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Autore: RandomWriter    19/01/2024    1 recensioni
Si era trasferita con il corpo, ma la sua mente tornava sempre là. Cambiare aria le avrebbe fatto bene, era quello che sentiva ripetere da mesi. E forse avevano ragione. Perchè anche se il dolore a volte tornava, Erin poteva far finta che fosse tutto un sogno, dove lei non esisteva più. Le bastava essere qualcun altro.
"In her shoes" è la storia dai toni rosa e vivaci, che però cela una vena di mistero dietro il passato dei suoi personaggi. Ognuno di essi ha una caratterizzazione compiuta, un suo ruolo ben definito all'interno dell storia che si svilupperà nel corso di numerosi capitoli. Lascio a voi la l'incarico di trovare la pazienza per leggerli. Nel caso decidiate di inoltrarvi in questa attività, non mi rimane che augurarvi: BUONA LETTURA
Genere: Commedia, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Un po' tutti
Note: Missing Moments, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'In her shoes'
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CAPITOLO 60 – Fratture


« Ancora non riesco ad abituarmi a vedere ragazzi così giovani che vengono qui »
« Se è dura per te vedere queste scene, immaginati quello che stanno passando loro »
Due donne sulla cinquantina erano intente a ripiegare delle coperte, abbandonate sopra delle brandine all’interno di un centro di accoglienza, sospirando mestamente sull’ingrata sorte toccata alle persone che ogni giorno affollavano la struttura per cui lavoravano.
« Lo so Gabriela » sospirò una delle due « ma è la prima volta che viene qui una ragazza dell’età di Mackenzie »
Gabriela sollevò le braccia e, sistemando le coperte all’interno di un armadio a due ante, sospirò:
« Solo perchè hai appena iniziato questo lavoro, Daisy. Comunque dobbiamo avvertire Burt del centro sociale. Forse lui può fare qualcosa »
« Tipo? »
« Beh, inserirla in un programma di affido familiare ad esempio »
« Ma Mackenzie non è orfana » puntualizzò Daisy, seguendo la collega nel corridoio.
« Fa davvero differenza? »

 
L’indomani, dopo che la macchina di Dajan si era fermata davanti casa sua, Castiel entrò con un’espressione tetra. Per tutta la notte non aveva chiuso occhio, tormentato da quell’omertosa posizione in cui l’aveva incastrato Nathaniel.
Appena rientrato nella depandance, aveva attirato l’attenzione dei suo amici, poichè la sua presenza non era stata accompagnata dalla controparte che l’aveva intrattenuto e isolato per tutta la serata.
Nonostante la perplessità generale, i suoi amici avevano creduto a quella febbre salita all’improvviso. Si erano rammaricati di non aver nemmeno potuto salutare il festeggiato ma Castiel li aveva rassicurati che Nathaniel si reggesse a mala pena in piedi. Per lui che quanto a doti teatrali aveva dato prova in passato di essere alquanto carente, quella era semplicemente l’ennesima occasione di spalleggiare un caro amico in difficoltà. Rosalya si era addirittura sentita in colpa e, nel malessere fisico del suo ragazzo, trovò la giustificazione che cercava del suo strano comportamento.
Solo Lysandre aveva lanciato uno sguardo indecifrabile a Castiel che, nel tentativo di deviarlo, aveva solo aumentato i sospetti.
Il rosso aveva poi riaccompagnato a casa Erin e, come sempre, erano rimasti a lungo a chiacchierare.
Non si stancava mai della sua compagnia, mix elettrizzante di discorsi impegnativi e frecciatine stuzzicanti.Tuttavia tra i primi aveva deliberatamente omesso la discussione segreta avvenuta con Nathaniel, nonostante le insistenze dell’amica nel volerne sapere di più. Anche se Nathaniel si fosse deciso a confessare il suo errore, non spettava al rosso diffondere quella notizia.
Aveva passato tutta la notte a pianificare soluzioni possibili ma l’unico scenario che gli si prospettava era una seconda e questa volta irreparabile spaccatura del gruppo: se Rosalya e Nathaniel si fossero lasciati in quel modo, lui ed Erin si sarebbero trovati su schieramenti opposti.
Eppure non era disposto a perdere l’amicizia del biondo una seconda volta. Aveva sofferto troppo per la loro separazione e non intendeva abbattare nuovamente il ponte che erano riusciti a ricostruire con tanta fatica.
« Si parte » aveva annunciato l’autista, riaccendendo il motore della vettura.
« YEEEEE! » esultarono in coro Erin e Trevor, sollevando le braccia verso l’alto come se fossero sulle montagne russe.
Fu allora che Castiel si destò violentemente dai suoi pensieri.
Avevano appuntamento con i cestisti più forti della Saint Mary, per cui Dajan si era offerto di dare un passaggio a tutti.  
« Finitela » borbottò il musicista, sentendo che alla sua lamentela si era unita in sincrono la voce di Jordan, la cameriera.  Quest’ultima, a causa dell’ingombrante presenza di Trevor, si trovava spiaccicata contro la portiera posteriore della macchina, ad interrogarsi sul motivo per cui era presente quel giorno in quella scomoda situazione. Se lo chiedeva anche Castiel che, distratto dai suoi pensieri, non aveva ascoltato la conversazione precedente tenutasi tra i tre passeggeri seduti dietro di lui.
« Ma quindi Jordan tu hai un anno meno di noi? » stava chiedendo Erin, indicando se stessa e Trevor.
Quest’ultimo era rimasto interdetto della facilità con cui Jordan aveva sin da subito instaurato un dialogo con Erin. Lui per contro, era abituato ad uno scambio caustico di battute affilate. La domanda di Erin aveva quindi calamitato l’attenzione del cestista che si era voltato di scatto verso la sua scorbutica vicina di posto.
« Come un anno in meno! » sbottò confuso « mi avevi detto che eri più vecchia di me! »
Jordan ghignò, replicando placidamente:
« Io non l’ho mai detto, hai fatto tutto tu, idiota »
« E in quale liceo è che vai? » si intromise nuovamente Erin.
« New Day »
Quell’informazione fece cadere un imbarazzante silenzio nell’abitacolo. Nelle menti dei quattro cestiti era ancora vivido il ricordo dell’ultima partita del torneo di basket. Con le sue scorrettezze ignobili, la New Day High School si era rivelata la squadra più disonesta che avessero mai affrontato.
« Avete una squadra di basket discutibile… » borbottò infine Castiel, rompendo il silenzio generale.
« Non abbiamo le risorse che avete voi della Atlantic » sputò seccamente Jordan « non tutti possono permettersi di andare ad una scuola per figli di papà »
Per la seconda volta quel commento fece scendere il gelo e tutti i progressi fatti da Erin nell’introdurre Jordan alla conversazione, erano andati vanificati. Castiel si morse la lingua, nel tentativo di esternare ulteriori insulti rivolti alla moralità di una squadra che per assicurarsi la vittoria, doveva ricorrere a infrazioni e falli non segnalati.
« Ma che dici, non è poi così prestigiosa… » tentò di mediare Trevor « la retta annuale non è poi così alta »
A quella frase, Jordan inspirò e strinse i pugni per la frustrazione.
Non faticava a credere che per i presenti la quota scolastica non rappresentasse un problema. Il solo fatto che frequentassero un liceo privato mentre lei era relegata in una scuola pubblica di periferia, la faceva sentire fuori luogo. Quei ragazzi non avevano idea di cosa significasse il duro lavoro, impegnare il tempo libero per guadagnarsi dei soldi per minimizzare l’onere economico sulla propria famiglia. Loro dovevano solo pensare a studiare e, da quello che aveva intuito, si dedicavano poco pure a quello.
« In realtà Trevor, la retta è piuttosto impegnativa » obiettò l’altra voce femminile  « diciamo giusta, se consideriamo tutto quello che ci offre il liceo in termini di strutture e servizi » si corresse Erin.
Sollevata per quell’angelo custode che le veniva in soccorso, Jordan rilassò le spalle e lasciò che fosse la mora e rimediare alla tensione che si era creata:
« Quello che voglio dire è che il nostro liceo offre così tanto che non è scontato che tutti se lo possano permettere. Io per prima non so che farò l’anno prossimo »
Appena quella confessione arrivò al suo orecchio, Castiel aggrottò leggermente le sopracciglia.
L’amica aveva menzionato in più occasioni che il suo trasferimento a Morristown era solo temporaneo. Aveva sempre frequentato la scuola pubblica di Allentown e quest’ultima si avvicinava di più allo stile di vita che i suoi genitori potevano permettersi:
« I miei stanno già stringendo la cinghia per mandarmi al college... non posso pretendere che mi paghino anche il prossimo anno » spiegò con tono calmo.
« Vorrà dire che faremo a meno di te, Travis » commentò Castiel con acidità.
Quel discorso lo innervosiva terribilmente ma avrebbe preferito farsi staccare un’unghia piuttosto che ammetterlo davanti ai presenti. Prevedibilmente però quel cinismo urtò l’amica che sbottò:
« Beh, grazie tante per la considerazione! »
« Non mi pare che te ne freghi poi così tanto » si stizzì lui, guardando apatico fuori dal finestrino.
« Pensi che ne sia contenta? »
« Certo non dispiaciuta! »
« Guarda che sono la prima a non voler andare via! »
« Beh, non si direbbe » la freddò Castiel, guardando infastidito fuori dal finestrino.
I tre esclusi da quella conversazione, seppure non si azzardassero a formulare i loro pensieri a voce alta, avevano avuto tutti la sensazione di essersi trovati in mezzo al battibecco di una coppia di fidanzati. Quel frenetico scambio di battute tra Erin e Castiel aveva ripristinato la tensione precedente poichè la ragazza non intendeva recuperare la situazione, lasciarono che la musica della radio colmasse il vuoto.
Come se la giornata di Castiel non fosse già partita con il piede sbagliato, gli veniva portato alla mente la prospettiva che l’anno successivo Erin sarebbe tornata definitivamente nella sua città natale, Allentown. La prima volta che aveva menzionato quell’eventualità aveva deciso di non darle troppo credito, sperando che in qualche modo non si realizzasse. Tuttavia, il fatto stesso che ne venisse ribadita la concretezza, lo rassegnò allo scenario di non arrivare insieme al diploma. La sistemazione di Erin a casa della zia era solo momentanea ed era questione di pochi mesi prima che l’anno scolastico volgesse al termine. Ad Allentown Erin aveva frequentato la scuola pubblica e, come aveva lei stesso precisato, non sarebbe stato facile per la sua famiglia mantenerla a distanza, in una scuola prestigiosa come l’Atlantic. Come se quei pensieri non bastassero a metterlo di pessimo umore, si sommava l’apparente indifferenza con cui lei trattava quell’argomento. Quel tono di voce, quasi impersonale, l’aveva fatto scattare al punto da essersi compromesso anche troppo.
Dietro di lui, imbronciata e senza distogliere lo sguardo dal finestrino, Erin rifletteva analogamente su quella piccola diatriba. Era ovvio che prima o poi avrebbe dovuto riappropriarsi della sua vecchia vita, non aveva mai escluso quella possibilità nè tanto meno promesso di mettere le radici a Morristown. La razionale esposizione dei fatti non implicava del disinteresse da parte sua ma il fatto che per Castiel fossero invece un segnale del suo menefreghismo verso i rapporti che avrebbe perso, la feriva terribilmente.
Quando si intestardiva su qualcosa, quel ragazzo diventava sordo a qualsiasi giustificazione e lei, dal canto suo, si risolse a non dedicargli alcuna ulteriore attenzione.
Erano lì per incontrare i cestisti del Saint Mary e la sua amica Melanie in particolare. Non avrebbe permesso a quel bisticcio di intaccare il suo umore e l’eccitazione per quella giornata.
« Melanie mi ha mandato la loro posizione » annunciò, dopo aver controllato il cellulare « dice che Isiah sta cercando parcheggio e li ha scaricati davanti all’entrata di parco Speedwell »
« Allora parcheggiamo al centro commerciale lì vicino » osservò Dajan, sollevato che quel silenzio venisse finalmente interrotto.
« Isiah è la guardia, giusto? » borbottò Castiel, con la mano appoggiata al finestrino.
« Isiah è un fenomeno! » squittì Erin, approfittando di quell’occasione per riprendere la conversazione con l’amico; scelse però il commento sbagliato poichè, anzichè solleticare la curiosità del ragazzo, provocò una reazione di stizzita gelosia:
« Un fenomeno » borbottò Castiel tra sè e sè « voglio proprio vedere »

Una volta scesi dalla vettura, i cinque si avviarono verso il parco:
« Certo che potevi proporre una zona più vicina a casa nostra » brontolò il rosso, che capeggiava la piccola spedizione affiancato da Dajan. 
Non udendo però alcuna risposta da parte di Erin, si era voltato verso l’amica trovando però solo Trevor e Jordan a fissarlo. Sentì allora una sagoma sfrecciargli accanto a tutta velocità e tornò a guardare dritto davanti a sè. Erin correva come una bambina, sbracciandosi alla vista di una ragazza dai corti capelli biondi, la presunta Melanie Green. La vide saltellare dalla gioia, spostando con il nsuo abbraccio anche la biondina, che, seppur condividesse la sua allegria, pareva più vittima che complice di quell’energia contagiosa.
Il rosso sorrise sovrappensiero, dimenticandosi per un istante del motivo per cui era così in cruccio con lei.
« Ehi Black, ti lascio qui? » lo destò Dajan, facendogli notare che era rimasto imbambolato in mezzo al marciapiede. Recuperò quindi la distanza persa e finalmente, ebbe l’occasione per studiare da vicino quei cestisti che fino a quel momento esistevano solo nei racconti dei suoi compagni di squadra.
Melanie era stata facile da individuare, mentre la seconda ragazza del gruppo gli era del tutto sconosciuta. Ricordò allora che Erin gli avesse menzionato un’altra cestista, evidentemente quella era Charlie. Non era però la componente femminile del gruppo ad interessarlo. Tra i tre ragazzi davanti a lui doveva esserci il tizio che aveva tenuto testa a Dajan durante il torneo, il giocatore più forte di tutti. Scommise sul ragazzo di colore, mentre era indeciso se Isiah Reed dovesse essere quello con i capelli rossici oppure più chiari. Quando vide uno dei candidati lanciare un sorriso ebete a Melanie, ricordò che Erin l’aveva informato del fatto che i due facessero ormai coppia fissa, così a quel punto si avvicinò al gruppo con le idee più chiare.
« … e lui è Castiel » mormorò Erin, che aveva appena finito di indicare Jordan. Il ragazzo vide cinque paia di occhi concentrarsi su di lui ma, quello che lo mise più a disagio, fu l’espressione interessata di Melanie. Era la prima volta che si incontravano eppure ebbe l’impressione che quella ragazza sapesse più cose di lui di quante lui di lei.
«E così conosciamo il vostro jolly, eh Brooks? » domandò Julius, inclinando il capo verso il rosso.  
Quel tono suonò vagamente provocatorio e accese istantaneamente in Castiel la fiamma della competizione. Fronteggiare un avversario come Lanier era la perfetta sintesi di quello che Castiel amava di più del basket: la sfida uno contro uno con un avversario competitivo.
« Con Castiel in squadra, vi avremo fatto il culo, Lanier » troneggiò Trevor, gonfiando il petto.
« Questo lo possiamo dimostrare subito » sorrise il ragazzo dai capelli castani e, prima che Castiel potesse chiedergli il nome, gli allungò cordialmente la mano « io sono Neal »
« Boris mi ha parlato di te una volta… » ricordò allora Castiel « eri capitano della Saint Mary »
« Esatto, ero » sorrise l’altro umilmente « ora il titolo è meritatamente di Julius »
« Anche Castiel è un ex capitano! » osservò Erin.
« Quindi volete fare una partita subito? » esclamò il rosso, ignorandola e guardando direttamente i nuovi conoscenti. Non le avrebbe concesso così facilmente il suo perdono o almeno, non intendeva farle capire quanto le fosse facile manipolare il suo umore e orgoglio.
« Sennò la palla a che l’abbiamo portata a fare? » replicò Isiah, tirando fuori l’oggetto da una borsa in tela e facendola rotolare sul dito.
Se i ragazzi non aspettavano altro che l’occasione per sfidarsi, alla componente femminile di quel gruppo non dispiaceva l’idea di isolarsi a chiacchierare, approfittando di quella bellissima giornata primaverile. Erin e Melanie in particolare avevano bisogno di un confronto privato e poter dividere la compagnia era sicuramente il pretesto migliore per godere di un po’ di privacy.
Attraversarono il viale principale del parco, con Dajan che li guidava verso il campo da basket cittadino.
Melanie affiancò Erin e, assicurandosi che nessuno la sentisse, le bisbigliò:
« Abbiamo un sacco di cose da dirci, noi due »
Erin le sorrise incuriosita, sghignazzando eccitata. Non vedeva l’ora di ricevere aggiornamenti sulla fresca relazione tra Melanie e Isiah, perchè leggeva nel modo in cui si guardavano, che stava procedendo a gonfie vele.
A pochi passi, seguiva un’indispettita Jordan, talmente presa a rimuginare sulla sua incapacità di intromettersi nella conversazione, da non accorgersi dei tentativi fallimentari dell’altra ragazza del quintetto della Saint Mary di richiamare la sua attenzione.
Sconsolata dal suo insuccesso, Charlie chinò il capo, spiando di sottecchi Julius. Appena il giorno precedente, l’aveva accompagnata a casa dopo gli allenamenti e, seppur in modo alquanto impacciato, le aveva detto che stava migliorando e che avrebbe voluto aiutarla nel suo percorso come professionista. Charlie era consapevole che, accanto al talento di Melanie, le sue qualità come cestista fossero messe in ombra ma, rispetto a quello che era lo standard rappresentato dalle altre sportive del torneo, Charlotte comunque rimaneva una delle giocatrici migliori.
« Devi solo crederci un po’ di più » le aveva detto lui « eri una delle ragazze migliori al torneo, te l’assicuro »
Si era poi grattato la guancia a disagio e aveva farfugliato qualcosa che lei non era stata in grado di cogliere e, nell’imbarazzante silenzio che ne era scaturito, aveva preferito fingere di non aver udito.
Julius stava migliorando e con lui, tutta la Saint Mary ne era uscita cambiata verso la fine del torneo. Un’uscita come quella di quel giorno sarebbe stata impensabile settimane prima, eppure in quel momento i cestisti si comportavano come se fosse un’abitudine connaturata nella loro indole.
« Charlie, tu giochi? » l’aveva chiamata Julius.
Spiando di sottecchi la ragazza accanto a lei, esitò a rispondere al ragazzo:
« Anche tu giochi a basket, Jordan? » le stava chiedendo Charlie.
« No, non ne sono capace » fu la telegrafica risposta, così la cestista si limitò a scuotere il capo e rifiutare l’invito del capitano. Le dispiaceva lasciare quella ragazza in disparte dal momento che Erin e Melanie si erano già allontanate dal gruppo e accomodate su una panchina. Del resto, la sua compagna di squadra le aveva accennato di avere questioni importanti da trattare con l’amica e che presto o tardi, avrebbero cercato di ritagliarsi un momento da sole.
I ragazzi allora occuparono il campo da basket mentre Charlotte e Jordan si sedevano sul manto erboso a poca distanza.
« Siete nella stessa scuola? » tentò nuovamente Charlie. Fissando apatia i giocatori, Jordan spiegò:
« No, onestamente è la prima volta che esco con loro »
« Ah »
La cameriera sbuffò annoiata. Compativa i cordiali tentativi di Charlie di interagire con lei ma proprio non le riusciva di trovare qualcosa da dire, al di là del rispodere educatamente alle domande della ragazza. Per quanto quest’ultima fosse carina e gentile, Jordan odiava quella pressione di dover per forza instaurare un dialogo. Eppure sapeva di dover fare qualcosa per rimediare al suo silenzio, anche a costo di sacrificare la sua spontaneità.  
« Quindi Saint Mary contro Atlantic, girone di ritorno? » domandò Castiel con un ghigno compiaciuto stampato in faccia.  
« Beh, Brooks preferisco avercelo contro che in squadra » sghignazzò Julius « mi stimola »
« Più che altro così siamo bilanciati » osservò Dajan « così almeno teniamo separate le due teste calde »
« Che intendi? » chiesero involontariamente in coro Castiel e Julius, strappando un sorriso al resto dei presenti. Anche il resto dei cestisti conveniva che quanto a personalità e stile di gioco, le squadre erano perfettamente bilanciate. Castiel e Julius rappresentavano gli elementi più impetuosi e imprevebili, con un stile di gioco spontaneo e imprevebile. Dajan invece era molto più affine all’atteggiamento calmo e controllato di Neal, la cui esperienza di ex capitano gli aveva insegnato a restare concentrato durante ogni partita. Infine, c’era stata sin da subito una complice simpatia tra i due cestisti più esuberanti quali Trevor e Isiah, i cui sorrisi amichevoli celavano una grande preparazione tecnica e precisione di tiro.  
Jordan nel frattempo si stava sforzando di avviare una conversazione con Charlotte ed infatti, trovò finalmente qualcosa da dire:
« Li ho conosciuti nel bar in cui lavoro » ammise dopo interminabili minuti passati a sezionare un filo d’erba. Non udendo risposta sollevò lo sguardo alla sua sinistra ma la figura di Charlie non era più seduta accanto a lei. Si era alzata di scatto e, intercettandone l’occhiata, le stava dicendo:
« Ti dispiace se ci avviciniamo di più al campo? Così tengo i punti della partita »
Jordan annuì disorientata.
Iniziò a sentirsi improvvisamente a disagio, sbagliata, assolutamente fuori luogo. Trevor, che le dava continuamente il tormento a lavoro, l’aveva totalmente ignorata da quando era scesa dalla macchina. Non aveva pensato che magari lei avrebbe preferito fare qualcosa di diverso dal giocare a basket o guardarli divertirsi. Persino Erin, che era sempre premurosa con tutti, si era eclissata in compagnia della biondina. Con Castiel e Dajan poi, non aveva mai scambiato più di qualche parola. Il suo cervello innescò così un ciclo di rabbia e frustrazione, fomentato da un pizzico di melodramma. Era fuori posto, non doveva essere lì, ripeteva a se stessa. Perchè l’avessero invitata ma sopratutto, perchè avesse assecondato quell’offerta, rimaneva uno dei suoi rammarichi più grandi.
I suoi pensieri vennero interrotti da una pallonata che le colpì il braccio, talmente forte da farla dondolare.
Udì un’irritante e fragorosa risata avvicinarsi e alzando lo sguardo, incrociò il sorriso immancabile di Trevor.
« Michael, ma sei sorda? Dai vieni a giocare anche tu »
Imprecando sommessamente, Jordan si ricompose.
Notò allora Charlie era già sul campo, evidentemente trascinata da Lanier che ancora le teneva il polso. Quasi si sentisse giudicato da Jordan, mollò istantaneamente la presa in leggero imbarazzo.
Il resto dei cestisti stava aspettando la sua risposta, che non poteva essere diversa da un rifiuto.
« Manco morta. Non so giocare » dichiarò risoluta.
« Dai che ti diverti! »
« Non mi diverto se non so le regole »
« Te le insegno io » replicò conciliante il ragazzo.
« No »
Trevor però non si rassegnò:
« Senti, solo come riscaldamento. Poi tu e Charlie potete tornare alle vostre chiacchiere » patteggiò, piegandosi davanti a lei. Poichè però quell’implorazione non sortiva l’effetto sperato, si scocciò e cambiò radicalmente approccio:
« Dai, non rompere il cazzo e vieni a giocare! »
« Non rompere tu! Nemmeno se mi costringi »
Probabilmente se non avesse usato così tanta determinazione nel pronunciare quella frase, Trevor non sarebbe stato così solleticato dalla sfida. Provocato dalla testardaggine della ragazza, il cestista si accucciò e, stupendo Jordan per la sua prestanza fisica, riuscì a sollevarla da seduta. Se la caricò sulla spalla come se fosse un sacco di patate e tornò verso il campo da basket. A nulla valsero le sue lamentele e imprecazioni della ragazza rapita. Già in imbarazzo per quella situazione, realizzò che il modo più efficace per zittire Trevor fosse quello di assecondarlo.
 
« Come sarebbe a dire che state reclutando studenti? »
« Sarebbe a dire che ci serve più gente, Affleck. Il campionato di atletica si terrà tra poche settimane e, a quanto pare, non siamo abbastanza competitivi »
« Sì, ma non contate su di me. Non puoi chiedere al tuo ragazzo scusa? »
Kim inspirò a fondo. Sin da quando era rientrata nel club di atletica, le era parso evidente che i suoi compagni non si fossero allenati a sufficienza. Il professore responsabile del club, Faraize, era stato troppo indulgente e permissivo, così mentre lei sputava sangue sul campo da basket, gli altri atleti si erano riposati.
Ora però che il campionato di atletica era alle porte, rischiavano seriamente di presentarsi in pessima forza fisica e ottenendo uno dei piazzamenti peggiori della storia del liceo.
« Ho già chiesto a Boris di prestarci alcuni dei suoi » spiegò « Dajan a quanto pare non posso proprio sequestrarlo. Sai com’è, è il capitano » gli ricordò, sorridendo orgogliosa.
Quel giorno si era rifiutata di unirsi alla gita per incontrare i cestisti della Saint Mary, adducendo come pretesto gli allenamenti per il campionato. Tuttavia, era tutta la mattina che Kim era impegnata a parlare con i suoi compagni di classe più prestanti fisicamente e Kentin era uno dei primi nella lista.
« Prima però dovremo pensare al torneo delle sezioni della prossima settimana. Probabilmente metteremo te e Black ai mille metri, chiaro? »
Kentin aveva sentito parlare di quel torneo per sommi capi ma per quanto avrebbe voluto chiedere più dettagli, c’era un’altra osservazione che gli premeva:
« Castiel i mille metri? » sghignazzò l’ex cadetto « con tutte le sigarette che si fuma, avrà la capacità polmonare di una vecchietta che ritira la pensione »
« Per la verità è arrivato terzo l’anno scorso » convenne Kim « e noi puntiamo a vincere più medaglie possibili... Non escludo che quest’anno possa fare meglio, visto che quel babbeo si era messo a fumare poco prima della gara. Sono sicura che almeno il secondo posto quest’anno lo prenderà, basterebbe allora che tu arrivassi terzo, visto che al primo posto ci sarà il solito tizio della 5^ F »
« Stai dicendo che io non riuscirei a battere Black? » si risentì l’ex cadetto, mollando la presa dal macchinario in palestra.
La sua compagna di classe non solo lo stava disturbando nel pieno del suo allenamento settimanale ma stava pure minando il suo buon umore.
« Beh, se proprio insisti a misurarti con lui... » convenne Kim, soddisfatta della piega inaspettata che aveva preso la sua contrattazione. Per convincere altri studenti non iscritti al club di atletica a partecipare al torneo delle sezioni, era stata necessaria molta più furbizia e negoziazione. Il che fu un vero sollievo, dal momento che Kentin Affleck era sicuramente uno di quelli con le migliori doti fisiche. Se si fosse distinto particolarmente durante quell’evento sportivo, Kim avrebbe potuto includerlo nella lista dei partecipanti al campionato di atletica.
Il ragazzo nel frattempo stava soppesando quella proposta: non gli dispiaceva l’idea di unirsi, seppur temporaneamente, al club di atletica, solo che così facendo, si sarebbe privato della compagnia di Iris, l’unico motivo per cui si era iscritto a quello di giardinaggio.
« Posso pensarci? » patteggiò, sistemando i pesi in un angolo.
« Dal momento che me lo chiedi… no, partecipi e non rompi le palle! E per quanto riguarda il torneo delle sezioni, lunedì voglio vedere il tuo nome nella lista dei partecipanti, ciao! » e con poca grazia, gli mise sbattè il telefono in faccia.
 
« Allora, come stai? Vedo che con Isiah le cose vanno alla grande » stava chiedendo Erin.
Le due ragazze avevano trovato un posto all’ombra di una frondosa quercia in cui gli schiamazzi e urla dei ragazzi intenti a giocare arrivavano attutiti.
Alla sua domanda, Melanie aveva sorriso leggermente imbarazzata:
« Beh, sai, ci stiamo andando piano. Diciamo che ci stiamo frequentando non da amici e sta andando molto bene »
La mora annuì comprensiva e ripensò a come invece lei si era buttata a capofitto nella sua relazione con Nathaniel. Solo in un secondo momento si era resa conto di quanto fossero stati entrambi precipitosi, affrettando e ingigantendo dei sentimenti prematuri che si erano poi rivelati infondati. Si chiese però se in una situazione ipotetica in cui lei e Castiel avessero iniziato ad uscire insieme se sarebbe riuscita a mantenere a freno l’impulsività, procedendo con la calma che invece contraddistingueva la relazione tra Melanie e Isiah.  
« Però state insieme, giusto? »
« Sì » convenne Melanie « cioè, non verrò a dirti che gli ho già detto ti amo però... »
« Però? » la incalzò Erin.
« Però sto tanto bene con lui » completò la cestista con un sorriso innamorato.  
Istintivamente Erin la abbracciò, lasciandosi sfuggire un versetto deliziosamente tenero.
« Oh Melanie, come siete carini. Isiah sembra proprio un bravo ragazzo e poi sorride sempre! »
« Ma dimmi di te piuttosto » ridacchiò la biondina « nessuna novità da quando ci siamo sentite l’ultima volta? »
L’allegria di Erin scemò all’istante, sostituita da un’espressione vagamente amareggiata.
« Nessuna novità » bofonchiò.
Era curioso pensare che la stessa conversazione si era tenuta meno di ventiquattrore prima tra l’oggetto del suo rammarico e Nathaniel.
« Manco un minimo progresso? » insistette Melanie.
« Tutto uguale. Ormai penso che se le mie amiche avessero ragione e cioè se non fossi solo io a sentire certe cose per lui, a quest’ora sarebbe già successo no? » borbottò, strappando un filo d’erba.
« Io non lo conosco, Erin. Magari è solo molto insicuro di sè e teme che tu lo respinga »
« Chi lui insicuro? Figuriamoci! » borbottò la mora, ridendo esasperata « anzi. La vuoi sapere una cosa? C’è una parte piccola piccola dentro di me a cui brucia essersi innamorata di lui » dichiarò infastidita.
Fissò il destinatario delle sue lamentele e lo trovò appeso al canestro, vittorioso di aver appena fatto una schiacciata sotto il naso di Lanier. Ignorò il fatto che quell’espressione la stava già mettendo di buon umore e proseguì:
« Quando ci siamo conosciuti non perdeva occasione per punzecchiarmi e offendermi. Se penso a quanto potrebbe gongolare a sapere che mi piace pure... mi passa la voglia di dirglielo! »
« Eh eh, Erin, sei proprio strana. Al telefono non mi sembravi così infastidita dai tuoi sentimenti per Castiel » la provocò Melanie, nominando finalmente il ragazzo.
« E’ perchè ci sono dei momenti in cui mi fa così arrabbiare che quasi mi dimentico cosa mi piaccia così tanto di lui. Prendi ieri ad esempio. Ti avevo detto che tornava il ragazzo della mia amica Rosalya, no? »
« Il tuo ex? »
« Sì... ma non è questo il punto » arrossì Erin sbrigativa « mentre noi ce ne stavamo in casa a divertirci, lui e Castiel hanno passato due ore a parlare da soli. Due o-r-e!. Rosalya non è riuscita a stare da sola con Nathaniel e questo idiota se lo tiene per sè per due ore a parlare? Non gli viene in mente che forse, e dico forse, anche il resto dei suoi amici vorrebbe chiacchierare con lui? » sbottò Erin, gesticolando animatamente.
« Poi, torniamo a casa e quando gli chiedo cosa avessero di così urgente da discutere se ne esce con un “possibile che tu non sappia mai farti i cazzi tuoi, Travis?”» spiegò in una mal riuscita imitazione del rosso « quanto lo vorrei picchiare quando fa così, Mel! » continuò, sempre più infervorata.
Melanie ascoltava in silenzio quel flusso di coscienza, timorosa di interromperlo.
« Gli avrei voluto ricordare che, se io mi fossi sempre fatta gli affari miei, lui e il biondino non sarebbero tornati amici! Insomma, da lì abbiamo iniziato a discutere e, anche se stavo morendo dalla curiosità, non ho potuto insistere »
« ... anche perchè diciamolo » ridacchiò Melanie « Castiel non ha tutti i torti. I fatti privati sono privati, Erin »
La mora si zittì e arrossì a disagio. Detestava ammetterlo ma Melanie aveva ragione e con lei, anche Castiel. Sbuffò ma si lasciò sfuggire una smorfia complice:
« Lo so... ma c’è modo e modo di dire le cose e lui sceglie sempre il peggiore »
« Però ti piace » convenne la cestista con un sorriso indulgente.
« Però mi piace » le fece coro Erin.
Tornò a guardarlo giocare. Non era vero che a volte dimenticava perchè le piacesse così tanto. Non c’era giorno in cui non lottasse contro la sua mente che le metteva davanti agli occhi ogni singola sciocchezza che in lui diventata irresistibile. Come si grattava il mento quando era sovrappensiero, come si incantasse a guardare fuori dalla finestra e riuscisse ad isolarsi per interminabili minuti da tutto e da tutti. Anche solo come teneva in mano la penna, mentre scriveva i suoi preziosi spartiti era un gesto che agli occhi di Erin appariva intrigante.
Era talmente assorta in quelle immagini che non prestò attenzione a Melanie. La ragazza nel frattempo aveva frugato nello zaino accanto a lei e estratto un iPad.  
« Comunque ho qualcosa per te »
Costretta a destarsi dai suoi dolci pensieri, Erin allungò il collo verso il monitor.
« Volevi delle informazioni su Cosima Manning, no? Questo è tutto quello che mia cugina è riuscita a trovare. Comunque non preoccuparti, ti ho già inoltrato la mail ieri sera con i file »
La mora drizzò la schiena, fremendo dalla curiosità. Sotto i suoi occhi, scorrevano pagine e pagine di giornale in versione PDF. Sembravano articoli molto vecchi che erano stati scansionati al computer.
« Purtroppo questi articoli non sono digitializzati » le lesse nel pensiero Melanie « ma mia cugina è molto meticolosa in queste cose e credo che non le sia sfuggito nulla di particolare. Da internet è risalita ad uno scandalo di parecchi anni fa che vedeva coinvolta quella donna e da lì ha consultato la cronaca locale »
« Impressionante! » squittì Erin « spero che non le abbia portato via troppo tempo »
« Non ti preoccupare. Lei adora svolgere questo tipo di ricerche »
« E’ davvero una benedizione perchè io ed Ambra ci eravamo un po’ arenate. In internet non avevamo trovato neanche un trafiletto. Forse dovevamo insistere di più con la ricerca » farfugliò Erin mentre scorreva febbrilmente le pagine scannerizzate.
« Allora forse qui troverai qualcosa in più » le anticipò Melanie.
Erin stava per esultare, quando la cestista iniziò a riepilogare:
« Sostanzialmente Cosima aveva sposato un certo James Hurst, un deliquente di un ceto sociale più basso del suo e, per questo, malvisto dalla famiglia di lei. Cosima era l’unica erede della fortuna dei Manning i quali erano i leader nel settore del commercio di opere d’arte. Esportavano quadri, statue, opere d’arte di ogni tipo, collaborando con artisti molto quotati all’epoca. Tuttavia, dopo anni di matrimonio apparentemente sereno, Cosima non aveva ancora avuto un figlio e si temevano le sorti dell’impero dei Manning »
« Oddio, così sembra una famiglia dell’Ottocento » la interruppe solenne Erin, troppo eccitata all’idea che quella situazione di stallo si stesse finalmente sbloccando.
« Beh si trattava di un patrimonio ingente » riconobbe Melanie « nel frattempo inoltre cominciarono a girare voci circa una presunta infedeltà di James dalla quale sarebbe nata una figlia »
« Una figlia? »
« Sì, una certa Mackenzie »
Erin assimilò quel nome.  
Jack Hurst, Mackenzie. Era la prima volta che sentiva quei nomi e si sforzò di ricordare se fossero mai stati nominati dalla gemella in passato.  
« E la madre di Mackenzie? »
« Mi pare Diana... o Dianne, non ricordo precisamente » mormorò Melanie, spostando lo sguardo verso l’alto, nello sforzo di rammentare quel dettaglio « comunque potrebbe essermi sfuggito qualcosa di quello che mi ha raccontato mia cugina, per questo ti ho girato tutte le scansioni che ha trovato. Inoltre, credo grazie al tuo amico hacker potresti avere buone chance di accedere all’archivio bibliotecario direttamente da Morristown »
« Sul serio? »
Melanie annuì e continuò a spiegare:
« Non sono un’esperta di informatica ma, a giudicare da quello che mi hai raccontato di questo tuo amico, potrebbe creare un proxy che ti faccia configurare come utente della biblioteca. Così tu accedi da casa tua ma sembra che tu lo faccia dalla biblioteca di Chicago »
Erin cercò di memorizzare quel gergo sconosciuto. Ne avrebbe parlato con Armin, sperando che non le facesse troppe domande e capisse cosa doveva fare. Non poteva pretendere che la cugina investisse ulteriore tempo in quella ricerca bibliografica pertanto, se volevano accertarsi che non le fosse davvero sfuggito nessun articolo rilevante, avrebbe dovuto controllare lei in prima persona:
« Ok, forse non i dettagli ma a grandi linee ho capito l’idea » ammise Erin « quello che mi hai detto è un enorme passo in avanti! » esultò applaudendo felice.  
La cesista però si limitò a sorridere più contenuta, esitando qualche istante prima di domandare:
« Sì ma Erin tutto questo come si collega a tua sorella? »
La mora strinse allora le labbra e guardò un punto indefinito dell’orizzonte:
« Ancora non lo so ma sento di essere sempre più vicina alla verità »

La palla da basket volava da una direzione all’altra, rendendo impossibile intercettarne la traiettoria. Era da più di venti minuti che Jordan era sul campo e aveva collezionato solo tre tiri fallimentari e palle che le erano state rubate facilmente.
« Eddai, Michael, vedi di rendere onore al tuo nome » l’aveva pure derisa Trevor.
La ragazza si chiese per l’ennesima volta quale fosse il suo ruolo all’interno di un gioco in cui il livello generale rasentava l’agonistico. Le avevano detto che stavano giocando solo per scaldarsi ma nessuno dei presenti, specialmente Dajan, Lanier e Castiel sembravano prendere quella partita come un’occasione per rilassarsi.
« Jordan, tua! »
Dajan le aveva appena passato la palla e lei a malapena riusciva a palleggiarla.
Nonostante il moro la incoraggiasse, l’orgoglio di Jordan non la perdonava per essere visibilmente l’elemento più scarso della squadra. A peggiorare la situazione, le battute divertite di Trevor che non capiva quanto la ragazza fosse infastidita e progressivamente sempre più a disagio. Nel palleggiare la palla, quest’ultima le sfuggì di mano e quell’errore fu l’ennesimo pretesto per Trevor per deriderla:
« Jordan, sei proprio disabile! »
Persino Castiel, che quanto a commenti pungenti non era un tipo che si risparmiava, provava pena per quella ragazza così scoordinata e impacciata. Si era addirittura sbilanciato a zittire Trevor, compatendo la situazione della ragazza. Sopraffatta quindi dall’umiliazione, Jordan si lasciò sfuggire un elegante « Vaffanculo! Riscaldamento finito » e abbandonò la partita, sedendosi accigliata a bordo campo.
« Eddai, non fare la permalosa adesso! » l’aveva pure rimproverata colui che le aveva promesso di insegnarle a giocare. Non solo non le aveva spiegato come fare un buon tiro a canestro ma l’aveva pure derisa non appena aveva provato, con molta poca grazia, a lanciare la palla all’interno dell’anello metallico.
Il resto dei cestisti aveva interrotto il gioco e quella reazione la mise ancora più a disagio. Sapeva cosa stavano pensando ma era più forte di lei non riuscire a scherzarci su. Non era permalosa, era stata umiliata.
« Ma voi non avete fame? »
Si voltarono verso il bordo campo dove, seguita a poca distanza da Melanie, era accorsa Erin.
« Perchè non venite a giocare? » le spronò Castiel che per tutto quel tempo aveva puzecchiato Lanier, trovando un avversario così forte che ogni suo muscolo era teso nel desiderio di continuare a sfidarsi.
« Mel, prendi tu il posto di Jordan » le propose Erin « così sono pari. Io non ho voglia oggi... credo mi stia arrivando il ciclo » le bisbigliò.
L’amica annuì solidale e si apprestò a prendere il posto lasciato vacante dalla cameriera, schierandosi quindi contro la sua squadra storica. La mora nel frattempo aveva raggiunto Jordan che si era seduta a pochi metri dal pitturato:
« Quella del ciclo ricordatela come scusa per la prossima volta che non vuoi fare qualcosa » le sorrise Erin, accomodandosi accanto a lei:
Jordan la fissò leggermente sorpresa e poi scosse il capo:
« Guarda Erin che non devi per forza restare qui con me. Potete anche giocare in dispari »
« Sì ma la verità è che non sono un granchè a basket e non è propriamente la mia passione, come lo è per loro »
« Ah no? » s’incuriosì Jordan.
« No affatto. Ho sempre preferito gli sport individuali. Da piccola ho fatto ginnastica artistica e poi sono passata alla danza »
« La pratichi ancora? »
« No, purtroppo ho smesso. Sono due sport in cui l’età pesa moltissimo e io non ci volevo più dedicare tutto il tempo che ci dedicavo da piccola » ammise « tu invece? »
« Sport? Li odio profondamente » commentò sulla difensiva Jordan. Era una delle studentesse peggiori durante l’ora di educazione fisica. Aveva sempre preferito materie in cui fosse richiesto uno sforzo intellettuale, piuttosto che fisico.
« Però mi piace cucinare »
Erin ridacchiò per quell’ammissione e, pur convenendo che non fosse uno sport, assecondò quel cambio di argomento:
« Ah sì? Qual è il tuo piatto forte? »
La conversazione si era instaurata così spontaneamente, che Jordan neanche si accorse della facilità con cui si stava aprendo. Erin era riuscita a trovare la chiave giusta per sbloccare quella serratura e dal tono allegro ed interessato con cui le volgeva quelle domande, la sua interlocutrice si sentiva sempre più incoraggiata alla conversazione.
Mentre le due ragazze erano prese dal loro dialogo, Trevor si distrasse un attimo a guardarle.
Da lontano aveva intercettato una risata da parte di Jordan e si rese conto che era la prima volta che vedeva un’espressione così radiosa sul suo viso. Erin Travis, in pochi minuti di conversazione stava riuscendo dove lui aveva sempre fallito: far aprire Jordan.
« Ehi Trevor! Cazzo guardi, il canestro è là! » l’aveva rimproverato Castiel, accorgendosi della sua distrazione. Il cestista dell’Atlantic High School tornò a concentrarsi sul gioco, scuotendo la testa. Non era la prima volta che le capacità comunicative di Erin avevano il sopravvento sui caratteri più ostili e burberi di sua conoscenza. La invidiava per questo, ma una parte di lui era anche felice che Jordan avesse finalmente trovato qualcuno con cui aprirsi.
In quel frangente, Erin aveva scoperto che Jordan fosse un’appassionata di cucina orientale, cinese e coreana in particolare. Le promise di presentarle Lin, anche se la mora per prima non sapeva quanto il suo rapporto con la ragazza potesse giustificare quel passaggio di consegne. Del resto, Jordan la conosceva appena e Lin non poteva certo definirsi una delle sue amiche più strette anche se nell’ultimo periodo si era molto avvicinata ai suoi amici, con la complicità di Ambra. Oltre ad aver accolto informazioni sulla cucina, Erin aveva anche scoperto che Jordan lavorava per mettere da parte i soldi per pagarsi un corso di cucina. Ciò che tuttavia colpì Erin più di ogni altro aspetto della sua interlocutrice, fu la sua smodata passione per i libri. Jordan conosceva ogni autore, contemporaneo o del passato e, appena Erin le aveva dato qualche input, era irrefrenabile nelle sue analisi critiche.
« Sai Jordan, nella mia vecchia scuola amavo letteratura inglese. Poi nel liceo qui a Morristown ho beccato un prof che me l’ha fatta odiare... ma sentendoti parlare mi è tornata la voglia di leggere! » aveva ammesso, facendola sorridere lusingata.  
« Qual è l’ultimo libro che hai letto? » domandò la cameriera.
« Ammetto di aver un po’ trascurato i libri ultimamente » ammise Erin, grattandosi la nuca « però qualche mese fa ho finito la Casa del sonno »
« Jonathan Coe, giusto? Ti è piaciuto? »
« Sì anche se il finale è stato un po’...wow »
« Allora leggiti anche la famiglia Winshaw. Secondo me è il suo libro migliore » le raccomandò Jordan.
Restare lì a parlare di quell’interesse comune, le aveva fatto scordare il malumore e la brutta figura di poco prima.
Finalmente, doveva riconoscerlo, l’idea di aver accettato quell’invito ad uscire non le dispiaceva più così tanto.
 
Quando Rosalya l’aveva chiamato per una giornata di shopping, Alexy aveva proiettato nella sua mente una mappa mentale di tutti i negozi che avrebbero dovuto setacciare. Con l’amica finiva sempre per litigare su quale acquisto dovesse avere la precedenza o viceversa, quali delle loro molteplici commissioni dovevano sacrificare per mancanza di tempo o energie.
« Non dimenticarti di passare al negozio del thè » si era ripetuto più volte prima di uscire di casa.
Eppure, quella volta la sua oculata pianificazione del tempo si rivelò inutile. Anzichè distrarlo con continue richieste di negozi in cui dovevano assolutamente fare un salto, Rosalya lo seguiva docilmente, qualsiasi proposta Alexy avanzasse. In un primo momento esultò perchè quella libertà gli permettava di godersi la compagnia dell’amica, senza però sacrificare i suoi piani di shopping. Poi però si rese conto che quell’atteggiamento così estreneo alla personalità dell’amica lo metteva a disagio. Era ormai arrivato al punto di rimpiangere le loro lotte e discussioni in cui il vincitore guadaganva il diritto di scegliere la destinazione:
« Che ti succede, Rosa? » sbottò d’un tratto.
Si erano seduti al cafè del centro commerciale ma, mentre Alexy aveva ordinato un doppio bacon cheeseburger, Rosalya si limitava a sorseggiare lentamente un frullato alla banana.
« Si vede tanto? » sussurrò lei.
« Beh, direi » esalò Alexy « anzichè lamentarti perchè non siamo ancora stati da Victoria’s Secret mi hai seguito dentro il negozio di ferramenta! »
« Infatti non ho ancora capito che cosa dovessi comprare là » osservò lei dubbiosa.
« Ma ti pare che io devo comprare qualcosa là? Era giusto per provocare una tua reazione! » le confessò il ragazzo « invece niente. Te ne stai lì svogliata a guardare tutto con disinteresse. Si può sapere allora perchè volevi uscire? » puntualizzò lui.
Il via vai di gente del sabato forniva un buon diversivo sulla quale saltuariamente Rosalya posava lo sguardo per non tenere gli occhi fissi sul suo interlocutore.
« Per distrarmi un po’... »
« Da cosa? » la incalzò Alexy.
La ragazza fece spallucce e iniziò a giocherellare con il tovagliolo di carta, piegandolo come fosse carta da origami.
L’amico capì allora che se da un lato lei aveva bisogno di uscire e sfogarsi, dall’altro avrebbe dovuto pazientare e lasciarle il tempo di formulare i pensieri che la assillavano:
« Non trovi che Nathaniel fosse strano ieri? »
Il ragazzo ci mise un po’ a metabolizzare quell’informazione ma poi ammise:
« Beh, non ci ho parlato molto però anche a me ha dato una strana impressione » convenne il ragazzo.
Il biondo si era praticamente isolato dalla festa, ammettendo Castiel come unica compagnia. Che quei due avessero sempre avuto un rapporto esclusivo era indiscutibile, ma non per questo Nathaniel aveva mai trascurato così tanto il resto degli amici.
« Vedi? Secondo te perchè? » incalzò allora la stilista.
« Non lo so Rosa, penso che fosse estremamente disorientato perchè stanco morto dal viaggio e per di più febbricitante... » argomentò il ragazzo, recuperando l’ultima patatina fritta dal fondo del contenitore di carta.
Rosalya si abbandonò contro lo schienale della sedia e scosse il capo poco convinta:
« Inizialmente l’ho pensato anche io ma... tu la tua ragazza la cerchi anche quando sei stanco o stai male, Alexy. Lui invece mi ha proprio evitata »
« Ma che melodrammatica, Rosa! » ridacchiò il ragazzo « tu sei solo gelosa perchè ha parlato con Castiel tutta la sera! »
« E ti pare poco? » sbottò lei con grinta.
« Così mi piaci » sogghignò l’amico « incazzata e combativa »
Rosalya si ricompose, sorridendogli timidamente.
Forse Alexy aveva ragione e stava solo esagerando. Per il fatto che quella sera avesse preferito la compagnia di Castiel alla sua, poteva provare a capirlo. Quei due avevano recuperato da pochi mesi il loro prezioso rapporto fraterno e più che arrabbiarsi, doveva imparare a conviverci. Del resto, anche lei amava passare ore intere a chiacchierare con Erin. Inoltre valutò che forse era proprio Castiel che aveva bisogno di confidargli qualcosa e quel pensiero, la rasserenò. Sperò con tutto il cuore che il musicista si fosse deciso a scendere a patti con i suoi sentimenti per l’amica e che ne avesse parlato con il suo ragazzo. Quell’eventualità poteva giustificare perchè Nathaniel si fosse rifiutato di interrompere la loro conversazione e in quel caso, non solo l’avrebbe giustificato, ma l’avrebbe pure incoraggiato.
Confortata da quell’ultima deduzione, sorrise più convinta verso Alexy che nel frattempo esclamò:
« Sono sicuro che quando stasera ti presenterai da lui con quei buonissimi biscotti che mi hai fatto l’altra volta, si rimetterà in un baleno! »
 
Per pranzo, il gruppo di cestisti si era riunito in un locale appena fuori dal parco. Avevano optato per un pub in stile irlandese, con ampie tavolate in legno massiccio. Nell’attesa di essere serviti, gli argomenti di conversazione si erano susseguiti ad un ritmo frenetico, troppo elevato affinchè Jordan potesse starne al passo. Basket, Atlantic, Boris, torneo, risultati dell’ultima partita. Ogni volta che era pronta ad intervenire con una domanda o un commento, l’argomento era già superato e lei rimaneva con un’espressione appesa. Non poteva neanche intervenire in merito alla partita giocata quella stessa mattina, dal momento che lei vi aveva preso parte per appena venti minuti. Quest’ultima si era conclusa con la vittoria dell’Atlantic anche se tra Lanier e Castiel era ancora accesa una discussione circa un fallo commesso da quest’ultimo.
« Sono un po’ fissati con il basket, ma non sono male » le sussurrò Erin, intercettando l’espressione annoiata della ragazza.
« Dici? » replicò l’altra senza un minimo di convinzione.
« Beh, considera che quando abbiamo affrontato i ragazzi, la competizione era alle stelle. E’ stata la partita più bella di tutto il torneo »
« Avete vinto? »
Erin ridacchiò e guardando Melanie che era seduta davanti a lei, precisò l’esito di quella giornata.
« Se ci pensate è assurdo essere seduti qui a chiacchierare con la tensione che c’era in campo quel giorno » osservò poi Charlie. Purtroppo per Jordan, anche nel gruppo di ragazze si instaurò una conversazione in cui le era difficile inserirsi. Non solo era l’unica a non aver preso parte a quell’evento, ma era assolutamente digiuna di basket.
Controllò l’ora e si chiese se, dopo pranzo, potesse dileguarsi con una scusa. Il nervosismo le stava mettendo addosso una voglia irrefrenabile di fumare ma purtroppo per lei, aveva scordato il tabacco a casa. Provò a cercarlo con poche speranze dentro la borsa ma trovò solo un accendino che per altro era pure scarico. Quella ricerca non passò inosservata a uno dei pochi fumatori del gruppo che la chiamò:
« Vuoi fumare, Jordan? »
Sollevò lo sguardo e notò il ragazzo che sventolava quello che a lei sembrò il Santo Graal. Un porta tabacco.
« Sì, ti prego » lo supplicò. Il rosso sorrise e, facendosi strada tra gli amici, uscirono insieme.
Per la seconda volta, Trevor si sorprese a osservare in silenzio la facilità con cui uno dei suoi amici riusciva non solo a creare un legame con Jordan ma a farlo in modo del tutto naturale, senza sarcasmo o frecciatine che innescassero una risposta piccata. Del resto, per quanto Castiel fosse una persona dall’apparenza scorbutica e indisponente, come Erin aveva un talento naturale nell’avvicinare le persone. Li odiò un po’ ma, ancora una volta, ammise che poteva solo che essere felice per Jordan se i suoi amici le davano corda senza che lui facesse da intermediario.
Una volta all’aria aperta, Jordan inspirò a pieni polmoni:
« Grazie Castiel, ci voleva proprio »
« Figurati » borbottò lui, passandole la prima sigaretta che aveva rollato apposta per lei.
« Quando ti parte lo schizzo di fumare e non hai il tabacco dietro è davvero snervante » aggiunse.
« Già, anche se onestamente sto cercando di limitarmi »
« Devo ritrattare l’offerta? » la punzecchiò lui.
« No, no! »
Castiel sorrise divertito e mentre si accendeva il proprio cilindro di tabacco, Jordan domandò:
« Posso chiederti una cosa? »
Lui non replicò ma si limitò ad una scrollata di spalle che equivaleva ad un via libera:
« Ma se in qualche modo Erin riuscisse a pagarsi la retta della scuola per il prossimo anno, non potrebbe venire a stare da te? »
Il ragazzo in tutta risposta sgranò gli occhi sorpreso e Jordan giurò di averlo pure visto arrossire:
« Ma come ti viene in mente? »
« Beh, magari siete un po’ giovani ma siete comunque maggiorenni. Ci sono coppie che vanno già a convivere alla vostra età »
« Non siamo una coppia » borbottò Castiel con la sigaretta tra le labbra.
« Ah no? » replicò Jordan sconvolta.
Il suo viso era talmente deformato dallo stupore che il ragazzo non sapeva come ribattere:
« Non lo so ma... c’è chimica tra di voi » tentò di argomentare la ragazza.
« Quella si chiama amicizia » sorrise stizzito il ragazzo.
Trovava assurdo che pure quella ragazza che lo conosceva appena avesse una simile opinione su di loro. Presumibilmente si era tradito nel modo in cui talvolta si perdeva a guardare Erin ma ci pensò Jordan a chiarire il suo punto di vista:
« Sarà... » parlottò la ragazza con scarsa convinzione « è solo che l’ho vista spesso guardarti e sorridere... così... alla cazzo » precisò, incurante dell’effetto che quelle parole potessero sortire.
Quell’informazione infatti venne recepita dal ragazzo come un complicatissimo quesito di algebra.
Scrutò Jordan e cercò di decifrare se ci fosse lo scherno nel suo sguardo. La ragazza però lo fissava tranquilla, ignara della tempesta di domande che aveva appena scatenato in lui.
« Tu dici? » le disse infine, con tono dubbioso.
« Ti sta guardando pure adesso » commentò candidamente Jordan, piegando il capo verso l’interno del locale.
Spiazzato da quell’informazione il rosso si girò di scatto e vide Erin sgranare gli occhi e distogliere fugacamente lo sguardo. Il ragazzo però esitò qualche secondo prima di rivolgere nuovamente la sua attenzione all’interlocutrice, secondo che le bastò a provare del nervosismo.
Forse aveva parlato troppo e si stava immischiando in questioni che non la riguardavano. Seppure fiduciosa nel suo istinto, doveva considerare che magari Erin non volesse condividere i suoi sentimenti o, per lo meno, farli sapere al ragazzo.
« Beh, mi potrei sbagliare » ridimensionò, presa dall’agitazione « del resto vi conosco poco »
Castiel finalmente distese l’espressione confusa del suo viso e convenne con un laconico:
« Già »
 
Mentre i due si intrattenevano a chiacchierare, Erin faticava a seguire il resto della conversazione. L’aveva sorpresa la naturalezza con cui Castiel aveva invitato Jordan a seguirlo ma il suo animo buono le ricordava che quella ragazza si era sentita emarginata per tutta la mattina.
A volte si scopriva disorientata dagli atteggiamenti del Castiel post Berlino perchè sembravano incompatibili con la versione più scontrosa e antipatica che aveva conosciuto ad Ottobre. Il Castiel dello scorso autunno era un ragazzo piuttosto solitario, che prediligeva la compagnia di pochi amici accuratamente selezionati e non aveva mai fatto grandi sforzi per essere cordiale con chi non aveva l’onore di entrare nella sua cerchia. Dopo l’esperienza della Germania però, si era dimostrato una persona più matura e premurosa verso gli altri. Era diventato amico dei suoi compagni di squadra, aveva appianato i rapporti conflittuali con i suoi genitori e aveva conquistato l’affetto di nuove amicizie, prime tra tutte qualla con i Tenia. Con lei stessa era diventato un po’ meno sarcastico, tradendo dei momenti di dolcezza e premura nei suoi riguardi, come quando l’aveva portata sul terrazzo delle Twin Towers.
« Castiel è stato carino a invitare Jordan » stava osservando Charlie, intercettando l’interesse di Erin.
Era esattamente in quel momento che il rosso si era voltato verso l’interno del locale, prendendola in contropiede.  Lei aveva distolto velocemente lo sguardo e si era ricollegata a seguire il discorso delle due ragazze sedute davanti a lei:
« Sì, infatti è un po’ insolito da parte sua » mormorò sovrappensiero. Le era davvero difficile accettare quanto fosse cambiato in positivo.
« Beh, era insolito una volta » s’intromise Dajan, origliando i loro discorsi « negli ultimi mesi lo trovo cambiato. Sembra più sereno »
« E secondo te di chi è il merito? » lo istigò Trevor, guardando Erin di soppiatto. Lui e Dajan avevano già affrontato quel discorso in passato e non perdeva occasione per dimostrargli di avere ragione:
« Penso del decollo della sua carriera come compositore » commentò Dajan, con un sorriso sardonico. Ormai aveva capito perfettamente le intenzioni di Trevor ma non voleva unirsi al suo tentativo di tormentare Erin. Era ammirato dalla lungimiranza dell’amico che da mesi aveva intuito l’interesse dell’ex capitano di basket per la loro tweener.
« Non capisci un cazzo » gli aveva risposto Trevor deluso « però mi chiedo perchè sono l’unico che non riesce a parlare normalmente con Jordan. Con voi va d’accordo! » sbottò con tono accusatorio, rivolgendosi in particolare ad Erin.
« Se la smettessi di prenderla in giro, Trevor, magari Jordan non ti risponderebbe sempre piccata » osservò sagacemente la ragazza, sorseggiando la bibita davanti a lei.
« Ma io lo faccio per spronarla »
« Spronarla a fare che? » lo incalzò Erin.
« Che si faccia degli amici. Io ve lo dico: quella ragazza è sola come un cane! »
Calò il silenzio e Trevor notò che tutti i suoi amici seduti davanti a lui, avevano alzato lo sguardo sopra la sua testa, ammutolendo:
« Io non ti ho mai chiesto nulla, idiota » sibilò Jordan.
Quelle parole le erano uscite taglienti come lame di un rasoio e fecero scendere un profondo imbarazzo tra i presenti. Chi più di tutti doveva sentirsi in colpa però, trovò il coraggio di scattare sulla difensiva:
« Questo non vuol dire che tu non ne abbia bisogno » replicò Trevor asciutto.
Arrivò un cameriere per prendere le loro ordinazioni del cibo ma prima che potesse appuntare qualcosa sul suo tablet, Jordan aveva afferrato la borsa e sistemata malamente sulla spalla:
« Non ho fame » dichiarò « ragazzi, grazie per la giornata, è stato bello passare la mattina con voi » e squadrando Trevor precisò « ... ma con te no »
« Jordan, aspetta » cercò di chiamarla Erin ma era bloccata da una fila di sedie da entrambe i lati per poter uscire agilmente. La mora allora guardò Castiel che era ancora in piedi ma lui sollevò le braccia. Era l’ultima persona che avrebbe costretto Jordan a mettere da parte l’orgoglio.
« Lasciala andare, Cip » le disse semplicemente, riprendendo il suo posto a tavola « se uno ha le palle girate, meglio lasciarlo in pace ».
« Dovresti andarci a parlare tu, Trevor » lo esortò Dajan, guardandolo gravemente.
« Scusate ragazzi, volete che torni dopo? » titubò l’impacciato cameriere in difficoltà.
« No, ordiniamo » dichiarò Trevor seccato ignorando l’esortazione del suo capitano.
Anche se Dajan e Castiel lo conoscevano da anni, era la prima volta che un’espressione così indecifrabile compariva sul volto del cestista più spontaneo e allegro della squadra.
 
L’uscita di scena di Jordan aveva fatto calare un iniziale disagio ma almeno, aveva fornito un argomento di conversazione comune tra i presenti. I cestisti della Saint Mary aveva iniziato a chiedere in quali rapporti fosse con il resto dei presenti, scoprendo che era proprio Trevor il suo contatto più stretto.
« A me è sembrata solo un po’ timida nel relazionarsi con persone nuove » spiegò Charlie « poi neanche io sono una persona particolarmente estroversa »
« Secondo me bisognerebbe imparare a lasciare alle persone il proprio spazio » aggiunse Erin ma quel commento scatenò la risata esasperata di Castiel:
« Proprio tu parli? Che ti impicci continuamente e vuoi parlare con tutti? »
« Io invado lo spazio in modo molto cauto, Cas » convenne Erin « lascio che siano gli altri ad aprirsi piano piano »
L’amico la fissò con un’occhiata eloquente, quasi a ricordarle quante pressioni avesse subito in passato per estrapolargli il motivo della lite con Nathaniel. Come se gli avesse letto nel pensiero, la ragazza ridacchiò e ammise:
« ... magari all’occorrenza vale la pena forzare un po’ le cose. Il fine giustifica i mezzi »
« Non ti facevo così invadente, Erin » commentò Melanie, mentre la mora trasaliva.
« Come invadente? Come ti permetti! » rise.
« Beh, non mi sorprende » intervenne Isiah « sul campo eri quella che faceva più confusione »
A quell’ilarità generale non si unì quella di Trevor che aveva sorriso appena. Il cestista si era appartato da quei discorsi, rimurginando sull’accaduto. Pensava di aver trovato in Jordan una nuova Kim, una possibile migliore amica con cui ricostruire il rapporto che andava via via indebolendosi con la velocista, troppo presa dalla sua relazione con Dajan. Kim gli permetteva di essere pungente e prenderla in giro per la sua poca grazia e totale mancanza di femminilità. Jordan invece era una ragazza permalosa e che non sapeva stare allo scherzo. Quando l’aveva conosciuta, aveva pensato di aver trovato la degna sostituta o, se non altro, un piccolo esperimento sociale sul quale esercitare la sua influenza nei rapporti interpersonali. Jordan invece continuava a chiudersi a riccio e scagliargli contro i suoi aculei ogni qualvolta cercava la sua complicità.
Quel silenzio non sfuggì a Dajan che tuttavia, si limitò a prendere atto di quanto l’amico fosse stranamente riflessivo.  

Anche se non amava farsene vanto, era indubbio che certi agi concessi dal benessere economico della sua famiglia gli erano mancati. Avere un’intera abitazione a sua disposizione aveva impattato positivamente sulla sua psiche, libera di riflettere sugli eventi degli ultimi giorni. La bugia regalatagli da Castiel gli avrebbe concesso qualche giorno di pausa da Rosalya, necessario per far ordine in testa.
Suo malgrado però, sembrava lontano dal raggiungere la conclusione sperata. Aveva trascorso quel sabato mattina dedicandosi alla lettura ma aveva dovuto accantonare quell’hobby dopo appena un’ora in cui si era reso conto di aver solo sfogliato delle pagine.
Aveva provato poi ad allenarsi, cercando di sfogare nell’attività fisica tutta la tensione che si era accumulata. L’esercizio gli era sicuramente stato d’aiuto, così come la doccia rigenerante che ne era seguita.
Uscì in giardino e ammirò il sole che ormai era in procinto di tramontare. Mentre dei caldi raggi gli scaldavano il viso, tornò a pensare alla California e al pezzo di cuore che aveva abbandonato lì.
Sophia era sparita, non l’aveva cercato ma nonostante questo, non riusciva a non pensarla. Nessuna era mai riuscita ad oscurare così quello che provava per Rosalya. Gli aveva incasinato la vita per poi lavarsene le mani. Lui però non riusciva a darsi pace. Più passavano le ore e più sentiva che l’amore per Rosalya veniva soverchiato da uno schiacciante senso di colpa mentre i suoi sentimenti per Sophia si autoalimentavano, nutrendosi dei suoi ricordi.
Non avrebbe potuto ignorare la sua ragazza ancora a lungo. Poteva temporeggiare sul dirle del tradimento, ma aveva bisogno di prendere tempo. Non sapeva se sarebbe bastato a dimenticare Sophia e scoprire dei nuovi sentimenti per Rosalya, più vigorosi e forti di quelli che aveva calpestato brutalmente appena due giorni prima.
Se solo Sophia l’avesse voluto. Si chiese se in quel caso, la sua decisione sarebbe stata diversa e, dopo averci rifletutto attentamente, la risposta non lo sorprese.  
Sì.
In quella circostanza non avrebbe avuto senso torturare Rosalya con una pausa di riflessione nell’attesa di una scelta che il suo cuore aveva già intrapreso.
Cercò il cellulare e, vincendo la repulsione che provava per se stesso, scrisse:
“ A prescindere da quello che ci siamo detti, rimani l’errore più giusto che abbia mai fatto... voglio te e nessun’altra, Sophia ”.

Dopo essersi allontananta dal ristorante, Jordan si era recata alla fermata dell’autobus più vicina. Lo stomaco aveva brontolato per la fame ma il suo nervosismo le imponeva di scappare il più lontano possibile da quel posto prima di poterlo assecondare.
Si era sentita così umiliata da Trevor.
Per quanto lui la facesse irritare, pensava che in qualche modo trovasse piacevole la sua compagnia e invece l’aver realizzato che lei era solo un caso umano che lo stuzzicava, la faceva sentire estremamente vulnerabile. Era vero che non gli aveva mai chiesto nulla ma non per questo Trevor aveva tutti i torti. Le mancava avere delle amicizie, specie tra le ragazze, poichè nella sua classe non era riuscita a instaurare legami particolarmente solidi. Andava più o meno d’accordo con tutti ma si era costruita una certa fama di una persona sicura di sè e snob, dopo i numerosi rifiuti e inviti che aveva dovuto declinare da parte di alcuni ragazzi che le si dichiaravano. Quelle attenzioni la mettevano a disagio e finiva per liquidare i sentimenti che le venivano esposti con poco tacco e sensibilità. Era più forte di lei reagire in quel modo ma il risultato era quello di una personalità piuttosto schiva e solitaria.
A darle ancora più fastidio era il fatto che in parte Trevor avesse pure avuto una bella idea a inserirla in quell’uscita tra amici. Prima con Erin e poi con Castiel, era riuscita a instaurare un dialogo e si sarebbe mangiata le unghie dei piedi se la scenata che ne era seguita li avrebbe allontanati da lei.
Quella coppia-non coppia le piaceva molto e se avesse avuto un’altra occasione, ne avrebbe approfittato per scambiare chiacchierare ancora con loro, specialmente con la mora. Dai due si era sentita accettata e non giudicata per i suoi modi troppo schietti e talvolta inappropriati.
Prima di tornare a casa aveva deciso di passare per il parco vicino alla sua scuola, un posto generalmente poco frequentato. Per l’appunto, notò solo l’abitudinaria anziana signora che nutriva le paperelle del laghetto artificiale e proseguì con la sua passeggiata. Nel silenzio generale che la avvolgeva, ad un certo punto distinse un suono che quella mattina le era diventato fin troppo familiare: una palla da basket sbattuta contro un pavimento duro. Cercò la fonte di quel rumore e individuò un ragazzo vicino ad uno dei canestri del campetto da basket. Le dava le spalle, quindi non poteva accorgersi di aver calamitato l’interesse della ragazza. Il cestista inoltre, era concentrato a ripetere una serie di tiri con l’intento di centrare il canestro.
Incuriosita, Jordan iniziò ad avvicinarsi, senza staccare gli occhi di dosso dalle mani dell’atleta. Durante la partita di quel giorno non aveva potuto studiare la meccanica del tiro, lezione che per altro, Trevor le aveva promesso. Una volta sul campo la frenesia della partita aveva preso il sopravvento e una smarrita Jordan si era trovata ad improvvisare uno stile di gioco di uno sport di cui non conosceva neanche i rudimenti. Tuttavia, osservando quel ragazzo che si allenava in solitario, notò che stava eseguendo dei movimenti talmente lenti e controllati, che le permettevano di sezionarli uno alla volta, scomponendoli in singole azioni. Studiò la posizione delle sue mani che tenevano salda la sfera sopra la sua testa e controllò come fletteva le braccia. La palla riceveva così una spinta che la indirizzava al centro perfetto del canestro.
Lo sport non le piaceva ma se c’era una cosa che Jordan adorava era imparare cose nuove. La sua mente era estremamente recettiva e nella semplicità di quelle azioni, desiderò acquisire la stessa dimestichezza ed eleganza di quel ragazzo. Lui faceva sembrare facile un’azione che quella stessa mattina, eseguita da Trevor e i suoi amici, le sembrava impossibile.
Continuò ad incedere, rapita da quei movimenti ma non si accorse della recinzione metallica che costituiva una barriera tra lei e il campo di gioco. Finì quindi per urtare contro la rete, facendo sobbalzare l’assorto cestista.
Quest’ultimo si voltò, mentre la palla che aveva già abbandonato la sua presa finiva ancora una volta al centro del canestro. Il ragazzo era molto alto, con dei simpatici ricciolini che sembravano vittima di un recente taglio sbagliato.  
Si fissarono per un attimo, reciprocamente confusi dalla familiarità dei loro visi. Forse quel ragazzo si era presentato nel locale in cui lavorava ma vedeva così tanta gente di passaggio che non ne era sicura.
« Ciao » le disse lui, indeciso sul da farsi.
« S-scusa, non volevo distrarti » borbottò Jordan, arretrando di qualche passo e strofinandosi il naso. Sperò che la sua figuraccia fosse passata inosservata e infatti il cestista la tranquillizò:
« Non preoccuparti. Stavo solo facendo dei tiri a caso »
« Beh, per farli a caso sei bravo » replicò Jordan leggermente accigliata « io non sono mai riuscita a centrare un canestro in vita mia »
Ricordò ancora una volta Trevor e le sue continue prese in giro durante l’amichevole di basket di quel giorno. La sua esperienza con quello sport era limitata a quella giornata appena conclusasi.
« Vuoi che ti mostri come si fa? »
Tornò a fissare il ragazzo sconosciuto e trovò due iridi color cioccolato che la fissavano incoraggianti « magari non sarò un grande maestro... »
« Va bene » acconsentì lei, sentendosi improvvisamente temeraria. Quell’offerta così cordiale l’aveva fatta gioire interiormente al pensiero che, forse, alla prossima occasione avrebbe fornito a Trevor un pretesto per starsene zitto.
Superò la recinzione e si avvicinò al canestro.
« Guarda che sono una vera schiappa » lo ammonì.
« Intanto fammi vedere come lanci » le sorrise lui, passandole la palla.
Nel vedere la poca grazia con cui lei afferrava la palla e se la portava al petto, la interruppe:
« Aspetta, meglio se prima ti mostro come la devi tenere in effetti » le spiegò indulgente.
Si avvicinò a lei, con un sorriso caldo e paziente ma quel movimento la irrigidì. Si pentì di aver accettato quella proposta, immaginando che quel ragazzo ne avrebbe approfittato per toccarla con la scusa di correggere la posizione di tiro. Il cestista però si fece riconsegnare la palla e si mise in posa, invitandola a osservarlo con attenzione:
« Questa è la posizione di base. Vedi come sono flesse le braccia? La palla rimane sopra la testa, in questo modo... »
Mentre l’insegnante le illustrava ogni dettaglio della meccanica di tiro, Jordan si sentì non solo sollevata ma anche deliziata da quell’approccio così paziente e rispettoso. Ultimata la spiegazione, lui la invitò a emulare la posa e, quando finalmente Jordan lanciò la palla, questa toccò il ferro.
« Ha toccato il ferro! » esultò felice. Lui la fissò perplesso e riconobbe:
« Non voglio smorzare il tuo entusiasmo ma in teoria dovrebbe centrare il canestro » ridacchiò divertito. Non c’era sarcasmo nella sua voce e questo la spinse, per una volta, a non scattare subito sulla difensiva.
« Non ci sono mai andata così vicina! » esultò soddisfatta.
« Allora è un bel passo in avanti! » si decise ad incoraggiarla « non era male come tiro. Adesso prova a mirare ad uno degli angoli del rettangolo interno » la consigliò.
Jordan eseguì quelle istruzioni alla lettera e, non appena la palla cadde all’interno della rete, saltellò leggermente:
« Ce l’ho fatta! »
Il cestista recuperò la palla caduta a terra, sorridendo per l’entusiasmo un po’ infantile della sconosciuta.
« Grazie mille per la lezione... » e si rese conto che ancora non conosceva il suo nome:
« Scusami, non mi sono ancora presentata. Mi chiamo Jordan »
« Bel nome per una ragazza conosciuta giocando a basket » ridacchiò l’altro, portando la palla sotto l’avambraccio.
Le allungò la mano e, fissandola negli occhi con un sorriso amichevole si presentò:
« Io invece sono Wesley... ma tutti mi chiamano Wes »
 
Il sole stava tramontando quando la comitiva si separò.
I cestisti della Saint Mary dovevano raggiungere New York ma lo fecero con la promessa di rivedersi alla prima occasione. Potersi confrontare una seconda volta aveva riacceso la fiamma della gara anche se l’ambiente competitivo del torneo aveva avuto sicuramente un impatto maggiore sulla rivalità tra le due squadre. Castiel si considerava comunque soddisfatto di essersi misurato con atleti del calibro di Julius Lanier e Isiah Reed, ammettendo che in quanto a talento nel basket, gli erano superiori. Non per questo si era lasciato abbattere. Sfidare avversari più forti di lui aveva sempre un effetto adrenalinico sul suo umore.
Quella soddisfazione si rifletteva anche nel suo capitano, Dajan, che salendo in macchina sorrideva tra sè e sè, assaporando il giorno in cui, in fazioni diverse, lui e Julius si sarebbero affrontati da professionisti. Erin invece era distratta dai suoi pensieri, poichè non aveva ancora avuto l’occasione di confrontarsi con l’amico musicista in merito alle ultime notizie fornite da Melanie.
Per sua fortuna, seduto sui sedili posteriori accanto a lei, c’era uno stranamente silenzioso Trevor. L’insolita apatia del cestista le permetteva di concentrarsi sulle sue riflessioni al punto da ignorare quanto fosse inusuale quel comportamento. Se non altro, Rosalya l’aveva invitata a dormire da lei.
Quella sarebbe stata la prima volta che la ragazza avrebbe messo piede in casa White. Avrebbe condiviso con lei le scoperte di Melanie e magari, avrebbero trascorso la serata al computer a cercare ulteriori notizie di Jack Hurst o della sua misteriosa amante.
« Devo lasciarti direttamente a casa di Rosalya, giusto? » le chiese Dajan, destandola dai suoi pensieri. Prima che Erin potesse confermare quella richiesta, intervenne Castiel:
« Così ti tocca passare per il centro. Se passi per l’incrocio dell’ospedale scendo anche io e la accompagno. Casa mia è di strada »
Il sollievo dell’autista per quella proposta fu duplice: da un lato si risparmiava il traffico del centro città e dall’altro aveva l’occasione per restare da solo con il solitario Trevor. Annuì convinto e si apprestò a seguire le indicazioni del ragazzo seduto accanto a lui.
 
Nathaniel aprì gli occhi. Sopra di lui, un cielo scuro aveva preso il posto del tramonto romantico che aveva fatto da sfondo ai suoi pensieri. Le prime stelle avevano fatto capolino, macchiando con la loro flebile luce il manto nero del cielo.
Aveva perso la cognizione del tempo, addormentandosi su una poltroncina appena fuori dalla depandance.
Controllò pigramente il cellulare e realizzò che era quasi ora di cena.
Rimpianse di non aver attivato la conferma di lettura e si chiese se Sophia avesse letto il messaggio invitatole qualche ora prima.  
Era intontito dal sonno e anche leggermente infreddolito per essersi appisolato all’esterno. I pensieri che da ore non gli dvano tregua lo stavano sfinendo internamente.   
Inspirò rassegnato, trovando la forza di alzarsi dal comodo giaciglio.
Stava per rientrare nella depandance, quando una voce lo chiamò alle spalle:
« Nathaniel... »
Una scarica elettrica lo attraversò da parte a parte, poichè era impossibile non riconoscere in quelle poche sillabe quel timbro che si era ormai impresso a fuoco nella sua mente.
Il suo nome era stato pronunciato con una tale insensità che non poteva confonderlo nemmeno con quello di Erin.
Si voltò di scatto e la vide.
Sophia era lì, davanti a lui.
 
« Quindi Rosalya passa prima da Nathaniel a portargli dei biscotti? » stava riepilogando Castiel, affossando le mani nella tasca del giubbotto.
Cogliendo il tono di biasimo, Erin si accigliò e ribattè piccata:
« Qualcosa in contrario, Black? »
Seguendo le istruzioni dell’amico, Dajan gli aveva mollati poco lontano da casa di Rosalya concedendo così alla coppia l’occasione per confrontarsi sugli eventi della giornata. Erin trepidava all’idea di convidividere con Castiel le ultime informazioni acquisite da Melanie ma il ragazzo sembrava interessato principalmente ai progetti serali di Rosalya.
« C’è che Nathaniel sta male, Travis » le ricordò, continuando a camminare sull’orlo del marciapiede « non può lasciarlo tranquillo per qualche giorno? »
« Ma è la sua ragazza! E poi passa solo a portargli dei biscotti, dormo io da lei poi »
Castiel però non solo non le concesse la legittimità di quella pianificazione ma aveva aggrottato le sopraciglia in segno di scetticismo. Quell’espressione finì allora per irritare ancora di più Erin:
« Tu mi stai nascondendo qualcosa! » sbottò, parandosi davanti a lui, con le mani sui fianchi. Lo fissava dritto negli occhi con aria di sfida, determinata a estrapolargli quelle informazioni che si ostinava a celare:
Il rosso si scaldò a sua volta e scattò:
« Smettila con questa storia, Erin »
La risposta però sortì un effetto insperato nella ragazza che, anzichè irritarsi ulteriomente, si lasciò scappare un adoraile sorrisino malizioso:
« Che hai ora? » le chiese confuso, superandola e continuando a camminare. Lei tornò ad affiancarsi a lui e guardandolo con la coda dell’occhio, ammise:
« Visto che raramente ti rivolgi a me con appellativi diversi da Cip, Travis, scema, mi lusinga sempre sentirmi chiamare per nome »
« Non dimenticare idiota » ghignò lui.
Fu immensamente sollevato che la discussione tra di loro avesse preso una nuova piega e che la ragazza avesse accantonato la propria curiosità. Da parte sua, anche se erano passate appena ventiquattr’ore da quando Nathaniel gli aveva confessato il suo segreto, sentiva che sarebbe stato davvero difficile tenerlo al sicuro.
 
L’aveva salutata meno di quarantottore prima, lasciandola dall’altra parte del paese.
Ora lei però era lì, a Morristown.  
A casa sua.  
Di fronte a lui. Era una visione surreale.
Sophia portava un capiente borsone a tracolla e si era trascinata appresso un’ingombrante valigia.
« Ho dato fondo ai miei risparmi e ho preso il primo aereo... » aveva iniziato a dire ma lui non le lasciò il tempo di parlare.  
Colmò la distanza che li separava e la strinsè a sè con un vigore ai limiti del dolore.  
Lei rispose a quella stretta, aggrappandosi alla maglia del ragazzo come se fosse sull’orlo di un precipizio e affossò la testa nel suo petto.
« Avevo paura di averti persa una seconda volta » le sussurrò senza sciogliere la stretta.
Il suo arrivo all’improvviso era un gesto così inaspettato che annientava la brutalità delle ultime parole che gli aveva rivolto.  Non c’era nessun motivo per cui lei dovesse presentarsi con quell’urgenza a Morristown se il suo intento era solo avere una conversazione.
« Non voglio più scappare » mormorò la ragazza, senza sciogliere quell’abbraccio che, non solo la confortava, ma le risparmiava l’imbarazzo di fargli leggere quanto fosse vulnerabile in quel momento.
« Affronteremo insieme questa cosa » aveva aggiunto.
Quelle poche parole colmarono l’enorme squarcio che aveva svuotato l’animo di Nathaniel. Improvissamente sentiva che la sua paura per il futuro veniva ridimensionata dalla consapevolezza di non essere più solo.
Con Sophia al suo fianco, poteva trovare il coraggio di anteporre i propri desideri a quelli delle persone a cui voleva più bene.
 
Il suono del campanello si era appena diffuso nell’atrio di villa Daniels.
Molly, intenta a sistemare i sopramobili della sala da pranzo, era accorsa frettolosamente alla porta, sorpresa.
« Arrivo, arrivo. Che sta succendo oggi? » borbottò tra sè e sè.
Una volta affacciatasi all’esterno, si trovò davanti Rosalya:
« Oh, ma che serata affollata oggi » commentò la governante con un’espressione leggermente stupita.
« Perchè affollata? » chiese la ragazza, avanzando nell’atrio. I suoi biscotti al cioccolato erano ancora tiepidi nel loro sacchetto e sprigionavano un’invitante aroma goloso.
Il pomeriggio di shopping con Alexy si era particolarmente dilungato e aveva dovuto correre contro il tempo per prepararli. Sapeva di essere già in ritardo all’appuntamento con Erin ma non resisteva all’idea di rivedere Nathaniel e scusarsi per la sua scortesia della sera precedente.
Nonostante il suo impegno, il risultato culinario non era dei migliori, specie per una perfezionista come lei. Solo una misera selezione di biscotti aveva superato il suo controllo qualità ma il loro numero non rendeva merito agli enormi sforzi fatti dietro ai fornelli.
« Anche una vostra amica è venuta a trovarlo. Sono di là, nella depandance » annunciò Molly.
« Amica? Di chi si tratta? » domandò Rosalya, alquanto sorpresa. Non erano molte le amicizie femminili di Nathaniel e poichè Molly le conosceva tutte, le sembrò strano che non la nominasse.
« Non la conosco » le confermò per l’appunto la governante « ...ma mi è sembrato di avere davanti Erin »
 
I capelli del ragazzo le sembravano più morbidi dell’ultima volta che li aveva accarezzati. Gli sistemò amorevolmente un ciuffo che gli copriva la fronte e gli disse:
« Ho passato appena due ore a impormi di non cercarti ma poi non ce l’ho fatta. Ho cercato il primo aereo e sono venuta qui. Sono pazza lo so, ma avevo paura che se avessi aspettato, sarebbe stato... troppo tardi »
Nathaniel le sorrise, perso nella spontaneità di quello sguardo vivace.
« Ma quindi non hai visto il mio messaggio? »
La vide allora frugare nelle tasche e cercare il cellulare. Si ricordò solo in quel momento di aver spento la connessione dati una volta atterrata a New York.
Non appena la rete le consentì di instaurare il collegamento con il resto del mondo, cercò la chat con il ragazzo.
Lesse quelle parole, illuminandosi nel sorriso più dolce che le avesse mai visto in viso. Sophia alzò lo sguardo verso di lui, brillando di felicità e gli gettò nuovamente le braccia al collo.
Si sciolsero un istante, durante il quale lui le mise una mano sulla guancia e si guardono con intensità.
Si erano mancati, quasi quanto le loro labbra che, lentamente, si avvicinarono. Socchiusero gli occhi, liberando una passione che aveva trattenuto dopo il loro amaro risveglio insieme.
Nathaniel aveva spostato la sua mano dietro la nuca di lei, invitandola a non staccarsi troppo presto da quella scarica di desiderio irrefrenabile.
« CHE CAZZO STA SUCCEDENDO?! »
Quell’urlo aveva squarciato il buio della notte, facendo sobbalzare per lo spavento i due amanti.  
Un senso di terrore e panico si impossessò improvvisamente di loro.
Il peggiore degli scenari si era appena concretizzato a pochi metri dalla loro ritrovata felicità.
Diventata rigida come una statua di marmo, Rosalya era impietrita davanti a loro.
Si staccarono immediatamente sentendo il cuore in gola.
Sophia si coprì la bocca mentre Nathaniel si era frapposto tra lei e Rosalya, in un istintivo quanto inutile tentativo di creare una barriera.
La sua ragazza li fissava furente ma al contempo i suoi occhi tradivano una tempesta emotiva che a parole era difficile da descrivere.
« Rosalya... che ci fai- »
« CHE CI FACCIO IO?! » sbraitò lei, stringendo i pugni e avvicinandosi « che ci fa questa qui?! »
Il suo cuore era impazzito, i polmoni lavoravano freneticamente alla ricerca di ossigeno mentre il cervello le diceva che non c’erano altre interpretazioni all’immagine che si era definita sotto i suoi occhi.
« Come cazzo hai potuto farmi questo? SEI UN VERME, UNA MERDA! » gli strillò contro.
Gli lanciò addosso i biscotti che, fino a quel momento, teneva stretti in mano e che aspettavano solo di essere gustati. Per la violenza del gesto, il sacchetto si aprì, rovesciandone tutto il contenuto sul pavimento piastrellato della piscina.
Sophia cercò di indietreggiare ma quella mossa non passò inosservata e, incapace di sfogare tutta la collera che le scorreva nelle vene, Rosalya si rivolse proprio alla rossa:
« SEI PROPRIO UNA STRONZA! Lo sapevi che stavamo insieme! »
« Mi dispiace » tentò di giustificarsi la ragazza ma sapeva che ogni tentativo sarebbe risultato vano. Era dalla parte del torto e nessun’argomentazione avrebbe perorato la sua causa.  
Lei stessa si era trovata nei panni di Rosalya nella sua precedente relazione e sapeva che nulla di quanto poteva dire avrebbe lenito quella ferita.
Doveva quindi accettare stoicamente quella furia e pioggia di insulti che erano indirizzate a lei e Nathaniel:
« SEI LA SORELLA DI ERIN! Ma cosa vi è passato per la testa? » continuava ad urlare Rosalya sempre più allibita.
La sua mente venne attraversata dal ricordo della sua gita in California e rivisse lo strano disagio che Sophia aveva palesato di fronte a lei, cominciando a collegare gli eventi:
« Da quanto va avanti questo schifo?! » incalzò.  
Nathaniel la fissava colpevole mentre Sophia a mala pena reggeva il suo sguardo. Di fronte al silenzio di entrambi, sentì la collera montarle ancora di più in corpo e alzò nuovamente la voce:
« RISPONDIMI, CAZZO! » sbraitò, avvicinandosi al ragazzo e strattonandogli la maglia.
« E’ successo due giorni fa... »
« Balle! »
« No, Rosalya. E’ vero! » provò a intromettersi Sophia ma l’occhiata furente della stilista la fece desistere dall’intervenire in quella lite.
« NON STO PARLANDO CON TE! »
« Rose, ti prego calmati » esclamò allora Nathaniel afferrandole il polso ma quel gesto la fece ancora di più infuriare. Si liberò violentemente da quella stretta e gli assestò un sonoro ceffone in pieno viso.  
Calò il silenzio più totale mentre delle copiose lacrime iniziarono a farle capolino agli angoli degli occhi.
Lasciò che lui la guardasse dentro, per provare a capire quanto male le avesse fatto.
Molto più di quello schiaffo in cui aveva tentato vanamente di liberare tutta la sua furia e delusione.
« Non chiamarmi Rose... mai più » sibilò.
Abbassò il capo e, senza aggiungere altro, si allontanò.
Iniziò a ripercorrere la via dell’andata con il cuore devastato, lasciandosi i due amanti alle spalle.
Sentì dei passi affrettarsi nella sua direzione e cercò di asciugarsi il viso, il cui trucco sciolto si depositò sulle dita.
« Te la sei già scopata? » domandò senza voltarsi.
Non ottenendo una risposta, fu costretta a girarsi e vide davanti a sè il ragazzo che aveva sempre amato con un’espressione del tutto sconosciuta.
Nathaniel la fissava con pietà, dilaniato dal senso di colpa che sembrava gravare fisicamente su di lui.
« Dimmelo ora perchè questa sarà l’ultima volta che ci parliamo noi due! » insistette lei con determinazione.
« Siamo stati a letto insieme una volta... »
Rosalya non rispose ma anzichè riprendere a camminare, rimase impassibile a fissare il manto erboso del giardino. Inspirò profondamente, cercando di calmarsi ma quel tentativo non attutì minimanente la sua sofferenza.
Nathaniel invece era indeciso sul da farsi: non era nella posizione di riaccompagnarla a casa ma non riusciva a perdonarsi nel lasciarla andare in quello stato.
Non era così che doveva gestire la situazione. Avrebbe dovuto risparmiarle almeno l’umiliazione di scoprirlo in un modo così violento e improvviso.
Avrebbe voluto prendersi una pausa dalla loro relazione e introdurre quel torto con il maggior tatto possibile. Tuttavia, per quanto avrebbe potuto indorare la pillola, era consapevole che la reazione dell’impetuosa e orgogliosa Rosalya non poteva essere troppo diversa da quella che stava affrontando in quel momento.
« Non volevo farti soffrire » le sussurrò mestamente.
Rimasero immobili, l’uno davanti all’altra. Lui la guardava, fissava quei capelli così belli e lucidi che la luna rendeva ancora più argentei mentre lei non riusciva ad alzare la testa.
« Ti chiedo scusa Rosalya ma quello che provo per lei è qualcosa di irrazionale »
Non l’avrebbe più chiamata Rose. Era stata lei a chiederglielo eppure soffriva immensamente nel realizzare quanto velocemente stessero diventando due estranei. Strinse i pugni, sempre più disperata. La mascella le si era irrigidita e, in quel tentativo da parte di Nathaniel di trovare una giustificazione, individuò la forza per alzare lo sguardo:
« Per quanto ancora vuoi prolungare il mio dolore? » esclamò, portandosi la mano sul petto « quindi quando dicevi di essere innamorato di me erano tutte balle? » lo interrogò ferita « quando imparerai a dare il giusto peso a certe parole? » lo accusò.
Nathaniel abbassò il capo, così lei proseguì:
« Sei una merda! Non hai neanche avuto il coraggio di dirmelo in faccia! »
« Non ne ho avuto il tempo... »
« Ma vaffanculo! Sei un codardo e lo sei sempre stato! » sbraitò « giochi con i sentimenti delle ragazze facendo leva su quel viso d’angelo che ti ritrovi ma in realtà sei solo un egoista che non sa cosa vuole dalla vita! »
Continuò ad insultarlo e, consapevole di non aver nessun diritto di arginare la sua rabbia, il biondo si limitò ad incassare quelle offese.
« Quando ti deciderai a diventare un uomo? » continuava lei « assumiti la responsabilità delle tue azioni! Da quando ti conosco non hai fatto altro che saltellare da una ragazza all’altra, millantando nobili sentimenti... e io cretina che mi ero convinta di essere quella giusta »
Un nodo alla gola le impedì di proseguire, così il ragazzo ne approfittò:
« Lo pensavo anche io, te lo giuro. Ti ho amato per - »
« Non dire che mi hai amato! » strillò lei « perchè se ami davvero una persona non le fai quello che avete fatto a me! » sbraitò paonazza « TU NON SAI COSA SIA VERAMENTE L’AMORE, NATHANIEL! Dalla tua famiglia non ne hai mai ricevuto una dimostrazione concreta, per questo non sai cosa voglia dire amare davvero una persona! Tu sei solo autodistruttivo e nella tua confusione stai trascinando anche me! »
Sapeva dove colpire per ferirlo e cercava in tutti i modi di scatenare in lui un contrattacco. Voleva provocarne una reazione violenta, intaccare quell’atteggiamento controllato per poter continuare ad urgargli contro:
« Ti aggrappi alla prima ragazza che ti fa gli occhi dolci finchè non compare un nuovo giocattolo. L’hai fatto con Erin e ora lo stai facendo a me. Appena una persona ti dà qualcosa, te ne stanchi e cerchi una nuova distrazione »
« Non tirare in ballo Erin » la redarguì Nathaniel acquisendo un minimo di fermezza « non c’è mai stato posto per me in lei. Quello è stato solo un grosso errore da parte di entrambi »
« MI SONO ROTTA IL CAZZO DEI TUOI ERRORI! » urlò, respirando a fatica.  
Doveva prendere fiato perchè altrimenti sarebbe svenuta dall’agitazione.  
Nathaniel non replicava mentre Sophia non si era mossa dalla sua posizione, fissando da lontano con apprensione quella scena così pietosa.
Rosalya inspirò profondamente, conscia che il perdurare di quegli insulti unidirezionali non sminuivano il dolore che le dilaniava il cuore.  
« Non voglio più vederti. Abbiamo chiuso... e per sempre »

« Non è il caso che entri? »
« Te l’ho detto, se non ti va di farmi compagnia qui fuori, tu vai a casa. Rosalya arriverà a momenti »
Seduti sul ciglio della strada, davanti a casa White, Erin e Castiel si erano intrattenuti a chiacchierare. Sembravano due ragazzini annoiati ma poichè Rosalya l’aveva avvertita di essere uscita, la mora aspettava il momento del suo rientro.
Per la prima volta avrebbe messo piede in casa White e, nonostante la presenza di Lysandre al suo interno, il suo istinto le suggeriva di aspettare l’amica. Inoltre, fintanto che Castiel non si decideva a salutarla, preferiva di gran lunga intrattenersi il più possibile in sua compagnia:
« Comunque è strano che non ti risponda al cellulare » osservò lui.
Non aveva ancora finito la frase quando una vettura dall’aria familiare, svoltò l’angolo. Vennero accecati dai fanali dell’auto e, mentre Castiel si portava una mano sopra gli occhi, Erin scattò in piedi felice.
Corse incontro alla macchina che nel frattempo si era fermata nel vialetto dell’abitazione, a pochi metri dai due.
Il motore venne spento ma dall’abitacolo non usciva nessuno.
Si intravedeva la figura dell’autista con le mani rigide sul volante e la cintura ancora allacciata.
Erin si chinò, avvicinandosi al finestrino ma la persona che le si parò davanti non aveva nulla della compostezza e fierezza che erano così tipici in Rosalya.
Il suo volto era scavato dalle lacrime e il mascara, unitamente all’eyeliner nero, erano completamente colati sulle guance arrossate. Gli occhi erano talmente gonfi di pianto che risultavano molto più piccoli. La base del naso era lucida, irritata dal muco che continuava ad essere ricacciato giù per la gola.
Un’immagine che Erin era destinata a ricordare per tutta la vita.
« ROSA, CHE È SUCCESSO!? » si allarmò, aprendo di scatto la portiera.
La squadrò da capo a piedi, assicurandosi che fisicamente non avesse alcun tipo di lesione che le procurasse quel dolore. Ma non doveva cercare una ferita esterna e anche un’ingenua come Erin lo realizzò subito. Rosalya non la guardava in faccia così l’amica fu costretta ad accucciarsi ancora di più davanti a lei:
« Ti prego, mi sto preoccupando seriamente. Che succede? »
« Va via... » le sibilò la ragazza con un filo di voce.
Castiel nel frattempo le aveva raggiunte ma era rimasto in silenzio a fissare quella scena turbato. Nella sua mente ipotizzò una spiegazione che del resto non rappresentava un azzardo, quando piuttosto un’ovvia conclusione: Rosalya sapeva.
« Io da qui non mi muovo se non mi dici cosa è successo! » s’impuntò Erin.
Rosalya allora uscì rapidamente dall’abitacolo, sbattendo violentemente la portiera.  
« E’ SUCCESSO CHE QUEGLI STRONZI DI NATHANIEL E TUA SORELLA SONO ANDATI A LETTO INSIEME! »
Quella parole raggelarono Erin. I suoi occhi si erano spalancati, segno del più completo stupore e smarrimento.
Rimasta senza parole e incapace di commentare, non era lei la persona con cui Rosalya voleva confrontarsi. Rivolgendo infatti un’occhiata ferita al ragazzo dietro la mora, Rosalya sibilò:
« E’ di questo che parlavate ieri sera, vero? »
Erin si voltò meccanicamente verso il rosso, pregando di vederlo negare quella risposta.
« Mi dispiace, Rosa » mormorò lui « più di insultarlo, non potevo fare altro »
Era la prima volta in vita sua che si trovava nella posizione di doversi scusare con la ragazza ma era anche consapevole che il suo intervento non sarebbe stato opportuno. Si scusò perchè per quanto lui e Rosalya si punzecchiassero continuamente e non perdessero occasione per insultarsi, le voleva bene. In certi difetti della stilista, Castiel aveva sempre ritrovato i propri ma, visti dal di fuori, gli sembravano particolarmente irritanti. Non era un caso se entrambi avessero allora maturato un profondo affetto per le stesse persone, ma la differenza era che una di queste era la stessa che aveva ferito entrambi in modo diverso.
Erin alternava lo sguardo tra i due, persa e disorientata. Voleva prendere in mano la situazione, dipingere uno scenario alternativo che giustificasse quella sorta di allucinazione collettiva ma più passavano i secondi e più quella tremenda verità si radicava nel disagio dei presenti.
« Non era giusto che fossi io a dirtelo » aggiunse Castiel, mettendo le mani in tasca e sfuggendo allo sguardo di Rosalya.
« Non c’è un cazzo di giusto in questa storia! » esclamò allora Rosalya, stringendo i pungi « apri gli occhi Castiel! NATHANIEL È UNO STRONZO E BASTA! Comincio a credere che ci abbia davvero provato con Debrah l’anno scorso! »
A quelle parole però il rosso trasalì e abbandonò l’atteggiamento remissivo con cui si era rivolto a lei fino a quel momento.
Le parlò con fermezza ma senza dimenticare quanto fosse fresca la ferita di Rosalya:
« Sei incazzata e ne hai tutto il diritto » replicò, cercando di mantenere la calma anche se, quell’ultima affermazione era riuscita a farlo dubitare anche delle sue certezze.
« Non sono solo incazzata, Cas! IO SONO A PEZZI! » si sfogò lei, puntandosi l’indice contro il cuore e piegandosi in avanti.
Per un attimo le ginocchia sembrarono cedere, come se volesse accasciarsi al suolo e fu in quel momento che Erin sentì un fruscio passarle accanto.
Superandola, Castiel si era portato davanti a Rosalya e l’aveva abbracciata.  
L’aveva stretta forte ed era la prima volta in vita sua che Erin lo vedeva abbracciare un’altra ragazza, con una tenerezza che chiunque avrebbe voluto rifugiarsi in quella stretta.
Rosalya spalancò gli occhi, commossa dalla solidarietà di quel gesto ma ci mise solo pochi secondi prima di tuffare la testa tra le braccia del ragazzo, bagnandogli senza ritegno la maglietta coperta dalla giacca in pelle. Continuò a singhiozzare inconsolabile mentre lui, con una dolcezza infinita, le accarezzava la testa.
« So come ti senti » le bisbigliò « fa male, ma poi passa »
Rosalya si strinse ancora di più in quella coccola ed Erin, che per tutto quel lasso di tempo era stata incapace di reagire, sperimentò un’improvvisa morsa di gelosia verso l’amica. Lei sembrava così piccola e lui così forte e protettivo che in Erin iniziò a gravare la sensazione di essere un terzo incomodo. Era egoista a provare quei sentimenti di fronte alla sofferenza della sua migliore amica. Doveva anzi essere sollevata che, diversamente da lei, Castiel riuscisse a gestire così maturamente quella situazione. Situazione che era stata Sophia a scatenare.
Sentì la rabbia montarle in corpo, per una sorella che negli ultimi mesi era solo fonte di preoccupazioni e sofferenze.
Quando finalmente l’intimità tra i due si sciolse, Rosalya sussurrò con tenerezza:
« Grazie, Castiel »
Lui non rispose, mentre lei tornava in macchina a recuperare la borsa.
« Erin, stasera non puoi dormire qui » le aveva annunciato, con un filo di voce.
Destata da quelle parole, la mora si risvegliò dalla sua inerzia. Non poteva lasciarla sola in un momento del genere. Era la sua migliore amica, la persona a cui in più occasioni aveva dichiarato un affetto fraterno e che l’aveva sempre supportata. Era il suo momento di starle vicino e non l’avrebbe abbandonata:
« Non posso lasciarti così, Rosa! » esclamò con determinazione.
Castiel inspirò, facendosi da parte ma l’insistenza di Erin non sortì l’effetto desiderato.
Scuotendo il capo sommessamente, la stilista aveva ripetuto con voce sommessa e tenendo lo sguardo fisso al suolo:
« No Erin... non ce la faccio »
La uccideva vederla così remissiva e afflitta.
« Possiamo anche non parlare, Rosa » trattò l’amica, incapace di accettare quel rifiuto « ma ora devi reagire e guardami in faccia! » insistette, cercando disperatamente di smuovere una reazione.
Il tentativo questa volta riuscì ma nel peggiore degli esiti sperati.
Tramutando quegli occhi feriti in un’espressione carica di rabbia e rancore, Rosalya la fissò dritta negli occhi, urlando frustrata:
« Ma non capisci che non ti voglio vedere?! HAI IL SUO STESSO VISO, ERIN! »
Allarmato da quelle urla, Lysandre era comparso in giardino.
Alle sue spalle, una figura anziana osservava apprensiva la scena.
Il poeta si avvicinò al trio e, intercettando l’occhiata di Castiel, capì che era meglio non fare domande. Le urla che avevano preceduto il suo arrivo in giardino gli avevano fatto intuire l’argomento che stava scatenando tanto trambusto.
L’ultima frase di Rosalya aveva aperto una voragine tra Erin e l’amica in cui quest’ultima era sprofondata senza nemmeno reagire. Lysandre allora si avvicinò alla sorella e le mise un braccio attorno alle spalle.  
La mora invece, senza dire una parola raccolse la sacca con il cambio per la notte e si allontanò.
Castiel e l’amico si scambiarono un cenno frettoloso, dividendosi l’onere di consolare le due fazioni.
Mentre il fratello accompagnava in casa Rosalya, Castiel accelerava il passo, nel tentativo di recuperare la distanza tra lui ed Erin.  Quando Nathaniel gli aveva confidato quello scomodo segreto, il primo pensiero del rosso non era andato alla sofferenza di cui sarebbe stata inevitabilmente vittima Rosalya.  
La prima cosa a cui aveva pensato era che avrebbe fatto il possibile per proteggere la serenità di Erin dalle conseguenze di quella situazione.



 

  
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