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Autore: Marzolina    17/09/2009    23 recensioni
Se, infatti, siete morti a diciassette anni e 364 giorni, proprio il giorno prima dell’agognato compleanno in grado di assicurarvi finalmente la libertà, se poi vi è successo cadendo giù per tre piani di scale con una conseguente dolorosissima frattura dell’osso del collo, se vi è rimasto in ogni caso un bel 4 in matematica che non sarete mai e poi mai in grado di rimediare, se ancora, invece di trovare perlomeno la pace eterna nell’Alto dei Cieli, siete invece incappati nella pace ancora più eterna nel Basso di una Tomba e, soprattutto, se siete ancora irrimediabilmente vergini, allora mai come in questi frangenti vi è consentito sentirvi incredibilmente sfortunati.
Genere: Romantico, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La Ragazza della Tomba Accanto

L’aria nel cimitero quella sera era particolarmente impregnata di nebbia, come se da qualche parte su quella collinetta, svettante sulla depressa città, qualcuno avesse messo costantemente in funzione una macchina del fumo. Un angelo di pietra emergeva dalla condensa con un’espressione evidentemente sofferente, più in là un cavallo rampante faceva di tutto per tenere la testa fuori dalla foschia e ancora santi e madonnine un po’ ovunque, prostrati dal muschio, mostravano ai gentili visitatori che quello su cui avevano appena messo piede era, senza ombra di dubbio, un terreno consacrato.
-Ma che sfiga- si sentì ad un tratto dire vicino alla cappella. O almeno, lo avreste potuto sentire se foste stati spiriti, emanazioni o professori di filosofia (che, si sa, sono sempre molto ispirati dal metafisico), per gli altri comuni mortali quelle parole sarebbero state solo l’ennesimo sibilo del vento.
Eppure, se in ogni caso foste stati in grado di distinguerle dalla brezza, non le avreste potute di certo trovare più appropriate. Se, infatti, siete morti a diciassette anni e 364 giorni, proprio il giorno prima dell’agognato compleanno in grado di assicurarvi finalmente la libertà, se poi vi è successo cadendo giù per tre piani di scale con una conseguente dolorosissima frattura dell’osso del collo, se vi è rimasto in ogni caso un bel 4 in matematica che non sarete mai e poi mai in grado di rimediare, se ancora, invece di trovare perlomeno la pace eterna nell’Alto dei Cieli, siete invece incappati nella pace ancora più eterna nel Basso di una Tomba e, soprattutto, se siete ancora irrimediabilmente vergini, allora mai come in questi frangenti vi è consentito sentirvi incredibilmente sfortunati. E così in effetti la pensava Pandora che, seduta a cavalcioni sulla propria lapide, faceva dondolare nel vuoto le gambe magre in tutta la loro rifulgente trasparenza.
Nessuno che la venisse più a trovare, solo qualche fiore la prima settimana. Nessun bigliettino, nessuna messa, nemmeno una misera commemorazioncina. Nulla di nulla. L’avevano dimenticata tutti ed ora lei si annoiava a morte (tanto per sottolineare il concetto).
In un cimitero, come potrete ben immaginare, non c’è molto di entusiasmante per un giovane fantasma in piena crisi adolescenziale da più di mezzo secolo, e d’altro canto nemmeno la compagnia è delle migliori: solo vecchi, suicidi depressi e due o tre antichi romani.
C’era stato solo un episodio, da quanto riusciva a ricordare, che aveva per un attimo aperto un barlume di speranza nella sua cupa esistenza post mortem: una notte di circa dieci anni prima, si era infatti presentato al cimitero un bambino, sudato, arrossato, stanco ma inequivocabilmente vivo.
Gli spiriti delle tombe limitrofe non se ne erano preoccupati particolarmente, ritenendosi, a ragion veduta, ancora del tutto invisibili. Ma il bambino, che saltellava in mezzo a tutta quella maestosa lugubranza neanche nella fabbrica di cioccolata di Willy Wonka, si era fermato proprio di fronte al loculo di Pandora, che vi stava sdraiata sopra, e l’aveva guardata. L’aveva guardata davvero, capelli e occhi evanescenti compresi, e Pandora aveva ricambiato mettendosi seduta e sorridendogli gentilmente. Così i due, con grande stupore del resto del cimitero, avevano amabilmente iniziato a conversare del più e del meno e Pandora si era accorta che il piccolo, nonostante non avesse più di otto o nove anni, era sveglio e intelligente ed in grado di portare avanti un discorso coerente.
Non era più tornato il Bambino Che Vede Oltre (così soprannominato all’unanimità) e Pandora, di nuovo sola, era ripiombata in uno stato di profonda avversione nei confronti del mondo terreno e non.
Eppure, anche se lo aveva incontrato quelle che ora mai sembravano ere prima, non se lo era mai dimenticato ed anzi, ogni notte faceva regolarmente capolino nei suoi sogni (anche i fantasmi, che ci crediate o no, sono in grado di sognare anche se con i vicini di sepolcro la privacy è praticamente inesistente, dal momento che i loro sogni sono perfettamente visibili attraverso la testa. Una sorta di delirante e sfocato film, insomma) per salvarla, rapirla o sposarla.
Il problema però, come è intuibile, sussisteva nel fatto che l’immagine che affiorava dal limbo nebuloso dei ricordi di Pandora, era sempre quella di un ragazzino sugli otto anni, con i pantaloncini inzaccherati fino alla vita e le ginocchia immancabilmente sbucciate. Lei, invece, si vedeva per l’entità senza tempo che era diventata (anche se forse nei sogni sembrava un po’ più “concreta” dell’ombra che in realtà era).
Quindi, un po’ per non fare la figura della pervertita con il resto del cimitero, un po’ per un’evidente differenza di statura, il suo subconscio aveva drammaticamente rinunciato a qualsiasi vena romantica, lasciando invece il posto a lunghissimi dialoghi, nei quali la stessa Pandora faceva al suo piccolo interlocutore resoconti dettagliatissimi delle proprie giornate e di tutti i progetti che era in grado d’immaginare (molto audaci, a dire il vero, per uno spirito incorporeo). E l’altro la ascoltava divertito, interessato o promettendole, con tutte quelle deliziose consonanti tartagliate tutte salti ed inciampi, che un giorno sarebbe sicuramente tornato a prenderla.
E in effetti così fece.

Era appunto una di quelle solite sere nebbiose e noiose, e Pandora stava giustamente meditando sull’ingiustizia della propria condizione, quand’ecco dei passi sul selciato.
Troppo leggeri per il grasso custode e troppo veloci per una vecchia vedova. Era lui. Lui in persona. Cresciuto di dieci anni, splendido nella sua follia adolescenziale, lo stesso sguardo acuto e lo stesso naso impertinente. Proprio lui, come doveva essere, come sarebbe sempre dovuto essere. Così, ad un tratto, Pandora ebbe la perfetta consapevolezza di cosa avrebbe dovuto fare per salvarsi dall’apatia di quella non-vita.
Il ragazzo intanto le corse incontro chiamandola per nome e meravigliandosi che non fosse cambiata affatto in tutti quegli anni, mentre lei gli si avvicinò stringendo, in una mano incredibilmente solida, una grossa pala usata per scavare le fosse.
Fu un attimo e l’arnese piombò sul collo del giovane con un sonoro e macabro “crac”.
-Finché morte non ci separi- disse Pandora, con un sorriso, alla sagoma rarefatta che intanto si stava alzando, come staccandosi da un pantano di colla, dal corpo senza vita del ragazzo.

   
 
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