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Autore: OrnyWinchester    21/01/2024    2 recensioni
Pochi giorni prima di Natale, Dean viene rapito da alcuni esseri magici davanti agli occhi increduli di Sam. Nel frattempo, a Camelot, subiscono la stessa sorte re Artù e i Cavalieri della Tavola Rotonda. Toccherà a Sam e Merlino andarli a salvare, in un’avventura al limite dell’incredibile in una terra sconosciuta.
La storia è ispirata alle serie tv "Merlin" e "Supernatural" e si colloca tra gli episodi 4.7 e 4.8 di Merlin e dopo la stagione 15 di Supernatural.
Il titolo è un riferimento all’episodio 3.8 di Supernatural “A Very Supernatural Christmas”.
Genere: Avventura, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: I Cavalieri della Tavola Rotonda, Merlino, Principe Artù
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Quarta stagione
Capitoli:
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Il momento della verità


«Che significa?» domandò Merlino, incredulo. «Galvano, aspetta! Non ti avvicinare a lui!»
Il cavaliere gli fece cenno che andava bene così e avanzò, fermandosi a non più di un paio di passi dal cluricauno. Merlino lo fissò, terrorizzato. Apprensione e trepidazione si impadronirono di lui quando vide il suo amico farsi sempre più prossimo al folletto. Il suo cuore batteva forte nel petto mentre cercava di pensare a qualcosa che potesse aiutarlo, ma non riusciva a trovare nulla. Non senza usare la magia e rivelare i suoi poteri a tutti. Rimase a guardarlo, impotente, mentre la sua mente correva a mille. Galvano, dal canto suo, sembrava fin troppo sicuro di sé. Il barlume di spavalderia che lasciava intravedere nei suoi occhi scuri era un modo con cui scacciava i brutti pensieri e si convinceva che tutto sarebbe andato per il meglio, che era solo un’altra prova da affrontare e superare per dimostrare di meritare di essere un cavaliere della Tavola Rotonda. Aveva paura di rimediare un’inevitabile sconfitta, ma affrontare anche quella sfida con coraggio era l’unico modo per non fallire. Avrebbe combattuto fino all'ultimo respiro perché quella era la loro unica possibilità di salvezza.
Il tempo sembrava procedere a rallentatore e Merlino, se da un lato si fidava del fatto che Galvano fosse abbastanza forte e determinato da affrontare qualsiasi cosa gli si parasse davanti, dall’altro temeva per la sorte del suo amico e decise che non poteva semplicemente starsene fermo a guardare. Doveva fare qualcosa per aiutarlo, anche se non sapeva ancora cosa. Nello stesso momento in cui sollevò verso Heinze la spada trasfigurata per lanciargli un incantesimo, il cluricauno scomparve in uno scintillio brillante, lasciandosi dietro una risata acida.
«Ma che diavolo succede in quest’isola?» borbottò Dean, al limite della sopportazione per via di quei giochetti mentali che tanto odiava. «Sono impazziti tutti?»
Merlino rimase immobile con la spada alzata non sapendo cosa pensare e, quando stava per aprire bocca, le parole gli rimasero ferme in gola.
Un ululato terrificante e agghiacciante riecheggiò potente lungo quel sentiero, facendo trasalire i quattro e stordendoli.
«Ma che cos’era?» domandò sir Elyan, sconvolto.
«L’urlo di una banshee!» rispose Dean, scuotendo la testa.
«Di una che?»
«Di una banshee. E’ una creatura magica che si dice porti sventura. Il suo urlo è un presagio di morte e c’è chi sostiene che quello stesso suono sia in grado di uccidere chiunque lo ascolti.» spiegò il cacciatore, preoccupato.
«Beh, ma non è stato così.» s’intromise Galvano. «Siamo ancora tutti vivi, o sbaglio?»
«Tu non avevi paura delle banshee, immagino.» disse Merlino riluttante.
«Merlino, io non sapevo nemmeno cosa fosse una banshee fino a quando Dean non ce lo ha spiegato un istante fa.»
«Quindi, quell’urlo non faceva parte della prova a cui si riferiva quello strano tipo…» convenne Elyan.
«Temo proprio di no. Semmai era una minaccia di morte.» analizzò Dean, di sicuro molto più esperto dei due cavalieri sull’argomento.
All’improvviso, un rumore spaventoso squassò l'aria. Il terribile fragore di una gigantesca creatura in avvicinamento sembrò scuotere la terra stessa. Il suo verso era stridente e maledettamente familiare, così come il fetore nauseabondo che emanava, mentre il suolo tremava sotto le sue zampe. La creatura, una bestia feroce che veniva da un mondo lontano e oscuro, sembrava quasi voler annientare tutto ciò che incontrava sul suo cammino.
Era un Wilddeoren gigante, un esemplare molto più grosso di quelli con cui avevano avuto a che fare in passato a Camelot.
«E quello che diavolo è?» domandò Dean, strabuzzando gli occhi.
«Un Wilddeoren! Uno molto grosso!» esclamò Galvano, sbuffando. «Ci mancava soltanto questa!»
«Sembra una specie di… ratto gigante.» osservò Dean, disgustato, mentre fissava la creatura dalla pelliccia rada con i due enormi denti ben riconoscibili.
«E’ proprio quello che sembra.» gli confermò Merlino, anch’egli non troppo contento di vedere la creatura in cui si era già imbattuto diverse volte.
«Fantastico!» esclamò il cacciatore. «Immagino che ora dovremo ucciderlo!»
«Immagini bene, altrimenti diventeremo noi il suo pasto.»
«E’ carnivoro?»
«Già. Ma è completamente cieco e fa affidamento sull'udito e sull'olfatto per trovare le sue prede.» aggiunse il mago, sollevando nuovamente la spada.
«Ma possiamo ucciderlo, non è vero?» chiese ancora Dean, nauseato e forse vagamente intimorito.
«Io ne ho ucciso uno, non molto tempo fa.» disse Galvano. «Non mi piaceva l’idea di essere annusato da una cosa ripugnante come quella. Ma questo è molto più grande. Non penso che riusciremo a finirlo con un fendente o due.»
«Allora diamoci da fare!» propose Elyan.
 
***
 
«Umpf!» sbuffò forte Artù.
Ormai aveva perso il conto di quanto tempo fosse passato da quando il cluricauno Crocker aveva spiegato loro la missione da portare a termine e, poi, era scomparso in un puf da un momento all’altro.
Seguendo le sue indicazioni, si erano messi in marcia per raggiungere il resto del gruppo, ma qualcosa doveva essere andato storto…
Dopo aver inforcato la prima strada a sinistra dello strano bivio che si era materializzato davanti ai loro occhi, il gruppo formato da re Artù, sir Leon, sir Parsifal e Sam Winchester non avrebbe mai immaginato che quella sarebbe stata solo la prima di infinite svolte, apparentemente tutte sbagliate.
«Sono passate ore da quando abbiamo iniziato a camminare, ma sembra che non ci siamo mossi nemmeno di un passo!» borbottò Parsifal.
Sam alzò la testa e guardò il sole, sempre fermo sul punto più alto del suo arco, poi scosse la testa.
«Qualcosa non va?» gli domandò Artù.
«Non lo so, sire. A prima vista è proprio come sostiene Parsifal, ma se ci pensiamo bene siamo su quest’isola da tanto, quasi un giorno forse, ma non è mai scesa la notte.» constatò, amareggiato. «Avevo sentito dire che ad Avalon il tempo scorre diversamente, ma non capisco se il nostro problema dipenda solo da questo oppure se, in realtà, non ci stiamo muovendo affatto.»
«Vuoi dire che sono ore che stiamo imboccando sempre lo stesso sentiero?» chiese sir Leon.
«Qualcosa di simile, sì. Non riesco a capire bene come funziona, ma penso che sia come una specie di rompicapo da risolvere.»
«Un rompicapo di cui non abbiamo le informazioni, però.» osservò Artù, perplesso.
«Un rompicapo in cui spetta a noi trovare sia la domanda che la risposta, sire.» concluse Sam, mesto, prima che si rimettessero in cammino.
La strada era simile a un labirinto e, in quella fase, era facile perdersi in essa. Non vedevano più il punto dal quale erano partiti, mentre quello di arrivo era sempre lì, stagliato davanti a loro e distante solo di un breve tratto, anche se raggiungerlo era praticamente impossibile. Una volta attraversato per intero, ci si trovava dinanzi una nuova biforcazione, poi un’altra e un’altra ancora. Avevano percorso così tanta strada che iniziavano ad avere male ai piedi. Sembrava che ciascuno di quei bivi rappresentasse una scelta che poteva cambiare il corso della loro vita per sempre e una sensazione di mistero aleggiava nell'aria. Tuttavia, fino a quel preciso momento l’unica sensazione plausibile era che quegli incroci si sarebbero ripetuti all’infinito. Potevano decidere di andare a sinistra o a destra, ma alla fine tornavano sempre davanti ad un’altra scelta.
Anche il paesaggio non era di alcun aiuto. Ciascuna diramazione era costeggiata da profumata erba color giada e da alberi dalle fronde ombrose che si ripetevano a ritmo più o meno costante, sparsi qua e là.
«Fermiamoci un attimo!» propose re Artù, dopo averne attraversato invano ancora svariate.
Sam e i due cavalieri si sedettero a terra, mentre il sovrano rimase a guardare inquieto oltre l’orizzonte.
«Quella creatura, quel… Come ha detto di chiamarsi?!»
«Mi sembra che abbia detto “cluricauno”, sire.» disse sir Leon.
«Beh, sì, lui, insomma. Ci ha spiegato che avremmo dovuto scegliere la strada che ritenevamo più giusta e percorrerla e, in questo modo, sperare di riunirci con gli altri. Ma non ha specificato altro, o sbaglio?»
«No, ha solo fatto tanti discorsi inutili sul significato di prendere la decisione corretta, ma non mi è sembrato di cogliere niente che potesse esserci d’aiuto.»
«Io non capisco.» continuava ad arrovellarsi la testa Sam.
«Cosa?»
«Il senso di tutto questo, Leon!» «La Regina delle fate ci ha condotti qui per ucciderci perché, come ha spiegato Merlino prima, per qualche ignoto motivo reclama le nostre anime. Eravamo tutti in quella radura e poteva provare a portare a compimento il suo piano; invece, ha scelto di “giocare” con noi. Che senso ha tutto questo?»
«Hai ragione, Sam!» notò Artù. «Ma noi non sappiamo come ragionano queste fate o qualunque altra creatura magica.»
«Potrebbero divertirsi a cacciarci, proprio come facciamo noi con la selvaggina!» ipotizzò Parsifal.
«Non credo.» scrollò la testa Sam. «Sono già capitato in una situazione del genere e quel tipo di caccia non funziona così. Avrebbero già preso qualcuno di noi. Anche se, a pensarci bene, in quel caso non si trattò di creature magiche, ma di una strana famiglia alquanto terrificante.»
Artù storse il naso.
«Sam, toglimi una curiosità! Nel vostro lavoro di mercanti, capita spesso a te e a tuo fratello di imbattervi in queste cose?»
Sam si fermò a riflettere. Non voleva che Artù potesse in qualche modo collegarli alla magia, non dopo tutto quello che era successo durante il loro soggiorno a Camelot. Soprattutto, non voleva che il re potesse dubitare di Merlino, a causa dell’amicizia che aveva stretto con lui e Dean.
«Più di quanto vorremmo, sire.» disse, riluttante. «Ci troviamo spesso a viaggiare un po’ dappertutto e purtroppo non tutti i luoghi che visitiamo sono come Camelot.»
«E’ vero!» concordò Artù. «Ci sono fin troppi regni che ancora tollerano la pratica della magia e questo li rende dei posti poco sicuri, soprattutto per chi ne è all’oscuro.» «Ma ora non voglio divagare dal nostro problema. Se non dovessimo riuscire ad andarcene da qui, ogni altro discorso sarebbe completamente inutile.»
«Perché non proviamo ad aspettare?» propose sir Leon.
«Aspettare?» chiese di rimando sir Parsifal.
«Sì. Aspettare. In fondo quel cluricauno ha detto che avremmo dovuto operare una scelta. Ma questo non significa per forza procedere sul percorso di destra o su quello di sinistra. Potremmo anche decidere di non scegliere e di restare dove siamo, in attesa che succeda qualcosa.» spiegò il cavaliere.
«Beh, abbiamo provato a percorrere numerose strade e non è servito a niente. Sostare per un po’ e attendere gli sviluppi della questione, potrebbe anche funzionare.» rifletté Artù, mettendosi a sedere di fianco agli altri tre. «Tu che ne pensi, Sam?»
«Al momento non vedo molte altre valide opzioni, se non continuare a peregrinare senza meta.» concordò il cacciatore. «Aspettiamo…»
 
***
 
Sull’altro sentiero dove si trovavano Merlino, sir Elyan, sir Galvano e Dean Winchester, lo scontro con il Wilddeoren era iniziato già da un po’. Le spade si scontravano con furia contro il gigantesco mostro e colpi decisi venivano assestati a destra e a manca sul suo enorme dorso liscio e viscido. Anche Dean era riuscito a procurargli copiose ferite con il pugnale angelico, ma, non trattandosi di un demone vero e proprio, il suo effetto non poteva essere troppo efficace.
Galvano ed Elyan si muovevano rapidamente, cercando di attaccare il Wilddeoren nei suoi punti deboli. Le loro stoccate erano precise e potenti, ma il mostro era molto più grande e più forte di loro e riusciva a parare ogni offensiva con le sue robuste zampe. Il clangore metallico delle spade risuonava ovunque e nell’aria si poteva quasi percepire l'odore della paura e dell'eccitazione, oltre al fetore emanato dalla bestia. All’improvviso, il Wilddeoren caricò con violenza, sollevando una delle enormi zampe per colpire Galvano. Il cavaliere si tuffò di lato, evitando l’impatto, e poi contrattaccò, puntando la sua spada verso l’altra zampa anteriore della creatura e trafiggendola con vigore. L’urlo che ne scaturì in risposta fu lugubre e minaccioso, con il Wilddeoren che iniziò a scuotere la coda da una parte all’altra e prima centrò con questa Elyan in pieno petto, facendolo cadere a terra, poi, mentre si divincolava, ferì Dean ad un braccio con uno dei suoi artigli affilati come lame di rasoio.
«Elyan, stai bene?» domandò Merlino, in apprensione per il cavaliere.
«Sì, è solo una botta.» rispose questo, mentre cercava di rimettersi in posizione per attaccare nuovamente la bestia.
«Dean, tutto ok?» chiese Galvano, accortosi del suo ferimento.
«E’ un graffio, anche se sto veramente iniziando a perdere la pazienza con quel coso.» disse il cacciatore, non mancando di rammentare la sua particolare avversione ai roditori.
Prima che il Wilddeoren potesse attaccare di nuovo, Merlino, senza farsi notare, fece finta di agitare a sua volta la spada con cui aveva trasfigurato il bastone magico e, nel frattempo, lanciò verso di lui un potente incantesimo che gli rese le zampe scivolose e lo fece crollare a terra.
«Slīdaþ!»
Il mostro, allora, non si diede per vinto e cercò di rifilare un morso a Galvano con le sue zanne lunghe e squadrate, ma il cavaliere fu più rapido ed eluse anche questo assalto, mentre i due grossi denti andarono ad infilarsi dritti nel terreno.
I due cavalieri e Dean lottavano con tutte le loro forze per prevalere su di lui, mentre Merlino approfittava di ogni momento utile per scagliargli addosso qualche incantesimo.
Alla fine, dopo una lotta estenuante, con un ultimo potente colpo, Galvano e Dean riuscirono ad uccidere il Wilddeoren, penetrandogli la pelle e trafiggendogli la gola rispettivamente con la spada e con il pugnale angelico. L’animale emise un grido di dolore e rabbia che risuonò per il sentiero come un boato e, infine, cadde a terra con un tonfo sordo. Dean, esultante, alzò il pugnale in aria in segno di vittoria, poi tutti e quattro si guardarono, ansimando, mentre il corpo del mostro venne lentamente assorbito dalla terra.
 
***
 
Dopo aver atteso a lungo che la strada dinanzi a loro subisse anche un minimo mutamento, i quattro, guidati da Artù, si erano rimessi in cammino, questa volta sperando di trovare qualche indizio nei meandri del paesaggio che contornava il tragitto, come era già accaduto a Sam e Merlino, quando avevano scoperto il varco nella foresta. Ma questa volta non sembrava decisamente quella la soluzione.
«Non c’è via d’uscita!» esclamò sir Leon all’ennesimo tentativo vano. «Abbiamo provato di tutto, ma la verità è che siamo bloccati in questo posto.»
«E’ vero!» gli fece eco sir Parsifal. «Le abbiamo tentate praticamente tutte e non c’è stato niente da fare. Abbiamo avanzato a coppie, uno alla volta, chi per una strada chi per l’altra… Niente!»
«Deve esserci qualcosa che non abbiamo fatto!» insinuò Artù, provando a capire in cosa potesse risiedere la soluzione di quella specie di enigma a forma di bivio.
«Non ci siamo arresi.» disse Parsifal. «Forse è questo che dovremmo fare!»
«No, non penso proprio. Sarebbe un segnale di debolezza e sono convinto che non ci porterebbe da nessuna parte.» obiettò Sam, pensieroso.
«Ma non sappiamo come procedere. Cos’altro possiamo fare?»  chiese il cavaliere, stremato ed esausto.
La sua domanda risuonò per qualche istante nella mente di Sam come una sorta di richiamo, un’eco lontana che lo riportava alla sua adolescenza e alle sue letture. Rammentò qualcosa che era sepolto nella sua memoria da anni, ma che lo aveva accompagnato per molto tempo con grande piacere. In quello scenario mistico e suggestivo, gli sembrò di sentire davvero il consiglio che il professor Albus Silente raccomandò ad Harry Potter in una delle sue tante avventure. Quando non si sa come procedere, è saggio tornare sui propri passi.
«Ma certo!» esclamò, convinto, con un mezzo sorriso stampato sul viso.
«Cosa, Sam?» gli chiese Artù, stupito di quel repentino cambio di atteggiamento del ragazzo.
«Dobbiamo tornare indietro! Se vogliamo procedere, dobbiamo tornare indietro!» ripeté, ormai certo che quella fosse la soluzione.
Artù e i due cavalieri si guardarono stupiti. La sicurezza con cui Sam aveva sostenuto l’idea di dover proseguire a ritroso li lasciò spiazzati, soprattutto perché nessuno fino a quel momento aveva pensato che potesse essere così semplice.
«Sam, sei sicuro?» gli chiese Parsifal.
«Sì. Del resto è l’unica soluzione che non abbiamo ancora provato.» annuì il più giovane dei Winchester.
Artù osservò la sensatezza dell’affermazione del ragazzo; inoltre, un tentativo in più o in meno non avrebbe cambiato la loro situazione, dopo ore ed ore di peregrinazioni inutili.
«Non perdiamo altro tempo!» disse il re, fidandosi di quell’intuizione.
Tutti e quattro si alzarono in piedi, si voltarono, dando le spalle al bivio che avrebbero dovuto oltrepassare, e iniziarono a procedere a passo sostenuto verso quella strada, che poteva essere una di quelle che avevano già percorso o, parimenti, una completamente sconosciuta.
Mentre la percorrevano all’incontrario, la via stretta e sinuosa si snodava tra gli alti alberi in una sorta di labirinto naturale. Le rocce e le piante sembrano fatte di cristallo e sabbia dorata. La terra sembrava fremere sotto i loro piedi. Il sentiero era un'esperienza a sé. Ad ogni passo era come se il mondo incantato di Avalon si aprisse un po' di più a loro, rivelando segreti che prima non conoscevano.
Giunti alla fine, il tragitto che avevano appena attraversato scomparve all’improvviso e si ritrovarono immersi nello stesso scenario idilliaco da cui erano partiti, ma questa volta non c’era più alcun bivio o alcuna strada.
«Ottimo lavoro, Sam!» esclamò Artù, compiaciuto, dandogli una pacca sulla spalla.
«Grazie, sire.» sorrise il cacciatore, ancora incredulo per i complimenti ricevuti dal leggendario re di Camelot.
«Guardate là, c’è qualcuno!» disse sir Leon all’improvviso, puntando il dito in direzione di un antro roccioso che spuntava tra la vegetazione.
«Quelli sono mio fratello e Merlino.» osservò Sam.
«Già. E ci sono anche Elyan e Galvano con loro.» aggiunse Artù. «Raggiungiamoli!»
 
***
 
Il caldo bagliore del sole avvolgeva il giardino che si estendeva ai piedi della magnifica magione delle fate. Era un luogo incantato, un santuario di bellezza e mistero. Ogni pietra e ogni fiore sembravano respirare con una vita propria, mentre gli alberi imponenti danzavano gentilmente al vento, facendo luccicare le chiome verdeggianti. Le foglie sembravano dipinte con tutte le sfumature dell'arcobaleno, brillando con tonalità accese sotto i raggi del sole.
La porta d'ingresso del giardino era composta da una maestosa arcata di fiori intrecciati, che si alzava con grazia e si apriva su un'esplosione di colori. I sentieri di pietra, accarezzati dalle radici degli alberi secolari, si snodavano attraverso l'erba verde e soffice. Il profumo dolce e raffinato delle rose selvatiche si univa all'aroma seducente dei gigli bianchi, creando un'atmosfera inebriante.
Al centro del giardino, un'enorme fontana scaturiva acqua pura e cristallina, creando un vortice incantato di suoni rinfrescanti. L'acqua scendeva dolcemente, formando cerchi concentrici che si espandevano al contatto con la superficie della fontana.
«Dove diavolo siamo finiti?» domandò Dean, guardandosi intorno come se fosse stato catapultato dritto in un libro di fiabe.
«In un sogno…» disse Artù, anch’egli fermandosi ad ammirare l’incanto del giardino fatato con ritrosia. «…oppure in un incubo.»
Al termine delle rispettive prove, annunciate con teatralità dai cluricauni Heinze e Crocker, i due gruppi si erano finalmente riuniti e avevano deciso di procedere verso il centro dell’isola per sconfiggere la Regina delle fate ed evitare che questa tornasse a tormentarli. Tuttavia, a differenza di quello che tutti credevano, la dimora di Clíona non si trovava in quell’enorme castello scuro incastonato nel bel mezzo di Avalon, bensì in un palazzo molto più appariscente e vivace, circondato dall’immenso giardino dove gli otto avventurieri stavano camminando.
«Credo che quella fata viva qui!» ammise Merlino, indicando piccole fatine curiose che danzavano leggere sulla punta dei fiori, creando un'atmosfera di magia e meraviglia.
«Ci ha condotto volutamente nella sua tana?!» ringhiò Dean, incredulo, sgranando gli occhi alla vista della magione oltre il giardino.
Sembrava costruita interamente con materiali naturali: le pareti erano composte da tronchi di albero intrecciati, mentre il tetto era ricoperto di foglie color argento e petali di fiori multicolori. Ad adornare la facciata, c'erano piccoli cristalli che brillavano sotto la luce del sole, creando riflessi magici. Mentre in prossimità di quello che doveva essere l'ingresso principale si trovavano due pilastri di quercia, gli alberi intorno alla dimora erano decorati con una moltitudine di lanterne fatate.
«Ogni cosa che si trova qui dà l’idea di essere ben diversa da ciò che sembra.» convenne sir Galvano, facendo una smorfia.
«Questo posto è così…» tentò di dire sir Elyan, anche se gli mancarono le parole per definirlo.
«Assurdo?!» ipotizzò Dean.
«Di sicuro non si vede tutti i giorni.» gli fece eco Artù.
«Ben arrivati!» disse, all’improvviso, Clíona, affacciata al balcone della residenza, realizzato con legno di quercia incantato e pietra di luna.
Artù, Merlino, i cavalieri, Sam e Dean rivolsero l’attenzione alla figura che, con le braccia allargate, li scherniva da lontano.
«Perché stai facendo tutto questo, quando eravamo già nelle tue mani?» le chiese Artù a voce molto alta, per essere sicuro che la fata sentisse le sue parole.
«Questo non è importante!» ribatté lei. «Non per voi!»
Aingil, la fata dai capelli color menta, le andò vicino e la affiancò, posando le mani sul parapetto, adornato con delicati fiori di campanula, che oscillavano dolcemente al vento.
«Mia regina, non dovete giustificare le vostre ragioni di fronte a questa feccia, a questi umani irrispettosi e privi di ogni ritegno.»
«Non ho intenzione di farlo, puoi starne certa!» le bisbigliò, senza che gli altri potessero udirla.
«Temete il mago, non è vero?» chiese Aingil a voce ancora più bassa.
«Sarei una stupida a sottovalutare Emrys. Sono tante le profezie sul suo conto e tante ancora le sue grandi e innegabili doti.»
«Che stanno confabulando?» domandò Artù, impugnando saldamente la spada e iniziando ad avanzare verso la magione, seguito dai suoi cavalieri.
«Vi conviene fermarvi!» gridò allora Clíona. «Non è ancora giunto il tempo di ricongiungerci!»
«Cos’altro vuoi da noi, si può sapere?» urlò Sam a sua volta, molto indispettito.
«Prima di trovarci finalmente faccia a faccia, dovrete sconfiggere il mio esercito!» proferì con imponenza la Regina delle fate.
«Ma che significa? Di quale esercito parla?» disse Parsifal.
Il cielo si oscurò, mentre un sinistro silenzio scese sul giardino fatato. Una moltitudine di piccole creature simili a farfalle emerse dalle ombre, irradiando bagliori di luce. Fluttuavano nell'aria, mentre le ali sfavillanti tremolavano nell'oscurità e risuonavano come campane tintinnanti. Ogni fata sembrava un sussurro di magia, pronta a mostrare il proprio potere.
Merlino si guardò attorno, prima di richiamare l’attenzione degli altri, visibilmente preoccupato.
«Di questo!» disse, infine, indicando tutto intorno a loro.
Ad un cenno di Clíona, le fate si mossero all’unisono e scesero dal cielo, circondando i cavalieri come tante stelle cadenti che si materializzano sulla terra e scagliandosi ad una velocità impressionante contro di loro. Ma nemmeno il gruppo di guerrieri si fece trovare impreparato. Le spade e i pugnali angelici brillavano come fulmini nelle loro mani e nei loro occhi si scorgeva una grande determinazione, mischiata all’ansia per la sfida che stavano per affrontare.
La battaglia finale aveva avuto inizio.
   
 
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