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Autore: Abby_da_Edoras    18/01/2024    3 recensioni
È buffo scrivere in un fandom in cui praticamente nessuno ha mai scritto o letto, ma io questa storia me la porto dietro da più di vent'anni, da quando vidi il film la prima volta, e anche a distanza di tanto tempo, per quanto assurda e impossibile sia, ci credo e ci sogno, tanto che adesso posso finalmente anche metterla in ordine e pubblicarla (e finire alla neurodeliri definitivamente!). Dunque, io sono quella che nelle ff salva tutti i personaggi e si inventa le ships più improbabili, no? Ed ero così anche vent'anni e più fa, per cui ecco a voi la mia follia: il soldato tedesco che Miller decide di liberare (e che qui ha un nome e una storia) non è un ingrato, bensì lo ritroveremo a Ramelle e arriverà in tempo per salvare Mellish! Quindi Miller e i suoi decideranno di prenderlo sotto la loro protezione e... e lui pian piano inizierà a provare qualcosa proprio per Mellish, il soldatino che ha salvato.
Non scrivo a scopo di lucro e personaggi e situazioni appartengono a registi, autori e produttori del film Salvate il soldato Ryan.
Genere: Angst, Drammatico, Hurt/Comfort | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: AU, Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Cap. 25: Soldier

 

Afraid of what they might lose
Might get scraped or they might get bruised.
You could beg and what's the use

That's why it's called the moment of truth
I'd get it if you need it,
I'll search if you don't see it,
You're thirsty, I'll be rain,
You get hurt, I'll take your pain.
I know you don't believe it,
But I said it and I still mean it,
When you heard what I told you,
When you get worried I'll be your soldier.

(“Soldier” – Gavin Degraw)

 

Eh, sì, finalmente i desideri di Mellish e dei suoi compagni stavano per realizzarsi, come nelle favole più belle tutto stava per finire bene dopo tante sofferenze e ostacoli, i cattivi venivano puniti, i buoni premiati e il finale era lieto come nei film… o perlomeno la parte che i soldatini potevano vedere e conoscere (loro non sapevano niente dei progetti sull’atomica, di Oppenheimer e di quello che sarebbe avvenuto a Hiroshima e Nagasaki, erano solo ragazzi che stavano per tornare a casa).

Il 18 aprile, mentre l’Armata Rossa proseguiva la sua avanzata nel cuore di Berlino, la Compagnia Charlie raggiunse Versailles e Mellish, ormai guarito sebbene ancora un po’ debole, poté finalmente riabbracciare i suoi amici e il suo Capitano.

“Saltzmann mi ha detto che sei stato malato e si vede, sei ancora pallido e hai dei cerchi scuri sotto gli occhi” disse Wade, scrutandolo con fare professionale.

“Ora sto bene, Wade, non preoccuparti, Josef si è occupato di me per tutto il tempo” rispose il giovane.

“Non ne dubito” replicò l’ufficiale medico con un sorrisetto, “ma per stare sul sicuro voglio che tu venga subito con me in infermeria e ti farò una visita completa. Ormai la data della partenza per l’America è veramente fissata e non vorrei proprio che dovessimo rimandare ancora perché tu ti sei ammalato!”

Wade, in realtà, era preoccupato per le conseguenze che quella malattia, seppure innocua e dovuta solo a stress e stanchezza, potesse aver avuto sul cuore del ragazzo, ma non poteva certo dirglielo, Mellish ancora non accettava di essere stato davvero ferito dalla baionetta. Chissà se, una volta tornato a casa, al sicuro, sarebbe riuscito ad affrontare quei suoi demoni?

La visita dimostrò che andava tutto bene, Mellish era solo indebolito a causa dei giorni di febbre e il cuore non ne aveva risentito più di tanto. Wade, tuttavia, sapeva che queste cose potevano rimanere silenti per anni e poi venire fuori all’improvviso e si ripromise di continuare a tenere l’amico sotto controllo, anche grazie alle premure di Saltzmann che gli sarebbe rimasto sempre accanto e si sarebbe occupato di lui.

In tanta frenesia, gioia ed emozione era arrivata però una notizia che aveva colpito i cuori dei soldati e dei loro superiori, oltre a preoccuparli per le conseguenze possibili: il Presidente americano Franklin Delano Roosevelt era morto il 12 aprile del 1945 all’improvviso, per un’emorragia cerebrale dovuta probabilmente alle sue precarie condizioni di salute e alla tensione di tre anni e mezzo di guerra. Era stato uno dei più importanti presidenti degli Stati Uniti, tanto da essere rieletto per quattro volte consecutive; aveva migliorato le condizioni economiche del Paese con leggi e riforme che avevano dato lavoro a tanta gente e sconfitto la Grande Depressione (il famoso New Deal) e, anche dopo che gli Stati Uniti erano entrati in guerra, aveva sempre dato prova di ottimismo, calma e capacità di giudizio, il suo ruolo era stato determinante per la conduzione politico-strategica della guerra e il consolidamento dell’alleanza con il Regno Unito di Churchill e l’Unione Sovietica di Stalin. La sua perdita lasciò un senso di vuoto nei soldati, anche se nessuno di loro lo aveva mai incontrato personalmente, ma in un certo senso fu come perdere un punto di riferimento importante.

“Il Presidente è morto prima di vedere la vittoria degli Alleati” mormorò tristemente Mellish, come al solito uno dei più sensibili, quando ricevette la notizia.

C’era però anche un altro motivo di preoccupazione per la Compagnia Charlie: il successore di Roosevelt era il suo vice, Harry Truman, un uomo dal carattere inflessibile e puntiglioso che non aveva niente in comune con i modi concilianti e aperti di Roosevelt* e qualcuno, tra cui anche lo stesso Capitano Miller, temeva che avrebbe potuto ordinare che i soldati venissero rimpatriati tutti insieme dopo la fine della guerra, senza alcuna considerazione per ciò che era stato deciso nei confronti di Ryan e della sua Compagnia. Miller non conosceva affatto il nuovo Presidente e d’istinto diffidava, tanto era in ansia per la sua squadra e desideroso di riportare finalmente a casa i suoi soldatini sani e salvi. In realtà era anche preoccupato per Saltzmann e si chiedeva se questo nuovo Presidente avrebbe accolto con la stessa disponibilità la richiesta di asilo di un prigioniero tedesco…

Per fortuna, comunque, Truman non volle contrastare una decisione che era stata presa mesi prima dallo stesso Roosevelt e lasciò che Ryan e gli altri della Compagnia Charlie potessero finalmente imbarcarsi per tornare in patria.

Il giorno tanto atteso per la partenza arrivò: il 28 aprile del 1945 James Ryan e i soldati della Compagnia Charlie, insieme al prigioniero (per modo di dire) Josef Saltzmann, vennero fatti imbarcare a Calais sulla nave che li avrebbe condotti al porto di Southampton. Il viaggio durò quattro giorni e, una volta a Southampton, il gruppo poté infine imbarcarsi sulla nave Queen Mary che lo avrebbe portato a New York.

Lo stato d’animo dei soldati, dei superiori e di Saltzmann era diverso e questo poteva anche stupire, ma in realtà il tanto atteso rimpatrio era anche l’occasione, per alcuni, di ripensamenti, dubbi e paure. Miller e Horvath non avevano preoccupazioni né timori ed erano semplicemente sollevati, sia perché stavano tornando a casa, lontani da quella guerra in cui avevano visto e fatto tante cose che non avrebbero voluto, sia perché adesso sapevano che i loro uomini sarebbero stati al sicuro, cosa che, per loro, era parte della missione. La guerra stava per finire, Berlino era stata invasa dalle truppe sovietiche, i tedeschi erano allo sbando e Hitler si era suicidato nel suo bunker il 30 aprile, proprio mentre Miller e i suoi stavano viaggiando verso Southampton (notizia che provocò brindisi e festeggiamenti tra i giovani soldati e anche una grande soddisfazione per Josef Saltzmann!); la Germania avrebbe firmato la resa incondizionata qualche giorno dopo e solo il Giappone continuava ancora a resistere, ma con pochi mezzi e uomini, le forze Alleate ce l’avrebbero fatta anche senza il loro contributo. Miller e Horvath avevano perduto fin troppi ragazzi e soffrivano per ognuno di loro, ma il pensiero che almeno Reiben, Upham, Wade, Jackson e Mellish (oltre, ovviamente, a Ryan) erano su quella nave e sarebbero tornati a casa risollevava il loro spirito. Wade aveva trovato il modo di rendersi utile anche durante la traversata e, infatti, trascorreva la maggior parte del suo tempo nell’infermeria della nave, assistendo e curando i soldati feriti che venivano rimpatriati perché non più in grado di combattere. Alcuni di loro, purtroppo, erano veramente in condizioni pietose e non sarebbero mai più tornati quelli di un tempo…

Durante il terzo giorno di navigazione sulla Queen Mary, Miller si trovò ad assistere ad una conversazione molto interessante tra i giovani che si erano radunati sul ponte e avevano iniziato a parlare di quello che avrebbero fatto una volta tornati a casa e dei loro progetti per il futuro.

“Io ho deciso di non tornare a San Diego” dichiarò Wade. “Ovviamente passerò da casa per salutare la mia famiglia, ma poi non resterò con loro. Voglio cercare di farmi accettare al Mount Sinai Hospital di New York, è un ospedale didattico all’avanguardia per almeno dodici specialità mediche ed è questo che voglio fare, essere un vero dottore, aiutare la gente.”

Evidentemente, le atrocità viste in guerra e le condizioni di tanti soldati rimasti mutilati o sfigurati avevano avuto il loro peso nella decisione del sensibile Wade e i suoi compagni, che lo conoscevano bene, annuirono in silenzio.

“Anch’io stavo pensando di non tornare a vivere con la mia famiglia” intervenne a sorpresa Upham. “Cioè, insomma, voglio dire… comunque sia, i primi tempi dovrò comunque rimanere a New York per aiutare Saltzmann a ottenere asilo politico e poi, se davvero voglio diventare uno scrittore, penso che sia più facile ottenere una certa visibilità vivendo a New York piuttosto che a Boston.”

“Penso che sia una buona idea, caporale. Anzi, sai cosa ti dico? Potremmo anche cercare un appartamento insieme, così ci divideremo le spese e ci aiuteremo. Che ne dici?” propose Wade.

Upham accettò con entusiasmo, al che Mellish iniziò a protestare.

“Ah, ecco, fate gli accordi tra di voi, e allora noialtri? Anche a me piacerebbe abitare a New York invece che con la mia famiglia, e stare vicino a voi. Ormai ne abbiamo passate tante insieme e non riesco a pensare di riprendere la vita che facevo prima… o di non rivedervi più.”

“Mellish, ma tu non hai di questi problemi. Non te ne vai forse a convivere con il tuo innamorato tedesco?” rise Reiben. “Potete trovare anche voi un nido d’amore a New York, magari accanto all’appartamento di Upham e Wade, visto che comunque il caporale deve occuparsi anche lui di Saltzmann!”

“Infatti, io e Stan convivere a New York, noi in nido d’amore insieme” esclamò tutto contento Josef. “E a me piace vivere accanto a Upham e amico dottore!”

“Hai visto? È già tutto sistemato!” riprese Reiben.

“Io non parlavo di queste scemenze, dicevo solo che sarebbe bello trovare il modo di continuare ad abitare vicini, visto che ormai siamo legati tra noi più che alle nostre stesse famiglie” tagliò corto Mellish, con un’occhiataccia al fin troppo entusiasta Saltzmann.

“Anche a me piacerebbe cambiare vita, ma sicuramente non potrò farlo almeno per qualche anno” intervenne Ryan. “Ora che i miei fratelli non ci sono più, a mia madre resto solo io e non posso e non voglio abbandonarla. Dovremo decidere insieme cosa fare della fattoria, che è ormai troppo grande per noi, ma non penso che lei sarà disposta a trasferirsi in una città come New York, è nata e cresciuta a Mansfield in Iowa e vorrà restare nei luoghi che le ricordano momenti più felici, dove sente vicini mio padre e i miei fratelli. In fondo… beh, anche per me è così. Venderemo la fattoria e ne acquisteremo una più piccola e poi, chissà? Magari incontrerò una brava ragazza e metterò su famiglia, la mamma sarebbe felice di avere dei nipotini.”

“Sei davvero un bravo ragazzo, Ryan” commento Reiben, in tono sarcastico, ma era il suo modo di ostentare cinismo perché, in realtà, aveva trovato molto saggia e generosa la decisione del commilitone. Era semplice, sì, ma non era il bifolco che aveva temuto di incontrare! “Mi sa proprio che, alla fine, la missione di salvarti e riportarti a casa è stata davvero la cosa migliore che potessimo fare in quella dannata guerra.”

Mellish e gli altri annuirono con convinzione, Jackson però volle dire la sua.

“Sì, Ryan ha preso la decisione giusta e farà certamente qualcosa di buono nella sua vita, fosse anche solo creare una famiglia e occuparsi della madre, della futura moglie e di una bella nidiata di bambini” disse. “Invece io non ho intenzione di seguire il suo esempio. Certo, come Wade, anch’io tornerò a    Hickory Valley, in Tennessee, per salutare la mia famiglia, ma io non sono destinato a vivere in una fattoria e la mia famiglia non ha bisogno di me, ho già altri due fratelli. La mia abilità come cecchino in guerra mi ha fatto capire che cosa davvero Dio vuole da me e perché mi ha donato questo talento e io non intendo sprecarlo: verrò anch’io a vivere a New York e cercherò di entrare nell’Accademia del New York Police Department.”

“Vuoi fare il poliziotto? Beh, devo dire che ti ci vedo bene” commentò Mellish. “E sicuramente sarai sempre il primo classificato al poligono di tiro!”

Tutti risero, ma Jackson era serio. Evidentemente aveva riflettuto molto sul suo futuro e, religioso com’era, aveva pensato che la sua bravura nello sparare fosse una capacità che Dio gli aveva dato affinché proteggesse la brava gente e catturasse i criminali.

“Quindi ci ritroveremo quasi tutti a vivere a New York” esclamò Mellish, felice. “Potremmo davvero aiutarci a vicenda e affittare un paio di appartamenti per stare insieme e dividere le spese. Ve l’ho detto, ormai siete voi la mia famiglia e io… io non avrei sopportato di separarmi da voi!”

A quel punto il Capitano Miller decise di intervenire.

“Non volevo origliare i vostri discorsi, ma ho sentito qualcosa e mi sono fermato ad ascoltarvi perché mi avete veramente commosso” ammise. “Vi ho conosciuti come ragazzini, poco più che adolescenti, a parte Wade, un po’ sbruffoni e superficiali, ma ora vi sento parlare da veri uomini che sanno fare le scelte giuste e indirizzare la loro vita per il bene di tutti. Sono molto orgoglioso di voi e proprio per questo voglio aiutarvi: resterò per qualche tempo insieme a voi a New York per appoggiarvi e consigliarvi e tornerò dalla mia famiglia solo quando sarò sicuro che tutti voi avete una casa e un lavoro. Il mio sostegno servirà sia a Saltzmann per ottenere presto asilo politico, sia per Jackson per essere ammesso all’Accademia di Polizia e, magari, un aiuto farà comodo anche a qualcun altro…”

Miller pensava principalmente alla famiglia di Mellish, che di sicuro non avrebbe visto di buon occhio il fatto che il ragazzo andasse a vivere a New York con gli amici e un tedesco, anche se era stato proprio quell’uomo a salvargli la vita! Avrebbe dovuto parlare lui con i suoi genitori e immaginava che non sarebbe stato affatto facile.

“Ma… signore, non è giusto, lei ha già fatto tanto per noi, la sua famiglia la aspetta” disse Upham.

“Ho scritto a mia moglie nei giorni scorsi e lei è d’accordo con me” rispose il Capitano. “La mia missione con voi non è ancora finita: vi sto riportando sani e salvi in America, ma voglio anche darvi le basi per un futuro pieno e felice. Siete comunque i miei ragazzi, lo sarete sempre.”

“Insomma non c’è proprio modo di liberarci di lei, eh, signore?” scherzò Reiben, ma aveva la voce strana e gli occhi lucidi.

Mellish era apertamente commosso.

“Grazie, signore, io… io ho sempre pensato che avrei voluto che mio padre fosse come lei e adesso… adesso…” gli si spezzò la voce e non riuscì a continuare. Saltzmann gli circondò le spalle con un braccio e lo strinse a sé, con uno sguardo di intesa e un sorriso di gratitudine verso Miller.

Il futuro sembrava davvero ormai a portata di mano per la Compagnia Charlie, Ryan e Josef: il peggio era passato e ora restava da costruire una vita nuova, basata sull’amicizia e la solidarietà.

Fine capitolo venticinquesimo

 

* Non so abbastanza di Storia Americana per dare giudizi veri e propri sui due Presidenti, mi baso su notizie che ho preso su libri ed enciclopedie e, devo ammettere, anche sulla naturale antipatia che ho avuto verso Truman guardando il film Oppenheimer! Tuttavia da diverse fonti è venuto fuori che Franklin D. Roosevelt è considerato tuttora uno dei migliori Presidenti USA, mentre Truman viene ricordato, oltre che per la decisione di usare la bomba atomica (decisione che, si dice, il Generale Eisenhower non avrebbe affatto condiviso), principalmente per la sua diffidenza e chiusura verso l’Unione Sovietica che provocò l’inizio della Guerra Fredda e un clima da caccia alle streghe negli USA per il continuo sospetto di infiltrati comunisti.

   
 
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