“Senza cavalleria
ogni battaglia è destinata al fallimento”
CAPITOLO 5
INFERNO BIANCO
Un frastuono spaventoso sovrastò
quello dei centauri nel mezzo della carica e l’aria secca della montagna si
riempì del puzzo nauseante della polvere da sparo, mentre la barricate
scomparivano dietro una densa coltre di fumo bianco.
Athreia
e i suoi compagni inizialmente non capirono neanche cosa li avesse colpiti,
fatto sta che da un momento all’altro decine di loro caddero rovinosamente
sulla neve, tingendola di rosso per la gran quantità di sangue versato.
Quelli
che venivano subito dietro istintivamente provarono a fermarsi per non
travolgere i loro compagni, ma nonostante i loro zoccoli poderosi non era
facile arrestare una carica su di un terreno ghiacciato, e così anche molti di
loro caddero provocando ancora più caos.
Ben
presto la cortina fumogena si diradò, giusto in tempo perché Athreia e i pochi che ancora non avevano arrestato la carica
potessero vedere i tiratori nemici alzarsi e indietreggiare, pronti
per venire sostituiti da dei loro compagni armati nello stesso modo.
«Fuoco!»
La
seconda raffica fu ancora più letale, perché ormai molte Furie si erano quasi
fermate diventando dei facili bersagli, e infatti in questo caso i morti furono
molti di più.
Alla
fine, inevitabilmente, la carica si fermò e nessun centauro raggiunse le
palizzate, dalle quali nonostante tutto continuarono ad arrivare ad un ritmo
incessante raffiche di proiettili. La cosa terribile era che i nemici miravano
principalmente alla metà equina dei corpi dei centauri, spesso lasciata
scoperta o poco protetta, riuscendo così a far perdere loro l’equilibrio e
provocando un letale effetto domino. E una volta che un centauro cadeva non era
facile per lui rimettersi in piedi, rimanendo vulnerabile.
Medea,
che non indossava alcun tipo di protezione, provò a scoccare alcune frecce
riuscendo anche ad uccidere un paio di tiratori, ma ciò ebbe il solo effetto di
spingere i nemici a concentrare il fuoco contro di lei.
«Medea,
attenta!» urlò la sorella, non riuscendo tuttavia ad impedire che un proiettile
la colpisse ad un braccio.
«Comandante,
se restiamo qui ci massacreranno!» disse Stavros proteggendosi con lo scudo e
cercando nel contempo di soccorrere alcuni compagni feriti
Non
c’era altra scelta.
Dovevano
ritirarsi.
«Arretrare!
Arretrare!»
La
ferrea disciplina dell’unità impedì che il ripiegamento si trasformasse in una
fuga precipitosa, ma diede anche ai ribelli la scusa per non cessare un momento
di sparare fino a quando le Furie non giunsero oltre la portata delle loro armi
infernali.
Ovviamente
alla vista delle famigerate Furie di Vanlia che si
ritiravano senza neanche aver realmente combattuto i mercenari, nonostante gli
incitamenti di Ignes, neanche ci provarono ad
avanzare a loro volta, e quella che si pensava dovesse essere una rapida
cavalcata verso la vittoria divenne un colossale fallimento.
Quando
le armi finalmente tacquero sul terreno erano rimasti dieci morti e il doppio
dei feriti, che vennero portati via dopo aver concordato una tregua di due ore.
La
prima battaglia, per quanto riguardava le forze di Eirinn, si concludeva nel
modo peggiore.
Anche se dal mio punto di vista gli
eserciti di Erthea non erano altro che una massa di cavernicoli che
combattevano ancora con spade, lance e scudi era impensabile affrontare un’orda
di centauri alla carica con centoventi fucili di scarsa qualità e altrettanti
mediocri moschettieri.
Una
volta mentre leggevo un libro che mio fratello Giuseppe mi aveva mandato in
dono dalla collezione privata dei Reali di Spagna avevo letto di una battaglia
avvenuta in estremo oriente più di duecento anni prima, all’alba dell’arte
delle armi da fuoco.
Un
uomo –un genio o un folle, a mio parere– era riuscito nell’impresa di fermare
una carica semplicemente disponendo i suoi uomini dietro delle barriere di
legno e ordinando loro di sparare in successione disponendosi su tre file.
Per
chi non ha mai visto un fucile in vita sua l’effetto psicologico del vedersi
arrivare addosso un’incessante scarica di proiettili doveva essere sicuramente
qualcosa di spaventoso, forse anche di più di venire colpiti a cannonate.
Ora
sapevo che era così.
Ma
non è tutto oro quel che luccica, e come al solito toccò a me, l’unico realista
della comitiva, fare la parte dell’uccello del malaugurio.
«Sarebbe
tutta qui la leggendaria forza dei centauri?» disse Scalia subito dopo la fine
dello scontro. «Grandi guerrieri, ma fammi il piacere. Grandi buoni a niente.»
Le
volevo bene, ma alle volte trovavo questa sua baldanza ed eccessiva sicurezza
decisamente insopportabili.
«Forse,
ma non illudiamoci che finisca così. Questo era solo l’inizio.»
«Pensi
che ci riproveranno?» chiese Septimus
«Senza
dubbio. Avete visto le loro bandiere? Il centauro rampante su sfondo verde?
Erano le Furie di Vanlia. Ci vuole ben altro per
impensierire guerrieri così valorosi.»
«Che
vengano pure, fratello. Li accoglieremo alla stessa maniera.»
«Non
è così facile. Tanto per cominciare, questa semplice schermaglia ci è costata
quasi la metà delle munizioni che avevamo portato con noi.»
Per
non parlare del fatto che, contrariamente a quanto aveva detto Eilon, molte armi si erano inceppate o erano proprio
scoppiate in mano ai soldati, rivelandosi tutt’altro che perfette.
«Inoltre,
anche il più stupido dei comandanti non commette due volte lo stesso errore. La
prima volta ci hanno sottovalutati, alla seconda saranno più preparati.»
«Quando
pensi che torneranno all’attacco?»
«Credo
di averne già un’idea. E come saprai già amico mio, in guerra è chi attacca a
dettare i tempi. Stanotte le lune saranno in fase calante, ma le stelle
riflettendosi sulla neve e sul ghiaccio forniranno tutta la luce necessaria. E
probabilmente ne approfitteranno sperando di coglierci stanchi o addormentati.»
«Hai
qualche idea su come poterli respingere?»
Se
avessi avuto a disposizione qualche cannone non sarebbe stato un problema, ma
il poco tempo e l’altitudine mi avevano impedito di portarli con me.
Oltretutto
il nemico non ci avrebbe messo molto a comprendere che le nostre armi da fuoco
per il momento erano solo un fuoco di paglia, che oltre a spaventare e fare
scena non servivano a molto altro, tanto scarsi erano i loro i risultati
pratici in battaglia.
«Forse
c’è una soluzione. Sapi?»
«Sì,
fratellone?»
«Mi
servirà il tuo aiuto.»
«Tutto
quello che vuoi.»
«Sarebbe tutta qui la leggendaria
forza dei centauri?»
Athreia
sapeva di meritare lo scherno, e restava immobile con lo sguardo basso a
sopportare i commenti sarcastici di Philippe.
«Da
guerrieri della vostra fama mi sarei aspettato molto di più, ma è bastato un
po’ di rumore e qualche strana arma per farvi scappare a gambe levate.»
«Non
avevamo mai visto armi del genere. Ci hanno colti alla sprovvista.»
«La
vittoria in questa battaglia è vitale per garantire il successo della nostra
operazione. Ogni cosa era stata preparata accuratamente. Ora invece dovrò
inviare un messaggero a mio nipote per informarlo che il nostro piano non sarà
portato a termine secondo i tempi previsti.»
«Forse
non è stato tutto inutile, Generale. Ora sappiamo cosa abbiamo di fronte.»
Athreia
fischiò, e Stavros entrò nella tenda tenendo in mano la propria corazza, sul
cui petto era ben visibile una vistosa ammaccatura.
«Molti
dei nostri soldati che sono stati colpiti da quelle strane armi hanno segni
come questo sulle corazze. All’inizio ho pensato che mirassero alle nostre
parti equine per farci cadere più facilmente, ma probabilmente anche loro
sapevano di non poter trapassare le nostre protezioni. Ora che lo sappiamo,
sarà sufficiente proteggerci meglio per rendere le loro armi del tutto
inefficaci.»
«In
questo caso torneremo subito all’attacco. Stanotte.»
«Forse
sarebbe meglio aspettare domani mattina. È probabile che il nemico si aspetti
un attacco durante la notte, e potrebbero tentare di tenderci qualche altra
trappola approfittando del buio.»
«Dovreste
essermi grata invece di replicare, Capitano. Se entro l’alba il passo sarà in
mano nostra il piano non subirà alcun ritardo, e nessuno verrà mai a sapere del
vostro fallimento. Cosa direbbe Sua Maestà se sapesse che i suoi fidati
centauri sono stati respinti da un pugno di ribelli senza aver nemmeno
combattuto?»
Athreia
digrignò i denti e serrò i pugni, ma sapeva di non poter fare niente; il mandato
dell’Imperatore la poneva alle totali dipendenze di Victor e dei suoi generali,
quindi era tenuta ad obbedire ai loro ordini.
«Il
piano di battaglia rimane lo stesso. Voi aprirete la strada, e i mercenari vi
seguiranno. Potete andare.»
Appena
uscita dalla tenda Athreia andò a visitare i propri
feriti.
«Qualche
graffio e poco altro.» sentenziò Kassia, il medico
dell’unità. «La maggior parte potrà tornare a combattere molto presto.»
«Mi
dispiace chiedervi di tornare subito a combattere amici miei, ma temo di avere
ancora bisogno di voi. Il Generale ha deciso di lanciare un nuovo attacco già
questa notte.»
«Non
preoccuparti comandante. Non sarà una cosa del genere a fermarci.»
«Ben
detto! Tu dacci l’ordine, e saremo pronti a caricare di nuovo!»
«E
stavolta li spazzeremo via.»
Almeno
l’entusiasmo non ne aveva risentito, malgrado avessero perso più compagni nelle
ultime due ore che negli ultimi due anni.
Ma
anche se era abbastanza sicura che il secondo attacco sarebbe stato molto
diverso, Athreia volle prendere una ulteriore
precauzione.
«Medea,
voglio che stanotte tu resti qui con Kassia e gli
altri feriti più gravi.»
«Cosa!?
Perché!? Kassia dice che posso combattere.»
«La
tua ferita non è una cosa da niente, e anche se combattessi non potresti farlo
al meglio delle tue capacità.»
Medea
non sopportava quando Athreia faceva la parte della
sorella iperprotettiva, ma nel momento in cui, su sua richiesta, non riuscì a
tendere completamente l’arco per via del dolore capì che forse per una volta
era più saggio darle ascolto.
«Non
temere, ci saranno altre occasioni. Questa guerra è solo all’inizio. Ti basterà
un po’ di riposo e potrai di nuovo a galoppare al mio fianco.»
«D’accordo.
Però tu promettimi di stare attenta.»
Al calare delle tenebre, il passo e
le montagne circostanti si tinsero del magico colore delle stelle, rifulgendo
di una tenue luce azzurra.
Athreia
e i suoi compagni avanzarono lentamente, per ritardare il più possibile il
momento in cui il nemico si sarebbe accorto di loro dandogli pochissimo tempo
per reagire.
Quando
giunsero in vista delle stesse barricate su cui la loro prima offensiva si era
infranta le trovarono deserte, con giusto un paio di sentinelle che montavano
la guardia senza luci magiche né torce.
Forse
credevano anche loro al mito secondo cui i centauri al buio erano quasi ciechi,
–in realtà semplicemente ci vedevano solo un po’ meno, come gli umani del
resto– o forse semplicemente non si aspettavano un nuovo attacco così presto.
«Adesso!
Carica!»
Preceduti
da una prima fila di compagni coperti dalle più pesanti corazze e da grandi
scudi rinforzati le Furie partirono all’assalto sollevando un fitto pulviscolo
di neve.
Le
sentinelle si diedero alla fuga giusto in tempo per non venire travolte, e con
la caduta della prima fila di barricate gli assalitori arrivarono già in vista
dell’accampamento nemico.
«Non
diamogli tregua! Non devono avere il tempo di organizzarsi!»
Tra
loro e il campo ben presto ci fu solo una vasta zona pianeggiante, puntellata
da altre barricate che andarono giù come bastoncini sotto la potenza della loro
carica inarrestabile.
Colti
alla sprovvista i ribelli si affrettarono ad erigere un muro di scudi e di
lance, ma era evidente che non sarebbe mai bastato per fermare un simile
uragano.
Il
ghiaccio tremava come se avesse dovuto rompersi da un momento all’altro… e così
accadde.
Senza
apparente motivo il terreno crollò improvvisamente sotto gli zoccoli dei
centauri, svelando sotto la coltre di neve e di ghiaccio profondi crepacci che
inghiottirono molti di loro, soprattutto quelli che a causa delle corazze non
si mostrarono l’agilità necessaria a mettersi in salvo.
Persino
Athreia per poco non precipitò in una voragine,
riuscendo a salvarsi solo perché Stavros che galoppava dietro di lei fu rapido
ad afferrarla.
Perché
quella in cui le Furie erano capitate era una depressione del ghiacciaio
caratterizzata dalla presenza di grosse crepe che nel corso del tempo erano
state ricoperte da svariati metri di neve, talmente spessa e compatta da poter
sopportare senza difficoltà grossi pesi.
Ma
allora, si diceva Athreia, com’era stato possibile
che la copertura si fosse frantumata proprio in quel momento?
La
risposta le apparve forte e chiara nel momento in cui ricordò di aver visto, un
attimo prima che il terreno crollasse, svariati paletti di legno che sbucavano
in vari appunti dalla neve.
«Hanno
spaccato e danneggiato la coltre di neve cosicché crollasse appena ci fossimo
passati sopra.» disse Stavros
«Ma
come potevano sapere dove fossero i crepacci?»
Loro
non potevano saperlo, ma era tutto merito di Sapi;
niente di più facile per un’appartenente ad una specie che per sua stessa
natura aveva sempre vissuto in simbiosi con la neve e con il ghiaccio.
A
quel punto la carica si era fermata, e i ribelli, tutt’altro che impreparati,
balzarono fuori da dietro alcuni avvallamenti assalendo le Furie da entrambi i
lati armati di lunghe lance.
«All’attacco!»
gridò Verus aprendo la strada «E attenti a dove
mettete i piedi!»
Confusi
ma non domati, Athreia e i suoi fecero quadrato, riuscendo
incredibilmente a reggere l’urto ed impegnando i ribelli in un furioso corpo a
corpo.
E
fu proprio per via dell’inaspettata resistenza del nemico che Daemon,
assistendo alla battaglia dall’alto di una collinetta, non riusciva a spiegarsi
il mancato arrivo di una seconda ondata.
«Non
capisco. Nonostante abbiamo arrestato la carica sono riusciti comunque ad
iniziare uno scontro, ma se aspettano ancora perderanno l’occasione per
spingere. Per quale motivo non mandano qualcuno ad aiutarli?»
«Forse
pensano che non riusciranno a resistere abbastanza.» ipotizzò Septimus
«D’altronde si sa che ad Eirinn non vi è molta stima per l’Impero, e le Furie
di Vanlia sono in tutto e per tutto parte
dell’esercito imperiale.»
«È
questo il punto. La loro fama è risaputa, e potevano aspettarsi che in qualche
modo si sarebbero distinti in combattimento. Perché mandarli avanti con il
rischio che possano prendersi tutta la gloria?»
Un
atroce sospetto si accese da un momento all’alto nella testa del giovane
generale, che una volta balzato in piedi iniziò a guardarsi nervosamente
attorno fino a scorgere, con la coda dell’occhio, degli strani bagliori sulla
montagna.
«Maledizione,
avrei dovuto capirlo prima! Ordinate la ritirata, subito!»
«Cosa!?»
Purtroppo
era già troppo tardi.
Nel
momento in cui un fuoco d’artificio si alzò nel cielo notturno dal cuore
dell’accampamento nemico, gli esploratori di Eirinn presenti sulla collina
accesero le micce dei barilotti esplosivi con cui avevano imbottito in fianco
della montagna.
Dapprima
tutti udirono una serie di esplosioni, solo parzialmente mascherate dal fragore
della battaglia, poi, preceduto da un cupo suono messaggero di morte, una
enorme massa di neve si staccò dalle pendici del Monte Gael
scendendo verso il basso nella forma di una delle più spaventose valanghe che
si fossero mai viste.
«Presto,
mettiamoci al riparo! Raggiungiamo quell’altura lassù!»
«Ma
Daemon, e i nostri compagni là sotto?»
«Non
possiamo fare niente per loro, Scalia! Se restiamo qui moriremo tutti!»
La
battaglia infuriava con tale violenza che sull’altopiano nessuno si accorse di
niente fino a quando non arrivò il primo, violentissimo spostamento d’aria.
Nessuno
fece in tempo a mettersi in salvo; la valanga, scendendo, travolse ogni cosa,
inghiottendo senza speranza tutto ciò che incontrò sul suo cammino e unendo
coloro che fino ad un attimo prima si erano combattuti l’un l’altro nella
medesima, terrificante morte.
Tutto
si risolse nel giro di pochi minuti, poi nella zona tornò a dominare uno
sconcertante silenzio.
Al sorgere del sole, la portata del
disastro che aveva colpito entrambi gli eserciti si palesò in tutto il suo
orrore.
Il
suolo si era alzato di almeno tre metri, tanto che il colle su cui Daemon e i
pochi che erano riusciti a seguirlo si erano messi al riparo era ora allo
stesso livello della zona circostante.
Subito
ci si mise al lavoro nel tentativo di trovare qualcuno vivo, ma tutto quello
che iniziò ad emergere dalla neve furono corpi senza vita.
Venne
trovato anche Verus, morto anche lui, e per Septimus
fu molto doloroso trovare la forza per chiudergli gli occhi. Si erano
conosciuti brevemente poco prima che scoppiasse la Rivoluzione, e nel poco
tempo che avevano trascorso fianco a fianco erano quasi riusciti a diventare
amici.
«Tutti
questi morti.» disse Scalia sull’orlo delle lacrime «I nostri amici. I nostri
compagni. Perché doveva succedere proprio adesso?»
«Ho
paura che non sia stato un incidente.»
«Cosa!?»
«Non
ho ragione, Daemon?»
«Temo
che sia così. Si è trattato di una scelta volontaria. Hanno fatto venire giù la
valanga nella speranza di seppellirci tutti.»
«Ma…
ma c’erano anche i loro compagni! Non posso credere che qualcuno sia disposto
ad arrivare a tanto pur di vincere una battaglia.»
«Per
qualcuno i soldati non sono altro che pezzi su una scacchiera, da mandare al massacro
senza remore se necessario. E se poi non fanno nemmeno parte del tuo
esercito, sacrificarli ti crea ancor meno problemi.»
Sapi
era sconvolta tanto quanto Scalia, e andava in giro per tutta la zona saggiando
la neve sotto le zampe; era stato merito suo se si era potuto mettere in atto
quel piano, e ora stava sempre a lei e al suo rapporto simbiotico con il gelo
la speranza di poter trovare qualcuno ancora in vita.
«Qui
sotto c’è qualcuno che respira!» esclamò ad un certo punto, mettendosi subito a
scavare.
Tutti
quelli che potevano accorsero subito a dare una mano, e qualcuno quasi storse
il naso quando ad emergere dalla neve furono il capo calvo e la lunga barba
intirizzita dal gelo del vicecomandante delle Furie. Per chissà quale miracolo
anche nel bel mezzo della valanga era riuscito a non perdere la presa con Athreia, che aveva tenuta stretta a sé proteggendola come
poteva.
Il
suo corpo era ferito e congelato, ed era chiaro che pur di riuscire a salvare
la sua protetta, che giaceva priva di sensi ma ancora viva vicino a lui, aveva
scelto di sacrificare la propria vita.
«Vi
prego… abbiate pietà di lei…» disse, esalando l’ultimo respiro prima che
qualcuno potesse provare ad aiutarlo
Malgrado
quella scena straziante in molti non erano sicuri di voler aiutare un nemico
che prima dell’arrivo della valanga aveva ferito e ucciso un gran numero di
loro.
«Septimus,
trova una slitta per trasportarla. E tu Sapi, tirala
fuori da lì.»
«Subito.»
«Daemon,
ma che fai? Lei è un nemico.»
«Forse,
ma è una vittima tanto quanto noi. Se la abbandoniamo qui in cosa saremmo
diversi da quelli che ci hanno fatto cadere una montagna addosso pur di
vincere?»
Scalia
si fece un esame di coscienza e tacque, dando anche una mano a Sapi nel tirare fuori la centaura mezza morta da sotto la
neve; era talmente grossa che fu necessario destinare a lei una intera slitta
per il trasporto dei feriti.
«Generale,
ci sono movimenti nel campo nemico.» fece rapporto Tecla. «Si stanno preparando
ad avanzare.»
«Non
abbiamo scelta. Ritiriamoci.»
«E
i nostri amici ancora qua sotto?»
«Non
possiamo fare niente, Scalia. Non abbiamo modo di opporci ad un esercito così
numeroso, né abbiamo tempo di allestire nuove difese più a valle. Dobbiamo
allontanarci da qui finché possiamo.»
«Ma
tutti questi corpi…»
«Resteranno
qui dove sono. Più cadaveri lasceremo, più tempo impiegheranno a capire che non
siamo tutti morti.»
«Daemon…»
«Lo
so che è disumano Scalia, ma in questo momento ci serve ogni secondo che
riusciremo a guadagnare. Ti prometto che appena potremo torneremo qui per
onorarli come meritano. Per ora possiamo solo allontanarci il più in fretta
possibile.»
Così,
raccolto in fretta e furia tutto ciò che poteva essere portato via, a
cominciare dai feriti e dalle nuove armi ideate da Daemon, l’esercito dello
Stato Libero scese dal passo con un animo molto diverso da quello con cui vi
era salito.
Teoricamente
scendevano da lassù imbattuti, visto che il nemico non li aveva sconfitti in
uno scontro aperto ma solo ricorrendo ad uno spietato stratagemma, ma questo
non importava. Quello che importava era che il nemico avanzava, e presto
sarebbe entrato nella loro terra.
La ritirata dalle montagne si
concluse a Basterwick, la grande città più vicina
alla linea del fronte.
L’atmosfera
era tesa, e non solo nella sala delle udienze del palazzo del governatore dove
Daemon aveva riunito il suo consiglio di guerra.
Inebriati
dall’odore di libertà e dalla soddisfazione di essersi finalmente liberati del
dominio imperiale, nonché da tutto il benessere che le nuove politiche
economiche stavano portato alla nazione, i cittadini avevano finito per
dimenticare che là fuori c’era chi non aveva alcuna intenzione di lasciare
impunita la Rivoluzione.
Qualcuno
si domandava se non fosse ancora possibile tornare indietro, confidando nel
fatto che ad incombere su di loro non era l’esercito imperiale, ma quello di
Eirinn: fratelli di una stessa stirpe.
Alla
riunione mancavano solo Oldrick e Adrian, visto che
entrambi si trovavano ancora a Grote Muren, ma la prima cosa che Daemon fece appena iniziata la
riunione fu deliberare l’immediato abbandono del forte.
«Difendere
Grote Muren poteva andare
bene fintanto che mantenevamo il controllo dei nostri territori, ma con la
caduta del passo possiamo considerare il confine orientale perduto. Devono
ritirarsi ora finché possono.»
«E
abbandonare il forte così?» chiese Septimus «Senza combattere?»
«Un
forte si può riconquistare, un soldato morto non si riporta in vita. E ora ci
serviranno tutti quelli che abbiamo a disposizione. A che punto sono le
consegne dei nuovi armamenti?»
«I
magazzini sono pieni.» disse Borg. «Potresti dare una spada, un arco, una
lancia ad ogni uomo, donna e bambino di questo Paese e resterebbero ancora
delle scorte.»
«Artiglieria?»
«Abbiamo
appena finito di costruire sedici nuovi cannoni da dodici libbre.» disse Eilon «Li stiamo già portando qui dalle fonderie delle
miniere.»
«Non
sarebbe stato meglio costruire quelle nuove armi?» domandò Scalia. «Sono
sembrate molto efficaci nella prima battaglia sul passo.»
«Saranno
anche piccole, ma non sono per niente facili da realizzare e assemblare. Per
costruire le duecento che vi abbiamo consegnato abbiamo dovuto lavorare giorno
e notte per mesi.»
«E
come se non bastasse sono rimaste quasi tutte lassù, sepolte sotto la neve.»
disse mestamente Septimus «Speriamo solo che i nostri nemici non le trovino, o
che non sappiano come usarle.»
«Ormai
non ha senso piangere sul latte versato. Concentriamoci piuttosto su quello che
possiamo fare. Useremo Basterwick come nuovo centro
di comando per coordinare le operazioni difensive.»
«Non
sarebbe più sicuro ripiegare verso il Castello?»
«Scalia
ha ragione, è più in profondità nel nostro territorio, e chiudere le valli
sarebbe abbastanza facile.»
«Avete
guardato fuori dalla finestra? Basterwick e i suoi
campi sono la nostra principale fonte di cibo, e come se non bastasse il grano
deve ancora essere mietuto. Volete davvero lasciare tutta questa roba in mano
al nemico?»
Sia
Scalia che Septimus abbassarono gli occhi, vergognandosi di non aver calcolato
una cosa tanto ovvia.
«Non
possiamo lasciare il nemico libero di devastare e razziare i nostri raccolti.
Oltretutto i terrazzamenti più a ovest non sono ancora pronti, e non è detto
che lo saranno in tempo per la prossima semina. Se perdiamo questo grano, anche
riuscendo a respingere l’invasione il prossimo inverno ci ritroveremo alla
fame. Dobbiamo fermare il nemico qui, o lo Stato Libero morirà prima ancora di
aver compiuto un anno di vita.»
«Quali
sono i tuoi ordini?» chiese allora Septimus
«Mobilitiamo
tutti. Voglio ogni singolo soldato a nostra disposizione. Lasceremo a difesa
del ponte e del passo a nord solo le unità strettamente indispensabili. Nel
frattempo condurremo azioni di disturbo per rallentare il nemico e guadagnare
tempo. Ho già dato ordini in tal senso.»
Poi,
i pensieri di tutti tornarono su quanto era appena successo al Passo di Gael.
«Abbiamo
già una prima stima dei caduti?»
«All’ultimo
appello hanno risposto in seicento, di cui solo quaranta della prima linea. I
feriti sono centocinque, i morti e i dispersi quasi duemila.»
«I
nostri compagni giacciono sepolti sotto metri di neve, e invece quella cavalla
maledetta si è salvata.» disse Scalia. «Gli dei a volte sanno essere davvero
ingiusti.»
«Lei
come sta?»
«Era
meno grave di quanto sembrasse.» disse Mary. «Il suo compagno le ha davvero
salvato al vita sacrificando la propria. Per adesso è
ancora sedata, ma dovrebbe svegliarsi entro qualche ora.»
«In
attesa di capire cosa farne l’abbiamo chiusa in prigione. E abbiamo preso anche
alcune precauzioni. Ad ogni modo ora ne siamo certi. È davvero Athreia.»
«Il
comandante che sopravvive alla sua armata… Bel lavoro, Septimus. Per il momento
lasciamola dov’è.»
«Agli
ordini.»
Quando gli esploratori riportarono la
notizia che il forte di Grote Muren
era stato abbandonato, il Generale Lefde non poté non
provare un senso di rispetto nei confronti del comandante nemico.
Troppe
volte si era sentito di generali e sovrani che per ottuso senso di principio avevano
mandato i loro soldati alla morte in battaglie inutili o dall’esito segnato
prima ancora di cominciare.
Invece
questo Daemon dimostrava una volta di più di essere un pragmatico; non si
curava dell’onore o del giudizio di nobili come Victor, ma badava unicamente
all’aspetto pratico e a cosa fosse più giusto fare.
Una
volta occupato il forte e stabilito il presidio lui e Victor avevano atteso
l’arrivo di Philippe, che era arrivato tre giorni dopo con l’esercito
praticamente intatto.
«E
così queste sarebbero le nuove armi di cui parlava il tuo messaggero.» disse
Victor osservando l’oggetto in questione, l’unico che lo zio fosse riuscito a
recuperare intatto da sotto la neve.
«Ancora
non abbiamo ben chiaro come siano riusciti a crearle o come funzionino.
Sembrano una specie di cannoni in miniatura, in grado di essere trasportati e
usati da una sola persona.»
«Tattiche
insolite, armi mai viste.» disse Lefde «Questo tipo
sfida ogni logica.»
«Eppure,
eccoci qua.» disse Victor. «Vincitori e con la strada spianata verso la
riconquista della nostra terra.»
«Ma
cosa è successo esattamente su quella montagna?» domandò Lefde
con evidente sospetto
«Semplicemente,
una valanga si è staccata nel bel mezzo dello scontro, portandosi via le Furie
e quasi tutto l’esercito nemico.»
«E
tu ovviamente non c’entri niente con tutto questo,
dico bene?»
«Chiamiamolo
pure un atto divino.» fu la sentenza soddisfatta di Victor. «Ora sappiamo che
persino il cielo è al nostro fianco in questa impresa.»
Nessuno
là dentro pensava realmente che si fosse trattato di un caso o di un qualche
intervento divino, ma se a Victor piaceva pensarlo il Generale Lefde si era rassegnato al fatto che ormai la situazione
andava oltre il suo controllo.
«Abbiamo
un’idea delle perdite subite dal nemico?»
«In
due giorni abbiamo tirato fuori dalla neve non meno di duecento cadaveri, per
non parlare di quelli trascinati a valle e ripescati dal torrente che scende
dal passo. Per quanto ne sappiamo là sotto potrebbe essere rimasto perfino il
comandante nemico.»
«Ne
dubito. I suoi compagni non sembrano avveduti come lui, e non avrebbero
compiuto una mossa saggia come abbandonare il forte e ripiegare a ovest.»
Victor
la pensava diversamente: «Una mossa codarda, vorrai dire.»
«A
quest’uomo non importa dell’onore. Basa le sue scelte unicamente sulla logica e
il risultato pratico. E se posso permettermi mio signore, sono proprio questo
genere di avversari quelli di cui bisognerebbe avere più paura.»
«Sarà
anche bravo, ma le guerre non si possono fare senza soldati.» commentò
Philippe. «E lui in una sola notte ne ha perse diverse migliaia. Abbiamo un
esercito di quasi ventimila uomini e quasi altrettanti mercenari. Secondo le
notizie più recenti i ribelli dispongono al massimo di trentamila soldati, e
quasi tutti sono reclute che non hanno mai visto una battaglia.»
«Anche
i cani piccoli possono abbattere un bisonte, se sono guidati da un cacciatore
esperto.»
«E
allora, noi cacceremo il cacciatore.» sentenziò Victor.
«Se
posso Mio Signore, suggerirei di aspettare prima di avanzare ancora. Una parte
del nostro esercito sta ancora arrivando da est agli ordini del mio secondo, il
Capitano Abel, e non sarà qui prima di quattro giorni.»
«E
dare a quei ribelli il tempo di rinforzarsi?» rispose Philippe «Bisogna colpire
il ferro finché è caldo. Basterwick è ad un tiro di lancia.
Una rapida avanzata, un assalto deciso, e avremo tolto al nemico quasi tutte le
sue riserve di cibo.»
Poco
lontano dalla tenda di comando, nell’area dedicata alle esercitazioni con
l’arco, Medea stava facendo a pezzi tutti i bersagli crivellandoli di colpi,
ignorando stoicamente il dolore che ancora rendeva imprecisi i suoi tiri.
Nei
suoi occhi, solo rabbia.
Alla
fine la spalla cedette, e la giovane dopo aver esaurito l’ennesima faretra
distruggendo, oltre al bersaglio, anche l’albero dietro di esso, quasi cadde in
ginocchio.
«Questo
atteggiamento non ti porterà da nessuna parte.» disse, amorevolmente ma con
fermezza, una voce alle sue spalle.
«Mia
sorella è morta, Kassia. E io non mi sentirò
soddisfatta fino a quando non avrò ucciso fino all’ultimo di quei ribelli.»
«Morire
sul campo di battaglia è il destino di un centauro. È stato così per i tuoi
genitori, per i miei, e per quelli di tutti i nostri compagni. Noi siamo nati
per questo.»
Il
loro padre aveva usato le stesse parole il giorno in cui avevano sepolto la
mamma; Medea all’epoca era ancora così piccola che a stento ricordava il suo
viso, ma ciò nonostante poteva ancora sentire nelle orecchie quel dolcissimo
canto.
Si
era chiesta spesso come qualcuno potesse uccidere nemici sul campo di battaglia e la sera far
addormentare le sue figlie con una voce tanto bella.
Dopo
la sua morte era stata Athreia a cantarle la stessa
canzone per farla addormentare, e ormai quelle parole così dolci erano incise a
fuoco nella sua mente, tanto che spesso si ritrovava a fischiettarle senza
accorgersene.
«Ora
sei tu il nostro comandante, Medea. E anche se siamo rimasti in pochi, è tuo
compito guidarci in battaglia con la stessa determinazione e lo stesso coraggio
che hai sempre avuto, come tua sorella, tuo padre e tuo nonno hanno già fatto.
E se Gaia lo vorrà, verrà presto il momento in cui potremo vendicare Athreia, Stavros e tutti i nostri amici.»
L’ultima cosa che Athreia
aveva pensato un attimo prima che quella montagna di neve la travolgesse fu che
presto avrebbe incontrato i suoi dei, pronti a giudicarla.
Invece,
quando riaprì gli occhi, era ancora in questo mondo, distesa su un pagliericcio
all’interno di una piccola stanza, grande a malapena da permetterle di
rimettersi in piedi e muovere qualche passo.
Anche
se non c’era un solo punto del corpo che non le facesse male capiva di essere
stata curata, perché ovunque presentava cerotti e bendaggi, il più fastidioso
dei quali era una vistosa fasciatura, piuttosto stretta, che le avvolgeva il
collo.
Dal
momento che a sorvegliare la porta c’erano due mostri capì di essere finita in
mano al nemico prima ancora di realizzare di trovarsi nella cella di qualche
sotterraneo, domandandosi se altri suoi compagni fossero stati fortunati quanto
lei.
Le
due guardie, interpellate a tal proposito, non la degnarono di alcuna
attenzione, e dal modo in cui ogni tanto la guardavano si capiva cosa
provassero nei suoi confronti.
Non
li biasimava; anche se non aveva mai passato molto tempo in compagnia dei
mostri era fin troppo consapevole di cosa pensassero della sua specie.
«Il
marchio dei traditori non si cancella facilmente.» disse ad un certo punto una
voce carica d’odio mentre, rivolta verso la finestrella opposta alla porta,
cercava di capire dove si trovasse
«Mi
ricordo di te. C’eri anche tu sulla montagna.»
«Se
c’è un dio disposto ad ascoltarti, dovresti ringraziarlo. Nessuno di noi
penserebbe mai di disobbedire agli ordini di mio fratello, e sembra che lui
abbia trovato un qualche motivo per volerti tenere in vita.»
«Cosa
ne è stato dei miei soldati?»
«Tu
sei l’unica che abbiamo trovato. Molti nostri compagni, inclusi parecchi miei
amici, non sono stati altrettanto fortunati.»
Quando
il dolore in altre parti del corpo iniziò a svanire, Athreia
avvertì distintamente un fastidio dietro al collo che invece non voleva saperne
di acquietarsi. Se si toccava in quel punto, aveva come l’impressione di
sentire una specie di piccola gobba che prima non aveva.
«Ci
siamo presi la libertà di inserirti una Pietra del Servo.» disse Scalia quasi
ghignando, e godendosi l’espressione attonita della centaura.
Quindi,
per provarle che non stava scherzando, usò una pietra di comando per farle
passare qualche secondo d’inferno, letteralmente.
«Dimmi,
che effetto fa essere al nostro stesso livello?»
«Non
era necessario.» rispose Athreia, a cui era costato
parecchia fatica far finta che quel tormento, per quanto breve, non l’avesse
scalfita.
«Lo
sai, mi fai quasi pena. Voi centauri a suo tempo avete tradito i vostri
compagni per diventare i cani da guerra degli umani. Pensavate che vi avrebbero
considerati loro pari solo perché avete combattuto insieme contro il Signore
Oscuro e i vostri stessi fratelli. E invece per loro resterete sempre dei
mostri, da sacrificare e gettare via alla prima occasione.»
«Che
intendi dire?»
«Davvero
non lo immagini? Mio fratello dice che quella valanga non è caduta per caso.
Sono stati i tuoi amici a farcela precipitare addosso nella speranza di
ucciderci tutti, e hanno usato voi come esca.»
Scalia
rise nel vedere lo sgomento apparire negli occhi della prigioniera: «Dalla tua
espressione direi che non te l’aspettavi.»
«Tu
stai mentendo. Non è possibile.» ma sembrava che nemmeno Athreia
credesse alle sue stesse parole.
«Gli
umani vi usano, i mostri vi odiano. Devo farvi i complimenti. Quella scelta che
avete fatto cinquecento anni fa vi ha ripagati alla grande.»
Scalia
avrebbe continuato volentieri ad infierire, ma un servo del palazzo venne a
portarle una notizia.
«Capitano,
il nobile Daemon ha convocato il Consiglio di Guerra. È richiesta la vostra
presenza nella sala delle riunioni.»
Athreia
sussultò, essendo riuscita a capire solo l’ultima parte del messaggio: «Che sta
succedendo?»
«Siamo
alla resa dei conti. Spero che tu non ti sia fatta degli amici nell’esercito di
Eirinn, perché stavolta Daemon non sembra intenzionato ad andarci leggero.»
Nella breve storia dello Stato Libero
non era mai successo che venisse convocato l’intero Consiglio di Guerra, perché
di solito c’era sempre qualcuno impegnato altrove in altre attività.
Ma
ora era diverso.
Ora
era in corso un’invasione in piena regola.
C’erano
tutti: il Generale Adrian, comandante dell’Grande Armata Rivoluzionaria, i Capitani
di divisione Oldrick, Jack e Septimus, Scalia, e
persino Natuli. L’ultimo arrivato era Richard,
originario del Principato di Patria, da poco nominato comandante della Prima Divisione
fanteria pesante; un leone, di nome e di fatto.
«Credo
che la situazione sia chiara a tutti.» esordì Daemon facendo autocritica. «La
battaglia sul passo, oltre a costituire una sostanziale sconfitta, ha aperto ai
nostri nemici le porte della nazione. E per quanto possa servire, mi assumo la
piena responsabilità per quanto accaduto a Gael. Non
sono stato abbastanza lungimirante da capire quanto il Conte di Hatlen fosse determinato a vincere.»
«Non
c’è niente di cui doversi scusare, ragazzo.» disse Richard grattandosi
nervosamente la criniera. «Come schiavo guerriero ho combattuto in quasi tutte
le battaglie degli ultimi trent’anni tra Patria e il Sultanato, ma non ho mai
conosciuto nessun generale così pazzo da farsi venire in mente una cosa del
genere.»
«Comunque
ciò che conta è che abbiamo perso molti uomini, e quel che è peggio abbiamo
dovuto abbandonare Grote Muren
in mano al nemico.» disse Adrian, calmo ma visibilmente preoccupato. «Dubito
che i danni che siamo riusciti a provocare nel poco tempo che avevamo
sortiranno qualche effetto.»
«Abbiamo
raccolto ogni singolo soldato che avevamo, ma anche così solo la Prima Armata
del Generale Adrian è al completo.» disse Oldrick.
«Le altre, oltre ad essere composte in buona parte da reclute, sono state in
parte spezzate per assicurare la difesa dei confini.»
«Quindi
non possiamo ritirarci per non perdere i nostri raccolti, e non possiamo
avanzare per carenza di soldati.» disse Jack. «Comincio a domandarmi se sia
stata una buona idea.»
«Assolutamente
sì!» sbottò Scalia. «Preferisco morire libera e con la spada in mano che da
schiava e in catene. E sono sicura che anche gli altri la pensano così.»
«Ritirarsi
senza combattere è una cosa da perdenti.» osservò acidamente Natuli. «D’altra parte però non è che andare a cavalcare
dritta verso la morte sia una prospettiva allettante.»
«Nessuno
di noi morirà.» disse Daemon. «Ma Scalia ha ragione, sapevamo tutti a cosa
andavamo incontro. Del resto se non ci dimostriamo in grado di difendere il
nostro Paese nessuno ci prenderà sul serio. In un certo senso questa situazione
ci aiuta. Se respingiamo questa invasione sarà la prova che lo Stato Libero è
in grado di difendersi, e chiunque altro ci penserà due volte prima di venire a
darci fastidio.»
«Siamo
tutt’orecchi, Daemon.» disse Oldrick. «Cosa
suggerisci di fare?»
Daemon
stette a lungo a fissare le varie carte disseminate sul tavolo, mugugnando
riflessioni incomprensibili con le mani dietro la schiena.
«Ci
posizioneremo qui. Sul più orientale di questi due colli.»
«Ha
senso.» osservò Adrian. «È la collina più alta della zona. Da lì si possono
quasi vedere i bastioni di Grote Muren,
sempre ammesso di non avere la visuale offuscata dalla maledetta nebbia che
copre sempre quella zona.»
«Ti
garantisco che tu osserverai Grote Muren da molto vicino. Infatti, mentre io e gli altri
prenderemo posizione, tu dovrai recarti al forte con una piccola ambasceria.»
«Per
quale motivo?»
Daemon
lo fissò in modo enigmatico, uno di quegli sguardi che persino Adrian era incapace
di sostenere senza sentirsi tremare le gambe.
«Non
è ovvio? Per discutere i termini della nostra resa.»
Nota
dell’Autore
Salve
a tutti!^^
Spero
che abbiate passato delle belle vacanze.
Da
parte mia a differenza di quanto avevo sperato non ho avuto molte occasioni per
continuare a scrivere, con il risultato che anche alla luce di alcuni impegni
che mi aspettano da qui in poi la stesura dei nuovi capitoli potrebbe risultare
particolarmente rallentata.
Pertanto
metto subito le mani avanti dicendo che al termine del Volume 3 (mancano ancora
2 capitoli, quindi un altro mese circa) la pausa prima dell’uscita del Volume 4
potrebbe risultare un po’ più lunga del solito, attorno alle 4 settimane.
Spero
di riuscire a recuperare almeno in parte il tempo perduto, ma nel caso tenete
per buono quello che vi ho detto.
Un
saluto a tutti!^^
Cj Spencer