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Autore: ThatXX    21/01/2024    1 recensioni
Semplici scorci di vita, parentesi, momenti tralasciati, lampi di effimera creatività.
La raccolta si riferisce a Crisantemo/Iris/Hanabie.
Dedicata a chi ama questa storia.
Genere: Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gojo Satoru, Nuovo personaggio
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Iwanu ga hana



Quella è la mattina più calda di marzo. Aprile è alle porte ma non è sicura che sia per quello che l’aria le sembra rovente. È Satoru: le preme il corpo addosso, le sospira rocamente contro la spalla, la tocca dove i muscoli delle cosce le si contraggono. Le sue dita affusolate sono dentro di lei ma l’impressione è che non la stia toccando come fa di solito, quel tanto che gli serve per strapparle un gemito, no. Sta per farla venire.
 

Satoru vorrebbe fare l’amore con lei ma si trattiene. Sa che Hanae potrebbe svegliarsi a momenti e si ripete che non c’è tempo. Le sveltine sono per gli uomini banali e lui non lo è; piuttosto preferisce che siano le sue dita a godersela, a tirarle fuori quel suono definitivo ma soffocato tra i denti. Anche Ayame si sta trattenendo, Satoru lo sa, e probabilmente per le sue stesse ragioni.
 

Lei avverte quelle dita inabissarsi e sussulta: getta la testa all’indietro dove trova sostegno sulla spalla di Satoru. Lui le succhia la pelle bianca del collo e la osserva chiazzarsi di rosa prima di rimetterci la bocca. Il suo profumo di primavera lo eccita. Ha un’erezione di marmo nei pantaloni a cui dovrà rimediare con una doccia tiepida o con la generosa concessione della mano di Ayame e cinque minuti in più di sonno di Hanae.

 
Lei si irrigidisce: il piacere la inebria e la colma di una frenesia che quasi le stronca il respiro. La nebbia mentale avanza; ogni particella del pensiero è convogliata lì, su quella mano che la tocca, e lei è così ben disposta che quelle dita affondano e riaffiorano senza alcuna difficoltà. E alla fine raggiunge l’orgasmo; ci si tuffa come da un trampolino nel vuoto e manda un grido che i denti mordono per miracolo smorzandone il volume. La schiena di Ayame si flette, Satoru le odora la pelle che ora sa di sesso, e poi si rilassa abbandonandosi addosso al corpo del compagno.
 

I respiri si rincorrono ancora per un paio di minuti mentre lui la stringe a sé, la coccola, la ama in silenzio in un sottofondo di inizio primavera che da fuori preme contro il vetro della finestra. Lei gli si rigira tra le braccia e fissa il cielo nei suoi occhi con il batticuore che si allenta e che poi se ne va.



 Buon compleanno . La voce di Satoru è come burro, tutto l’opposto del pene che pulsa e che fa male.
 

Ayame lo bacia e gli sorride sulla bocca. – Devo considerarlo un regalo di compleanno? – lo provoca. Ha i capelli in disordine e le labbra di porpora.
 

Satoru sta al gioco. La mano s’infila sotto la veste e il polpastrello naviga lungo la rotta della sua spina dorsale: onde di un oceano di cristallo. La sua pelle è così bollente che per un momento pensa di trascinarla con sé sotto l’acqua tiepida della doccia. – Il primo di una lunga serie – risponde con l’intensità di un sussurro.



– Suppongo debba darti un segno di riconoscenza . C’è ancora del salace nelle sue parole; Satoru lo avverte come residui di frenesia, echi di quel sesso a cui hanno rinunciato che restano a galleggiare nello spazio del pensiero finché non li si soddisfa.
 

E Satoru pensa a tutto meno che a quel segno di riconoscenza, perché la mente di Ayame dovrebbe essere ancora troppo ingenua a quell’ora del mattino. Ma lei è già dentro i suoi boxer quando la realtà lo coglie e lo fa precipitare di nuovo nella pelle, come un corpo che si schianta contro l’asfalto.
 

Serra le labbra ma un lamento si svincola e sfocia in un miagolio di estasi. Sente il cuore martellare in quella mano che lo avvolge e lo appaga; gemiti in schieramento salgono e ricadono quando lui li ingoia per non fare rumore.
 

Lui la bacia e le ansima nella bocca. Ayame si muove veloce, i pensieri sbiadiscono e Satoru dimentica. La mente si snoda un filo alla volta e diviene caos, energia pura, e alla fine esplode in una supernova. Viene e il suo corpo trabocca mentre i pensieri risorgono come centinaia di albe. L’ultimo gemito gli sfugge tuonante nel silenzio che ritorna.
 

Boccheggia un po’ fintanto che il cuore rincasa nel petto e si guarda attraverso gli occhi di Ayame. Ha un’espressione trasognata come di uno che si è appena fatto una dose. Satoru non può che sentirsi imbarazzato ma riconosce di bagnarsi ancora come un adolescente quando è con lei.


È qui che ripensa al passato, all’odore delle lenzuola pulite di un alberghetto di Nakano, e dove poi si sgancia per abbandonarsi alla fantasia: s’immagina tra le cosce di Ayame, a quattordici anni, nel tempio dove Yula teneva il suo laboratorio, entrambi vergini e inesperti. Quasi rimpiange che non sia rimasta alla villa di famiglia per gli egoistici scopi di suo padre. E la visione si disperde quando il lamento di Hanae entra dai cinque centimetri di porta aperta.

 

 

***

 

– Fiori! . Hanae si sbilancia e quasi gli fa prendere un infarto. – Mamma! Toru! Fiori! – esclama sulle spalle di Satoru. Hanno appena varcato l’ingresso del giardino nazionale di Shinjuku e lei muore già dalla voglia di allungare le manine verso tutto ciò che le passa davanti agli occhi.

 
Ayame cammina accanto a Satoru spingendo il passeggino vuoto. Sono alla ricerca di un albero libero sotto cui sedersi e fare il picnic programmato da Satoru per il ventottesimo compleanno di Ayame. È il periodo di piena fioritura dei ciliegi.
 


– Che ne dici di quello? – Ayame ne indica uno in lontananza e Satoru le fa un cenno di approvazione con la testa. C’è più gente del solito considerando che la meta più gettonata durante l’hanami è il parco Ueno di Taito, e lì sì che avrebbero fatto a gomitate.
 

Mentre Ayame si occupa di disporre il picnic all’ombra dell’albero, Satoru si posiziona sotto il ramo più vicino e il braccio di Hanae si protende verso un ciuffo di fiori rosati. È incredibile come tutto diventi magicamente alla portata dei bambini quando il loro unico parametro di giudizio è la meraviglia o l’ingenuità; la sua mano è piccola ma ha la capacità di afferrare il mondo. Non sa ancora che quelle meraviglie finiranno per appiattirsi in banali scenografie di una vita frenetica, ordinaria e incolore. Non sa che diventando adulti si comincia a morire lentamente e che la vecchiaia è la semplice manifestazione fisica del decadimento di quel parametro di giudizio per cui tutto ingrigisce, avvizzisce e alla fine muore. Non lo sa e Satoru vorrebbe non lo scoprisse mai.



– Satoru? . Il richiamo di Ayame lo cattura.
 

Lui si gira a guardarla ed è come la prima volta in cui l’ha vista. No, non proprio la prima.
Se ne sta ginocchioni sull’erba: una mano tiene raccolti i lunghi capelli perché non cadano davanti agli occhi e l’altra svuota una borsa sistemando i bento sulla coperta da picnic. Indossa un prendisole verde acqua e un cardigan bianco che le copre le spalle; s’intravede una piccola scollatura e forse non vorrebbe ma gli ci cade l’occhio.
Prevede che sarà lei il fiore di ciliegio che guaderà per il resto della giornata. Sul suo viso accaldato aleggia ancora l’orgasmo di quella mattina.



– Dimmi . Satoru si riprende e risponde. Fa scendere Hanae dalle spalle che subito corre dalla madre avvinghiandosi al suo seno. Lo cerca ancora come riflesso congenito ed è un po’ la stessa ragione per cui Satoru non ha saputo trattenere lo sguardo. Il seno di una donna risveglia atavici istinti.


– Va tutto bene? Sei insolitamente silenzioso oggi – osserva e non sa bene se vorrebbe davvero conoscere la risposta.


– Sto bene – la rassicura.
 

Lo scambio finisce lì. Ayame si siede a gambe tese sulla coperta e si porta la figlia in grembo coccolandola e giocando con lei. Finge di rubarle il naso e Hanae risponde con risate vibranti. Satoru resta ancora in disparte; è sotto quel ramo che le osserva e non ha il coraggio di pensare a come sarebbe la sua vita se non avesse mai incontrato Ayame o se l’avesse persa per sempre. C’è un che di doloroso in entrambe le alternative.
 

Nel sorriso che passa sulle labbra di Ayame trova conforto. Rimane solamente il rimpianto di non aver salvato il suo migliore amico che ora è tutto condensato lì, sul viso di quella bambina. Suguru è il solo che potrebbe cancellare quel rimpianto e lo farebbe con la semplicità di una parola: “stupido”. Ma è meglio essere stupidi che vuoti.
 

Poi riflette: lo coglierebbero non poche fitte di gelosia se Suguru fosse lì con loro, se baciasse la sua Ayame, se le facesse quello che le ha fatto lui quella stessa mattina, se le gettasse gli occhi alla scollatura del prendisole, e a quel punto il rimpianto si attenua. Non va via del tutto ma sfuma: da nero passa a grigio ed è Ayame alla fine a dipingerci sopra dei suoi colori.
 

Apre la bocca per dirle che la ama e subito la richiude: non le sa usare certe parole e ci rinuncia. Sospetta che lei vorrebbe sentirselo dire – quale donna non vorrebbe sentirselo dire? – a maggior ragione perché è il suo compleanno; sarebbe certamente il migliore dei regali tra tutti quelli che ha in mente di farle, ma proprio non gli riesce. E cerca di convincersi che non ce n’è bisogno, così come un fiore non ha bisogno di parlare per far innamorare qualcuno di sé. Certe cose esauriscono il loro significato quando gli si dà voce ed è come se perdessero il fascino di essere inesprimibili. La parola “ti amo” esiste soltanto perché l’uomo teme tutto ciò che non riesce a racchiudere in un concetto.
 

Conosce solamente un modo per dirle che la ama. La raggiunge sulla coperta e le si siede accanto. La sua attenzione fa una sosta su Hanae per farle il solletico e strapparle una risata, poi torce il collo e bacia Ayame di sorpresa.
 

La ama sulle labbra, sulla mano che finisce tra i capelli della nuca, sulle punte dei nasi che si sfiorano e sui respiri che si scambiano. La ama alla luce del giorno, dentro gli occhi di sua figlia, davanti a chi passa e guarda, nel vento che fa ondeggiare i rami.
La ama sotto una pioggia di petali di ciliegio.





 


Non ve lo aspettavate? Nemmeno io. Però ho ripensato a quante scene non ho potuto (e non potrò) mettere nelle varie storie per una serie di ragioni che potremmo riassumere tutte sotto la defizione di "seghe mentali dell'autrice". Allora ho deciso di creare questo spazio creativo dove potrò liberamente scrivere scene, momenti, attimi che non potranno finire nella serie principale.
Il titolo di questa OS, "non dire è un fiore", è un concetto giapponese che racchiude in sé il senso del non dire, perché il tacere è ritenuto importante tanto quanto (se non addirittura più importante) del dire. 
Per il capitolo di Iris vi prego di pazientare. Ci vorrà ancora un bel po'. Spero che nel frattempo possiate consolarvi con questa brevissimo scorcio di vita ^^
A presto!

   
 
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