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Autore: Cj Spencer    07/01/2024    1 recensioni
Terzo volume de "Napoleon of Another World!"
La Rivoluzione ha vinto, e Daemon ha ottenuto il controllo del suo primo territorio reclamando per sé la provincia imperiale di Eirinn, ribattezzata Stato Libero di Ende.
Ma questo è solo il primo passo verso la ricostruzione del suo Impero.
E sulla sua strada verso l'unificazione dell'intera Erthea prima dell'arrivo del Re dei Demoni si pone già il primo avversario: Victor Montgomery, signore del vicino Granducato di Eirinn, che spera di sfruttare la situazione per riprendere il controllo delle terre che secoli prima furono tolte alla sua patria dall'Impero.
Genere: Avventura, Fantasy, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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“Senza cavalleria

ogni battaglia è destinata al fallimento”

CAPITOLO 5

INFERNO BIANCO

 

 

Un frastuono spaventoso sovrastò quello dei centauri nel mezzo della carica e l’aria secca della montagna si riempì del puzzo nauseante della polvere da sparo, mentre la barricate scomparivano dietro una densa coltre di fumo bianco.

Athreia e i suoi compagni inizialmente non capirono neanche cosa li avesse colpiti, fatto sta che da un momento all’altro decine di loro caddero rovinosamente sulla neve, tingendola di rosso per la gran quantità di sangue versato.

Quelli che venivano subito dietro istintivamente provarono a fermarsi per non travolgere i loro compagni, ma nonostante i loro zoccoli poderosi non era facile arrestare una carica su di un terreno ghiacciato, e così anche molti di loro caddero provocando ancora più caos.

Ben presto la cortina fumogena si diradò, giusto in tempo perché Athreia e i pochi che ancora non avevano arrestato la carica potessero vedere i tiratori nemici alzarsi e indietreggiare, pronti per venire sostituiti da dei loro compagni armati nello stesso modo.

«Fuoco!»

La seconda raffica fu ancora più letale, perché ormai molte Furie si erano quasi fermate diventando dei facili bersagli, e infatti in questo caso i morti furono molti di più.

Alla fine, inevitabilmente, la carica si fermò e nessun centauro raggiunse le palizzate, dalle quali nonostante tutto continuarono ad arrivare ad un ritmo incessante raffiche di proiettili. La cosa terribile era che i nemici miravano principalmente alla metà equina dei corpi dei centauri, spesso lasciata scoperta o poco protetta, riuscendo così a far perdere loro l’equilibrio e provocando un letale effetto domino. E una volta che un centauro cadeva non era facile per lui rimettersi in piedi, rimanendo vulnerabile.

Medea, che non indossava alcun tipo di protezione, provò a scoccare alcune frecce riuscendo anche ad uccidere un paio di tiratori, ma ciò ebbe il solo effetto di spingere i nemici a concentrare il fuoco contro di lei.

«Medea, attenta!» urlò la sorella, non riuscendo tuttavia ad impedire che un proiettile la colpisse ad un braccio.

«Comandante, se restiamo qui ci massacreranno!» disse Stavros proteggendosi con lo scudo e cercando nel contempo di soccorrere alcuni compagni feriti

Non c’era altra scelta.

Dovevano ritirarsi.

«Arretrare! Arretrare!»

La ferrea disciplina dell’unità impedì che il ripiegamento si trasformasse in una fuga precipitosa, ma diede anche ai ribelli la scusa per non cessare un momento di sparare fino a quando le Furie non giunsero oltre la portata delle loro armi infernali.

Ovviamente alla vista delle famigerate Furie di Vanlia che si ritiravano senza neanche aver realmente combattuto i mercenari, nonostante gli incitamenti di Ignes, neanche ci provarono ad avanzare a loro volta, e quella che si pensava dovesse essere una rapida cavalcata verso la vittoria divenne un colossale fallimento.

Quando le armi finalmente tacquero sul terreno erano rimasti dieci morti e il doppio dei feriti, che vennero portati via dopo aver concordato una tregua di due ore.

La prima battaglia, per quanto riguardava le forze di Eirinn, si concludeva nel modo peggiore.

 

Anche se dal mio punto di vista gli eserciti di Erthea non erano altro che una massa di cavernicoli che combattevano ancora con spade, lance e scudi era impensabile affrontare un’orda di centauri alla carica con centoventi fucili di scarsa qualità e altrettanti mediocri moschettieri.

Una volta mentre leggevo un libro che mio fratello Giuseppe mi aveva mandato in dono dalla collezione privata dei Reali di Spagna avevo letto di una battaglia avvenuta in estremo oriente più di duecento anni prima, all’alba dell’arte delle armi da fuoco.

Un uomo –un genio o un folle, a mio parere– era riuscito nell’impresa di fermare una carica semplicemente disponendo i suoi uomini dietro delle barriere di legno e ordinando loro di sparare in successione disponendosi su tre file.

Per chi non ha mai visto un fucile in vita sua l’effetto psicologico del vedersi arrivare addosso un’incessante scarica di proiettili doveva essere sicuramente qualcosa di spaventoso, forse anche di più di venire colpiti a cannonate.

Ora sapevo che era così.

Ma non è tutto oro quel che luccica, e come al solito toccò a me, l’unico realista della comitiva, fare la parte dell’uccello del malaugurio.

«Sarebbe tutta qui la leggendaria forza dei centauri?» disse Scalia subito dopo la fine dello scontro. «Grandi guerrieri, ma fammi il piacere. Grandi buoni a niente.»

Le volevo bene, ma alle volte trovavo questa sua baldanza ed eccessiva sicurezza decisamente insopportabili.

«Forse, ma non illudiamoci che finisca così. Questo era solo l’inizio.»

«Pensi che ci riproveranno?» chiese Septimus

«Senza dubbio. Avete visto le loro bandiere? Il centauro rampante su sfondo verde? Erano le Furie di Vanlia. Ci vuole ben altro per impensierire guerrieri così valorosi.»

«Che vengano pure, fratello. Li accoglieremo alla stessa maniera.»

«Non è così facile. Tanto per cominciare, questa semplice schermaglia ci è costata quasi la metà delle munizioni che avevamo portato con noi.»

Per non parlare del fatto che, contrariamente a quanto aveva detto Eilon, molte armi si erano inceppate o erano proprio scoppiate in mano ai soldati, rivelandosi tutt’altro che perfette.

«Inoltre, anche il più stupido dei comandanti non commette due volte lo stesso errore. La prima volta ci hanno sottovalutati, alla seconda saranno più preparati.»

«Quando pensi che torneranno all’attacco?»

«Credo di averne già un’idea. E come saprai già amico mio, in guerra è chi attacca a dettare i tempi. Stanotte le lune saranno in fase calante, ma le stelle riflettendosi sulla neve e sul ghiaccio forniranno tutta la luce necessaria. E probabilmente ne approfitteranno sperando di coglierci stanchi o addormentati.»

«Hai qualche idea su come poterli respingere?»

Se avessi avuto a disposizione qualche cannone non sarebbe stato un problema, ma il poco tempo e l’altitudine mi avevano impedito di portarli con me.

Oltretutto il nemico non ci avrebbe messo molto a comprendere che le nostre armi da fuoco per il momento erano solo un fuoco di paglia, che oltre a spaventare e fare scena non servivano a molto altro, tanto scarsi erano i loro i risultati pratici in battaglia.

«Forse c’è una soluzione. Sapi

«Sì, fratellone?»

«Mi servirà il tuo aiuto.»

«Tutto quello che vuoi.»

 

«Sarebbe tutta qui la leggendaria forza dei centauri?»

Athreia sapeva di meritare lo scherno, e restava immobile con lo sguardo basso a sopportare i commenti sarcastici di Philippe.

«Da guerrieri della vostra fama mi sarei aspettato molto di più, ma è bastato un po’ di rumore e qualche strana arma per farvi scappare a gambe levate.»

«Non avevamo mai visto armi del genere. Ci hanno colti alla sprovvista.»

«La vittoria in questa battaglia è vitale per garantire il successo della nostra operazione. Ogni cosa era stata preparata accuratamente. Ora invece dovrò inviare un messaggero a mio nipote per informarlo che il nostro piano non sarà portato a termine secondo i tempi previsti.»

«Forse non è stato tutto inutile, Generale. Ora sappiamo cosa abbiamo di fronte.»

Athreia fischiò, e Stavros entrò nella tenda tenendo in mano la propria corazza, sul cui petto era ben visibile una vistosa ammaccatura.

«Molti dei nostri soldati che sono stati colpiti da quelle strane armi hanno segni come questo sulle corazze. All’inizio ho pensato che mirassero alle nostre parti equine per farci cadere più facilmente, ma probabilmente anche loro sapevano di non poter trapassare le nostre protezioni. Ora che lo sappiamo, sarà sufficiente proteggerci meglio per rendere le loro armi del tutto inefficaci.»

«In questo caso torneremo subito all’attacco. Stanotte.»

«Forse sarebbe meglio aspettare domani mattina. È probabile che il nemico si aspetti un attacco durante la notte, e potrebbero tentare di tenderci qualche altra trappola approfittando del buio.»

«Dovreste essermi grata invece di replicare, Capitano. Se entro l’alba il passo sarà in mano nostra il piano non subirà alcun ritardo, e nessuno verrà mai a sapere del vostro fallimento. Cosa direbbe Sua Maestà se sapesse che i suoi fidati centauri sono stati respinti da un pugno di ribelli senza aver nemmeno combattuto?»

Athreia digrignò i denti e serrò i pugni, ma sapeva di non poter fare niente; il mandato dell’Imperatore la poneva alle totali dipendenze di Victor e dei suoi generali, quindi era tenuta ad obbedire ai loro ordini.

«Il piano di battaglia rimane lo stesso. Voi aprirete la strada, e i mercenari vi seguiranno. Potete andare.»

Appena uscita dalla tenda Athreia andò a visitare i propri feriti.

«Qualche graffio e poco altro.» sentenziò Kassia, il medico dell’unità. «La maggior parte potrà tornare a combattere molto presto.»

«Mi dispiace chiedervi di tornare subito a combattere amici miei, ma temo di avere ancora bisogno di voi. Il Generale ha deciso di lanciare un nuovo attacco già questa notte.»

«Non preoccuparti comandante. Non sarà una cosa del genere a fermarci.»

«Ben detto! Tu dacci l’ordine, e saremo pronti a caricare di nuovo!»

«E stavolta li spazzeremo via.»

Almeno l’entusiasmo non ne aveva risentito, malgrado avessero perso più compagni nelle ultime due ore che negli ultimi due anni.

Ma anche se era abbastanza sicura che il secondo attacco sarebbe stato molto diverso, Athreia volle prendere una ulteriore precauzione.

«Medea, voglio che stanotte tu resti qui con Kassia e gli altri feriti più gravi.»

«Cosa!? Perché!? Kassia dice che posso combattere.»

«La tua ferita non è una cosa da niente, e anche se combattessi non potresti farlo al meglio delle tue capacità.»

Medea non sopportava quando Athreia faceva la parte della sorella iperprotettiva, ma nel momento in cui, su sua richiesta, non riuscì a tendere completamente l’arco per via del dolore capì che forse per una volta era più saggio darle ascolto.

«Non temere, ci saranno altre occasioni. Questa guerra è solo all’inizio. Ti basterà un po’ di riposo e potrai di nuovo a galoppare al mio fianco.»

«D’accordo. Però tu promettimi di stare attenta.»

 

Al calare delle tenebre, il passo e le montagne circostanti si tinsero del magico colore delle stelle, rifulgendo di una tenue luce azzurra.

Athreia e i suoi compagni avanzarono lentamente, per ritardare il più possibile il momento in cui il nemico si sarebbe accorto di loro dandogli pochissimo tempo per reagire.

Quando giunsero in vista delle stesse barricate su cui la loro prima offensiva si era infranta le trovarono deserte, con giusto un paio di sentinelle che montavano la guardia senza luci magiche né torce.

Forse credevano anche loro al mito secondo cui i centauri al buio erano quasi ciechi, –in realtà semplicemente ci vedevano solo un po’ meno, come gli umani del resto– o forse semplicemente non si aspettavano un nuovo attacco così presto.

«Adesso! Carica!»

Preceduti da una prima fila di compagni coperti dalle più pesanti corazze e da grandi scudi rinforzati le Furie partirono all’assalto sollevando un fitto pulviscolo di neve.

Le sentinelle si diedero alla fuga giusto in tempo per non venire travolte, e con la caduta della prima fila di barricate gli assalitori arrivarono già in vista dell’accampamento nemico.

«Non diamogli tregua! Non devono avere il tempo di organizzarsi!»

Tra loro e il campo ben presto ci fu solo una vasta zona pianeggiante, puntellata da altre barricate che andarono giù come bastoncini sotto la potenza della loro carica inarrestabile.

Colti alla sprovvista i ribelli si affrettarono ad erigere un muro di scudi e di lance, ma era evidente che non sarebbe mai bastato per fermare un simile uragano.

Il ghiaccio tremava come se avesse dovuto rompersi da un momento all’altro… e così accadde.

Senza apparente motivo il terreno crollò improvvisamente sotto gli zoccoli dei centauri, svelando sotto la coltre di neve e di ghiaccio profondi crepacci che inghiottirono molti di loro, soprattutto quelli che a causa delle corazze non si mostrarono l’agilità necessaria a mettersi in salvo.

Persino Athreia per poco non precipitò in una voragine, riuscendo a salvarsi solo perché Stavros che galoppava dietro di lei fu rapido ad afferrarla.

Perché quella in cui le Furie erano capitate era una depressione del ghiacciaio caratterizzata dalla presenza di grosse crepe che nel corso del tempo erano state ricoperte da svariati metri di neve, talmente spessa e compatta da poter sopportare senza difficoltà grossi pesi.

Ma allora, si diceva Athreia, com’era stato possibile che la copertura si fosse frantumata proprio in quel momento?

La risposta le apparve forte e chiara nel momento in cui ricordò di aver visto, un attimo prima che il terreno crollasse, svariati paletti di legno che sbucavano in vari appunti dalla neve.

«Hanno spaccato e danneggiato la coltre di neve cosicché crollasse appena ci fossimo passati sopra.» disse Stavros

«Ma come potevano sapere dove fossero i crepacci?»

Loro non potevano saperlo, ma era tutto merito di Sapi; niente di più facile per un’appartenente ad una specie che per sua stessa natura aveva sempre vissuto in simbiosi con la neve e con il ghiaccio.

A quel punto la carica si era fermata, e i ribelli, tutt’altro che impreparati, balzarono fuori da dietro alcuni avvallamenti assalendo le Furie da entrambi i lati armati di lunghe lance.

«All’attacco!» gridò Verus aprendo la strada «E attenti a dove mettete i piedi!»

Confusi ma non domati, Athreia e i suoi fecero quadrato, riuscendo incredibilmente a reggere l’urto ed impegnando i ribelli in un furioso corpo a corpo.

E fu proprio per via dell’inaspettata resistenza del nemico che Daemon, assistendo alla battaglia dall’alto di una collinetta, non riusciva a spiegarsi il mancato arrivo di una seconda ondata.

«Non capisco. Nonostante abbiamo arrestato la carica sono riusciti comunque ad iniziare uno scontro, ma se aspettano ancora perderanno l’occasione per spingere. Per quale motivo non mandano qualcuno ad aiutarli?»

«Forse pensano che non riusciranno a resistere abbastanza.» ipotizzò Septimus «D’altronde si sa che ad Eirinn non vi è molta stima per l’Impero, e le Furie di Vanlia sono in tutto e per tutto parte dell’esercito imperiale.»

«È questo il punto. La loro fama è risaputa, e potevano aspettarsi che in qualche modo si sarebbero distinti in combattimento. Perché mandarli avanti con il rischio che possano prendersi tutta la gloria?»

Un atroce sospetto si accese da un momento all’alto nella testa del giovane generale, che una volta balzato in piedi iniziò a guardarsi nervosamente attorno fino a scorgere, con la coda dell’occhio, degli strani bagliori sulla montagna.

«Maledizione, avrei dovuto capirlo prima! Ordinate la ritirata, subito!»

«Cosa!?»

Purtroppo era già troppo tardi.

Nel momento in cui un fuoco d’artificio si alzò nel cielo notturno dal cuore dell’accampamento nemico, gli esploratori di Eirinn presenti sulla collina accesero le micce dei barilotti esplosivi con cui avevano imbottito in fianco della montagna.

Dapprima tutti udirono una serie di esplosioni, solo parzialmente mascherate dal fragore della battaglia, poi, preceduto da un cupo suono messaggero di morte, una enorme massa di neve si staccò dalle pendici del Monte Gael scendendo verso il basso nella forma di una delle più spaventose valanghe che si fossero mai viste.

«Presto, mettiamoci al riparo! Raggiungiamo quell’altura lassù!»

«Ma Daemon, e i nostri compagni là sotto?»

«Non possiamo fare niente per loro, Scalia! Se restiamo qui moriremo tutti!»

La battaglia infuriava con tale violenza che sull’altopiano nessuno si accorse di niente fino a quando non arrivò il primo, violentissimo spostamento d’aria.

Nessuno fece in tempo a mettersi in salvo; la valanga, scendendo, travolse ogni cosa, inghiottendo senza speranza tutto ciò che incontrò sul suo cammino e unendo coloro che fino ad un attimo prima si erano combattuti l’un l’altro nella medesima, terrificante morte.

Tutto si risolse nel giro di pochi minuti, poi nella zona tornò a dominare uno sconcertante silenzio.

 

Al sorgere del sole, la portata del disastro che aveva colpito entrambi gli eserciti si palesò in tutto il suo orrore.

Il suolo si era alzato di almeno tre metri, tanto che il colle su cui Daemon e i pochi che erano riusciti a seguirlo si erano messi al riparo era ora allo stesso livello della zona circostante.

Subito ci si mise al lavoro nel tentativo di trovare qualcuno vivo, ma tutto quello che iniziò ad emergere dalla neve furono corpi senza vita.

Venne trovato anche Verus, morto anche lui, e per Septimus fu molto doloroso trovare la forza per chiudergli gli occhi. Si erano conosciuti brevemente poco prima che scoppiasse la Rivoluzione, e nel poco tempo che avevano trascorso fianco a fianco erano quasi riusciti a diventare amici.

«Tutti questi morti.» disse Scalia sull’orlo delle lacrime «I nostri amici. I nostri compagni. Perché doveva succedere proprio adesso?»

«Ho paura che non sia stato un incidente.»

«Cosa!?»

«Non ho ragione, Daemon?»

«Temo che sia così. Si è trattato di una scelta volontaria. Hanno fatto venire giù la valanga nella speranza di seppellirci tutti.»

«Ma… ma c’erano anche i loro compagni! Non posso credere che qualcuno sia disposto ad arrivare a tanto pur di vincere una battaglia.»

«Per qualcuno i soldati non sono altro che pezzi su una scacchiera, da mandare al massacro senza remore se necessario. E se poi non fanno nemmeno parte del tuo esercito, sacrificarli ti crea ancor meno problemi.»

Sapi era sconvolta tanto quanto Scalia, e andava in giro per tutta la zona saggiando la neve sotto le zampe; era stato merito suo se si era potuto mettere in atto quel piano, e ora stava sempre a lei e al suo rapporto simbiotico con il gelo la speranza di poter trovare qualcuno ancora in vita.

«Qui sotto c’è qualcuno che respira!» esclamò ad un certo punto, mettendosi subito a scavare.

Tutti quelli che potevano accorsero subito a dare una mano, e qualcuno quasi storse il naso quando ad emergere dalla neve furono il capo calvo e la lunga barba intirizzita dal gelo del vicecomandante delle Furie. Per chissà quale miracolo anche nel bel mezzo della valanga era riuscito a non perdere la presa con Athreia, che aveva tenuta stretta a sé proteggendola come poteva.

Il suo corpo era ferito e congelato, ed era chiaro che pur di riuscire a salvare la sua protetta, che giaceva priva di sensi ma ancora viva vicino a lui, aveva scelto di sacrificare la propria vita.

«Vi prego… abbiate pietà di lei…» disse, esalando l’ultimo respiro prima che qualcuno potesse provare ad aiutarlo

Malgrado quella scena straziante in molti non erano sicuri di voler aiutare un nemico che prima dell’arrivo della valanga aveva ferito e ucciso un gran numero di loro.

«Septimus, trova una slitta per trasportarla. E tu Sapi, tirala fuori da lì.»

«Subito.»

«Daemon, ma che fai? Lei è un nemico.»

«Forse, ma è una vittima tanto quanto noi. Se la abbandoniamo qui in cosa saremmo diversi da quelli che ci hanno fatto cadere una montagna addosso pur di vincere?»

Scalia si fece un esame di coscienza e tacque, dando anche una mano a Sapi nel tirare fuori la centaura mezza morta da sotto la neve; era talmente grossa che fu necessario destinare a lei una intera slitta per il trasporto dei feriti.

«Generale, ci sono movimenti nel campo nemico.» fece rapporto Tecla. «Si stanno preparando ad avanzare.»

«Non abbiamo scelta. Ritiriamoci.»

«E i nostri amici ancora qua sotto?»

«Non possiamo fare niente, Scalia. Non abbiamo modo di opporci ad un esercito così numeroso, né abbiamo tempo di allestire nuove difese più a valle. Dobbiamo allontanarci da qui finché possiamo.»

«Ma tutti questi corpi…»

«Resteranno qui dove sono. Più cadaveri lasceremo, più tempo impiegheranno a capire che non siamo tutti morti.»

«Daemon…»

«Lo so che è disumano Scalia, ma in questo momento ci serve ogni secondo che riusciremo a guadagnare. Ti prometto che appena potremo torneremo qui per onorarli come meritano. Per ora possiamo solo allontanarci il più in fretta possibile.»

Così, raccolto in fretta e furia tutto ciò che poteva essere portato via, a cominciare dai feriti e dalle nuove armi ideate da Daemon, l’esercito dello Stato Libero scese dal passo con un animo molto diverso da quello con cui vi era salito.

Teoricamente scendevano da lassù imbattuti, visto che il nemico non li aveva sconfitti in uno scontro aperto ma solo ricorrendo ad uno spietato stratagemma, ma questo non importava. Quello che importava era che il nemico avanzava, e presto sarebbe entrato nella loro terra.

 

La ritirata dalle montagne si concluse a Basterwick, la grande città più vicina alla linea del fronte.

L’atmosfera era tesa, e non solo nella sala delle udienze del palazzo del governatore dove Daemon aveva riunito il suo consiglio di guerra.

Inebriati dall’odore di libertà e dalla soddisfazione di essersi finalmente liberati del dominio imperiale, nonché da tutto il benessere che le nuove politiche economiche stavano portato alla nazione, i cittadini avevano finito per dimenticare che là fuori c’era chi non aveva alcuna intenzione di lasciare impunita la Rivoluzione.

Qualcuno si domandava se non fosse ancora possibile tornare indietro, confidando nel fatto che ad incombere su di loro non era l’esercito imperiale, ma quello di Eirinn: fratelli di una stessa stirpe.

Alla riunione mancavano solo Oldrick e Adrian, visto che entrambi si trovavano ancora a Grote Muren, ma la prima cosa che Daemon fece appena iniziata la riunione fu deliberare l’immediato abbandono del forte.

«Difendere Grote Muren poteva andare bene fintanto che mantenevamo il controllo dei nostri territori, ma con la caduta del passo possiamo considerare il confine orientale perduto. Devono ritirarsi ora finché possono.»

«E abbandonare il forte così?» chiese Septimus «Senza combattere?»

«Un forte si può riconquistare, un soldato morto non si riporta in vita. E ora ci serviranno tutti quelli che abbiamo a disposizione. A che punto sono le consegne dei nuovi armamenti?»

«I magazzini sono pieni.» disse Borg. «Potresti dare una spada, un arco, una lancia ad ogni uomo, donna e bambino di questo Paese e resterebbero ancora delle scorte.»

«Artiglieria?»

«Abbiamo appena finito di costruire sedici nuovi cannoni da dodici libbre.» disse Eilon «Li stiamo già portando qui dalle fonderie delle miniere.»

«Non sarebbe stato meglio costruire quelle nuove armi?» domandò Scalia. «Sono sembrate molto efficaci nella prima battaglia sul passo.»

«Saranno anche piccole, ma non sono per niente facili da realizzare e assemblare. Per costruire le duecento che vi abbiamo consegnato abbiamo dovuto lavorare giorno e notte per mesi.»

«E come se non bastasse sono rimaste quasi tutte lassù, sepolte sotto la neve.» disse mestamente Septimus «Speriamo solo che i nostri nemici non le trovino, o che non sappiano come usarle.»

«Ormai non ha senso piangere sul latte versato. Concentriamoci piuttosto su quello che possiamo fare. Useremo Basterwick come nuovo centro di comando per coordinare le operazioni difensive.»

«Non sarebbe più sicuro ripiegare verso il Castello?»

«Scalia ha ragione, è più in profondità nel nostro territorio, e chiudere le valli sarebbe abbastanza facile.»

«Avete guardato fuori dalla finestra? Basterwick e i suoi campi sono la nostra principale fonte di cibo, e come se non bastasse il grano deve ancora essere mietuto. Volete davvero lasciare tutta questa roba in mano al nemico?»

Sia Scalia che Septimus abbassarono gli occhi, vergognandosi di non aver calcolato una cosa tanto ovvia.

«Non possiamo lasciare il nemico libero di devastare e razziare i nostri raccolti. Oltretutto i terrazzamenti più a ovest non sono ancora pronti, e non è detto che lo saranno in tempo per la prossima semina. Se perdiamo questo grano, anche riuscendo a respingere l’invasione il prossimo inverno ci ritroveremo alla fame. Dobbiamo fermare il nemico qui, o lo Stato Libero morirà prima ancora di aver compiuto un anno di vita.»

«Quali sono i tuoi ordini?» chiese allora Septimus

«Mobilitiamo tutti. Voglio ogni singolo soldato a nostra disposizione. Lasceremo a difesa del ponte e del passo a nord solo le unità strettamente indispensabili. Nel frattempo condurremo azioni di disturbo per rallentare il nemico e guadagnare tempo. Ho già dato ordini in tal senso.»

Poi, i pensieri di tutti tornarono su quanto era appena successo al Passo di Gael.

«Abbiamo già una prima stima dei caduti?»

«All’ultimo appello hanno risposto in seicento, di cui solo quaranta della prima linea. I feriti sono centocinque, i morti e i dispersi quasi duemila.»

«I nostri compagni giacciono sepolti sotto metri di neve, e invece quella cavalla maledetta si è salvata.» disse Scalia. «Gli dei a volte sanno essere davvero ingiusti.»

«Lei come sta?»

«Era meno grave di quanto sembrasse.» disse Mary. «Il suo compagno le ha davvero salvato al vita sacrificando la propria. Per adesso è ancora sedata, ma dovrebbe svegliarsi entro qualche ora.»

«In attesa di capire cosa farne l’abbiamo chiusa in prigione. E abbiamo preso anche alcune precauzioni. Ad ogni modo ora ne siamo certi. È davvero Athreia

«Il comandante che sopravvive alla sua armata… Bel lavoro, Septimus. Per il momento lasciamola dov’è.»

«Agli ordini.»

 

Quando gli esploratori riportarono la notizia che il forte di Grote Muren era stato abbandonato, il Generale Lefde non poté non provare un senso di rispetto nei confronti del comandante nemico.

Troppe volte si era sentito di generali e sovrani che per ottuso senso di principio avevano mandato i loro soldati alla morte in battaglie inutili o dall’esito segnato prima ancora di cominciare.

Invece questo Daemon dimostrava una volta di più di essere un pragmatico; non si curava dell’onore o del giudizio di nobili come Victor, ma badava unicamente all’aspetto pratico e a cosa fosse più giusto fare.

Una volta occupato il forte e stabilito il presidio lui e Victor avevano atteso l’arrivo di Philippe, che era arrivato tre giorni dopo con l’esercito praticamente intatto.

«E così queste sarebbero le nuove armi di cui parlava il tuo messaggero.» disse Victor osservando l’oggetto in questione, l’unico che lo zio fosse riuscito a recuperare intatto da sotto la neve.

«Ancora non abbiamo ben chiaro come siano riusciti a crearle o come funzionino. Sembrano una specie di cannoni in miniatura, in grado di essere trasportati e usati da una sola persona.»

«Tattiche insolite, armi mai viste.» disse Lefde «Questo tipo sfida ogni logica.»

«Eppure, eccoci qua.» disse Victor. «Vincitori e con la strada spianata verso la riconquista della nostra terra.»

«Ma cosa è successo esattamente su quella montagna?» domandò Lefde con evidente sospetto

«Semplicemente, una valanga si è staccata nel bel mezzo dello scontro, portandosi via le Furie e quasi tutto l’esercito nemico.»

«E tu ovviamente non c’entri niente con tutto questo, dico bene?»

«Chiamiamolo pure un atto divino.» fu la sentenza soddisfatta di Victor. «Ora sappiamo che persino il cielo è al nostro fianco in questa impresa.»

Nessuno là dentro pensava realmente che si fosse trattato di un caso o di un qualche intervento divino, ma se a Victor piaceva pensarlo il Generale Lefde si era rassegnato al fatto che ormai la situazione andava oltre il suo controllo.

«Abbiamo un’idea delle perdite subite dal nemico?»

«In due giorni abbiamo tirato fuori dalla neve non meno di duecento cadaveri, per non parlare di quelli trascinati a valle e ripescati dal torrente che scende dal passo. Per quanto ne sappiamo là sotto potrebbe essere rimasto perfino il comandante nemico.»

«Ne dubito. I suoi compagni non sembrano avveduti come lui, e non avrebbero compiuto una mossa saggia come abbandonare il forte e ripiegare a ovest.»

Victor la pensava diversamente: «Una mossa codarda, vorrai dire.»

«A quest’uomo non importa dell’onore. Basa le sue scelte unicamente sulla logica e il risultato pratico. E se posso permettermi mio signore, sono proprio questo genere di avversari quelli di cui bisognerebbe avere più paura.»

«Sarà anche bravo, ma le guerre non si possono fare senza soldati.» commentò Philippe. «E lui in una sola notte ne ha perse diverse migliaia. Abbiamo un esercito di quasi ventimila uomini e quasi altrettanti mercenari. Secondo le notizie più recenti i ribelli dispongono al massimo di trentamila soldati, e quasi tutti sono reclute che non hanno mai visto una battaglia.»

«Anche i cani piccoli possono abbattere un bisonte, se sono guidati da un cacciatore esperto.»

«E allora, noi cacceremo il cacciatore.» sentenziò Victor.

«Se posso Mio Signore, suggerirei di aspettare prima di avanzare ancora. Una parte del nostro esercito sta ancora arrivando da est agli ordini del mio secondo, il Capitano Abel, e non sarà qui prima di quattro giorni.»

«E dare a quei ribelli il tempo di rinforzarsi?» rispose Philippe «Bisogna colpire il ferro finché è caldo. Basterwick è ad un tiro di lancia. Una rapida avanzata, un assalto deciso, e avremo tolto al nemico quasi tutte le sue riserve di cibo.»

Poco lontano dalla tenda di comando, nell’area dedicata alle esercitazioni con l’arco, Medea stava facendo a pezzi tutti i bersagli crivellandoli di colpi, ignorando stoicamente il dolore che ancora rendeva imprecisi i suoi tiri.

Nei suoi occhi, solo rabbia.

Alla fine la spalla cedette, e la giovane dopo aver esaurito l’ennesima faretra distruggendo, oltre al bersaglio, anche l’albero dietro di esso, quasi cadde in ginocchio.

«Questo atteggiamento non ti porterà da nessuna parte.» disse, amorevolmente ma con fermezza, una voce alle sue spalle.

«Mia sorella è morta, Kassia. E io non mi sentirò soddisfatta fino a quando non avrò ucciso fino all’ultimo di quei ribelli.»

«Morire sul campo di battaglia è il destino di un centauro. È stato così per i tuoi genitori, per i miei, e per quelli di tutti i nostri compagni. Noi siamo nati per questo.»

Il loro padre aveva usato le stesse parole il giorno in cui avevano sepolto la mamma; Medea all’epoca era ancora così piccola che a stento ricordava il suo viso, ma ciò nonostante poteva ancora sentire nelle orecchie quel dolcissimo canto.

Si era chiesta spesso come qualcuno potesse uccidere   nemici sul campo di battaglia e la sera far addormentare le sue figlie con una voce tanto bella.

Dopo la sua morte era stata Athreia a cantarle la stessa canzone per farla addormentare, e ormai quelle parole così dolci erano incise a fuoco nella sua mente, tanto che spesso si ritrovava a fischiettarle senza accorgersene.

«Ora sei tu il nostro comandante, Medea. E anche se siamo rimasti in pochi, è tuo compito guidarci in battaglia con la stessa determinazione e lo stesso coraggio che hai sempre avuto, come tua sorella, tuo padre e tuo nonno hanno già fatto. E se Gaia lo vorrà, verrà presto il momento in cui potremo vendicare Athreia, Stavros e tutti i nostri amici.»

 

L’ultima cosa che Athreia aveva pensato un attimo prima che quella montagna di neve la travolgesse fu che presto avrebbe incontrato i suoi dei, pronti a giudicarla.

Invece, quando riaprì gli occhi, era ancora in questo mondo, distesa su un pagliericcio all’interno di una piccola stanza, grande a malapena da permetterle di rimettersi in piedi e muovere qualche passo.

Anche se non c’era un solo punto del corpo che non le facesse male capiva di essere stata curata, perché ovunque presentava cerotti e bendaggi, il più fastidioso dei quali era una vistosa fasciatura, piuttosto stretta, che le avvolgeva il collo.

Dal momento che a sorvegliare la porta c’erano due mostri capì di essere finita in mano al nemico prima ancora di realizzare di trovarsi nella cella di qualche sotterraneo, domandandosi se altri suoi compagni fossero stati fortunati quanto lei.

Le due guardie, interpellate a tal proposito, non la degnarono di alcuna attenzione, e dal modo in cui ogni tanto la guardavano si capiva cosa provassero nei suoi confronti.

Non li biasimava; anche se non aveva mai passato molto tempo in compagnia dei mostri era fin troppo consapevole di cosa pensassero della sua specie.

«Il marchio dei traditori non si cancella facilmente.» disse ad un certo punto una voce carica d’odio mentre, rivolta verso la finestrella opposta alla porta, cercava di capire dove si trovasse

«Mi ricordo di te. C’eri anche tu sulla montagna.»

«Se c’è un dio disposto ad ascoltarti, dovresti ringraziarlo. Nessuno di noi penserebbe mai di disobbedire agli ordini di mio fratello, e sembra che lui abbia trovato un qualche motivo per volerti tenere in vita.»

«Cosa ne è stato dei miei soldati?»

«Tu sei l’unica che abbiamo trovato. Molti nostri compagni, inclusi parecchi miei amici, non sono stati altrettanto fortunati.»

Quando il dolore in altre parti del corpo iniziò a svanire, Athreia avvertì distintamente un fastidio dietro al collo che invece non voleva saperne di acquietarsi. Se si toccava in quel punto, aveva come l’impressione di sentire una specie di piccola gobba che prima non aveva.

«Ci siamo presi la libertà di inserirti una Pietra del Servo.» disse Scalia quasi ghignando, e godendosi l’espressione attonita della centaura.

Quindi, per provarle che non stava scherzando, usò una pietra di comando per farle passare qualche secondo d’inferno, letteralmente.

«Dimmi, che effetto fa essere al nostro stesso livello?»

«Non era necessario.» rispose Athreia, a cui era costato parecchia fatica far finta che quel tormento, per quanto breve, non l’avesse scalfita.

«Lo sai, mi fai quasi pena. Voi centauri a suo tempo avete tradito i vostri compagni per diventare i cani da guerra degli umani. Pensavate che vi avrebbero considerati loro pari solo perché avete combattuto insieme contro il Signore Oscuro e i vostri stessi fratelli. E invece per loro resterete sempre dei mostri, da sacrificare e gettare via alla prima occasione.»

«Che intendi dire?»

«Davvero non lo immagini? Mio fratello dice che quella valanga non è caduta per caso. Sono stati i tuoi amici a farcela precipitare addosso nella speranza di ucciderci tutti, e hanno usato voi come esca.»

Scalia rise nel vedere lo sgomento apparire negli occhi della prigioniera: «Dalla tua espressione direi che non te l’aspettavi.»

«Tu stai mentendo. Non è possibile.» ma sembrava che nemmeno Athreia credesse alle sue stesse parole.

«Gli umani vi usano, i mostri vi odiano. Devo farvi i complimenti. Quella scelta che avete fatto cinquecento anni fa vi ha ripagati alla grande.»

Scalia avrebbe continuato volentieri ad infierire, ma un servo del palazzo venne a portarle una notizia.

«Capitano, il nobile Daemon ha convocato il Consiglio di Guerra. È richiesta la vostra presenza nella sala delle riunioni.»

Athreia sussultò, essendo riuscita a capire solo l’ultima parte del messaggio: «Che sta succedendo?»

«Siamo alla resa dei conti. Spero che tu non ti sia fatta degli amici nell’esercito di Eirinn, perché stavolta Daemon non sembra intenzionato ad andarci leggero.»

 

Nella breve storia dello Stato Libero non era mai successo che venisse convocato l’intero Consiglio di Guerra, perché di solito c’era sempre qualcuno impegnato altrove in altre attività.

Ma ora era diverso.

Ora era in corso un’invasione in piena regola.

C’erano tutti: il Generale Adrian, comandante dell’Grande Armata Rivoluzionaria, i Capitani di divisione Oldrick, Jack e Septimus, Scalia, e persino Natuli. L’ultimo arrivato era Richard, originario del Principato di Patria, da poco nominato comandante della Prima Divisione fanteria pesante; un leone, di nome e di fatto.

«Credo che la situazione sia chiara a tutti.» esordì Daemon facendo autocritica. «La battaglia sul passo, oltre a costituire una sostanziale sconfitta, ha aperto ai nostri nemici le porte della nazione. E per quanto possa servire, mi assumo la piena responsabilità per quanto accaduto a Gael. Non sono stato abbastanza lungimirante da capire quanto il Conte di Hatlen fosse determinato a vincere.»

«Non c’è niente di cui doversi scusare, ragazzo.» disse Richard grattandosi nervosamente la criniera. «Come schiavo guerriero ho combattuto in quasi tutte le battaglie degli ultimi trent’anni tra Patria e il Sultanato, ma non ho mai conosciuto nessun generale così pazzo da farsi venire in mente una cosa del genere.»

«Comunque ciò che conta è che abbiamo perso molti uomini, e quel che è peggio abbiamo dovuto abbandonare Grote Muren in mano al nemico.» disse Adrian, calmo ma visibilmente preoccupato. «Dubito che i danni che siamo riusciti a provocare nel poco tempo che avevamo sortiranno qualche effetto.»

«Abbiamo raccolto ogni singolo soldato che avevamo, ma anche così solo la Prima Armata del Generale Adrian è al completo.» disse Oldrick. «Le altre, oltre ad essere composte in buona parte da reclute, sono state in parte spezzate per assicurare la difesa dei confini.»

«Quindi non possiamo ritirarci per non perdere i nostri raccolti, e non possiamo avanzare per carenza di soldati.» disse Jack. «Comincio a domandarmi se sia stata una buona idea.»

«Assolutamente sì!» sbottò Scalia. «Preferisco morire libera e con la spada in mano che da schiava e in catene. E sono sicura che anche gli altri la pensano così.»

«Ritirarsi senza combattere è una cosa da perdenti.» osservò acidamente Natuli. «D’altra parte però non è che andare a cavalcare dritta verso la morte sia una prospettiva allettante.»

«Nessuno di noi morirà.» disse Daemon. «Ma Scalia ha ragione, sapevamo tutti a cosa andavamo incontro. Del resto se non ci dimostriamo in grado di difendere il nostro Paese nessuno ci prenderà sul serio. In un certo senso questa situazione ci aiuta. Se respingiamo questa invasione sarà la prova che lo Stato Libero è in grado di difendersi, e chiunque altro ci penserà due volte prima di venire a darci fastidio.»

«Siamo tutt’orecchi, Daemon.» disse Oldrick. «Cosa suggerisci di fare?»

Daemon stette a lungo a fissare le varie carte disseminate sul tavolo, mugugnando riflessioni incomprensibili con le mani dietro la schiena.

«Ci posizioneremo qui. Sul più orientale di questi due colli.»

«Ha senso.» osservò Adrian. «È la collina più alta della zona. Da lì si possono quasi vedere i bastioni di Grote Muren, sempre ammesso di non avere la visuale offuscata dalla maledetta nebbia che copre sempre quella zona.»

«Ti garantisco che tu osserverai Grote Muren da molto vicino. Infatti, mentre io e gli altri prenderemo posizione, tu dovrai recarti al forte con una piccola ambasceria.»

«Per quale motivo?»

Daemon lo fissò in modo enigmatico, uno di quegli sguardi che persino Adrian era incapace di sostenere senza sentirsi tremare le gambe.

«Non è ovvio? Per discutere i termini della nostra resa.»

 

 

Nota dell’Autore

Salve a tutti!^^

Spero che abbiate passato delle belle vacanze.

Da parte mia a differenza di quanto avevo sperato non ho avuto molte occasioni per continuare a scrivere, con il risultato che anche alla luce di alcuni impegni che mi aspettano da qui in poi la stesura dei nuovi capitoli potrebbe risultare particolarmente rallentata.

Pertanto metto subito le mani avanti dicendo che al termine del Volume 3 (mancano ancora 2 capitoli, quindi un altro mese circa) la pausa prima dell’uscita del Volume 4 potrebbe risultare un po’ più lunga del solito, attorno alle 4 settimane.

Spero di riuscire a recuperare almeno in parte il tempo perduto, ma nel caso tenete per buono quello che vi ho detto.

Un saluto a tutti!^^

Cj Spencer

 

   
 
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