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Autore: Bombay    13/01/2024    2 recensioni
Dal testo: - Un gufo reale si posò sul davanzale, le grandi ali spiegate per un momento, occupavano tutto lo spazio della finestra, quindi lentamente le ripiegò sul grande corpo dalle piume arruffate e gonfie per il freddo, ruotò la testa puntando i suoi occhi gialli dalla grande pupilla nera, in quelli azzurri del mago dall’altra parte della stanza.
Il crepuscolo cedette finalmente il passo alla notte, in una battito di ciglia la magia avvenne, al posto del regale gufo c’era un uomo inginocchiato a terra, nudo, dal corpo possente e la pelle chiara, la spalle larghe, il collo forte, il giovane viso dalla fronte corrucciata, gli occhi color dell’ambra che fissavano il giovane che si stava avvicinando, piegò la testa scrutandolo attentamente alzandosi in piedi, in tutta la sua considerevole altezza, scrollando le spalle e la testa e delle piume brune planarono lievi sul tappeto. -
Challenge: “La ruota dell’anno - Yule” indetto sul gruppo FaceBook “L’angolo di madama Rosmerta”
Genere: Angst, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Keiji Akaashi, Koutaro Bokuto
Note: AU, Lime | Avvertimenti: nessuno
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Challenge: “La ruota dell’anno - Yule” indetto sul gruppo FaceBook “L’angolo di madama Rosmerta”

Prompt: Domani è lontano se mi ami ora (Baustelle)

 

Genere: fantasy, romantico, drammatico

Tipo: one shot

Personaggi: Keiji Akaashi, Kotaro Bokuto

Coppia: yaoi

Rating: PG-13, giallo

Avvertimenti: AU, angst, fluff, lime

PoV: terza persona

Disclaimers: i personaggi non sono miei, ma di Haruichi Furudate. I personaggi e gli eventi in questo racconto sono utilizzati senza scopo di lucro.

 

Note: Yule era la festa del solstizio d'inverno, viene celebrata intorno al 21 dicembre.

 

Plenilunio d’inverno

 

La punta della penna d’oca correva veloce sulla pergamena sottostante, una calligrafia pulita precisa, dai caratteri spigolosi e fermi.

La luce nella stanza stava cambiando, le ombre della sera si stavano allungando, presto il giovane uomo seduto alla scrivania avrebbe dovuto accendere delle candele per poter proseguire nella scrittura e nella lettura dei tomi che aveva aperti sul ripiano.

Socchiuse gli occhi posando la penna, sigillando con cura la boccetta d’inchiostro, riponendo pergamene e testi, per quel giorno non li avrebbe più toccati, si accostò alla finestra e l’aprì ignorando il gelo che si fece strada nella stanza, facendo tremolare le fiamme nel camino.

Il cielo si stava tingendo di viola, mancavano ancora pochi momenti e l’oscurità avrebbe avvolto tutto. La luna che sarebbe sorta di lì a poco, era piena e avrebbe rischiarato la lunga notte con i suoi raggi d’argento, riflessi dalla spessa e immacolata coltre di neve.

Era la notte più lunga dell’anno, il solstizio d’inverno, dove le ore di tenebra erano di più di quelle di luce, più tempo concesso loro… manciate di minuti rubati.

Il giovane rimase qualche momento alla finestra, in lontananza il bubolare di un gufo, gli fece stringere il cuore, si fece indietro andando a mettere nel camino altra legna da ardere, la stanza diventava sempre più buia eccezion fatta per il colore rossastro delle fiamme.

Un gufo reale si posò sul davanzale, le grandi ali spiegate per un momento, occupavano tutto lo spazio della finestra, quindi lentamente le ripiegò sul grande corpo dalle piume arruffate e gonfie per il freddo, ruotò la testa puntando i suoi occhi gialli dalla grande pupilla nera, in quelli azzurri del mago dall’altra parte della stanza.

Il crepuscolo cedette finalmente il passo alla notte, il gufo lanciò un fischiò aprendo nuovamente le grandi ali e saltando dentro la stanza sul pavimento ricoperto da uno spesso tappeto.

In una battito di ciglia la magia avvenne, al posto del regale gufo c’era un uomo inginocchiato a terra, nudo, dal corpo possente e la pelle chiara, la spalle larghe, il collo forte, il giovane viso dalla fronte corrucciata, gli occhi color dell’ambra che fissavano il giovane che si stava avvicinando, piegò la testa scrutandolo attentamente alzandosi in piedi, in tutta la sua considerevole altezza, scrollando le spalle e la testa e delle piume brune planarono lievi sul tappeto.

Con cautela l’altro uomo gli si avvicinò e gli drappeggiò sulle spalle un mantello di lana pesante.

“Kou… mi riconosci?” mormorò titubante mentre l’altro ancora lo scrutava in silenzio, i suoi occhi e la sua espressione si distesero, prese il viso del mago tra le mani e gli baciò le labbra dolcemente.

“Non ti dimenticherò mai Keiji” gli sussurrò sulla bocca, baciandolo ancora.

Il mago si fece indietro andando a chiudere le ante della finestra, sbarrarle per bene, chiudendo fuori il freddo e il buio, quando si voltò vide Kotaro vicino alla sua scrivania che accarezzava con le punte delle dita le sue pergamene.

“Hai scoperto qualcosa di utile in questo mese?” lo interrogò, carezzando le lettere scure, non comprendeva la magia, gli aveva sempre fatto paura, lui era un soldato, combatteva corpo a corpo con un nemico che poteva vedere, con cui poteva incrociare la spada.

La magia era pericolosa, subdola, invisibile e poteva colpirti quando meno te lo aspettavi, come era successo a lui… a loro.

Il più giovane scosse la testa mestamente “No mi dispiace… sembra che questo incantesimo sia pressoché sconosciuto o forse i suoi segreti sono ben custoditi dal Clan delle Aquile” rispose stringendosi nelle spalle affranto.

Kotaro lo avvolse in abbraccio posandogli il mento sulla testa “Tu e il tuo amico… come si chiama?”

Keiji lo guardò con il cuore che tremava… “Kenma…” disse in un soffio.

“Siete i migliori apprendisti della Torre e troverete sicuramente il modo di spezzare questo oscuro incantesimo”

Il mago trattenne il fiato per un lungo momento, chiudendo gli occhi e scuotendo il capo “Non sono più un apprendista” iniziò vedendo la confusione e lo sconforto negli occhi dell’altro.

“Sono un mago di Primo Livello”

“Oh” borbottò imbarazzato, grattandosi la nuca “Scusa… non lo ricordavo…” bofonchiò mordicchiandosi il labbro inferiore. “Da quanto?”

“Un anno abbondante…” rispose con voce strozzata “Abbiamo anche festeggiato… Tu… io… Kenma e Tetsuro” aggiunse stringendo i pungi tanto forte da fare sbiancare le nocche.

La maledizione che aveva colpito i loro compagni trasformandoli in animali, portava via loro, ad ogni trasformazione pezzi di vita passata, di ricordi, riducendoli sempre meno umani e sempre più animali, se non fosse riuscito a spezzare quella maledizione, un giorno Kotaro si sarebbe dimenticato di lui e del loro legame, del loro amore.

“A proposito di Tetsuro dov’è quel gattaccio nero?” domandò girando su se stesso, cercando di smorzare la tensione cominciando a chiamarlo per la stanza, come si fa con i gatti, anche se sapeva bene che aveva ripreso anch’egli la sua forma umana.

Il mago scosse la testa, il siparietto dell’altro non lo fece nemmeno sorridere, si trovarono nuovamente uno difronte l’altro.

Kotaro prese ancora il viso di Keiji tra le mani, catturando gli occhi dell’altro con i suoi magnetici occhi gialli, da predatore, era stata la prima cosa di Kotaro a cambiare.

“Non mi dimenticherò mai di te, Keiji, mai”

“Non fare promesse che non puoi mantenere, l’unica cosa che sappiamo di questo sortilegio è che torni umano una volta al mese, quando la luna è piena, e che divora i tuoi ricordi come prezzo… e quando anche l’ultima memoria svanirà per sempre, rimarrai un gufo per il resto dei tuoi giorni” disse quasi gridando, mentre gli occhi gli si riempivano di lacrime, aveva impiegato mesi a trovare quelle informazione e quando lo aveva fatto gli era sembrato di impazzire a quelle terribili sentenze.

L’uomo lo trasse a sé, cercando di confortarlo, ma era difficile, sapeva bene a quale destino andasse incontro, ma non poteva cedere alla disperazione, o lo avrebbe fatto anche Keiji e lui non voleva vedere il proprio compagno perdersi nello sconforto, o perdere il senno.

“Anche se la mia mente ti dimenticherà, il mio cuore non lo farà mai, ti amo Keiji e nessun maleficio mi potrà mai portare via questo…”

Un bussare rapido e conciso li fece sussultare.

“Avanti” gridò Keiji e pochi istanti dopo un giovane entrò recando un grande vassoio e congedandosi immediatamente.

Kotaro si leccò le labbra sedendosi sul letto mentre Keiji toglieva il panno che copriva un vassoio ricolmo di prelibatezze.

Kotaro si avventò sul cibo, prendendo dai piatti a piene mani.

“Non serve che ti ingozzi Kou, è tutto tuo…” tentò di placarlo, ma l’altro lo ignorò ingurgitando una pietanza dopo l’altra.

“Lo so, ma dopo aver mangiato topolini e bisce, questi piatti sono squisiti” gli disse portandosi alle labbra un piatto di zuppa dall’odore meraviglioso. Keiji arricciò il naso a quelle parole e sospirò tristemente.

“Tu non mangi?” chiese a bocca piena vedendo il mago scuotere la testa.

“Non ho fame…” mormorò restando in silenzio mentre l’uomo consumava, l’abbondante e meritato pasto.

 

Il mago portò il vassoio fuori dalla porta e la rischiuse poggiandosi ad essa con il proprio corpo, osservano Kotaro stendersi sul letto e massaggiarsi la pancia soddisfatto per il lauto pasto.

I lembi del mantello si erano scostati, rivelando il suo corpo maestoso mentre si metta seduto e porgeva la mano al compagno invitandolo a raggiungerlo, sul grande letto.

“Vorrei che domani non arrivasse mai” confidò al suo orecchio, baciandogli la mascella liscia e poi le labbra, la bocca dell’uomo sapeva di cannella a causa della torta che aveva appena finito di mangiare.

Keiji si perse in quel bacio, giocando con la lingua dell’altro che scavava impertinente nella sua bocca, anche lui lo avrebbe voluto però rispose: “Domani è lontano se mi ami ora”

Kotaro, con una scrollata di spalle, si liberò del mantello e sorrise spingendo il più giovane sul materasso di piume, sciogliendo la cintura ricamata che cingeva i fianchi snelli del mago e che ne dimostrava il suo rango e la sua carica.

Gli aprì la tunica di velluto blu, e gli sfilò dal capo la camicia di lino bianco, quindi, facendogli sollevare i fianchi gli sfilò le brache e ammirò il suo corpo nudo e bianco, illuminato dai riflessi del fuoco che ardeva alto nel camino.

“Sei più magro dell’ultima volta che ti ho veduto…”  disse con una punta di rimprovero, mentre il mago rotolava fino al baule accanto al letto e prendeva un barattolo e lo porgeva all’altro.

“Sto bene…” disse solo, non voleva parlare dei suoi crucci e dei suoi tormenti, non quella notte.

Kotaro aprì il vasetto e le sue narici sensibili furono invase dal profumo della calendula e rosa canina, un unguento che preparava Keiji, per loro, per rendere più piacevole la loro unione, Kotaro associava quell’odore, quella particolare fragranza al fare l’amore con il suo Keiji, un ricordo olfattivo.

Posò la bocca sulla sua pelle sudata e salata, imprimendosi nelle papille gustative il suo sapore unico, mentre sondava con le mani il corpo bianco del mago, scatenando in lui mille brividi, saggiando la sua pelle, un palmo alla volta, il colore, la morbidezza, una memoria tattile, che sperava fosse indelebile.

Non poteva mai scordarsi dei gemiti che le sue spinte, lente e profonde in quel corpo, facevano emettere ad entrambi, e le parole sussurrate labbra contro labbra, spezzate, dagli ansiti e dai lamenti, occhi negli occhi per tutto il tempo. La voce del suo Keiji che chiamava il suo nome come in una preghiera, il suo fine udito lo avrebbe riconosciuto tra mille e per sempre ne era certo.

Non poteva smarrire la sensazione del piacere raggiungeva il suo culmine e che sgorgava dai loro corpi uniti, lo sperma che gli bagnava l’addome, e il suo che riempiva il corpo del compagno.

Nessuno gli avrebbe portato via quei ricordi, nessuno, non lo avrebbe permesso, avrebbe lottato in ogni modo.

Stretti l’un l’altro sotto le pesanti pellicce, attendendo che i loro respiri si quietassero, che i loro cuori smettessero di ruggire nelle loro orecchie.

“Dormi qualche ora Keiji, sarò qui… questa è la notte più lunga dell’anno” tentò baciandogli la fronte, vedendo gli occhi dell’altro faticare per restare aperti, ma il giovane scosse la testa.

“No… ci è concessa una notte al mese… non voglio perdere nemmeno un momento di te…” rispose spingendolo schiena sul materasso e salendogli cavalcioni.

Voleva unirsi a lui tutta la notte, e non importava se il corpo gli faceva male, se si spingeva al limite e la stanchezza tentava di ghermirlo essere unito a Kotaro era una consolazione nei giorni che li avrebbero separati ancora.

La luce delle fiamme proiettava le loro ombre avvinghiate, ancora e ancora.

***

“Che si dice dal resto del regno?” domandò Kotaro scendendo dal letto per gettare nel camino un altro paio di ciocchi di legna, visto che le fiamme languivano.

Il mago attese che l’altro uomo tornasse sotto le coltri e gli si accomodò contro pensieroso.

“Tutto è invariato…” mormorò tristemente.

“Sono stato al Castello e nulla è mutato da quella terribile notte” mormorò chiudendo gli occhi sentendo anche Kotaro sospirare pesantemente.

 

Erano passati tre anni da quella notte, che era iniziata come una festa ed era finita in tragedia, ma avrebbero dovuto aspettarselo, il Principe era sempre stato una persona frivola e capricciosa, incline a soddisfare sé stesso più che preoccuparsi degli altri e delle conseguenze delle sue azioni.

Tutti erano stati invitati a quella cerimonia dove il re aveva intenzione di annunciare a quale Clan si sarebbe unito il proprio secondo genito, come da tradizione, raggiunta la maggiore età.

Nella sala grande aveva annunciato che Tooru avrebbe abbandonato il Castello e si sarebbe unito al Clan delle Aquile e se in un primo momento sembrava che il giovane non avesse nulla da obbiettare, in un secondo momento si era scontrato direttamente con l’unico figlio del capo Clan delle Aquile: Wakatoshi.

Circolavano voci che, l’Aquila Bianca, come lo avevano soprannominato, avesse un debole per il nobile e viziato principe, alcuni arditi insinuavano anche che ne fosse innamorato, e che avesse sempre espresso il suo desiderio che il giovane facesse parte del suo Clan.

Da lì ne erano scaturite parole pesantissime da ambo le parti a nulla erano valsi gli sforzi di fare ragionare le due fazioni, nemmeno i tentativi di Hajime, il capitano delle guardie, nonché amico d’infanzia e fidato consigliere del principe.

Tooru giurò che preferiva andare dall’altra parte del mondo, piuttosto che entrare in quel Clan, di sottomettersi a Wakatoshi sosteneva che l’orgoglio e l’amor proprio glielo impedivano.

Keiji si trovava in quella stanza con Kotaro perché quest’ultimo era amico e compagno d’armi di Hajime, mentre Tetsuro e Kenma erano lì perché amici di Kotaro anche se del Clan dei Gatti e dei Gufi, non vedevano di buon occhio le Aquile.

Keiji non ricordava cosa avesse fatto scattare la scintilla, del perché poi in quella diatriba tra figli di capi clan, si fosse intromesso un mago; non comprendeva nemmeno come all’epoca Satori, un apprendista come lui, potesse conoscere e padroneggiare un potere tanto grande.

Padroneggiare forse no, perché coinvolse tutti i presenti, trasformando inspiegabilmente alcuni di loro negli animali dei propri Clan.

“A Tooru è toccata la sorte peggiore, a mio dire” mormorò Kotaro spezzando i pensieri di Keiji che si strinse nelle spalle.

Il sortilegio di Satori aveva colpito il principe per primo, trasformandolo al centro della grande sala un rigoglioso albero.

Ricordava la voce imperiosa e arrabbiata di Wakatoshi che intimava al giovane mago di smetterla e di porre rimedio a quello che aveva fatto, ma Satori si era limitato a scoppiare in una fragorosa e folle risata, che aveva agghiacciato tutti.

“Già” bisbigliò chiudendo gli occhi.

Keiji era ritornato alla Torre di Magia sotto shock, con Kotaro appollaiato su una spalla nella sua forma di gufo; l’unica cosa che aveva potuto fare era stato rifugiarsi in biblioteca per saperne di più, chiedendo a tutti i suoi maestri ed avevano trovato ben poche informazioni a riguardo. Qualche settimana dopo, al sorgere della luna piena però Kotaro e Tetsuro, che era stato trasformato in un gatto nero, avevano riacquistato la loro forma umana, ma al levarsi del sole, tornavano ad essere un rapace ed un felino.

Ogni mese la magia si ripeteva e Keiji e Kenma si erano accorti e i due uomini non ricordavano, fatti o persone o luoghi… la loro memoria stava svanendo, senza uno schema preciso.

Kotaro aveva chiesto a Keiji di condividere le informazioni con gli altri Clan e così avevano scoperto che il Principe non aveva mai ripreso la sua vera forma, mai nemmeno una volta.

Satori era stato rinchiuso nelle segrete del Castello, ma a quando dicevano le guardie era impazzito del tutto e non collaborava in nessun modo.

Ogni mese al sorgere della luna piena Wakatoshi visitava Tooru e restava con lui tutta la notte, ma il principe nella sua forma vegetale non lo sentiva e non lo vedeva.

Hajime, invece, vegliava sul Tooru ogni giorno, silente e devoto.

 

La mano grande di Kotaro aveva ripreso a sforargli il corpo e trascinarlo nuovamente al presente.

“Nella disgrazia almeno noi abbiamo questo” gli disse, mentre la sua mano scendeva inesorabile verso il basso e Keiji annuiva inarcandosi, permettendogli di farlo ancora suo. Kotaro lo amò lentamente prolungando il più a lungo possibile quell’amplesso, facendolo sdilinquire in gemiti e suppliche, ma quando il mago raggiunse l’orgasmo per la terza volta in quella notte, i suoi occhi si riempirono di lacrime e i singhiozzi gli sconquassarono il petto e a nulla valsero le parole, i baci e le carezze del suo uomo per consolarlo.

***

Il giovane mago aprì gli occhi, si mosse a disagio, si era infine addormentato, allungò la mano e il lato del letto era vuoto e freddo. Si mise a sedere le fiamme languivano nel camino colmo di cenere.

Un alito di vento gelido gli fece voltare il capo, Kotaro era ancora lì, l’alba non era ancora sorta, ma non mancava molto lo sapevano entrambi.

L’uomo aveva aperto la finestra e le imposte e se ne stava lì, in piedi, nella sua gloriosa nudità a sfidare il gelo.

“Kou…” mormorò Keiji scivolando fuori dal letto, percorse il breve tratto che lo divideva dall’altro, pressando il suo corpo nudo sulla schiena cesellata dell’altro, anche per quella notte il loro tempo si era esaurito, ed iniziava una altro lungo e solitario mese di ricerche.

Kotaro si volse nell’abbraccio e afferrò la vestaglia di broccato e pelliccia abbandonata sul baule e avvolse il corpo del compagno “Vestiti o prenderai freddo…” mormorò teneramente, facendogli indossare l’indumento e baciandogli ancora le labbra, mentre alle sue spalle l’aurora faceva capolino e, nell’abbacinate luce bianca Kotaro scompariva e al suo posto si trovava un maestoso gufo, dal piumaggio bianco e marrone.

L’animale piegò la testa e fissò l’uomo davanti a sé che gli sorrideva tra le lacrime.

“Troverò una soluzione, amore mio, te lo prometto” giurò una volta di più, mentre il rapace balzava sul davanzale, ruotava la testa ancora una volta verso di lui e poi spiccò il volo, verso la foresta imbiancata e gelida.

 

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Note dell’Autrice.

Le AU non sono proprio il mio forte, ma ogni tanto provo a cimentarmi anche in questo genere. Questa storia mi frulla in testa da un bel po’ di tempo e finalmente l’ho scritta. Doveva essere uno one shot, ma scrivendo mi sono resa conto di aver messo su tanta carne al fuoco, quindi è probabile che scriverò altro in questo universo alternativo fantasy.

Grazie a chi è arrivato fino a qui e ha voglia di dire la sua.

Un ringraziamento dovuto e speciale a Musa, lei a perché!

A presto.

Un Kiss

Bombay

 

   
 
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