che sfrigolarono, disperdendo l’umidità all’interno e poi lasciandosi avvolgere dalle fiamme.

Si celava una qualche profonda metafora in quelle volute di fumo indesiderate? Qualcosa sui segreti che custodiamo e che prima o poi vengono messi alla prova del fuoco?

Non lo sapeva. I laureandi in medicina s’intendono poco di segreti e per nulla di metafore. 

Sospirando con la grazia di un mantice, Henry si decise a sedersi accanto al corpo inerte di Worthington, con invidiabile compostezza.

Spense il lume, perché si sentiva già in colpa per il camino, il buio calò nella stanza e rimasero solo i bagliori delle fiamme a proiettare ombre danzanti sul vecchio tappeto e su di loro.

 

Aveva bisogno di pensare: tutta quella faccenda, che si protraeva da diversi mesi, per le evidenti anomalie che presentava, meritava una valutazione clinica più approfondita.

Si sfilò le scarpe e distese le gambe verso la fonte di calore: i suoi calzini avevano visto tempi migliori.

Anche la sua razionalità aveva visto tempi migliori e la responsabilità di tale prematuro declino era quasi tutta da attribuirsi al tizio che russava della grossa lì accanto.

E il peggio era che non avrebbe neppure saputo dire con esattezza quale fosse la natura del loro rapporto. 

Cosa aveva a che fare, di preciso, Henry Temple con Samuel Worthington?

Sembrava una questione banale. Invece no. Di banale c’era solo l’evidenza che non avessero nulla in comune, a parte studiare nello stesso College; anche se in effetti, a studiare era solo uno dei due, mentre l’altro sprecava tempo menando pugni e ciondolando nelle aule di diritto.

Ciononostante, erano amici. Si poteva dire così? 

Henry aveva scarsa esperienza di amicizie profonde, però doveva significare qualcosa che Worthington fosse lì sbracato sul divano di Mr Babbage.

Non che ci fosse bisogno di conoscere intimamente qualcuno per prestargli soccorso. Ecco: lo stava soccorrendo come avrebbe fatto con uno qualunque, perché era quello il primo dovere di un (futuro) medico.

Peccato che Worthington, con la sua prodigiosa faccia da schiaffi e l’infelice tendenza a provocarsi ferite e contusioni e a cacciarsi nei guai, non avesse proprio la stoffa per essere uno qualunque. Tuttavia, si sentiva di affermare che il proprio recente e incauto coinvolgimento nei fatti di lui era stato del tutto fortuito, ancorché provvidenziale.

Gettò uno sguardo pensieroso alla suddetta faccia da schiaffi e poi si avvicinò per guardare meglio: sulla mascella restava solo l’ombra del livido della settimana prima. Gli voltò appena il viso con due dita: anche il segno sullo zigomo era quasi scomparso, a riprova dell’ottima mano da anatomista con cui lo aveva ricucito. Aveva lineamenti molto regolari, sarebbe stato un peccato se fosse rimasto sfregiato.

Samuel mugolò una qualche protesta e si inclinò da un lato, perdendo l’equilibrio. La discesa fu frenata dall’imbottitura dello schienale contro la guancia; nel giro di pochi secondi, quella stessa guancia premeva contro la spalla di Henry, che non si spostò di un millimetro.

Forse, dopotutto, non era sbagliato presumere che fossero amici.

Worthington lo salutava sempre, con quel suo gesto tipico, di buttare la testa all’indietro e toccarsi il cappello, l’espressione perennemente imbronciata. Solo il fatto che uno come lui - altolocato, arrogante, famigerato attaccabrighe - gli dimostrasse considerazione era una stranezza che aveva destato perplessità fra le sue conoscenze. Di quello che pensavano gli altri, però, a Henry Temple non era mai importato granché.

Gli importava di più capirci qualcosa in tutta quella faccenda.

 

In realtà, a parte la faccia da schiaffi, trovava Samuel Worthington interessante

Aveva iniziato a considerarlo tale quando si era reso conto che la cattiva fama di cui godeva non corrispondeva alla realtà, se non in modo superficiale e distorto. 

Poi aveva ravvisato in lui un insospettabile senso dell’ironia, pungente e non scontato, che rivelava un cervello di prim’ordine e che gli piaceva moltissimo.

Ancora più interessanti erano certi sorrisi, rari e timidi, che nascondeva sotto gli sguardi feroci e la lingua tagliente con cui si dava da fare per scoraggiare il prossimo. Scoraggiare Henry Temple, però, era quasi impossibile, o non sarebbe mai arrivato dov’era. Era anche molto difficile da coinvolgere, di solito. E invece stavolta si sentiva coinvolto fin troppo. 

A dispetto di una notevole sicurezza in se stesso e un giudizio lucido su cui era abituato a fare sempre affidamento, quando si trattava di Samuel Worthington finiva con il comportarsi lui per primo in modi fastidiosamente irrazionali.

Come quando si era messo ad aspettarlo senza motivo nella vecchia astanteria al secondo piano. Per ore.

E non era successo una volta sola. 

Tre interi pomeriggi d’autunno, in cui avrebbe dovuto studiare a testa bassa per gli esami di metà semestre e che invece gli erano scivolati fra le dita, mentre fissava le foglie d’acero che cadevano oltre la finestra e si sfaldavano nel buio, in attesa di qualcuno che non sarebbe venuto.

Era chiaro che non sarebbe venuto. Perché avrebbe dovuto?

E lui, di preciso, cosa si era messo in testa? Perché si aspettava che venisse? Perché ci teneva così tanto da non riuscire a pensare a nient’altro?

Non lo sapeva. Non riusciva a capirlo. E trovava la cosa alquanto frustrante.

Che si fossero incontrati in quella stessa astanteria che puzzava di chiuso e formalina un paio di volte durante l’estate era stato puramente incidentale. 

Soprattutto, ciò che era accaduto in tali occasioni restava oscuro e imperscrutabile e pertanto era inutile arrovellarcisi, lo si doveva considerare, al livello complessivo, non significativo

Henry era convinto che uno scienziato, un razionalista convinto fosse tenuto a privilegiare l’interpretazione del quadro generale, senza lasciarsi distrarre da dettagli privi di senso e non riconducibili al modello.

Il modello era quello standard delle relazioni sociali (ambito nel quale comunque Mr Temple non eccelleva).

Il dettaglio privo di senso, nel caso specifico, era un bacio.

O almeno, così lo aveva catalogato Henry, che vantava una mediocre esperienza in materia, ma non aveva trovato una migliore definizione per l’atto fisico che prevede le labbra di qualcuno premute con convinzione sulle proprie.

Non c’era proprio verso di far rientrare un bacio in un tipo di relazione regolare  fra due maschi adulti, per quanto amichevole.

E quindi quale significato bisognava dargli? Quale significato gli attribuiva Worthington?

Era immorale? 

Probabilmente, ma le maglie della moralità di Henry Temple erano state allentate da un’infanzia in miniera e un’adolescenza nel collegio Ferguson, esperienza formativa e deformativa che non augurava a nessuno.

Era illegale?

Henry non ne aveva idea.

Per essere precisi, non aveva la minima idea di nulla di ciò che passava nella mente di Samuel Worthington, ma il punto era che questo inaccettabile tasso di imprevedibilità, anziché disturbarlo, gli metteva addosso una sorta di fibrillazione, una curiosità mai sperimentata in precedenza, un tipo di aspettativa urgente e vorace di tutto quello che sarebbe potuto succedere, e che sarebbe successo. Tutto ciò era parte integrante della (pericolosa) anomalia che Worthington rappresentava.

Era un po’ anomalo anche che quel bacio -  quei baci, due per l’esattezza, perché l’imperscrutabile era accaduto in entrambe le occasioni in cui si erano incontrati in forma privata - più che disgustarlo lo avessero lasciato sorpreso e confuso. 

Avrebbe dovuto chiedergliene conto. Avrebbe voluto. 

Tuttavia, Worthington, dopo, aveva agito come se nulla fosse, con talmente tanta convinzione che Henry non era riuscito a trovare il momento, né le parole giuste, per intavolare una seria discussione sull’argomento.

 

Il fuoco scoppiettava, spandendo un tepore infido, sonnolento, vagamente profumato di frutta secca. Samuel si mosse sotto la coperta; Henry si irrigidì al contatto del suo corpo  contro il proprio; tentò di scostarsi ma l’altro gli franò di più addosso. A un certo punto fece per tirarsi su, borbottò qualcosa di incomprensibile e poi crollò di nuovo e si accomodò meglio.

«Come ti senti, faccia da schiaffi? Ti sei scolato mezza Londra e vieni a collassare qui sul mio divano?» gli domandò a mezza voce. Il linguaggio confidenziale era una licenza poetica che l’oblio dell'alcol avrebbe cancellato.

«Henry? Oh. Henry. Tu… che ci fai qui?» biascicò Worthington, con gli occhi semichiusi. «Per la miseria, stavolta sono messo davvero male» si lamentò poi, massaggiandosi una tempia.

Henry gli appoggiò una mano aperta sulla fronte e poi tastò la giugulare con gesto esperto: faccia da schiaffi era tornato nel mondo dei vivi.

«Mi sento strano. Sto per morire, vero? Io… credo di avere una specie di problema cardiaco» mugolò Samuel, con una nota autentica di preoccupazione. «Da un po’ sai? Ce l’ho da un po’...»

Era spontaneo, una manifestazione di carattere che riscuoteva pochissimo consenso da parte della società e fin troppo da parte di Henry Temple. Così spontaneo che risultava ingenuo e indisponente allo stesso tempo, il che, purtroppo, sollecitava in Henry una sorta di subdola tenerezza, faceva leva su un istinto di protezione che non aveva né capo né coda e non gli era mai appartenuto.

Avrebbe voluto consolarlo, quando sarebbe stato il caso di buttarlo fuori a calci.

Limitò la consolazione a un buffetto sul braccio: «Quante storie! È solo un accenno di tachicardia, che non desta alcuna… »

Prima che potesse finire la frase, Samuel gli imprigionò il polso e si portò la sua mano sul petto, sopra la camicia. 

Il palpito pulito di quel cuore sotto le dita, potente e accelerato, turbò Henry Temple come a un medico non dovrebbe mai accadere.

«Lo senti? Non è normale, vero?» sussurrò ansioso Samuel e si premette addosso la mano più forte. 

Henry reagì divincolandosi il minimo necessario per liberarsi il polso.  

«Ho capito, sai: è un sogno… » concluse Samuel, deluso e querulo, lasciando ricadere la mano e la testa. «Che smacco! Neanche nei sogni riesco a farti…»

Le parole seguenti uscirono troppo impastate e terminarono con un singhiozzo e una lunga annusata del collo di Henry. «Sai di buono» decretò.

Anche tu, pensò Henry.   

Worthington aveva un odore sottile ma ben definito: amaro, di tabacco e sapone di lusso, con uno strascico di birra da bettola del west end, che un po’ ubriacava. O forse era proprio lui che ubriacava, perché in realtà, quando Henry gli era vicino, si trovava sempre in balia di una vaga ebbrezza, una sbornia leggera che rallentava i riflessi indeboliva le membra, ma di una debolezza appagata, come il torpore indotto dalla sazietà.

Così si sentiva: torpido, accaldato. E non sapeva più che farsene delle due mani che portava attaccate alle braccia, degli occhi che continuavano a vagare fra il collo pallido di Samuel Worthington, solcato da vene azzurrine, e i suoi capelli accesi d’oro e d’ombra dalle fiamme. Non sapeva che farsene nemmeno dei pensieri sconnessi che scoppiettavano nella sua testa come legna umida. Forse il crepitio che sentiva non veniva dal camino, ma da dentro se stesso.

Quello che veniva da dentro, a Henry faceva sempre un po’ paura.

La affrontò come quando era bambino, semplicemente restando immobile e trattenendo il fiato, mentre la notte avanzava in silenzio e li portava via con sé. 

La stanza si fece scura e tiepida, le fiamme si smorzarono e nessuno dei due pensò di cambiare posizione. Si nascosero dietro le palpebre abbassate, fingendo che il mondo intero fosse sparito, che fossero spariti tutti e nulla più esistesse oltre il perimetro angusto che il bagliore del fuoco marcava, sempre più stretto man mano che le fiamme si affievolivano. Prima o poi sarebbero rimasti solo loro.

 

«Worthington?»

«Sì?» Samuel rispose senza rivolgergli lo sguardo.

«Posso farti una domanda?»

Il paziente riferisce: 

perdita dei freni inibitori.

«No.»

«No?»

«No. Ho sonno.»

«È importante.»

«Addirittura? E allora, dai, fammi questa importante domanda, Mr Temple, e poi lasciami dormire.»

«Vorrei…» Henry esitò, sentendosi un codardo. «Vorrei che mi spiegassi tu cosa… Intendo dire: per te cosa significa quando…»

Samuel si voltò per fissarlo dritto negli occhi. I suoi erano azzurri, chiarissimi, quasi trasparenti; acque di mari celesti che gli ultimi riverberi del fuoco accendevano di stelle sommerse, come… 

Purtroppo gli scienziati non s’intendono di metafore, così Henry restò impigliato in quello sguardo e non si accorse affatto della situazione che precipitava.

 

Il paziente riferisce:

confusione, disorientamento.

 

Senza sapere come, si trovò la mano di Samuel appoggiata alla guancia e le sue labbra posate sulle proprie. Calde, appena un po’ umide, dischiuse quel che bastava per mischiare i respiri, confondere i battiti del cuore, compromettere irrimediabilmente le funzioni vitali.

 

Il paziente riferisce:

difficoltà respiratoria, aritmia, contrazione addominale, libido.

 

Henry chiuse gli occhi e un bianchissimo nulla s’impadronì della sua coscienza. Non gli era mai successo prima, di smettere di pensare. 

«Allora, cosa volevi che ti spiegassi?» domandò Samuel in un sussurro, con la nota irriverente che già si affacciava nella voce.

Henry non rispose.

Il paziente riferisce:

 nessun disgusto, nessuna reazione avversa, nessun rigetto.

 

Samuel consegnò al buio uno di quei suoi rari sorrisi e tornò nella comoda posizione di prima, sepolto sotto la coperta, il capo abbandonato contro una spalla robusta, le palpebre abbassate. 

Un braccio che prima non c’era gli circondò la schiena.

Calò un silenzio morbido e irreale, le fiamme erano svanite fra la cenere, restavano poche braci a sospirare il desiderio proibito di un fuoco nuovo.

Faceva freddo.

Il mondo girava dolcemente. 

Le loro mani si toccavano.

 
   
 
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