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Autore: Merry brandybuck    06/01/2024    0 recensioni
Stava avendo un giramento quando sentì una mano afferrarlo da sotto il mento; un volto sfocato, capelli lisci di media lunghezza, occhi castani: la prima faccia preoccupata che vedeva quella sera. Preoccupato per lui. Nie Huasiang lo stava interrogando […] il coraggio iniziò a farsi strada dentro di lui pian piano fino a che era divenuto un fiume in piena che premeva su una diga: non era più possibile resistere.
Genere: Malinconico, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Jiang Wanyin/Jiang Cheng, Nie HuaiSang
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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I wish you were sober…

 

Voleva letteralmente annegare nell’alcol. Jiang Cheng era seduto a un tavolino in un angolo oscuro del locale: era stato invitato alla festa per il diciottesimo compleanno di uno di quegli idioti amici di suo fratello ( Wen Ning, gli pareva che si chiamasse o qualcosa del genere) e si stava annoiando da morire. Wuxian stava ballando con il suo “ migliore amico” una decina di metri più in là, senza badare alle occhiatacce che gli venivano lanciate da quasi tutti i presenti; gli invidiava quella spensieratezza, quella strafottenza che lo rendevano così trasparente: avrebbe pagato milioni per essere altrettanto spontaneo e semplice. Appena aveva visto che la coppia veniva avvicinata da un altro giovane vestito di bianco, aveva serrato le palpebre e aveva sentito una lacrima scivolargli sulla guancia: quello era Lan Xichen, il rappresentante di istituto. Studente modello, lavoratore part time e abilissimo giocatore di tennis; Wanyin sorrise sentendo l’amaro salirgli in bocca: forse era per via di quella sua tranquillità, di quel suo equilibrio che si era innamorato di lui e gli aveva chiesto di uscire. Peccato che fosse finito tutto con un fiasco terribile: Zewu-jun aveva preferito il proprio amico d’infanzia ( ora elevato al rango di fidanzato), Nie Mingjue, e aveva deciso che le uscite e gli pseudo corteggiamenti avuti col ragazzo Jiang dovevano finire subito; gli aveva fatto recapitare una lettera, scritta a mano, arabeschi svolazzanti su carta di riso. Batté con forza il fondo del bicchiere contro il bordo del tavolo; poteva andare all’inferno, lui e la sua carta di riso ! Era deciso ad alzarsi e andare a dirgliene quattro, a imbarazzarlo, a mostrare a tutti che genere di persona fosse quel perfettino; si stava reggendo alla sedia quando per poco non volò in terra: aveva bevuto tanto da non reggersi in piedi. Prese, con mano tremante, la bottiglia e si versò un goccetto; sentì un sapore orrendo risalire dal fondo della gola, aspro, acre: forse stava per vomitare o magari, erano i sensi di colpa. Chi lo sa. 

 

Stava avendo un giramento quando sentì una mano afferrarlo da sotto il mento; un volto sfocato, capelli lisci di media lunghezza, occhi castani: la prima faccia preoccupata che vedeva quella sera. Preoccupato per lui. Nie Huasiang lo stava interrogando: " Quanti bicchieri hai bevuto ? Due ? Quattro?" Il figlio di Fengmian si concentrò sulla domanda a tal punto che iniziò a sentire il suo battito cardiaco rimbombare nella scatola cranica; i numeri gli affollavano la mente, danzavano ad un ritmo convulso davanti al suo naso: non capiva più neanche dove fosse il tavolo e un singhiozzo gli scosse tutta la spina dorsale. Alzò di nuovo lo sguardo ed ebbe un sussulto: le labbra graziose e delicate erano a qualche centimetro dal suo naso, piegate in una smorfia tesa; il pensiero di mangiarsele a forza di baci gli passò nell’anticamera del cervello e rapidamente prese forma in un’idea abbastanza concreta. Il ragazzo spostò rumorosamente una sedia, riportandolo di botto alla realtà: “Non dovresti lasciarti andare così tanto, A-yin, non ti fa bene…” lo rimbrottò, sedendosi composto. “ Non capisci nulla, Nie, nulla di niente in questo straccio di vita !” abbaiò scontrosamente; dall’altro lato un sorriso velato dall’amarezza: “ Ti capisco meglio di quanto tu non creda…” Lo aveva detto con una calma e una bonarietà immense, eppure il maggiore si sentì come se qualcuno l’avesse preso a pugni sulla bocca dello stomaco; uno più giovane di lui, non propriamente un vincente della vita, inetto come pochi al mondo lo stava rimproverando con dolcezza quasi materna: aveva appena toccato il fondo. Il disprezzo per sé stesso e la frustrazione lo spinsero ad appendersi alle dita del Sussurratore come ad un’ancora di salvezza, mentre le emozioni gli scaturivano dagli occhi; questi gli accarezzò le gote rigate dal pianto, i polpastrelli leggeri sulla pelle arrossata. Restarono lì immobili per un tempo infinito, in mezzo alla calca di gente che ballava, rideva e si divertiva, come se fossero soli al mondo; il minore reggeva il capo di Jiang Cheng e continuava a rincuorarlo in silenzio, mentre questo gemeva come un animale ferito, cercando in quel contatto un bastone a cui reggersi.

 

“Gongzi, vado ad avvisare tuo fratello” Huasiang scostò la testa dell’amico dalle proprie ginocchia; “Aspetta… non andare… perché vanno tutti da lui ?” Shengshou biascicò, mezzo addormentato, e si sporse per afferrargli il braccio: tutte le sue certezze stavano come svanendo nella nuvola che aveva riempito la sua mente insieme all’alcol. “Non preoccuparti: vado, gli dico che ti accompagno a casa perché sei troppo ubriaco per guidare e torno. Tu resta qui, buono buono” detto ciò, si allontanò con un balzello e iniziò a spintonare per farsi spazio in mezzo alla folla. Il maggiore rimase fermo imbambolato a fissarlo, nel mentre che il suo cervello elaborava lentamente il concetto di dover prepararsi ad uscire dal locale: scosse le gambe energicamente per risvegliare dal torpore e, tutto scombussolato, allungò la mano verso la giacca, abbandonata al suo fianco sul divanetto; si sentiva come un uomo di stagno  di quelli che aveva studiato a scuola nelle poesie stilnoviste, pesante e vuoto. A fatica calcò le braccia nelle maniche del giubbotto e tastò le tasche per controllare se ci fosse ancora tutto: chiavi di casa, portafogli e cellulare; non che ci fosse niente da rubare, ma sarebbe stato assai seccante andare a sporgere una denuncia verso ignoti nel bel mezzo di un dopo sbornia. Chiuse la zip e, tentando di prendere il il respiro più profondo che poteva, si tirò in piedi; fu colto subito da un colossale capogiro  e dovette ricorrere a tutte le sue risorse per non accasciarsi nuovamente seduto: soppresse i brividi e i tremori, ricacciò la cena nello stomaco e cercò di ridarsi un minimo di contegno. Era ancora vacillante quando le mani gentili del suo accompagnatore arrivarono a sostenerlo; la voce chioccia del giovane gli giunse nell’orecchio, liberatoria come una dose di morfina: “Tuo fratello torna a casa con Wangji: mi ha già dato le chiavi della macchina. Riesci a camminare ?” Wanyin scosse il capo deciso, cosa che gli provocò un aumento della confusione che già regnava nella sua mente; il suo interlocutore lo afferrò per i polsi, facendolo sussultare: quelle mani, così piccole e al contempo forti, erano piacevolmente tiepide. “Facciamo così: ora tu metti il braccio sopra le mie spalle e io ti reggo, così riusciamo ad arrivare almeno fino all’uscio” Jiang Cheng seguì accuratamente le indicazioni e dopo i primi passi vacillanti si lasciò andare, con la guancia poggiata sul chiodo verde di Huasiang: lentamente navigarono la folla, tra luci stroboscopiche, alcolici, urla, applausi e brindisi al festeggiato, palpatine e provetti ballerini verso l’uscita più vicina. Il giovane Nie si voltò un'ultima volta per salutare e poi spinse con forza il maniglione antipanico di una porta di servizio, facendo entrare nel locale una sferzata di aria fresca; con sicurezza guidò il suo assistito all’esterno e riaccompagnò il portone con calma. 

 

La notte era piacevolmente frizzante, l’aria d’Aprile carica di primavera, l’umidità delle ultime piogge e l’odore dei boccioli appena spuntati che inebriavano i loro sensi; il silenzio era quasi assordante dopo tutto quel tempo che avevano passato vicino agli amplificatori, solo i loro passi strascicati facevano loro da colonna sonora. Le stelle e la luce del lampione del parcheggio illuminavano l’asfalto intessuto di crepe e proiettavano lontano le loro ombre: un gigantesco Golia piegato su un resiliente Davide che lentamente avanzavano nel mezzo del nulla. Rinfrancato dalla sensazione di libertà di uno spazio aperto e dalla presenza di quel suo forte sostegno, il figlio si Fengmian si sentì così sollevato e disinibito da tentare una conversazione coerente con il suo accompagnatore: “Ma tu cosa ci facevi a quella festa, eh Nie ?” In risposta un risolino divertito: “Mi ha imbucato Wuxian, come al solito: il vero mistero è come abbia fatto mio fratello ad avere un invito” “Lo ha avuto da Xichen: glielo avevo visto appoggiato sul cruscotto l’ultima volta che abbiamo parlato…” . Le lacrime riempirono ancora i suoi occhi mentre pronunciava queste parole; il minore si fermò e lo fissò dritto in volto, analizzandolo, soffermandosi ogni istante e soppesandone ogni tratto distorto dal pianto: poi lo strinse tra le braccia. “Gongzi, mi dispiace tantissimo” mormorò mentre lo traeva a sé: “Lo so che adesso non ti sembra possibile, ma puoi trovare molto di meglio”. Il maggiore sentiva la frustrazione  salire man mano che i singhiozzi si facevano sempre più frequenti: non riusciva neanche a rispondere alle consolazioni, la bocca in pappa dall’alcol e dalle contrazioni spasmodiche del diaframma; intanto il giovane Nie gli batteva fraternamente tra le scapole, nel più che vano tentativo di tranquillizzarlo…

Ripresosi quel tanto che bastava per asciugarsi gli occhi, Shengshou sentiva tutto il peso della testa e delle braccia che sembrava tirarlo inevitabilmente verso il basso, caricando ancor di più le sue tremanti ginocchia; il suo accompagnatore se lo caricò nuovamente sulle spalle e a mo’ di gruccia lo aiutò a proseguire fino all’auto. Una Cadillac Sedan de Ville del 1985 rossa (macchina per cui Wei Ying aveva fatto più che i salti mortali) li attendeva nell’ultimo posto della terza fila; fu abbastanza complicato per il Sussurratore far girare la chiave nella serratura del lato passeggero e allo stesso tempo reggere il suo assistito semi-incosciente perché non si accasciasse sul cofano: solo dopo la terza spinta, condita da numerosi improperi, la portiera si aprì con un cigolio poco rassicurante.

Tirato appena appena giù il finestrino con uno sforzo titanico (ma perché A-xian non le oliava mai quelle dannate manovelle ??), Huasiang appoggiò il suo protetto sul sedile, semisdraiato, e gli allacciò la cintura di sicurezza; stava per allontanarsi e chiudere lo sportello quando udì un mormorio: si chinò per cercare di capire se A-Cheng stesse cercando di dirgli qualcosa. “A-xiang…”

aveva alzato una mano e gliel’aveva piazzata sulla nuca: i suoi occhi grigi erano annebbiati dall’alcol, la voce quella di un febbricitante. “Grazie di prenderti cura di me: sei così dolce, puro…” gli accarezzava l’orecchio col pollice “… e così irresistibilmente affascinante. Dicevi che posso trovare di meglio di Xichen, vero? Ebbene, io ho già trovato qualcuno: sono veloce, nevvero?” Una risata sganasciata “Ho trovato te… Io ti amo Nie Huasiang; con tutto il mio cuore e tutto me stesso”. Il ragazzo fu percorso da un fremito e dovette subito chiudere la portiera della macchina per non mostrare il rossore che spiccava sul suo viso; passò in fianco al bagagliaio con passo svelto, mentre cercava di snodare quel nodo che gli si era formato all’altezza dello stomaco: gli ci volle qualche minuto per calmare il proprio respiro e perché il suo cuore smettesse di galoppare, rischiando si scappargli dal petto. Si sedette al sedile del guidatore, allacciò la cintura e rimase un attimo in silenzio a guardare le stecche dei tergicristalli; il coraggio iniziò a farsi strada dentro di lui pian piano fino a che era divenuto un fiume in piena che premeva su una diga: non era più possibile resistere. “Sai, A-Cheng,…” disse con una nota dolceamara nella voce “…sono anni che mi piaci e tu sono anni che non te ne accorgi, da quando andavamo a scuola insieme, sullo stesso bus, nei posti in fondo; non ho mai smesso da allora. Quindi ti risponderei che ti amo anche io, con tutta la mia anima e tutto il mio sangue: ti risponderei così se tu fossi sobrio e se tutto quello che mi hai detto fosse vero”. Concluse quasi in un sussurro, mentre inseriva la chiave; si voltò a guardare l’espressione di Jiang Cheng: questi aveva l’aria contrita di un bambino che sa di aver sbagliato qualcosa, anche se non sa ciò che ha fatto. Sospirò mentre il motore iniziava a rombare. 

   
 
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