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Autore: Eneri_Mess    08/01/2024    1 recensioni
La maggior parte delle mattine Touji si sveglia con la colazione sul tavolo.
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O anche: una breve digressione nei pensieri di Touji, in un what if all'episodio 4 della S2.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Fushiguro Megumi, Fushiguro Toji
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Premessa 1: WHAT IF (Spoiler) dell’episodio 4 della S2 (Volume 10?). Touji non è morto, ha combattuto contro Satoru, ma quell’ultimo attacco lo ha solo sfiorato. 
Premessa 2: è un ipotetico presente (circa) alternativo in cui Touji e Satoru sono scesi a patti (e qualcosa di più nelle mie idee), soprattutto per il bene di Megumi. 
Premessa 3: dato che MeguMama non ha un nome, qui si chiama Fushiguro Izumi. 



 

Alla Socia,
grazie della pazienza
e della presenza. 


La forma di una benedizione



 

You were there in times of need

Helped me up when I was weak

Showed me that it's okay to dream

Always be 2.0 | Caleb Hearn





 

La maggior parte delle mattine Touji si sveglia con la colazione sul tavolo.

Non è un lusso che accade sempre - dipende dai giorni, dipende dagli impegni, dipende dalla vita - ma Touji di certo non se ne lamenta. 

L’acqua calda per il caffè nel bollitore, una ciotola di riso, una di verdure e una qualche proteina tra carne o pesce testimoniano la mano di Megumi. 

Se invece trova una qualsiasi lattina - dall’aranciata al caffè freddo - e la busta di carta di una bakery, allora è opera di Satoru. 

Ci sono mattine in cui Touji si siede al tavolo e rimane immobile a fissare quelle premure. 

Fuori può piovere, può nevicare, può essere una bella giornata, ma il tempo nella testa di Touji si inceppa e ci sono momenti che si sovrappongono tra loro, scampoli pescati da un passato che è una striscia di stoffa logora, bruciata, strappata e ricucita. 

Il tavolo che troppo spesso la sua memoria richiama è quello della casa in cui è cresciuto. Una superficie con del cibo rovesciato sopra senza un piatto, ciotole e tazze sbeccate, talvolta non lavate - perché i rifiuti si nutrono con altri rifiuti, diceva qualcuno di cui Touji ha dimenticato il volto. 

Rammenta anche di quelle volte in cui la colazione proprio non c’era perché la sua famiglia fingeva la sua inesistenza; non lo ritenevano diverso da una macchia ostinata, quel vino che ti si rovescia sui vestiti per sbaglio e non c’è modo di pulirlo. 

O il sangue. Il sangue, ragiona Touji, è sempre la metafora più azzeccata, perché anche lui avrebbe voluto ripulirsi il sistema da quel flusso che (lo) odia. 

Zen’in. Zen’in. Zen’in.

In un mondo di maledizioni, quella è la sua, un marchio nelle ossa dal concepimento e impossibile da levare. 

Touji è conscio di essere riuscito a levigare il peso di quel nome col tempo, a renderlo tanto sottile da restare solo un filo, e non più una corda con cui rimanere strozzato. Anche ora, a distanza di anni - anni dalla distruzione della casata - lo sente presente nella propria vita, ma è una ragnatela che può togliere con una manata. Si riformerà e lui la toglierà ancora. 

Non è stato facile, eppure lo è stato. Se ripensa all’incontro fortuito che lo ha salvato, allo sguardo che ha incrociato il suo con un iniziale timore e curiosità, poi un sorriso buono, e parole che non hanno mai avuto alcun intento nel ferirlo… 

Fushiguro Izumi è stata la sua porta secondaria sul mondo. Il cancello a un giardino segreto dove le cose davano l’idea di vivere senza la presenza opprimente degli Zen’in. 

Con lei, Touji sa di essere stato colto impreparato dal concetto di felicità, da uno sciame di piccole lucciole dal bagliore intenso in mezzo all’oscurità. 

In un volteggio forse troppo veloce, una di quelle lucciole si è trasformata nel cuore pulsante di un bambino in arrivo, inatteso, la creatura perfetta da portare in quel giardino dove Touji ricorda di aver imparato a piegare le labbra in qualcosa che non sia un ghigno o una smorfia. 

Megumi

Benedizione. 

Ciò che Touji non ha mai ricevuto e ciò che Dio gli ha messo in mano in modo diverso. 

“Non pensi che la felicità sia senza forma?” 

Izumi amava parlare delle cose, ma senza dare loro un perimetro definito, come se fossero costantemente da scoprire con i propri occhi. Come Megumi, che di mese in mese, Touji ricorda, è cresciuto nel ventre di lei fino a diventare ingombrante. 

Megumi

Un nome che Touji ha scelto senza sapere che forma avrebbe avuto agli occhi del mondo. Lo ha scoperto insieme a lei in un giorno d’inverno, stringendolo tra le braccia come la concretezza più definita di felicità mai conosciuta - e che sia mai riuscito a costruire con le sue mani lorde di sangue e sempre intente ad afferrare il vuoto. 

Con Megumi in braccio, Touji rammenta di aver dimenticato il proprio nome, le proprie origini, quanto il mondo potesse incarnare una carogna insaziabile. 

Probabilmente è in quel momento che ha sbagliato, in quell’attimo in cui le ditina di Megumi si sono strette intorno al suo indice e lui ha scoperto di possedere battiti nuovi. La striscia di stoffa del suo tempo ha iniziato a strapparsi, un filo alla volta, in modo inevitabile, in silenzio. 

Touji pensa di essere stato sordo a quel rumore, a quell’avvisaglia. 

C’erano i pianti di Megumi a riempire i suoi pensieri, c’erano i suoi occhi spalancati e curiosi come quelli di Izumi, c’era il vedere madre e figlio insieme, abbracciati, splendenti. Non c’era altro ad avere importanza, se non loro due. La sua famiglia. 

La vita si è ripalesata un giorno, come una puttana che lo ha riconosciuto dall’altro lato della strada anche se lui non ci ha fatto caso, ma è lì per ricordargli che ogni momento d’estasi ha un prezzo da pagare.

Touji non ha davvero memoria di quello che è successo dopo l’ultima volta che ha visto Izumi. Sono scene ricucite una di fianco all’altra, ma c’è caduta sopra la realtà e ogni cosa ha perso colore. Quel cancello secondario si è chiuso e il cielo sopra di lui ha assunto le forme cupe dei soffitti nelle celle delle maledizioni dove da ragazzino ha imparato sulla pelle cosa il dolore umano genera. 

Le sue mani sono rimaste vuote di nuovo. Vuote e con una maledizione. 

Prenditi cura di Megumi

Perché la vita è proprio una puttana e non gli ha apparecchiato la tavola, se non elencando ogni pezzo che si è lasciato alle spalle, anche quelli che non ha mai avuto. Come il dono che avrebbe dovuto possedere e che lo ha fatto crescere non voluto ai margini di una famiglia per cui se fosse sparito era meglio.

Megumi ha quel dono la cui mancanza ha significato per Touji essere niente. E non un dono qualsiasi, ma il più potente. Perché la beffa deve arrivare a colpirlo col suo gancio migliore. 

È allora che Touji sa di aver scelto di dimenticare. 

Di svegliarsi e tirare dritto. Di diventare quel flagello che il suo corpo gli permette di essere, di campare in un mondo dove poteva unirsi in solitaria alla schiera dei carnefici o dei benefattori, a seconda di chi lo avesse pagato meglio. 

Non c’è più forma che lo trattenga. Giusto e sbagliato, benedizione e maledizioni sono stati portati via dalla pioggia di una primavera che non è maturata in estate. 

Non ha più avuto un posto in cui tornare. Tutte le porte o si sono chiuse o è conscio di averle sbarrate lui stesso, tranne quella divelta dell’inferno, che freme nell’attesa di averlo. E Touji sa quanto ha ghignato, perché non c’è stata più alcuna forma in cui piegare le labbra. Per lui il mondo non ha più avuto un verso.

Finché non ha incontrato Satoru. 

Gojou Satoru. Il Sei Occhi che un tempo è stato, per la frazione di uno sguardo, l’apice della sua invidia. La vetta più alta di Benedizione che l’universo avesse potuto condensare in un corpo umano, facendosi beffe di Touji ancora una volta. 

Battersi con lui può essere stato solo un segno di quel Dio che si è annoiato così tanto di Touji da dargli un biglietto speciale della lotteria: o vinci o muori. In entrambi i casi, non ci sarebbe stato nessuno a gioire o piangere per lui, ma il risultato sarebbe stato con ogni probabilità la forma ultima che Touji stava cercando da tutta la vita. 

Eppure, Touji percepisce ora come allora com’è stato essere sfiorato dalla tecnica Murasaki del Sei Occhi. Non è stato preso - un passo, un solo passo più in là e ne sarebbe rimasta una sola metà di lui. 

Touji ricorda un freddo come mai prima seguire quel riverbero viola. Nessuno degli inverni in cui è stato abbandonato fuori di casa regge il paragone. I sotterranei bui brulicanti di occhi e bocche che volevano mangiarlo vivo sembrano quasi familiari al confronto. Il vagare senza meta nelle strade dell’esistenza, con un corpo troppo forte anche per crepare, non era il suo reale giogo.

No, ciò che più si è avvicinato a quella sensazione di freddo è l’assenza di Izumi. 

Ed è stata sulla scia di quella lucciola che si è spenta che la benedizione di Touji si è affacciata nitida alla sua mente. 

Megumi. 

Megumi che, l’ultima volta che si sono visti, come rammenta, ha provato un certo timore e curiosità verso di lui, verso un padre che lo ha guardato dall’alto in basso mentre dentro strozzava a mani nude un amore nato al primo respiro del figlio. 

Megumi, la Benedizione che aveva deciso di vendere alla sua famiglia, illudendosi che non lo avrebbero buttato nelle sabbie mobili come hanno fatto con lui, che non avrebbero passato la vita a definirlo inutile e privo di valore. 

Megumi è diverso. 

Megumi è benedetto. 

Megumi è uno Zen’in legittimo.

Touji ricorda di essere tornato a respirare a quel pensiero. Ricorda la rabbia. La propria rabbia, verso se stesso. La prima vera forma di ribellione che non si è limitata a scivolare via e incontrare per caso la felicità, ma che ha voluto qualcosa di diverso. 

Perché Megumi esiste. Megumi è la sua Benedizione. Sua e di Izumi. 

Lo ha lasciato in un posto in cui qualcuno avrebbe provveduto a lui il minimo necessario, perché lui non ne era capace; ma quel freddo che ha provato mettendo il piede sulla soglia dell’Aldilà-

Prenditi cura di Megumi

Concedere la vittoria al Sei Occhi che, per un solo passo, non gli ha portato via la vita, non significa perdere. 

Non quando Touji ricorda cosa significa desiderare di vivere. 



 

“La mangi o continuerai a fissarla?” 

Una voce alle spalle di Touji lo fa riscivolare nella propria pelle, lasciando andare gli scampoli del passato. Non trasale, ma è come svegliarsi da un incubo e convincersi che la realtà non è poi così male. 

Izumi non c’è più, per quanto ogni tanto Touji la cerchi nelle folle, non tornerà. Ma Megumi è lì, in piedi dietro di lui. Scommette abbia le braccia incrociate e uno sguardo che riesce a immaginare benissimo, perché è il suo, ma con le ciglia di Izumi. 

“Se non ti piace mettilo in frigo, lo mangio io a pranzo” insiste.  

“A pranzo andiamo a prendere la soba” rilancia Touji, alzando l’angolo martoriato della propria bocca.  

Megumi rimane interdetto dalla proposta. Touji lo ascolta pensare. È in una fase in cui le forme del mondo per lui hanno un sacco di spigoli e non ha ancora capito come accettarle, limarle, spezzarle o lasciarsi ferire. 

Touji sa di non essere d’aiuto - è Satoru quello bravo con i discorsi, anche se in due non fanno un genitore responsabile - perché i suoi bordi sono ruvidi e seghettati, a volte mancano del tutto, ma non scambierebbe più nulla per quei momenti tentennanti. 

“... va bene.” 

Megumi torna in camera, lasciando Touji a quella colazione che è la prova diretta dell’esistenza della sua Benedizione. 



 

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Questa shottina è nata stamattina, tutta da sola, penso per scaricare un po’ gli ultimi giorni che sono stati densi di cosine belle, buona compagnia e tanto JJK. E tanto Touji UU Che fa bene all’anima. 

Questa shot è strappata a un’idea più grande, un what if che prende appunto le mosse dalla sopravvivenza di Touji nell’episodio 4 della S2 e rielabora un po’ tutto il canon con lui vivo e vegeto. Però per il momento non c’è altro in cantiere.

Mi scuso per eventuali tempi verbali sballati, non scrivo mai al presente. 

Spero vi piaccia, fatemi sapere =)

(mi trovate in giro sui social come @enerimess se vi va di fare due chiacchiere!) 

 
   
 
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