Anime & Manga > Alpen Rose
Segui la storia  |       
Autore: Tetide    17/09/2009    3 recensioni
Un mistero secolare e spaventoso si nasconde tra i monti della Transilvania; dipanarlo sarà compito di un gruppo di temerari giunti da lontano; ma, forse, più che l'oscuro nemico, i nostri dovrebbero temere di più i propri fantasmi personali... Si troveranno così a combattere su due fronti!
Genere: Dark, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
NOVANTANOVE VITE NOVANTANOVE VITE


Il  mattino dopo.
Jeudi si era svegliata di buon’ora, e subito si era affacciata sul balcone per godere delle ultime ore di sole di quella eterna estate del Mediterraneo: quella sera stessa, infatti, si sarebbero imbarcati sul volo che li avrebbe portati nel cuore delle nebbie dell’Europa dell’Est.
Guardò giù in piscina: alcuni bagnanti mattinieri, forse Tedeschi, erano già a mollo, e si lanciavano reciprocamente frizzi e lazzi; altri sedevano invece sulle sdraio sorseggiando colorati drinks, leggendo riviste o beatamente distesi al sole.
Abbassò lo sguardo; troppi erano stati gli avvenimenti importanti di quei giorni per potersi definire senza pensieri: aveva scoperto di essere innamorata di Leonhard, perdutamente e follemente, e forse anche lui provava un qualcosa di simile nei suoi confronti; naturalmente, non aveva detto niente al suo fidanzato ufficiale, né sapeva come comportarsi con lui, ma questa era una cosa che prima o poi avrebbe dovuto affrontare. Ma come?
Era questa la sua principale preoccupazione, sì; per il resto, avrebbe potuto definirsi piacevolmente eccitata, anche se non tranquilla.
C’era poi la missione che tutti loro stavano per intraprendere: e certo non sarebbe stata senza rischi, nonostante le alte competenze del professor Tavernier e di tutti loro; di certo, la madre o qualcun altro da lassù avrebbe potuto avvertirla, ma era chiaro che la scelta finale sarebbe toccata a lei soltanto; e lei, per carattere, non avrebbe mai abbandonato i suoi colleghi e nuovi amici nel pericolo, lo sapeva bene.
Rientrò in camera; Lundi giaceva ancora beatamente addormentato nel letto: aveva l’aria di un ragazzino indifeso. Sorrise e gli si avvicinò.
Come avrebbe potuto dirgli che adesso amava un altro? Gli avrebbe di sicuro spezzato il cuore! Ma continuare a vivere in quella menzogna per sempre, non sarebbe forse stato peggio? Continuare a vivere accanto a lui, con Leòn nel cuore per sempre?
Gli sfiorò i capelli con una mano. Ed abbassò la testa. Non lo amava, è vero, ma si sentiva comunque colpevole nei suoi confronti a spezzare un legame tanto duraturo.
Decise di scendere a fare colazione, per non pensare; o almeno, per provare a non farlo.
Si alzò ed andò in bagno a vestirsi; dopo pochi minuti, uscì dalla camera, badando di non svegliare Lundi.
Lungo il corridoio incontrò una coppia di bagnanti: apparivano così sorridenti, innamorati, felici! Perché a loro, da troppo tempo, non era più dato di essere così?
Già, Matilda! Era cominciato tutto con lei! Il giorno in cui Lundi l’aveva rivista, qualcosa fra di loro era morto. Per sempre.

Arrivò in sala colazione, dove trovò Edith; questa la salutò con la mano e Jeudi si andò a sedere con lei.
“Allora, passata bene la notte?”, fece, col suo solito tono scherzoso e un po’ irriverente,
“Abbastanza, grazie. Ma tu che fai qui? Non avresti dovuto essere al tuo albergo?”.
L’altra le sorrise. “Veramente, c’è stato un cambio di programma. Patrice ha insistito affinché restassi a fargli compagnia, ieri sera”.
Jeudi la guardava, allibita. Lei riprese.
“E non immagini che notte è stata! Erano anni che non me la spassavo così!”,
“Edith!!!”,
“Patrice… che uomo! Meno male che aveva una scorta di preservativi!”,
“Edith!!! Ma ti pare il caso di parlare di queste cose in pubblico??”;
      l’altra ingoiò un sorso di caffè “Guarda che tanto questa notte ci ha sentito tutto il piano!” alzò tre dita “Tre volte!”.
     Jeudi si coprì il viso con le mani “Oh, povera me! Che amica scostumata che mi ritrovo!”.
     Edith sorrise “E tu con Lundi? Come va? State approfittando della vacanza?”.
     Jeudi si incupì “A dire la verità… ecco vedi… avrei bisogno del tuo aiuto…”.
     L’amica si accese una sigaretta “Dimmi! Se posso aiutarti…”,
“Dovresti leggermi le carte!”,
“Ehh?? Va bene, se è questo… Andiamo di là, però!”.
Le due ragazze uscirono dalla sala colazione e si diressero al salone da gioco; Edith si fece dare dal banco un mazzo di carte; andarono a sedersi; nel solito angolo, il solito pianista suonava Wonderful life, di Black.
“Allora” cominciò Edith “vuoi sapere dell’esito della missione, immagino!”,
“No. Voglio sapere di me e Lundi”.
L’altra abbassò lo sguardo sul mazzo, poi mescolò le carte e le depose sul piano del tavolo “Scegli un numero ed una carta” disse.
Dopo che Jeudi lo ebbe fatto, Edith scoprì le carte, e rimase a guardarle con aria preoccupata.
“Ho buone e cattive notizie: quali vuoi prima?”,
“Le cattive”,
“Tra te e Lundi non c’è più niente da un pezzo. Restate insieme solo per comodità, perché non avete altre storie e non ne volete cercare: lui non riesce più a parlarti, ed ha paura di farlo; tu, invece, perduta la fiducia in lui, non sei più disposta a concedergliela; ciononostante, ti senti in colpa a lasciarlo, così resti con lui!”,
“Sai che novità mi hai comunicato! E le belle?” ,
“Beh… le belle sono che c’è un’altra storia che sta iniziando, magari proprio in questi giorni, ma, proprio a causa del senso di colpa che ti ho detto prima, tu non sai che pesci prendere!”.
In quel momento, entrò Tavernier.
Il pianista, nel frattempo, aveva finito la canzone, ed attaccò Crazy, di Julio Iglesias.
“Buongiorno, signore!”,
“Ciao, Patrice. Edith mi ha detto che avete fatto una bella dormita, stanotte!” Jeudi lo guardò in tralice,
“Ah, questo ti ha detto? Beh, forse è meglio che sia stata tu la prima a saperlo: posso pregarti di non parlarne con gli altri, almeno per ora?”,
“Ed io posso pregarti di non… dormire con lei come hai fatto con qualcun altro in passato?”.
Edith non la lasciò finire: si alzò e buttò le braccia al collo di Tavernier, baciandolo con passione; lui ricambiò, al punto che Jeudi poté vedere i due che si davano la lingua.
“Da non credere!” Jeudi sibilò, voltando la testa dall’altra parte.
La coppia iniziò a ballare lentamente al ritmo della canzone, sulla pista vuota; si tenevano stretti e si accarezzavano l’un l’altra.
Ma non gli è bastata la maratona di stanotte?, pensò Jeudi.
Fortunatamente, almeno, Edith non è romantica come Martha!

Crazy, I’m crazy for crying,
crazy for trying,
and I’m crazy for loving you(1)  

Ma perché i cantanti riescono sempre a vedere dentro di noi meglio di noi? Questo me le sta proprio cantando, non c’è che dire! “Sono pazza a piangere, a tentare, ad amare te”! Quant’è vero, Leonhard! Ma non può andare avanti in questo modo, proprio non può! Devo trovare un senso a questa situazione, anche se un senso non ce l’ha!(2)   
In quel mentre, ecco arrivare Leòn.
Magnifico, adesso siamo a posto!!!
“Buongiorno”,
“Buongiorno”,
“Dormito bene, stanotte?”,
“Abbastanza, grazie. E tu?”,
“Non tanto. Ho continuato a canticchiare per un bel pezzo quelle canzoni, senza riuscire a prender sonno”.
Jeudi sorrise.
E tu turbi i miei sonni, ed anche la mia veglia!
La ragazza si guardò attorno: Edith e Patrice non c’erano più, dovevano essere usciti.
“Posso sedermi?”,
“Prego”
Non desidero altro che di averti accanto!
“Sai,… pensavo di fare un bagno. Mi fai compagnia?”,
“Perché no? Tanto non ho mangiato nulla! Però, dovresti aspettare che salga a mettermi il costume”,
“O.K.! Ti aspetto qui”.
Con passo leggero, Jeudi si diresse verso la camera che divideva con Lundi.
Che gioia, poter stare con lui! Mi sento un’adolescente alla sua prima cotta!
Aprì la porta, canticchiando, ed entrò.
Nell’aria, si respirava la solita aria di fiori e di pulito tipica degli alberghi in località di mare, con qualche spruzzo di caffè che veniva dal bar della piscina sottostante.
Lundi si era già fatta la barba e vestito. Lei lo salutò:
“Buongiorno!”,
“Ciao”, lui si voltò appena. Jeudi si smontò.
“Cos’è quest’aria triste?”,
“E tu dove sei sparita, così presto?”,
“Ero a fare colazione con Edith, di sotto”,
“Avresti anche potuto aspettarmi!”,
“Scusa, ma stavi dormendo e non ho voluto svegliarti…”,
“Dì piuttosto che non avevi voglia di avermi tra i piedi!”,
“Ma che accidenti stai dicendo, Lundi?”,
“Dico quello che vedo! Hai deciso di fare tutto questo tu, senza neppure consultarmi: di venire qui, di imbarcarci in questa assurdità!”.
Lei avanzò di qualche passo “Ah, sì? E sai perché l’ho fatto? Perché volevo vivacizzare un po’ il nostro rapporto! Perché, caso mai non te ne fossi accorto, ultimamente siamo diventati due estranei!!”,
“Cos’ha che non va il nostro rapporto? Stiamo bene insieme, siamo tranquilli, avevamo deciso anche di sposarci tra qualche anno! Che altro vuoi da un rapporto a due?”,
“Certo che sei diventato proprio un vecchio imbecille! Dài tutto per scontato! E ti comporti come se io fossi trasparente!!! Neanche mi vedi, a casa, non ti curi di me!!! A stento dividiamo la casa e le faccende domestiche ed economiche: in sostanza, fai lo stretto indispensabile! Un rapporto va vivacizzato, dovresti farmi sentire ogni giorno che mi ami, come facevi all’inizio!!! Ma a te, adesso, basta la facciata di una relazione!”
“Certo che siamo diventati pretenziosi! Cosa vorresti, rose rosse e gioielli di Cartier ogni giorno?”,
“Vorrei che ogni tanto, quando siamo a casa, smettessi di guardare il giornale o la TV, e guardassi un po’ anche me!”,
“Ma sentitela!! Adesso si dà arie da grande attrice!! Sai cosa penso, invece? Che a te non è ancora andata giù la faccenda di Matilda, ed ora tu abbia bisogno di continue conferme da parte mia!!!”.
Jeudi strinse gli occhi a due fessure “Sei ignobile! Come puoi dire questo? Eppure dovresti sapere che è proprio a causa sua se siamo diventati due estranei!”,
“Ci ho preso, allora!!! Non l’hai proprio mandata giù! Sai che ti dico? Avrei dovuto restare con lei, forse adesso starei meglio!”.
Lundi ebbe appena il tempo di finire; Jeudi gli assestò in faccia un sonoro schiaffone. Poi andò a chiudersi in bagno, e scoppiò in lacrime.
In un angolo, comparve la madre.
“Te lo avevo detto, bambina mia. Il vostro rapporto è alla frutta; lui non è mai stato l’uomo adatto a te, avresti dovuto capirlo da tempo, ormai”, le si avvicinò, chinandosi su di lei,
“Da quando mi ha tradita?”.
Lo spettro fece cenno di sì con la testa.
“Cosa devo fare, allora?”,
“Segui il tuo cuore!”, così dicendo, svanì.
Jeudi si asciugò le lacrime: era troppo orgogliosa per permettere a Lundi di vederla piangere; poi si spogliò, indossò il costume ed il pareo ed uscì dal bagno.
Trovò Lundi con un’espressione affranta sul viso.
“Jeudi…”,
“Lasciami in pace!”, gli gridò lei, ed uscì dalla camera.
“Sai che ti dico? Fa come ti pare!!!” le gridò dietro lui.

Leòn, Leòn… meno male che ci sei tu!
Cercò di calmarsi.
Arrivando in piscina, lo vide: era bellissimo, anche lui in costume. Le sorrise, accendendole il sole all’improvviso.
Lei gli ricambiò il sorriso.
“Scusa se ti ho fatto aspettare”.
Leonhard si tuffò in acqua; posato il pareo su di una sdraio, lei lo seguì.
“Ah, che bello!!! Meglio godercela, domani saremo nelle nebbie!”, improvvisamente, si sentiva meglio.
Con due bracciate, lui la raggiunse.
Si guardarono negli occhi, intensamente.
“Posso chiederti una cosa?”, Jeudi, in quel momento, sentiva che non c’erano barriere, tra loro.
“Certo, dimmi!”, lui le passò un braccio dietro le spalle.
“Perché tu e Viviane… sì, insomma… perché avete rotto?”.
Leonhard abbassò lo sguardo, in quell’espressione di malinconia viola che tanto piaceva a Jeudi.
“Eravamo troppo diversi. Lei… si accontentava di poco”,
“In che senso?”,
“Voleva far coppia, sì, ma non aveva entusiasmo: sin dal principio, mi disse subito che voleva accasarsi, e basta. Le bastava andare in giro in due, per forma, come io fossi stato il suo autista od il suo accompagnatore”.
Jeudi si sentì aprire un cancello nel cuore.
“A me, invece, quella vita falsa e regolata dava sui nervi. Mi sembrava di sprecare i giorni che abbiamo su questa Terra, che non sappiamo quanti siano, e cosa ci porteranno; mi sembrava di sprecare il nostro amore. E non sapevo se ne avrei avuto un altro”.
Avvicinò il viso a quello di lei “Non abbiamo novantanove vite! Per questo, non possiamo, né dobbiamo, sprecare neanche un attimo della nostra esistenza”.
Ora, erano vicinissimi. Troppo vicini.
Le loro labbra si accostarono, fin quasi a sfiorarsi…
“Jeudi!!! Dove sei? Ah, sei qui!”
Patrice Tavernier era maestro ad arrivare nei momenti meno opportuni.
“Cosa c’è, Patrice?”, si allontanarono di nuovo.
“Io sto andando a saldare il conto: è quasi mezzogiorno, e tra poco dovremo lasciare le stanze. Tu e Lundi avete preso qualcosa dal frigobar?”,
“No, io no. Di Lundi non so nulla”,
“Va bene, allora vado a chiederlo a lui. Scusa se ti ho disturbato”.
L’incanto si era rotto. Leonhard si era allontanato un poco da lei; ora stava nuotando un poco più in là.
Jeudi uscì dalla piscina “Visto che stiamo per partire” disse “è meglio che vada a rifare la valigia!”,
“Certo! Ci vediamo dopo”.

Risalì in camera, sperando di trovarvi Lundi, e di chiarirsi con lui.
Non abbiamo novantanove vite, non abbiamo novantanove vite! E l’unica che abbiamo è troppo complicata per complicarcela ancor di più con stupide recriminazioni!
Aprì la porta, ed entrò. Ma la camera era vuota.
Si avvicinò alla scrivania e vide un biglietto.

Vado a fare quattro passi. Ci vediamo dopo. Lundi.

No, di me non gli importa davvero più nulla! Vuole solo “andare in giro con la fidanzata”!

Come sospinta da una forza superiore, si cambiò, indossando un vestito di seta rosa ed arancione che scendeva fin sotto le ginocchia; si sciolse i capelli; poi, prese la porta ed andò nella camera di Leonhard.
Bussò. Lo trovò che era appena rientrato, e si stava rivestendo: aveva ancora la camicia aperta.

Gli amici adesso avranno tante cose da parlare e poi
mi riempiranno di consigli e di rimproveri
perché adesso sto con te...(3)

Si guardarono negli occhi, senza dirsi una parola; poi si abbracciarono e si baciarono con passione.

Noi due avevamo fino a ieri i nostri amori veri
sembravano per sempre, adesso invece siamo qui(3)

Iniziarono a spogliarsi l’un l’altra, freneticamente.

E nessuno capirà che sto con te
e nonostante tutto e tutti, io corro da te
controcorrente, contro la gente…(3)

Il vestito di Jeudi e la camicia di Leòn caddero a terra, mentre lui la sollevava, sempre baciandola, e la deponeva sul letto.

C’è la mia vita che sta cambiando itinerario ed io
fino a un momento fa, lo giuro, neanche lo sapevo
ci siamo entrati lentamente nella pelle e poi
ci siamo combattuti fino in fondo,
fino a farci male(3)

Leòn si sfilò i pantaloni.

E alla fine hai vinto tu,
e io sto con te
ed è solamente amore, se corro da te(3)

Jeudi gli strinse le gambe intorno alla vita, e gemette.

Ci siamo presi, ci siamo arresi…(3)


“Leonhard…”,
“Ti amo, Jeudi!”,
“Anch’io… anch’io ti amo, Leòn!”,

Stare senza di te, io no
stare senza di te, non si può
anche se poi qualche parte del cuore
ci scoppia di dolore(3)

Iniziò la danza dei corpi sul letto, una danza che si faceva ad ogni istante più frenetica, quasi volessero sfogarsi insieme delle rispettive frustrazioni e degli anni perduti.

Stare senza di te, io mai
stare senza di te, non potrei
noi ci vogliamo, e non ne ha colpa nessuno…(3)

Leonhard la strinse più forte, ed i gemiti di lei divennero grida di piacere. Infine, un ultimo grido.
Si lasciarono, sfiniti, e si abbandonarono sul letto.
Oggi abbiamo consumato le nostre novantanove vite in una volta sola!
Jeudi sorrideva con le lacrime agli occhi.
Leòn l’abbracciò da dietro “Sei pentita?”,
“Niente affatto!”.

                                                   **********

Dopo una breve e sconclusionata passeggiata per le vie del centro, Lundi era rientrato in albergo, ed ora sedeva al bar, un bicchiere di vodka davanti ai suoi rimorsi.
…E di nuovo! Ci risiamo di nuovo!
Non riesco a parlarle. Non più.
Quando provo a farlo, questo è il risultato. Possibile che fra di noi si sia alzato un muro simile?
Mi manchi, Jeudi. Mi manca il nostro amore spensierato e leggero che ci faceva volare come due adolescenti; ed odio il fatto che sono stato proprio io ad assestargli il colpo di grazia, col mio sconsiderato gesto di una volta sola prima, e col mio torpore poi: col mio torpore, io ho ammalato il tuo entusiasmo!(4)
Ma che male c’è, in fondo, a volere una vita tranquilla e regolata? E perché Jeudi è così convinta che, non manifestandolo di giorno in giorno, l’amore cessi di esistere? “Dài per scontato che io ti ami, e che anche tu mi ami!”, mi ha detto; e non è così, forse? Non è scontato, dopo tanto tempo assieme? Perché vuole continue conferme?
Il ghiaccio dentro al bicchiere si spostò, sciogliendosi un poco; l’uomo trasse un profondo sospiro, quindi prese il bicchiere ed ingoiò un sorso.
Si sentì toccare da una mano sulla spalla “Allora, siamo pronti?”.
Si girò. Era Patrice.
“Non so. La mia valigia è già in deposito; dovresti chiedere a Jeudi se la sua è ancora in camera”,
“No, non più. La tua ragazza è seduta di là, con la sua valigia, in compagnia del professor Wolfgang; siamo tutti di là, con i bagagli”.
Lundi sorrise di traverso “Va bene. Un momento e vengo anch’io!”.

Seduta sull’elegante divano del salone, Jeudi ascoltava, o meglio fingeva di ascoltare il racconto di Johann con interesse.
“… Ed avresti dovuto vedere che razza di libri avevano là dentro! Parola mia, quella non è una libreria, è una biblioteca!”,
“… Interessante…”, Jeudi teneva gli occhi bassi. Ogni tanto, li rialzava per incrociare lo sguardo blu-viola di Leonhard, seduto di fronte a lei assieme ad Edith e Liesel.
Come al solito, era Edith a tenere banco. “Certo che la moda Italiana è sempre la migliore… ineguagliata ed irraggiungibile! Però, che prezzi! Non ho potuto comperare niente!!!”,
“Certo che quella boutique che abbiamo vista era elegante…”, faceva eco Liesel.
Jeudi sorrise, all’indirizzo di Leonhard; lui la ricambiò, in un tacito messaggio d’intesa.
Non si erano più rivolti la parola da quando Jeudi aveva lasciata la camera di lui, ed avevano deciso di non farlo troppo spesso per non dare nell’occhio; d’altronde, si sentivano sotto gli occhi di tutti, specie dopo che Tavernier li aveva visti in piscina mentre stavano quasi per baciarsi…
Quindi, almeno in presenza agli altri, era preferibile parlare il meno possibile, limitandosi agli argomenti di lavoro.
“Dunque!”, Patrice Tavernier entrò con la sua solita aria trionfale “Ho fatto chiamare il taxi; fra poco sarà qui e ci condurrà all’aeroporto; sbrigate le formalità, vi illustrerò il percorso. Mi raccomando, dobbiamo essere tutti pronti all’azione!”.

Due ore più tardi, erano in aeroporto. Patrice aveva illustrato alla perfezione il percorso di viaggio, ed ora tutti sapevano bene che non si sarebbe trattato di una gita di piacere: quasi tutti i luoghi del loro soggiorno erano assai poveri, e frequentati da borsaioli e spacciatori di denaro falso, per non parlare del clima, molto rigido in quel periodo dell’anno.
Jeudi e Lundi sedevano vicini, con i bagagli ai loro piedi; a vederli, sarebbero sembrati la tipica coppia borghese di ritorno a casa dopo le ferie.
Ad un occhio più attento, però, non sarebbe sfuggita la freddezza che passava tra di loro, ciascuno girato dalla parte opposta all’altro.
“Ehi!”, Edith si avvicinò all’amica “Siamo sedute vicine sull’aereo, o sbaglio?”,
“Non sbagli”,
“Lundi, tu sei con Patrice, giusto?”,
“No, con Johann; Liesel è accanto a Patrice”,
“Accidenti, sono gelosa!” disse Edith sottovoce, rivolta a Jeudi “Andiamo a farci un caffè prima del decollo?”,
“Ottima idea” Jeudi si alzò.
Lundi la trattenne per un polso “Jeudi…”,
“Cosa vuoi?”,
“Scusa… per stamattina”,
“Scuse accettate!”, disse e si liberò dalla presa di lui.

                                                       **********

Quando atterrarono a Bucarest era ormai buio. Il piccolo aeroporto aveva un’aria di fatiscenza e trascuratezza tale da non dare davvero il miglior benvenuto.
“Qui tutto risale all’epoca del dittatore Nicolaj Ceausescu” stava dicendo Patrice mentre trascinava la sua valigia e portava quella di Edith, che gli camminava a fianco “e dato lo stile delle dittature, non potevamo aspettarci nulla di ridente. Mi raccomando, attenzione alle valige, da queste parti sono considerate merce preziosa!”.
Uscirono dallo squallido salone arrivi; ad attenderli sulla banchina c’era un uomo sulla quarantina, capelli castano chiaro e corporatura abbastanza imponente.
“Benvenuti!” disse in perfetto Francese “Sono Jean-Jacques, il vostro accompagnatore. Venite, raggiungiamo la macchina!”.
La “macchina” era in realtà un arrangiatissimo pulmino che doveva risalire ad un ventennio prima all’incirca; era infangato ed ammaccato in diversi punti.
L’uomo aprì il cofano ed iniziò a metter dentro i bagagli; Tavernier gli si fece vicino.
“Non ci presentiamo, prima?”,
“No, prima mettiamo al sicuro i bagagli, è meglio!” rispose quello senza alzare la testa.
Quand’ebbe finito, chiuse il portellone e chiese “Chi è il capogruppo?”,
“Io” rispose Tavernier “felice di fare la sua conoscenza, dottor Piquet”,
“Il piacere è mio!”, i due si strinsero la mano.
Poi venne il turno delle altre presentazioni.
“Il dottor Piquet è Francese, ma da anni ormai vive e lavora qui”,
“Con mia moglie, che ha una farmacia, a Brasov. Io sono il medico, ed ho uno studio ed un piccolo laboratorio dietro la farmacia”.
“Interessante…” fece Liesel “E da quanto vive qui?”,
“Da circa dieci anni, da quando ho conosciuto mia moglie”,
“Così, ha lasciato per sempre la Francia?”,
“Sì. Amo questa terra, anche prima la amavo. Ma la vita qui non è per nulla facile”,
“A che si riferisce, dottore?” la voce di Leòn,
“Prima di tutto, alla povertà: la maggioranza dei miei pazienti sono poveri, non hanno la possibilità di pagare un medico, ed io li curo gratuitamente, tanto mi sovvenziona il vicino ospedale”.
Erano sul pulmino, in viaggio verso il centro di Bucarest; ai lati della strada, Jeudi osservava la desolata distesa dei campi grigi e marroni, punteggiati qua e là da qualche cascina o da qualche stabilimento industriale abbandonati. Il manto stradale era un vero disastro, sobbalzavano continuamente. Quando entrarono a Bucarest, la situazione non migliorò poi di molto: viali periferici senza fine, larghi e deserti, dove regnava incontrastata la solitudine, che sfociavano in immense piazze con al centro una statua colossale di Ceausescu, di Stalin o di qualche altro dittatore; fredde luci gialle ai lati delle strade, case fatiscenti, stradine sporche che serpeggiavano tra di esse, percorse da ragazzini laceri e sporchi e da cani randagi.  
Raggiunsero quello che doveva essere il centro, dove regnava incontrastato lo stesso squallore monumentale della periferia, ma si vedeva qualche anima in giro in più.
Gli edifici del dopoguerra, costruiti in tutta fretta dal regime, erano fatti di cemento grigio ed immense vetrate, anch’esse grigie e fredde, che contribuivano al conferimento di quell’aria di desolazione ed abbandono che aleggiava su tutta la città.
“Siamo arrivati!” il pulmino si fermò davanti all’insegna sporca e mezza spenta di un albergo.
Tutti scesero, girando la testa in aria, con aria sconcertata; solo Tavernier fece una fragorosa risata.
“Un bel salto da Riccione, vero? Certo, qui non ci sono cantanti! Ve lo avevo detto che non sarebbe stata una gita!”.
“Patrice, ma tu… ci sei già venuto?” chiese Jeudi,
“Sì, altre tre volte. Ma non è poi così scioccante: basta farci l’abitudine, credimi!”,
“Ma non potevamo andare là?”, Johann indicò col dito un albergo di fronte, che sembrava molto più elegante,
“Ah, non t’illudere! Tutta apparenza! All’interno, non è poi tanto meglio di questo!”.
L’ingresso era molto buio, tappezzato alle pareti di legni scuri che mangiavano tutta la poca luce che emanava dalle lampade giallastre e dal paralume di vetro sporco che illuminavano l’ambiente; anche i mobili erano fatti di quel legno consunto e scuro, privi di forma e tormentati dai tarli; i divani in velluto marrone presentavano buchi e strappi, ed erano affiancati da portacenere che non venivano puliti da chissà quanto; dietro il bancone stava un uomo con occhiali dalle spesse lenti e dall’aria annoiata, che stava sfogliando un registro. Jean-Jacques gli si avvicinò e gli rivolse alcune parole.
Edith si aggrappò al braccio di Tavernier. “Patrice… io non ci dormo da sola, qua dentro!”; lui rise divertito.
“Ne hai voglia anche stasera?”,
“Non scherzare! Questo posto mi fa paura, non è per nulla raccomandabile!”.
Lui le accarezzò il viso “Va bene, allora vorrà dire che dormirai tra le mie braccia tutta la notte, ed io ti scalderò col mio corpo finché non smetterai di avere paura! Va bene?”.
Edith gli sorrise.
“Signori, ascoltate” fece poi Patrice, a voce alta “dato che Edith ha paura di star da sola, io e lei dovremo occupare una delle due camere matrimoniali prenotate, quindi una coppia dovrà separarsi. Coraggio: chi si offre volontario per dormire da solo, stanotte?”,
“Ci dormo io!” Jeudi alzò la mano.
Magnifico!, pensò Lundi.




_______________________________________________________
 (1)Credits: Crazy, Julio Iglesias
 (2)Credits: Un senso, Vasco Rossi
 (3)Credits: Stare senza di te, Pooh: la mia preferita!!! Ninfea 306: qual è la tua?
 (4)Credits: Mi manchi, Pooh


E rieccomi, con un altro capitolo! Come vi sembra la descrizione di Bucarest? Lo so che non è bella, ma purtroppo è questa l'immagine che ne ebbi io, al mio arrivo, quell'estate di alcuni anni fa. Magari, adesso è cambiata... spero! E adesso, il momento dei messaggi...
Vitani: Non posso ancora dirti cosa succederà a Lundi, ma, purtroppo per lui, non sarà una cosa piacevole... così impara a far soffrire in silenzio "tesoruccio nostro" per tutta la durata dell'anime! XD
Ninfea 306: ero sicura che Leòn ti sarebbe piaciuto, così come il concerto dei "nostri" Pooh; adesso, come vedi, il tono cambia di parecchio.
Tonksis: se ci sei, batti un colpo!
Un grazie anche a chi sta leggendo senza recensire.




  
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Alpen Rose / Vai alla pagina dell'autore: Tetide