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Autore: Master Chopper    14/01/2024    4 recensioni
[STORIA AD OC - ISCRIZIONI APERTE]
Nell'epoca degli Stati Combattenti, il regno di Fiore si difende dai tentativi di invasione dell'Impero di Alvarez. In questo mondo immerso nel caos, giovani soldati si fanno largo mossi da grandi aspirazioni.
-Esperimento per vedere se si riescono a riportare in auge le storie ad OC-
-Fanfiction tributo a Lord_Ainz_Ooal_Gown-
Genere: Avventura, Azione, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Shoujo-ai | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: AU, Cross-over, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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PERDERE O VINCERE UNA GUERRA

Girò la manovella per riavvolgere il cavo, facendo scricchiolare il legno contro l’acciaio. Gli ingranaggi della balestra che aveva costruito personalmente produssero un rumore lento, che riempì il silenzio nella sala fino a quando due voci non si sollevarono con degli ululati di meraviglia.

“E così, basta premere il grilletto e Laplace può essere sparato ad altissima velocità.” Detto fatto, sparò il cavo argenteo nell’aria.

Quel filo bianco divise la stanza in due, conficcandosi in un vaso di terracotta posto su di un tavolo abbandonato dal tempo. Il proiettile proseguì, ma anziché fuoriuscire dalla porta spalancata dal lato opposto di chi aveva premuto il grilletto, rallentò e tornò dal suo proprietario.

“Dopodiché posso controllarlo come ho sempre fatto.” Il ragazzo dai capelli dello stesso colore del suo Tesoro Oscuro fece un inchino, raccogliendo altre esultanze dai due ragazzi che lo avevano osservato pazientemente durante tutta la spiegazione.

“Wow, sei incredibile. Ma come hai fatto a costruirlo?” Il ragazzo con i capelli rosa che aveva posto la domanda si beccò in fretta uno schiaffo sulla nuca dal suo coetaneo, il quale con aria più saccente lo riprese.

“Cretino, è stato a spiegarlo finora!”

Quello con i capelli bianchi sorrise a metà tra il lusingato e l’imbarazzato, vedendo i suoi amici riprendere ad azzuffarsi come facevano sempre.

“Grazie per l’attenzione, comunque. Non immaginavo che a qualcuno sarebbe potuto interessare.”

“Scherzi?” Il ragazzo con i capelli neri smise per un attimo di difendersi dall’altro, ma parlò anche con una mano che gli schiacciava la faccia al suolo “Hai trovato un modo di migliorare l’utilizzo di Laplace, e per giunta l’hai fabbricato tutto da solo. Secondo me i fabbri dell’esercito dovrebbero solo imparare da te.”

“Già!” Quello con i capelli rosa venne allontanato da un calcione in pieno petto, e quando tornò con i piedi per terra si avvicinò al suo amico inventore sorridendo come se nulla fosse “Senti, non è che puoi migliorare anche il mio Tesoro Oscuro?”

“Oh cielo, non saprei proprio come migliorare un’arma che può solo prendere fuoco.”

“Ah sì? Quindi vuol dire che è insuperabile!”

Stava per arrivargli un altro colpo sulla nuca, quando dei passi sconosciuti fecero scricchiolare le assi di legno del pavimento.

Una donna in armatura era entrata, accompagnata da un ometto anziano. I capelli di lei erano un tutt’uno con il tramonto fiammeggiante che irradiava la sua luce al di fuori della porta.

“Natsu! Gray! Avete saltato di nuovo gli allenamenti!” I suoi denti digrignati e il tintinnio dell’acciaio incalzante che produceva mentre si avvicinava non significava nulla di buono.

I due giovani balzarono in piedi, dapprima abbracciandosi per lo spavento, poi si respinsero bruscamente e indietreggiarono.

Una volta che Erza Scarlet si fu parata davanti al ragazzo con i capelli bianchi, ora unica protezione per Natsu e Gray, abbandonò la sua espressione irata per rilassare le labbra in un sorriso.

“Corex.”

Anch’egli sorrise, poi chinò il capo in segno di rispetto verso i due nuovi arrivati.

“Erza, Master.”

L’anziano, che altri non poteva essere se non Il Master di Fairy Tail Makarov, ridacchiò divertito. Ultimamente, tra vari impegni a corte, non aveva avuto modo di distendere i suoi nervi neppure con una risata. Ora che era lì, anzi, ora che tutti loro erano lì riuniti, era stato pervaso da un’energia benevola.

“Corex, su, dimmi un po’ come distraevi i miei ragazzacci.”

“Ah, perdonami Master, e anche tu Erza…” ritornato il rossore sulle sue guance, il ragazzo mostrò il nuovo contenitore del suo Tesoro Oscuro “Ho apportato delle modifiche a Laplace. Inserendolo all’interno di una via di mezzo tra un argano e un mulinello, come fosse una lenza e allo stesso tempo un dardo, posso eiettarlo ad alta velocità e allo stesso tempo mantenerne il controllo.”

Anche la rossa e il Master ne rimasero affascinati, in special modo Erza, che per le armi aveva una passione speciale.

“E se qualcuno te lo strappasse di mano? In questa forma più contenuta sembra essere più… a rischio.” La rossa volle sfidarlo con un ghigno, ma l’altro le rispose prontamente.

“Se qualcun altro all’infuori di me premesse quel grilletto…” lanciò il marchingegno all’altezza del petto di lei, che per riflesso lo imbracciò. Dopodiché si avvicinò, e le premette il dito sul grilletto. La bocca da fuoco dell’arma era puntata su di sé, ma lui non ebbe paura. Il silenzio che ne seguì diede prova della sua fiducia ben riposta.

“Non accade niente, visto? Perché solo io posso controllare questo intreccio di fili indistruttibili che compongono la vera essenza di Laplace. Questa macchina è solo un modo per adoperarlo meglio in battaglia.”

Un battito di mani proveniente dal basso lo interruppe. Makarov sorrideva, benché i suoi denti di sopra fossero coperti dai baffoni grigi.

“Complimenti, ragazzo.”

“Vero? È proprio forte.” Dopo aver appurato che la situazione fosse più calma, Natsu uscì alla scoperta e strinse a sé Corex con un braccio.

“Però” Makarov non aveva finito “Mi chiedo perché tu sia ancora qui. Un talento come il tuo sarebbe di grande aiuto nell’esercito.”

“Ti chiedi perché io sia ancora qui, Master? Perché io appartengo a questo posto.”

Corex sollevò il capo e il suo sguardò salì fino alle travi del controsoffitto. Il soppalco che un tempo ospitava tanti tavoli quanti ce n’erano al piano terra, il rivestimento in pietra del camino che divideva in due una parete, scomparendo nel tetto. E più in basso, dove ora loro tutti stanziavano in uno spazio deserto e privo di mobilia, un tempo c’erano sedie, e persone con storie avventurose, birra e risate. Dalle prime luci del giorno fino a sera non si poteva trovare silenzio in quel luogo, ma solo l’accogliente sensazione di essere a casa.

L’insegna sopra l’entrata, all’esterno, assorbiva i colori caldi del tramonto, riportando la scritta di sempre: “Fairy Tail”.

Eppure, non era più quella di sempre, quella di un tempo. La gilda era stata abbandonata. Da tutti, ma non da Corex.

Makarov si massaggiò la crapa pelata dove un tempo, tra quelle sale, avrebbe indossato uno sfarzoso cappello. Ora invece calzava solo abiti da corte fatti su misura, di un bianco puro come nel colore dello stemma reale dei Vermillion. La Fata Rosa si era scolorita, e ora il popolino lo chiamava soltanto Vecchia Fata, perché l’unica cosa che gli ex membri di Fairy Tail non avrebbero mai potuto abbandonare della loro vecchia occupazione era il tatuaggio che li marchiava tutti. Anche quello sulle carni di Natsu, Gray ed Erza aveva iniziato a perdere la sua originale tinta, dopo tutto quegli anni.

“Non c’è più aiuto che tu possa dare qui, di quanto non ne daresti al nostro fianco, come hai sempre fatto. Servendo il reame, servendo l’esercito.”

Gli ex membri di Fairy Tail ascoltavano in religioso silenzio le parole del loro ex Master e nuovo Generale. Non c’erano più battute di spirito o mancanze di disciplina che reggessero, quando si parlava di cose serie come l’esercito. Erano pur sempre in guerra, non più ai tempi di Fairy Tail. Nonostante la nostalgia fosse un dolce miele in cui talvolta annegare, dovevano rimanere ancorati al presente.

“Servirò il reame fin quando qualcuno si ricorderà di Fairy Tail, e varcherà questo ingresso polveroso per cercare l’ultimo folle visionario che è rimasto.” L’albino sorrise gentilmente. Avrebbe potuto dire tanto, e aggiungere molti sottotesti alle sue frasi, ma non lo fece per rispetto dei suoi vecchi compagni.

Era rimasto solo, laggiù nel volgo senza lussi e agi, eppure non si sarebbe allontanato fino a quando non sarebbe stato costretto. Sapeva che gli alti ufficiali di Fiore guardavano a lui, per via del suo servizio prestato in quella gilda per tanti anni, come un appetibile Capitano, ma avrebbero aspettato.

Anche la Regina avrebbe aspettato, perché lui sarebbe rimasto in quella vecchia taverna piena di ragnatele ad accogliere chiunque fosse venuto a chiedergli aiuto. Perché sua sorella, appena maggiorenne, avrebbe imparato cos’era la gloria e la benevolenza di Fairy Tail in un reame in cui non c’erano più gilde e fate rimaste.

 

***

 

-Da piccoli giocavamo sempre, andavamo in cerca di fate nella foresta…-

“Natsu.”

-Oh, Corex perché ci hai abbandonato?-

“Natsu!”

-Perché ti abbiamo abbandonato?-

Dischiuse le palpebre e trovò una cascata di capelli rossi che lo immergeva. No, c’era anche un viso.

“Er…Erza? La gola gli bruciò al sol pronunciare quelle poche sillabe. Il dolore aumentò, fino a diventare insopportabile, mentre gli risaliva l’esofago.

La Generalessa lo vide diventare paonazzo e boccheggiare in cerca d’aria, così lo rigirò prontamente su di un fianco. Natsu vomitò mentre rantolava dal dolore, e quando ebbe finito la sua lingua gli penzolava dalla bocca e il suo stesso fiato gli irritava gli occhi.

“Sto morendo?”

Attorno a loro il mondo esisteva attraverso un filtro azzurro. Una cupola di ghiaccio era stata eretta per proteggerli dal miasma violaceo che imperversava lì fuori. L’ultimo dito medio di Cobra al mondo, quel mondo corrotto di cui facevano parte. L’ultima volta che la giustizia si presentava a bussare alla sua porta.

L’ultima vendetta di Corex.

-No… cosa? Cosa sto pensando? - Anche se era a terra, Natsu si sentiva di star vorticando nello spazio. Fuori dalla cupola tanti volti lo guardavano, ma doveva essere impossibile.

“Non sei ancora morto, ma…” Un ringhio proveniente da Gajeel preannunciò qualcosa di pericoloso di cui non si era ancora accorto. E, per essere considerato pericoloso da Gajeel, allora doveva trattarsi della fine del mondo.

Voltò il capo a fatica e individuò Gray appoggiato alla parete della cupola, lontano da loro tre. Con le sue mani premute sul muro di ghiaccio infondeva continuamente la sua energia, mantenendolo stabile contro la morte sicura che li attendeva oltre qualche centimetro di gelo solidificato.

E poi c’era Sunse, con il suo kopesh ad altrettanti pochi centimetri dalla gola del Cavaliere di Ghiaccio.

“Mi avete sottovalutato, brutti bastardi! Brutte fatine bastarde!” L’assassino alvareziano era fuori di sé.

Dopo la comunicazione della sua inutilità, e il conseguente abbandono a morire in terra straniera da parte della figura su cui più contava al mondo, aveva ceduto alla follia. I suoi occhi, un tempo sempre assottigliati in un’espressione furba e malevola, adesso erano spalancati ed iniettati di sangue, ma non trasmettevano niente. Le sue labbra invece tremavano mentre parlava.

Erza abbassò la testa per avvicinarsi all’orecchio di Natsu.

“Mentre Gray si affrettava ad erigere l’Ice Make Shield, noi abbiamo trattenuto il respiro a stento per evitare di respirare il veleno, e in quel momento lo stronzo deve aver ripreso il suo Tesoro Oscuro.”

“Il veleno… io l’ho respirato.” Ma non aveva più senso dirlo.

Natsu si ritrovò a guardare senza più provare paura quel ragazzino minacciare Gray, e di conseguenza tutti loro.

“Se fate un passo falso io lo ammazzo, e moriamo tutti!” Le urla di Sunse rimbombavano nella cupola.

“Ma non mi dire, genio.” Gray ebbe la forza di scherzare, nonostante lo sforzo per mantenere la barriera e l’enorme tensione che gravava sul suo collo.

“E quindi? Siamo tutti spacciati, che cazzo vuoi da noi? Non ti possiamo mica far fuggire.” Quando parlò Gajeel il ragazzo sussultò, ormai con i nervi a pezzi.

“Ah sì? Tu dici? Se questo mio caro amico adesso decidesse di ridurre le dimensioni della barriera, potrebbe resistere di più. Mi sbaglio? Magari abbastanza tempo finché il gas si dissipi.”

Nonostante l’apparente follia in cui era precipitato, l’intuizione di Sunse fu azzeccata, come dimostrò il terrore che si dipinse sul volto di Gray.

“No… non puoi chiedermi di farlo. Non lo farò mai!”

-Eppure, in fondo, ce lo meritiamo…-

“Non sacrificherò mai i miei amici!”

 

***

 

Il bancone con le mensole dietro, che ora accumulavano dita di polvere. La bacheca dove venivano affisse le commissioni, ora un arazzo di ragnatele. Alcuni tavoli e sedie erano stati posizionati senza apparente cura, e ognuno di essi sopra aveva un vaso. In realtà quell'ultimo dettaglio era l'unica testimonianza di un valore affettivo in mezzo a tutta quell'incuria. 

Suo fratello si era allenato con quei vasi, tra quei tavoli e sedie, perfezionando la mira con l'arma di sua invenzione. E quando infine era stato chiamato alle armi, allora Fairy Tail era stata abbandonata dall'unico e ultimo che ancora l'amasse. Rea era cresciuta lì, portata da Corex da quando aveva ricordi, e aveva riso e giocato con i suoi compagni. Gli ex-membri ora erano dispersi nei più variegati intrecci del destino: c'era chi lucidava l'armatura a palazzo, chi si svendeva ai lati della strada, chi in altri paesi, e infine chi, chi, chi lo sa. 

Concluse il suo lavoro, rimettendo l'ultima bottiglia bucata nella cristalliera. Come se avesse più uno scopo, o un senso. Intanto cercava di ricordare l'ultima volta che aveva riso come in quei giorni lì alla gilda.

“Cosa cerchi, Capitano Florence?”

Aveva ignorato fin troppo a lungo la presenza del ragazzo, dieci metri alle sue spalle e immobile durante quel suo silenzioso compito.

“Rea, devi smetterla di venire qui da sola.”

“Non esiste più nessuno in tutta Magnolia, o in tutta Fiore, che entrerebbe qui con me a Fairy Tail.” Si voltò verso di lui, con sguardo di rimprovero per una colpa che sicuramente non aveva “Nemmeno i senzatetto si rifugiano qui, sai? Fa schifo, c'è troppa muffa.”

“Non è vero. I senzatetto, come chiunque cerchi asilo, va alla Cattedrale di Kaldia o negli orfanotrofi aperti con il Fondo Polyushika. Non osare mai più dire che questo posto fa schifo.”

“Io non dovrei osare?” Rea gli si avvicinò. Lui non aveva niente da temere, a venticinque anni e con un Tesoro Oscuro al fodero, ma questo a lei non importava. Minacciava di ucciderlo con lo sguardo.

Ripeté: “Io non dovrei osare? Dimmi chi ha il diritto più di me di parlare di questo posto. L'hanno tutti abbandonato, tranne me. Persino mio fratello-”

“Sì, Corex è morto. Lo so.” Florence esorcizzò lo spettro che aleggiava sopra di loro con quel grido. Rea non resse più, scoppiò in lacrime e lui prontamente l'abbracciò.

Non era la prima volta che facevano quel ballo, negli ultimi mesi. 

“Fa male” era stato lui a parlare stavolta. La voce gli tremava, e non sapeva dire per certo se fosse solo colpa dei singhiozzi di lei che lo scuotevano “Tutto quello che è successo a Shiranui è uno sbaglio.”

Rea non sapeva dire per certo se ciò corrispondesse al vero. I suoi genitori non erano morti durante l'assedio della Fortezza Shiranui, con suo fratello, ma mesi più tardi mentre erano rifugiati.

“Questa guerra è uno sbaglio.”

“La guerra non deve essere un giustificazione per diventare dei mostri, al punto da sacrificare i nostri compatrioti come fossero carne da macello.”

L'albina alzò la testa. Florence era più alto, e dal basso riuscì a vedergli solo il mento, senza scorgere cosa si annidasse nei suoi occhi.

“Di cosa parli? Dei miei genitori?”

“No, di tuo fratello. Non sarebbe dovuto morire in quel modo, anche se ciò avesse comportato la vittoria di Alvarez. Un soldato merita di morire valorosamente in guerra, e non come-”

“Come?” Lo interruppe lei. Si allontanò quanto bastava per poterlo guardare fisso negli occhi. Il suo volto era pietrificato, nonostante le lacrime che continuavano a sgorgare.

“In che modo è morto mio fratello?” 

Non avevano mai riportato la salma alla famiglia. Dicevano che era stato reso irriconoscibile, e sarebbe stato oltraggioso per la famiglia. Non aveva potuto guardarlo dormire un'ultima volta. 

“Mio padre” con un rantolo Florence si sforzò di parlare, prossimo al pianto “Ha ordinato di far franare una parete della montagna per… schiacciare gli Spriggan 12, che avevamo radunato sotto quel versante. Li stavano tenendo a bada dei soldati minori, scelti appositamente perché non… perché non avessero amicizie politiche, e che fossero sacrificabili.”

Durante interminabili notti di insonnia Rea si era sentita ripugnante per aver pensato determinate cose. Per esempio, riteneva che avrebbe preferito che Alvarez avesse dato alle fiamme la Fortezza Shiranui e pure Fiore intera, piuttosto che uccidere suo fratello. Avrebbe preferito vedere Fiore perdere la guerra.

“Non l'hanno ucciso loro” Stava ripetendo innumerevoli volte, quando fu Florence a stringerla a sé per accoglierla in un altro pianto.

Ma aveva smesso di piangere da tempo.

-Seboster Vellet. L'hai ucciso tu.-

 

***

 

L’ennesimo corpo che cadde in acqua levò l’ennesima onda, poi divenne un elemento di sfondo per Florence Vellet. Lo stagno nero che circondava l’ex palazzo reale ridivenne silenzioso, come non lo era stato neppure per un attimo nelle ultime ore. Il giovane sentiva il proprio respiro pesante e la spada gli tremava tra le mani, siccome faticava a trovare la forza per stringere il pugno. Esausto, fradicio a causa degli schizzi d’acqua e del sudore che permeava il suo corpo, uno dei pegni per essere stato troppo a contatto con il suo Tesoro Oscuro fiammeggiante, a stento riusciva a distinguere i palazzi attorno con il cielo nero.

Si guardò attorno, angosciato dal troppo silenzio.

-I miei compagni?- Coloro che avevano combattuto con lui, l’ultima linea difensiva contro i folli scagliatisi verso il loro quartier generale. Quei folli però erano stati i più potenti alvareziani che avesse combattuto.

Non c’era nessuno oltre lui nel buio. Respirando ancora venne scosso da un singulto, poi vomitò, con l’addome dilaniato dai crampi.

-Tutti morti.- Come i suoi nemici, anche i suoi alleati erano divenuti un tutt’uno con quelle acque nere. -Fiore potrebbe cadere stanotte.-

La drammatica immagine del suo paese messo a ferro e fuoco l’aveva terrorizzato per anni, eppure in quella notte di luna piena, ovvero l’unica fonte di luce che riuscisse a vedere, si sentiva molto distaccato dalla paura. Non riusciva più a preoccuparsi, ma semplicemente affogava in un malessere costante e silenzioso.

“Ragazzo, fatti da parte.” Una voce scavalcò il vuoto e lo raggiunse.

Dalla riva, qualcuno si avvicinò. Si muoveva così lentamente che pareva fluttuare, non emanando suono né increspatura nell’acqua.

“Fatti da parte” ripeté con più forza “Se vuoi vivere.”

Si trattava di un uomo dalla stazza imponente, o forse erano solo i suoi abiti a coprirlo tanto da ingigantire la sua mole. Florence non seppe distinguerlo, ma dalla rochezza nella voce intuì che fosse un anziano. Lo vide avvicinarsi ancora, e scattò sulla difensiva.

Il suo Tesoro Oscuro, Kinto, si pervase di fiamme. La breccia luminosa nella notte mise a fuoco lo sconosciuto proprio mentre questo riprese a parlare.

“Sei un Capitano di Fiore. Un guerriero rispettabile, un talento che non passa indisturbato. Anche noi vecchie leggende dobbiamo saper rispettare un giovane prodigio come te.” L’anziano aveva una folta chioma bianca che gli incorniciava un volto tanto ossuto e scavato da creare paurosi giochi di ombre. A tratti sembrava non possedere né occhi né bocca.

Florence conosceva quel trucco, si trattava di una forma di cavalleria che per pochi guerrieri meritava di sopravvivere anche in una guerra tanto truculenta.

“Sono il Capitano Florence Vellet.” Rispettando quell’etichetta, più che per educazione che per una sincera forma di riguardo nel suo avversario, abbassò appena l’arma per non frapporre nulla davanti al suo volto. D’altronde quell’altro non stava impugnando armi.

“So bene chi sei, sei famoso e rispettato anche ad Alvarez. Non ho mai avuto il piacere di vederti, ma da quel che vedo…” il vecchio allargò le braccia, indicando l’intero lago per intendere il teatro di un massacro “Le voci sulla tua maestria nella spada non erano infondate!”

“Io non so chi sei invece, ma so dove vuoi andare a parare. Ti sconsiglio di offrirmi un posto tra le schiera di Alvarez, proponendomi la gloria e la salvezza della mia famiglia: sono il figlio di un Generale di Fiore, quindi che mi lasciate vivo una volta giunto nel tuo paese è una storia fin troppo ridicola. Preferisco morire, che divenire un prigioniero di guerra.”

“Vellet, sì… ho conosciuto tuo padre a Shiranui, due anni fa. Già all’epoca la sua fama si era estinta, a causa dell’età, e non ho potuto ammirare le sue leggendarie doti in battaglia. Ahimè, la maledizione di combattere ancora per uno come me, è che tutti i miei coetanei sono sfioriti.”

Florence si irrigidì. Che un vecchio combattesse ancora era senza dubbio motivo di preoccuparsi, soprattutto se proveniente da un paese come Alvarez: lì la meritocrazia era il valore su cui tutto si decideva, a partire dal chi era degno di andare in guerra. E poi, si era autoproclamato leggenda.

Un dubbio si fece strada nella sua mente. Era l’impossibile che strisciava verso il confine con la realtà.

“Tu sei…?”

Il vecchio fermò la sua avanzata a pochi passi da lui, abbastanza per inondarsi della luce della fiamma. Capelli bianchi su un volto anziano, scolpito dalla durezza della guerra. L’armatura indossata sotto strati di mantelli pregiati denominava un prestigio senza eguali.

“August, degli Spriggan 12!”

“Lieto di fare la tua conoscenza. Purtroppo per te non sono qui per offrirti un posto al mio fianco, ma per saggiare finalmente la forza di tuo padre attraverso il sangue del figlio.”

Uno dei Generali più potenti del mondo era venuto lì per sfidarlo. August La Calamità, com’era conosciuto quel leggendario guerriero che da cinquant’anni dominava i campi di battaglia dell’intero continente.

Il fuoco si smorzò, mimando la determinazione del suo utilizzatore.

“Saggerai solo la mia spada, Generale di Alvarez.” Avrebbe voluto dire, ma le parole gli morirono in gola.

Spalancò la bocca, ma, come prigioniero di un incubo, non riusciva a controllare il suo corpo. Anche la spada, seppur impugnata, gli stava scivolando tra le mani. Invaso dallo sgomento e dal panico, provò a controllarsi per smettere di tremare.

“Non cercare di combattere la paura di morire.” August fece un altro passo in avanti, entrando a portata di spada. “Venera questo sentimento, fallo tuo: potrebbe essere l’ultima cosa che proverai stasera.”

La punta di Kinto lampeggiò, poi il fuoco ridiscese lungo tutta la lama. Non aveva mai usato la propulsione delle fiamme contro un nemico così vicino. Si trattava infatti di una finta, perché roteò attorno al proprio asse in modo da travolgere l’avversario con una sferzata di fiamme, nel mentre si eiettava in tutt’altra direzione.

-Non posso combattere così da vicino senza sapere cosa faccia il suo Tesoro Oscuro- si guardò alle spalle non appena ebbe arrestato la sua fuga, osservando il fumo levarsi dall’acqua.

August non aveva reagito all’attacco, e lo attendeva in silenzio nello stesso punto dove si trovava prima. Due dettagli bastarono a far impallidire Florence: nonostante il getto di fiamme che l’aveva investito in pieno, il Generale alvareziano non solo era rimasto incolume, ma lo aveva seguito con lo sguardo.

-Mi ha tenuto d’occhio nonostante il diversivo e la mia velocità? -

“Vuoi almeno iniziare questo duello, sir?” Borbottò August, non voltando nemmeno il busto nella sua direzione, ma limitandosi a guardarlo di sottecchi.

Scostò il mantello, svelando un bastone di legno nodoso che aveva nascosto fino ad allora. Un’arma apparentemente anticonvenzionale in battaglia, e che quindi doveva per forza nascondere un trucco: era il suo Tesoro Oscuro.

-Un duello? Ma se non riesco nemmeno a impensierirlo con un attacco a bruciapelo!- Florence digrignò i denti, piombando in silenzio.

A quanto aveva potuto constatare, non sarebbe servito a niente sfruttare la propulsione di Kinto per coglierlo alla sprovvista. Quel vecchio era fin troppo abile e veloce, e avrebbe sempre previsto i suoi movimenti finché rimaneva nel suo raggio visivo.

Il giovane rinfoderò l’arma, assumendo una posa da tecnica di estrazione: non la provava dai tempi degli addestramenti, quando aveva dovuto imparare tutto sulla spada, anche le tecniche più adatte alle dimostrazioni o ai duelli. La battaglia non era luogo per tecniche vistose e raffinate, ma il suo avversario gli aveva richiesto un duello.

“E duello sia.” Piegò le ginocchia e spostò indietro il bacino “Kin… to!”

Lo spazio alle sue spalle si contorse e detonò, lasciandolo saettare come una stella cometa sull’acqua. La preparazione dovuta alla tecnica di estrazione gli aveva permesso di pianificare in anticipo la sua traiettoria, siccome la manovrabilità una volta usato Kinto gli veniva impedita: stava caricando a lato di August, come avrebbero fatto dei cavallieri in una giostra, e non verso August, come avrebbero fatto due guerrieri decisi a infrangersi l’uno contro l’altro in una prova di forza.

“Aria.”

All’ultimo momento, il Generale sollevò il bastone verso di lui e la superfice dell’acqua si increspò. Una corrente d’aria si oppose alla carica di Florence, smorzando le sue fiamme, rallentandolo e infine addirittura togliendogli l’appoggio da sotto i piedi. Il soldato di Fiore urlò con tutte le sue forze, ma a nulla servì quando il vento lo scaraventò in cielo.

“Acqua.”

August pestò l’acqua con il manico del bastone, e questa si plasmò al suo volere, diventando un braccio o forse un serpente, e scagliandosi a tutta velocità contro l’inerme nemico in volo.

Di colpo Florence, che non si era lasciato sfuggire quel secondo attacco sovrannaturale, incendiò Kinto e la abbatté su quel rasoio acquatico. L’impatto produsse un sibilo acuto, assieme a un’esplosione di fumo.

-Questo qui… - pensò mentre il vapore gli scottava la pelle e iniziava la sua ricaduta al suolo -… è un mostro! -

Ricadde così duramente da colpire la pavimentazione del laghetto, e fu solo per puro istinto che si rialzò di scatto, cercando di rimettersi in guardia. Non fece in tempo a cercare con lo sguardo il suo avversario, che questo gli era giunto alle spalle, e procedette a toccarlo delicatamente con la punta del bastone.

“Aria.”

Non fu un colpo, né una provocazione. Quando Florence si voltò, atterrito, trovò solo ulteriore sdegno sul volto di August.

Poi si accorse di quanto fosse diventato difficile respirare. Dannatamente difficile. La vista gli si offuscava ad ogni tentativo di buttar aria dentro i polmoni, e quello sforzo gli doleva sempre più. Barcollò, poi tentò di colpire quel nemico così dannatamente vicino, ma Kinto non lo sfiorò nemmeno.

“Una bolla d’aria ha isolato la tua testa e stai già esaurendo l’ossigeno. Tra un minuto perderai conoscenza, e morirai nel sonno.” L’ultimatum del Generale fu la dichiarazione della sua massima delusione, e dopo aver proferito parola voltò le spalle al rosso e si incamminò via.

Florence cadde in acqua, sicché le gambe non lo reggevano più. Non stava affatto morendo dignitosamente, e August aveva scelto di condannarlo a una fine da vigliacco, non adatta a un guerriero. Niente spruzzi di sangue, grida di battaglia e sfide di sguardi prima di eseguire la loro miglior mossa. Era finita.

-Non avevo speranza sin dal principio.- Come aveva potuto anche solo illudersi? In tutta la sua vita non si era mai considerato uno sciocco, e anzi, in molti avevano ammirato le sue capacità analitiche.

Ma allora perché, poco prima, il suo corpo si era mosso per sfidare un avversario che sapeva benissimo si sarebbe rivelato inarrivabile? Cos’era stato a spingerlo a quel suicidio: l’ebbrezza da combattimento, un esaurimento nervoso, o forse…?

-Dove sta andando?- La sagoma sfumata del vecchio si perdeva in lontananza, ma a giudicare dall’enorme ombra del palazzo alla sua destra, doveva starsi dirigendo verso il centro di Crocus.

“Ho detto… dove credi di andare?” Seppur ridotta ad un flebile respiro, nel silenzio generale la sua voce raggiunse August in allontanamento.

Il vecchio rispose senza nemmeno voltarsi: “A terminare una guerra di cui non vedrai la fine. Forse lì potrò trovare guerrieri meritevoli di tale titolo.”

Nel centro cittadino era scoppiata la guerra da poche ore. L’armata di Alvarez aveva anticipato l’attacco previsto per il giorno successivo, trovandosi sorpresa dalla irruzione della gilda Path of Hope, in prima linea nella controffensiva di Fiore. I suoi uomini.

-Rea…- Seppur le avesse ordinato di rimanere nelle retrovie, perché sarebbe stata più al sicuro come stratega e per le sue competenze da medico di campo, quella ragazza gli era sfuggita da sotto il naso. Non la vedeva da poco prima che gli alvareziani irrompessero ai piedi del vecchio castello.

-Rea… tutti voi… scappate.-

Fece emergere Kinto dal pelo dell’acqua e questa si incendiò, esalando vapore. Florence emerse lucido di acqua e sudore, con la luce del Tesoro Oscuro che lo faceva risplendere come una stella.

Il sibilo che produsse quel geyser di vapore umano che era diventato fu abbastanza per attirare l’attenzione del nemico, spingendolo a fermarsi.

August finalmente lo degnò di un altro sguardo: “Cosa credi di fare? Stai per morire, e non hai speranza di battermi. L’assenza di ossigeno ti ha forse dato alla testa?”

Florence non aveva smesso di tremare, e nemmeno di provare paura. Anzi, la paura adesso era aumentata, e lo avrebbe tormentato per ogni singolo secondo che gli rimaneva da vivere. L’unica differenza rispetto a prima era che, dopo essersi perso nel buio della disperazione, aveva trovato ciò per cui valeva davvero la pena temere.

“Non ti lascerò raggiungere i miei compagni.”

Quindici secondi. Se avesse concesso ai suoi uomini, ai suoi amici, a Rea, almeno quindici secondi in più per scappare, sarebbe potuto morire contento. Dignitosamente.

“Ora vedo ciò che sei davvero.” August spalancò un sorriso che brillò nella notte.

Le fiamme di Kinto si concentrarono sulla punta, rilasciando un’esplosione che servì a catapultare il ragazzo in avanti. La scia di fuoco sventolata dalla sua spada divenne un serpente rosso sdoppiato dal velo dell’acqua, che in un batter d’occhio si ingigantì al cospetto di August per divorarlo.

“Acqua.” Il Generale sollevò il bastone e un muro d’acqua si sollevò per parare l’ondata di fiamme, ma la nebbia di vapore che ne scaturì gli fece pentire di essersi accecato da solo.

Privato della vista, acuì l’udito, riconoscendo un ticchettio di passi veloci che gli correvano attorno.

Per un istante fin troppo repentino dalla coltre baluginò una luce, dopodiché Florence emerse a tutta velocità brandendo la sua arma fiammeggiante. Era stato troppo veloce stavolta, e nessun attacco o difesa acquatica avrebbe potuto colmare in tempo la distanza che ora lo separava dal Generale.

August sollevò comunque il bastone, questa volta però frapponendolo per farsi da scudo. L’arco fiammeggiante gli si abbatté contro, diradando la nebbia nel suo tremendo impatto. Il giovane trasalì, fissando terrorizzato la sua lama conficcata nel legno, arrestata in tutta la sua furia. Le fiamme si contorcevano sopra il bastone, senza però intaccarlo, domate dall’avversario.

“Fuoco. Sei stato bravo, ma purtroppo per te il mio Tesoro Oscuro, Ars Magia, può controllare tutti e quattro gli elementi naturali con cui entra in contatto, comprese le tue fiamme.”

I contorni di ciò che vedeva Florence erano sfocati, tanto che credette per un attimo che fosse tornata la nebbia, e anche le parole erano percepite come vibrazioni basse e lontane miglia e miglia.

A ulteriore dimostrazione del suo potere, l’alvareziano spinse con forza il braccio verso l’altro, e le fiamme di Kinto gli obbedirono: il fuoco balzò addosso a Florence come un animale che si avventa a fauci spalancate sulla preda, investendolo. Il ragazzo dai capelli rossi percepì il dolore più atroce che avesse mai provato, ma non ebbe la forza di gridare.

-Cinque secondi ancora.-  Si accasciò in avanti, scivolando verso il basso con ancora le mani sull’impugnatura.

Quattro. Avanzò un passo, facendo sfrigolare l’acqua sotto i suoi piedi, e nello spostare il peso mise tutta la sua forza nelle braccia.

Tre. Le mani spinsero Kinto in avanti, e la lama scivolò nell’insenatura che si era aperta nel legno per raggiungere August.

Due. “Kin… to!”

Stavolta l’intera spada esplose in un vortice di fuoco, incenerendo persino l’impugnatura.

-Rea, tuo fratello… Corex, non è morto invano. Mi sono sempre sbagliato.-

E mentre Florence sorrideva, con il volto ridotto a carbone fiammeggiante acceso dalle fiamme scarlatte, la punta di Kinto sembrò espandersi in avanti con un laser incandescente che perforò la spalla di August.

-Se prima di morire, mentre lottava, ha provato tutto ciò… allora dev’essere stato… bello.-

Quelle fiamme che cancellavano il suo corpo dall’esistenza erano come la frana sul monte Shiranui: nulla, di fronte all’onore di un guerriero.

Le mani rimasero salde attorno all’impugnatura anche quando la sagoma di Florence venne resa irriconoscibile dalle fiamme, e lui rimase piegato in avanti piuttosto che sprofondare nell’acqua. August lo osservò ardere con pazienza e rispetto, assaporando ogni attimo del dolore che provava, ma quando il crepitio del fuoco ebbe riempito abbastanza a lungo il silenzio, lo fece cessare.

Il cadavere annerito collassò su se stesso, unendosi alla poltiglia di sangue che intorbidiva le acque.

“Complimenti, Vellet.” L’anziano soldato sfiorò con un dito il filo della lama, rimasta conficcata nella carne. L’interezza del suo braccio destro era coperta da ustioni, mentre la carne circostante alla spada era stata carbonizzata, con venature di fuoco che brillavano tenui. Percorse l’interezza dell’arma, ma quando si soffermò sull’impugnatura per afferrarla ed estrarla da lì, la lama divenne incandescente e gli strappò un grido. Si arrestò appena in tempo, vedendola così raffreddarsi.

“Mi hai fregato per benino.” Sarebbero servite le migliori cure dell’Impero, o forse del mondo intero, per permettergli di usare ancora quel braccio. “Non eri a livello di un Capitano, ma di un Comandante. Avrei preferito che fossi stato preso tu con noi, e non la ragazza dai capelli d’argento.”

“C’è qualcuno lì!” avevano urlato dalla riva.

L’uomo volse lo sguardo al camminamento che collegava la città al palazzo, e su quel lastricato si stavano accalcando diversi soldati.

Non li conosceva, dunque non poté immaginare che si trattasse di Ilya, Edra, Jun e i rimanenti soldati di Fiore sopravvissuti all’assedio. In tutta Crocus ormai non si udivano più gli scoppi e le urla della battaglia, e questo significava che, come era stato predetto dalla Stratega Imperiale Amasia Proxima, Alvarez aveva perso la presa sulla città.

Quegli uomini vittoriosi, però, erano a loro volta ignari di chi si trovassero davanti, e del fatto che quel qualcuno avesse appena ucciso il loro Capitano. Bastò uno sguardo e August comprese che, anche con un braccio solo, li avrebbe potuti sterminare seduta stante.

 

***

 

Nella cupola di ghiaccio, ultimo baluardo di difesa contro il veleno, si stava combattendo una battaglia più estenuante di quella avvenuta qualche minuto prima nella stessa pianura. Il lascito di Cobra minacciava di uccidere chiunque si sarebbe esposto al gas mortale, mentre la follia di cui era caduto preda Sunse minacciava di esporre tutti, compreso se stesso, a quella fine prime del previsto.

I quattro cavalieri di Fiore, ex membri di Fairy Tail, erano preparati ad andare incontro alla morte, eppure in quei momenti di massima tensione non apparivano affatto fieri e stoici come ci si sarebbe aspettato. Erano fiaccati dalla fuga della vecchia capitale, demoralizzati dal fallimento e disperati dall’essere piombati in quella trappola. Non erano riusciti a ottenere nulla dal rapimento di Rea, se non un’ironica punizione per il loro tradimento.

Una goccia di sudore scivolò lungo il mento di Gray e cadde sulla lama del Tesoro Oscuro dell’assassino alvareziano. Il centimetro coperto da quella goccia era ciò che bastava per terminare la vita del cavaliere, e di conseguenza quella di tutti i presenti.

“Sbrigati!” Sunse dava da pensare che non si sarebbe ripetuto un’altra volta “Crea una nuova cupola solo attorno a noi due.”

“Non lo farò!” Il riflesso sul ghiacio del volto di Gray era la prova della sua fermezza.

“Non funzionerà” si aggiunse Erza, sperando di calmare Sunse. Era rimasta al capezzale di Natsu per tutto il tempo. Il cavaliere dai capelli rosa respirava a fatica, mormorando frasi sconnesse e non dando prova di riconoscerla più.

“Un membro di Fairy Tail non abbandona i suoi compagni.”

 

***

 

“Perché l’abbiamo abbandonato, Master?!”

Aveva urlato quella notte di tre anni prima. I capelli scarlatti le si erano appiccicati in viso per via del sudore e della foga del tanto sbraitare.

Lei e il terzo Generale presente a Shiranui, Seboster Vellet, avevano inseguito il Generale Makarov da quando lui si era allontanato dalla stanza degli alti ufficiali.

“Andava fatto, Seboster.” Queste le ultime parole da lui pronunciate.

Rincorrendolo per quel labirinto di pietra nera, intervallato da torce e arazzi con fiori di magnolia, le loro voci avevano riecheggiato fino alle fondamenta della fortezza.

“Makarov! Ti rendi conto di cosa hai fatto?” Seboster aveva gli occhi sgranati per non perdere di vista quello sfuggente folletto tra le ombre, e se avesse potuto l’avrebbe incenerito con quello sguardo.

“Hai autorizzato un massacro dei nostri uomini! Dei tuoi uomini! Morti sepolti in quella gola e sprofondati con i massi chissà dove. Dimmi come faremo a recuperare i corpi. Dimmi come fare a presentare le spoglie alle famiglie!”

Dopo diverse svolte lo spazio si era ridotto e i due generali all’inseguimento si erano dovuti stringere per strisciare tra le grinfie degli afratti.

“Master!” Erza era paonazza, con le lacrime che premevano dietro gli occhi, per quanto non con abbastanza forza da fuoriuscire “Corex guidava quel plotone. Abbiamo ucciso Corex. Hai…”

“Adesso basta!”

Per quando piccolo, quell’omuncolo soprannominato La Vecchia Fata aveva sbraitato con una voce proveniente da chissà dove, che aveva minacciato di abbattere le pareti attorno a lui.  Le rughe sul suo viso si erano contorte, aggrovigliate le une alle altre per formare una maschera terrificante tra gli irti peli bianchi.

“Sono stati dati ordini dall’alto, dal palazzo reale! Cosa potevo fare secondo voi, rifiutare i comandi della regina?” Un colpo di tosse l’aveva stroncato, e una volta ripreso, un filo di bava gli colava lungo i baffi.

“La regina ha autorizzato questo? Ha autorizzato di attirare gli Spriggan 12 in trappola e sacrificare i nostri uomini facendo franare il versante sud-ovest della montagna?” Ad ogni parola pronunciata, Seboster aveva dato segno di credere sempre meno all’uomo che gli si parava d’innanzi. Qualsiasi forma di rispetto e fiducia avesse accumulato negli anni per Makarov, era morta quella notte.

Erza Scarlet invece, la quale aveva sempre posseduto la fama di donna guerriera e dalla flemma incrollabile, si era ridotta ai singhiozzi: “Corex era uno di noi…”

A quel punto Makarov si era sfilato un ciondolo dalla divisa, mostrando come terminasse in un cristallo lachrima: “Sentitelo da lui in persona, allora.”

Il brillio della pietra aveva prodotto un ologramma nell’aria. La luce si era deformata per assumere le sembianze di un uomo seduto e rivolto verso i due generali. Capelli blu come lo zaffiro e un tatuaggio lungo il lato destro del viso. Inconfondibile.

“Buonasera, Generale Vellet e Generalessa Scarlet.”

“Tu?” Seboster era rimasto colpito dal ritrovarsi davanti lo Stratega Gerard Fernandez. Lo stupore si era presto trasformato in astio, ricordando quanto odiasse quell’uomo “Facci parlare con la Regina Mavis, dobbiamo capire perché abbia autorizzato questa missione suicida.”

“Voi state parlando con me perché sono stato io a comunicare l’ordine della Regina Mavis al Generale Makarov. Forse non ti è giunta la notizia, Generale, ma essendo io lo Stratega Reale posso fungere da portavoce della Regina.”

Aveva atteso invano una risposta. Tutti erano troppo scossi per parlare, mentre lui era rimasto a fissare il vuoto con i suoi occhi privi di colore, due pozze di oscurità.

Nei pensieri del Generale Seboser si annidavano il dubbio, il rancore e la rabbia, ma più forte di tutte le sensazioni, una bile nera e acida di malessere lo divorava dall’interno: il marcio penetrato nel suo regno lo aveva infine raggiunto

“Spero siate contenti. Potete festeggiare” Lo stratega aveva mosso i lati della bocca per imitare quello che un essere umano avrebbe potuto chiamare sorriso, ma che sul suo volto era evidente fosse una forzata imitazione “Abbiamo resistito alla presa di Shiranui. La regina vi elogia. Lunga vita alla Regina Mavis!”

 

***

 

Il mattino seguente quel fatidico giorno, si sarebbero tenuti i riti di una qualsiasi battaglia: il bilancio delle perdite, il ritrovamento di cadaveri nemici, lo smaltimento di armi e armature e la comunicazione dei lutti alle famiglie delle vittime.

Seboster Vellet aveva sentito Erza, così come gli altri marmocchi di Makarov, piangere quel nome per tutta la notte: Corex. Corex Halfeti. Si trattava di un membro di Fairy Tail che non aveva mai accettato il titolo di cavaliere, e aveva ottenuto la promozione a Capitano in merito alla sua bravura nel maneggiare un Tesoro Oscuro. Un tipo recidivo, che aveva preferito rimanere senza impiego in quei tempi di guerra, piuttosto che abbandonarsi ai lussi della corte con i suoi vecchi compagni di gilda. La morte di uno così non avrebbe forse impensierito nessuno dei piani alti, ma forse sbattere in faccia al popolo che i Generali, lo Stratega e la Regina sputavano sulle vite dei normali cittadini avrebbe sollevato il malcontento.

Nulla. Ci provò per un anno, ma quella denuncia gli si ritorse contro, probabilmente a causa di qualche membro dell’élite infastidito dal vociare. Nessuno credette mai che l’ex Master di Fairy Tail avesse mandato a morire un suo figlio, e tantomeno poteva essere colpa della Regina delle Fate, la Generalessa Erza. Col tempo ci fu la tacita accettazione che a ordinare il massacro di tutti quei soldati di Fiore per strappare la vita degli Spriggan 12 fosse stato proprio Seboster. Attirò pregi, encomi e meriti per questo, così come insulti e pugnalate alle spalle.

L’ultima di queste fu l’assegnazione a Crocus, con il compito di rivendicare la città. In tempi in cui Fiore si rifiutava di mandare soldati in guerra, preferendo trattenerli a difesa del nuovo palazzo reale, lui era l’unico sul campo. Isolato, sul confine più pericoloso dove ogni giorno si infrangevano orde di alvareziani decisi a prendere quella città fantasma. La realtà era che Seboster da tre anni, da quella notte, era malato. La malattia era la sua ossessione per quel marcio che non riusciva a lavarsi di dosso, e a lavare via dal regno.

-Cosa ne è stato dei sogni di gloria, delle fiabe di cavalieri e fate?-

Il veleno paralizzate lo aveva stordito e ora viveva un incubo bellissimo. Caroselli di soldati a cavallo danzavano nel pulviscolo della stanza buia, illuminata solo da un raggio di luna. E quella luna pallida, fuori dalla stanza in cui era intrappolato da ore, minacciava di sparire: l’ombra del palazzo reale di Crocus si stava inclinando verso di lui.

 

***

 

August era nato settant’anni prima nella piccola colonia che poi sarebbe diventata l’Impero di Alvarez. Per quanto la propaganda imperiale millantasse una storia millenaria e gloriosa, con una genia sempre rispettata e temuta dal mondo, ancora pochi conservavano il ricordo di ciò che significasse veramente essere un alvareziano a quel tempo: la sua gente ammontava a poche migliaia, impossibilitata ad accedere a posizioni di prestigio nei paesi limitrofi, e ridotta a una schiacciante povertà.

La fortuna fu che il destino aveva fatto dono agli alvareziani di corpi forti e menti pronte alla battaglia, così che potessero essere impiegati come mercenari nelle guerre che scuotevano il continente. E sarebbero rimasti così per sempre, schiavi della battaglia, se non fosse stato per un uomo. Il Primo Imperatore Zeref, all’epoca un capoclan, convinse il suo popolo a pretendere un pagamento più alto in cambio dei loro servigi da parte delle nazioni. I potenti del mondo si indignarono parecchio per questo oltraggio, e in molti voltarono loro le spalle, mentre quei pochi che acconsentirono comunque videro le loro guerre vinte in modo schiacciante grazie a quei potenti guerrieri. Da lì in avanti sempre più re richiedevano il supporto della neonata Alvarez, e questa in risposta alzava i prezzi: di colpo, era il mondo a piegarsi in ginocchio per supplicare il loro aiuto, senza il quale non sarebbero mai più riusciti a vincere anche uno scontro campale.

Il rapporto di servilismo in cui versavano gli alvareziani venne spezzato per sempre, elevando quel popolo a conquistatori. Il figlio del Primo Imperatore, anch’egli Zeref, continuò l’espansione iniziata dal padre senza mai incontrare una sconfitta. Ormai da cinquant’anni gli alvareziani avevano iniziato a credere che quella stirpe di leader fosse stata inviata dal cielo per portare tutti loro alla grandezza, formando un culto dell’imperatore-dio.

August non era sciocco, sapeva che gli dèi non esistevano. Però, credeva a ciò che poteva vedere, e per decenni aveva assistito alla trasformazione del suo paese nella più grande potenza mondiale, e di questo non poteva che essere infinitamente riconoscente a qualsiasi Zeref benedetto che avrebbe mai solcato la terra.

“Ed è per la grande Alvarez e il grande Imperatore, che debbo ucciderli.” Tolse il bastone dal braccio ferito, impugnandolo con forza “Mi dispiace rendere vano il tuo sacrificio, Vellet. Non sei riuscito a salvare i tuoi uomini, rubando solo un minuto del mio tempo.”

Mosse un passo verso ciò che rimaneva dell’esercito di Fiore, scatenando un brusio di voci allertate. Tutti loro si prepararono allo scontro, imbracciando armi normali e Tesori Oscuri.

Il vecchio sospirò, poi sollevò il suo Ars Magia. E il cielo tuonò.

Quel boato fu talmente fragoroso da travolgere l’intera città, investendola e pressando tutti i superstiti contro la terra che aveva iniziato a tremare con altrettanta violenza. August sgranò gli occhi: non era opera sua. Le sue pupille, una volta dirette verso il cielo, vennero illuminate da un raggio di luna, prima che l’astro in cielo venisse eclissato. L’ombra movente apparteneva al bastione del vecchio palazzo reale, il più alto di tutti, che incombeva su tutti i presenti. Quel colosso di pietra barcollò, per poi allontanarsi ancora dalla visuale: stava crollando, sbilanciandosi verso il quartier generale dei soldati di Fiore. Non c’era stata alcuna esplosione, né scossa tellurica responsabile del suo abbattimento. Crollò rovinosamente su un intero quartiere di Crocus, facendo schizzare in aria per diversi metri detriti di ogni dimensione.

Così com’era accaduto, sotto gli occhi atterriti di chi aveva assistito, quell’evento assurdo cessò, e si tornò al silenzio. Chiunque, anche chi non era nei paraggi, l’aveva visto e non aveva potuto far altro che rimanere attonito. In due anni di presa della città, nessuno era mai giunto a tanto.

Si pensò a un ultimo colpo basso degli alvareziani appena fuggiti, ma nessuno poteva sapere che in realtà a trascinare verso il disastro la torre del palazzo, e di conseguenza il quartier generale presidiato da Seboster Vellet, fossero stati dei cavi d’argento.

 

***

 

“Conto fino a tre! Se non li tagli fuori da questa barriera io-”

“Puoi contare quanto cazzo vuoi” Gray ne aveva abbastanza di sentirsi urlare nell’orecchio “La verità è che hai una paura fottuta di morire, altrimenti non ti staresti pisciando sotto così tanto nel costringermi a fare una cosa del genere.”

L’impasse nella cupola di ghiaccio era stata rivelata per ciò che era in realtà: una ridicola sceneggiata. Sunse tremava, aveva gli occhi lucidi e la voce rotta ogni volta che parlava. Stava sperimentando per la prima volta in vita sua la disperazione, e il motivo non era la morte imminente, ma la consapevolezza di essere stato abbandonato in territorio nemico perché considerato un fallimento. La sua illusione di tornare in patria andava a sbiadirsi nei confini del suo cervello: l’avrebbe atteso la morte in ogni caso.

“Preferiresti quindi morire assieme ai tuoi amici? Ti sembra questa la cosa più giusta da fare?” Non aveva più la forza di provocare il cavaliere di Fiore. Lo guardò supplicante, sperando in una risposta che lo illuminasse anche sul senso della sua vita.

Gray Fullbuster non rispose, ma guardò la sua Generalessa. Fu uno sguardo che valeva più di mille parole.

La rossa finalmente si sollevò dal cadavere di Natsu, asciugandosi una lacrima pendente sul lato di un occhio prima di schiarirsi la voce.

“La cosa giusta? La guerra non è un posto dove si può sempre fare la cosa giusta. Alvarez lo ha capito, e infatti lì ci sono tante cose che a Fiore riteniamo immorali, come ad esempio la schiavitù. Ciò nonostante, Alvarez è un impero più ricco e avanzato tecnologicamente e militarmente di noi. Quindi, perché ci si ostina ancora a fare la cosa giusta, se sappiamo che non sono i giusti a vincere la guerra?”

La paura di Sunse calmò Erza, che riprese persino a sorridere, nonostante il peso della morte gravasse sulle sue spalle.

“Quello che abbiamo fatto stasera è stato scommettere su un’azione sbagliata che potrebbe mettere fine a questa guerra, ormai satura di azioni immorali. Una guerra per portare la pace, e per mettere fine alle atrocità e alle ingiustizie.” Detto ciò, si voltò verso Gajeel, che fino ad allora aveva preferito non parlare.

“Sei pronto?”

“Odio doverti rispondere, ma… sì, sono pronto.” L’uomo dai folti capelli neri adagiò gli occhi per l’ultima volta sul compagno che l’aveva appena lasciato, su quello che stava per morire e sulla generalessa che voleva salvargli la vita. Poi serrò le palpebre.

“Iron Dragon Slayer!”

Metallicana, il Tesoro Oscuro del Cavaliere Gajeel Redfox, apparteneva ai leggendari armamenti di classe Drago. Come per l’Igneel di Natsu e il Cubellios di Cobra, anche il suo disponeva di un’abilità nascosta, dal potere offensivo inferiore ai precedenti ma che compensava sul fattore difensivo.

Scaglie di acciaio ricoprirono la sua pelle e i suoi capelli, rendendolo una statua scintillante di sfumature blu sotto i raggi di luna filtrati dal ghiaccio. Quella massa d’acciaio umanoide quale era diventato spalancò gli occhi, due buchi bianchi, trafiggendo l’assassino di Alvarez.

Non avrebbe mai voluto far ricorso a quella modalità difensiva per aver salva la vita a discapito di quella dei suoi amici. Tuttavia, con lo stoicismo che contraddistingueva il Drago di Ferro di Fairy Tail, trattenne il respiro e inghiottì qualsiasi parola avrebbe preferito dire, se non:

“Addio.”

“Cosa? Come addio?” Sunse sussultò così forte che per poco non gli cadde l’arma dalle mani.

“Trasformando il suo intero corpo in acciaio, compresi gli organi interni, potrà sopravvivere al veleno all’esterno” Erza si sedette composta al fianco di Natsu, accarezzandogli i capelli rosa come il fiore di magnolia “Sopravvivrà, e manderà avanti la volontà di Fairy Tail: vincere la guerra per respingere gli invasori, e non morire per difendere la monarchia.”

“Ma siete impazziti?! Perché sacrificarvi volontariamente? Non ha senso!”

“Paghiamo il prezzo di Shiranui.”

Gray sorrise nonostante il sudore e i brividi, l’ultimo ghigno su di una maschera mortuaria. Rilasciando un grido capace di scuotere la terra, rimosse le mani dal ghiaccio per spezzare il sortilegio.

Un urlo di sofferenza, apice della disperazione che aveva infestato quella notte, si librò alto fino alla luna. Le ultime volontà di Cobra e di Gray fecero poi tornare la quiete tra la pianura appestata dal miasma.

 

 

 

Angolo Autore:

Welcome back! Master Chopper anche detto “l’allegria”… col senno di poi ammetto che questo capitolo è forse un po’ troppo pesante, vuoi per la sua lunghezza che per i temi trattati (sacrifici, morti ingiuste e personaggi che parlano solo di sacrifici e morti ingiuste).  Spero vi sia piaciuto almeno un po’.

Fermo restando che avrei preferito far uscire questo capitolo prima della fine dell’anno 2023, ma un trasloco mi ha tolto molto tempo alla scrittura. Ora, sfrutterò questo tempo tra un capitolo e l’altro per ringraziare personalmente i recensori rimasti, o quelli che si interesseranno a questo sfacelo di storia ripresa completamente a caso dopo due anni. Perdonatemi se non vi ho risposto finora, nulla di personale, ma ancora non avevo ricordato che per essere un utente efficiente su questo sito non bisognasse semplicemente pubblicare storie, ma anche rispondere a chi te le recensisce.

Detto ciò… nel finale si scopre finalmente in che cosa consistesse la vendetta che Rea stava pianificando da almeno tre capitoli: dopo aver avvelenato Seboster, che riteneva responsabile per la morte del fratello (quando in realtà è stato un ordine dello Stratega Jellal/Regina Mavis), ha usato Laplace per fargli franare una torre del palazzo addosso. Direte voi: ma quindi, oltre a Florence muore pure il padre in questo capitolo? Eeeeh sì, colpa dell’ironia del fato (la mia ironia, completamente malata).

Queste morti, assieme a quelle degli ex membri di Fairy Tail, a cosa serviranno? Rea che fine ha fatto?

Scoprirete tutto nel prossimo capitolo!

Alla prossima!

P.S: Per tutti quelli preoccupati sull’ulteriore discontinuità della storia, vi tranquillizzo subito: ho un pazzo che mi scrive in privato su whatsapp e non solo OGNI GIORNO ricordandomi di aggiornare.

 

   
 
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