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Autore: Carmaux_95    24/01/2024    3 recensioni
[ItaFushi AU]
Era entrato, aveva timbrato il proprio cartellino e indossato il camice.
Fin da piccolo aveva sempre saputo cosa gli sarebbe piaciuto fare da grande e quando si era iscritto all’albo dei veterinari aveva coronato il suo sogno di bambino. Amava gli animali e veniva pagato per prendersene cura: cosa avrebbe potuto chiedere di meglio? Non sempre era un lavoro facile ma non si lasciava scoraggiare dalle difficoltà.
Quel gattino bianco e rosso, per esempio…
Era quasi a fine turno quando il pompiere era entrato d’urgenza nel suo ambulatorio.
Indossava ancora la divisa e persino il casco protettivo ma aveva sollevato la maschera sopra la visiera, rivelando un viso imbrattato di fuliggine un po’ ovunque tranne che nella zona degli occhi. Dalla cerniera del giaccone arancione spuntavano i lembi di un asciugamano e la sommità delle orecchie di un gattino.
Genere: Fluff, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Fushiguro Megumi, Gojo Satoru, Itadori Yuji
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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GALEOTTO FU IL GATTO


 

La suoneria del cellulare lo svegliò di soprassalto.

Quando da piccolo si svegliava di colpo, solitamente, era colpa del vento.
Di giorno non lo infastidiva più di tanto: tutto sommato era divertente quando, camminando lungo il marciapiede, un’improvvisa folata gli faceva volare contro il viso qualche foglia ingiallita. Ma di notte era diverso: al primo accenno di rumore le sue orecchie si drizzavano. Già rimboccato sotto le coperte, guardava fisso la finestra e sussultava ad ogni rumore. Quei sibili sembravano volersi insinuare tra le fessure degli infissi e persino le foglie e i rametti che sbattevano contro il vetro iniziavano ad assomigliare a mostruose mani ossute che tentavano di forzare i cardini. Allora si raggomitolava su sé stesso fino a quando non sentiva i suoi cani saltare sul letto e fargli da scudo sdraiandosi da entrambi i lati del suo corpo. Tutti gli avevano detto che avrebbe dovuto insegnargli a dormire ciascuno nella propria cuccia ma lui si era rifiutato allora e aveva continuato a rifiutarsi anche adesso che era cresciuto.

Anche quella mattina, infatti, si svegliò con un muso bianco appoggiato sullo stomaco e una coda nera che scodinzolava contro il suo viso.

Normalmente avrebbe sorriso, dedicato ad entrambi una carezza e si sarebbe alzato.

Invece allungò una mano verso il comodino e rispose alla telefonata.

«Fushiguro? Ho una domanda importante! Oh, ti ho svegliato? Scusami ma è davvero importante! I gatti possono mangiare il riso?»

Megumi sospirò: dannata “reperibilità telefonica”!

A dire il vero non sapeva se rispondere a quelle folli domande fosse classificabile come “reperibilità telefonica”. Ma, in ogni caso, il fatto che Itadori non si facesse scrupoli a chiamarlo a qualsiasi ora del giorno o della notte da quando lo aveva conosciuto certo non la rendeva più sopportabile.

La clinica veterinaria dove lavorava non era molto distante da casa: di solito faceva colazione – o pranzava, a seconda che avesse il turno mattutino o pomeridiano – saltava in sella alla bicicletta e, i guinzagli al polso, pedalava tranquillamente accompagnato dai suoi lupi fino al lavoro dove, regolarmente, si incontrava con Inumaki, che gli faceva la cortesia di occuparsi di loro mentre era di turno.

Quel pomeriggio tirava tanto vento che era stato costretto a scendere dalla bicicletta per spingerla a mano. Il tragitto era stato reso ancora più disagevole dal fatto che entrambi i cagnoni sembravano più interessati a seguire il percorso delle foglie che si libravano in aria piuttosto che la solita e monotona strada. Arrivato a destinazione aveva trovato il suo taciturno amico già sul posto: indossava uno scaldacollo azzurro a strisce calcato fin sul naso ma Megumi aveva comunque indovinato il sorriso cordiale nascostovi dietro quando gli aveva affidato i suoi animali.

Era entrato, aveva timbrato il proprio cartellino e indossato il camice.

Fin da piccolo aveva sempre saputo cosa gli sarebbe piaciuto fare da grande e quando si era iscritto all’albo dei veterinari aveva coronato il suo sogno di bambino. Amava gli animali e veniva pagato per prendersene cura: cosa avrebbe potuto chiedere di meglio? Non sempre era un lavoro facile ma non si lasciava scoraggiare dalle difficoltà.

Quel gattino bianco e rosso, per esempio…

Era quasi a fine turno quando il pompiere era entrato d’urgenza nel suo ambulatorio.

Indossava ancora la divisa e persino il casco protettivo ma aveva sollevato la maschera sopra la visiera, rivelando un viso imbrattato di fuliggine un po’ ovunque tranne che nella zona degli occhi. Dalla cerniera del giaccone arancione spuntavano i lembi di un asciugamano e la sommità delle orecchie di un gattino.

Al telegiornale Megumi aveva sentito che quella mattina era scoppiato un incendio a qualche isolato di distanza: il forte vento lo aveva reso difficile da domare quindi non si sarebbe dovuto stupire di vedere un vigile del fuoco nel suo studio a diverse ore dall’accaduto.

Però… davvero? Un pompiere con un gattino?

Era forse finito in un film a sua insaputa?

Il pompiere aveva depositato il fagottino sul tavolo: «Era incastrato in un’intercapedine! Ci abbiamo messo ore a domare quell’incendio e non me ne sono accorto subito…».

Megumi aveva indossato i guanti, scostato l’asciugamano per poter osservare con occhio clinico la situazione e si era messo immediatamente all’opera. Le ustioni coprivano la maggior parte del corpicino del micio che, però, era ancora sveglio e reattivo: nonostante questo non sapeva se sarebbe riuscito a rimetterlo in sesto.

Quasi si era dimenticato del pompiere che, allontanatosi dal tavolo per lasciarlo lavorare, non aveva rispettosamente aperto bocca per tutto il tempo. Non “quasi”. Se ne era completamente dimenticato e infatti era sobbalzato quando aveva sentito di nuovo la sua voce: «Se la caverà?».

Aveva medicato le ustioni, aveva messo una flebo e ora stava accarezzando quel piccolo testolino stremato ancora sporco di cenere. Tuttavia, era troppo presto per una risposta certa.

«Per questa notte resterà qui, in osservazione. Non ha il microchip, quindi non c’è modo di rintracciare i proprietari».

«Non sono sicuro che li abbia… insomma, a giudicare da dove l’ho trovato penso potrebbe essere un gatto randagio», aveva riflettuto il pompiere. «Finirà al canile?».

Gli aveva spiegato che sarebbe dipeso dalle sue condizioni di salute e se avrebbe o meno avuto bisogno di un periodo di riabilitazione.

«Non potrà rimanere qui: questo è solo un piccolo ambulatorio».

A quel punto il pompiere aveva decretato che, ben sperando per la salute dell’animaletto, se ne sarebbe occupato lui: «Anzi, dove sono i documenti? Cosa devo firmare per adottarlo?»

Il gattino aveva trascorso qualche notte in bilico tra la vita e la morte ma, superato il momento critico, aveva iniziato a riprendersi. Il pelo aveva già iniziato a ricrescere piano piano quando il pompiere lo aveva adottato ufficialmente.

“Per fortuna”, si era trovato a riflettere il veterinario: “In casa mia non c’è davvero più spazio…”. Doveva davvero smetterla di adottare tutti gli animaletti rimasti senza padrone che gli passavano sottomano altrimenti il suo appartamento si sarebbe trasformato in uno zoo.

La segretaria che si era occupata delle scartoffie in merito gli aveva ricordato, come faceva per tutti i clienti, che per qualunque domanda o necessità gli sarebbe bastato telefonare al numero dell’ambulatorio.

E così, i suoi tormenti avevano avuto inizio.

«Pronto? Il dottor Fushiguro? Sì, certo: glielo passo immediatamente»; «Pronto? In questo momento il dottore è impegnato ma posso fissarle un appuntamento. È urgente?»

Oppure: «Il dottore non è disponibile al momento: può riprovare a telefonare fra una decina di minuti?»

«Perché gli hai detto di richiamare?!», aveva esclamato Megumi, esasperato da quelle continue telefonate. Ormai era da quasi un mese che quella storia andava avanti.

«Magari è urgente».

«Non è mai urgente! È una maledizione e basta!»

«Non saprei: avevo l’impressione che avesse davvero voglia di parlare con te…»

«Sì, beh, io invece no!»

Il pompiere aveva anche preso appuntamento più di una volta e aveva sempre chiesto espressamente di lui.

Poi, dopo circa due mesi, le telefonate al telefono fisso dell’ambulatorio erano improvvisamente cessate… fino a quando, in compenso, non era stato il cellulare personale di Fushiguro a prendere il suo posto.

«Itadori?! Chi ti ha dato il mio numero?»

«Uh? La tua segretaria. Non te l’ha detto? Mi ha spiegato che fai “reperibilità telefonica” o qualcosa del genere».

“Non funziona così la reperibilità telefonica!” «Dev’esserle sfuggito».

«Iniziavo a sentirmi in colpa perché continuavo a disturbarti e-»

«Che vuoi?»

«Volevo chiederti una cosa per il gatto!»

«Sto lavorando».

«Oh, sì giusto: scusa! Allora ti telefono questa sera!»

Non aveva fatto in tempo nemmeno ad opporsi. E così quella sera si era trovato a spiegare che, se Itadori avesse voluto dare del latte ad un micino avrebbe dovuto evitare il latte vaccino perché non possedeva abbastanza proteine e grassi da fornirgli il fabbisogno nutritivo necessario per svilupparsi in modo sano.

Come da quello fossero giunti a parlare del fatto che uno dei suoi piatti preferiti fosse il pollo nanban e che gli piacesse particolarmente lo zenzero, Megumi non lo aveva capito.

Guardò lo schermo del cellulare e sospirò.

“Potrei non rispondere”, ma nel momento stesso in cui lo pensò il telefono era già premuto contro il suo orecchio.

«Fushiguro? Ho una domanda importante! Oh, ti ho svegliato? Scusami ma è davvero importante! I gatti possono mangiare il riso?»

«Ma perché».

«Non mi ero accorto di aver finito le pappe per il gatto e purtroppo non ho carne in frigo. Ho solo un po’ di riso e forse qualche carota».

«In linea di massima l'organismo felino non è fatto per digerire i cereali».

«Oh no… e adesso con cosa gli faccio fare colazione?»

«Ho detto “in linea di massima”. Puoi dargli un pochino di riso ma mai crudo altrimenti non riuscirà a digerirlo. Se vuoi puoi anche aggiungerci le carote, ma anche queste vanno cotte altrimenti potrebbero causare soffocamento».

«Dicevo per scherzo quando parlavo delle carote: non è mica un coniglio», ridacchiò Itadori e, dai rumori di sottofondo che riuscì ad intercettare, Megumi immaginò stesse tirando fuori un pentolino in cui cuocere il riso.

«In realtà circa l’80% della dieta dei conigli consiste nelle fibre a stelo lungo, in forma di fieno».

«Sei esperto anche di conigli?!»

«Ne ho un po’ a casa».

«Pure? Ma… “un po’”? Quanti?»

Megumi sorrise e, voltandosi, vide che uno di loro era già saltato sul comodino e minacciava di mettersi a mordicchiare il cavo della lampada.

«Mi pareva di aver capito che avessi dei cani», riprese Itadori prima che gli potesse rispondere.

«Anche».

«Casa tua deve essere un disastro con tutte quelle bestie in giro».

«Per chi mi hai preso!», esclamò il veterinario, forse leggermente risentito per quel commento.

«Hai mai visto quel film in cui il protagonista ha una valigia magica da cui per sbaglio iniziano ad uscire degli animali? E deve trovare un modo per riportarceli dentro?»

«No. E date le premesse non credo mi piacerebbe».

«Dai, non pensare male! È carino, anche se non è il genere che prediligo!»

Così, mentre accarezzava i suoi cani, si trovò ad ascoltare Itadori che raccontava l’ultimo film che aveva visto.

«Non dico che non mi sia piaciuto ma parte tutto da un pretesto di trama scontato».

«Disse il pompiere che salvò il gattino».

Seguì un momento di silenzio e la voce di Itadori si fece più seria: «Guarda che quando scegli questa strada metti in gioco la tua vita ogni giorno. Io voglio solo aiutare la gente. Non funziona come nei film».

Megumi si morse una guancia per evitare di fargli capire che aveva formulato quello stesso pensiero infantile il giorno stesso in cui si erano conosciuti, per cui cercò di dissimulare: «Non vado mai al cinema. Però mi piace molto la mu-».

«Non vai mai al cinema?!»

Scosse la testa e, come se lo avesse visto, Itadori lo interrogò nuovamente: «Perché no?»

Perché al cinema non era permesso portare animali.
Perché preferiva leggere.
Perché, sebbene non gli dispiacesse trascorrere il tempo per conto proprio, non gli piaceva sentirsi solo.

«Così».

«Questo sabato danno l’ultimo film di-»

«Non posso».

«Non sai nemmeno a che ora è la proiezione. Ti scriverò: tieniti libero».

Itadori gli diede il tempo di rifiutare ma, per qualche motivo, così come non si era accoro di come l’argomento “pappa del gatto” fosse stato lasciato in secondo piano, non se ne rese conto. Acconsentì inconsapevolmente, rimanendo in silenzio con l’ombra di un sorriso sul suo volto mentre scuoteva bonariamente la testa.

Forse era perché, in realtà, Itadori era terribilmente bravo a fargli dimenticare il mondo circostante. Gli bastavano pochi minuti e improvvisamente anche la peggiore delle giornate tornava ad avere un senso. Persino essere svegliati di prima mattina assumeva una nuova sfumatura: al posto di infastidirlo, la sua risata spensierata appena prima di riattaccare si tramutò nel raggio di sole che, ora, bucava le tende illuminandogli il viso.


 

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«Spero per te che ne valga la pena! Ho dovuto lasciare a casa i miei cani: Inumaki non era disponibile, oggi».

«Ehi», piagnucolò Itadori sedendosi al suo fianco in sala. «Perché mi minacci? Ho pure comprato i popcorn!»

«Ho dovuto lasciare a casa i miei cani!».

«Sono solo un paio d’ore». Vedendo che il broncio del veterinario non accennava a scemare Itadori gli consegnò i popcorn. «Facciamo così: per cena torniamo a casa tua: in questo modo non resteranno da soli troppo a lungo! È una soluzione perfetta».

«Non avevamo in programma di cenare insieme!»

«Sshh: inizia il film!»


 

*


 

«Allora? Ti è piaciuto il film?»

«Aveva una bella colonna sonora».

«Andiamo: non era poi così male. A me è piaciuto».

«Ma se non sei riuscito a guardare lo schermo per più di dieci minuti consecutivi».

«Beh, era difficile prestare attenzione con te seduto di fianco».

Megumi strinse le chiavi di casa e la inserì bruscamente nella toppa come se fosse stato colto con le mani nel sacco: se gli avessero chiesto la trama del film appena visto non sarebbe stato capace nemmeno riassumerla tanto era stato distratto dalla vicinanza con Itadori.

Fortunatamente, nel momento stesso in cui aprì la porta i suoi pensieri vennero travolti dai suoi lupi, entusiasti del ritorno del loro padrone.

«Quando hai parlato di “cani” me li ero immaginati di taglia più ridotta», commentò il pompiere sorridendo e fu quasi costretto a scavalcarli per potersi accomodare in soggiorno. «Ma quanto sei ordinato! Non me l’aspettavo!»

Megumi aveva deciso che sarebbe rimasto serio e distaccato. Si era già fatto fregare due volte: quando aveva accettato di uscire e, aggravante, quando aveva addirittura acconsentito ad una cena casalinga.

Ma a casa sua non c’erano quasi mai ospiti e vedere Itadori che caracollava sul divano per evitare di pestare la coda di uno dei suoi bestioni lo divertì. Ancora più spassoso fu vedere il suo sguardo stralunato quando una rana gli saltò improvvisamente in grembo. Tornò ad indossare il solito sguardo indifferente quando dovette avvicinarsi e raccogliere il rospetto dalle sue gambe.

«Quanti altri animali ci sono qui dentro?»

La risposta giusta sarebbe stata: “troppi”.
Ma se per Megumi era normale sentire il peso di Nue, il gufo un po’ troppo cresciuto, appollaiato sulla sua testa mentre cucinava, per Itadori fu una sorpresa che per poco non gli fece volare di mano le polpettine di carne che stava preparando per cena. E ancora una volta il veterinario trattenne un sorriso, dirottandolo verso il suo amico piumato.

«Cosa c’è?», domandò al suo ospite quando lo colse ad osservarlo.

«È bello… no, nulla. Non ti ho ancora ringraziato per aver salvato quel gattino: sei stato straordinario».

«A proposito, come sta?»

Itadori tentennò prima di parlare: «Sorridi».

«Come?»

«È bello guardarti mentre ti occupi degli animali: sorridi. È una cosa che non fai spesso», rivelò a bruciapelo.

Megumi si portò una mano alla testa: il palmo rivolto verso l’alto, vi fece salire Nue e, per vendicarsi di quel commento che gli aveva tinto le guance, lo depositò sulla spalla di Itadori che, improvvisamente impacciato, si trovò a dover difendere la cena dai suoi artigli famelici.

«Sai, anche a me piacciono gli animali», continuò Yuji mentre il rapace gli becchettava la punta delle orecchie. «Quando andavo a scuola mi chiamavano “la Tigre della Media Ovest” perché eccellevo negli sport!».

«A dire il vero è un soprannome un po’ ridicolo».

«Ehi, io ne andavo molto fiero! Ma sono ancora più orgoglioso di queste polpette! Sono una mia ricetta personale. Avanti, assaggia».

Si accomodarono sul divano.

«Mi dispiace averti costretto a cucinare. Te la cavi sorprendentemente bene ai fornelli».

«Ho perso il conto delle volte in cui mi sono scottato o… come sarebbe a dire “sorprendentemente”?».

«Ha un che di ironico considerando il lavoro che fai».

«Guarda le mie mani: sono una cicatrice unica», disse, poi gliele stese di fronte. Fushiguro pensò che volesse dare prova di quanto detto, invece le mani di Itadori cercarono le sue: «Le tue, invece, sono belle: sono affusolate ma, quando lavori – quando stavi salvando quel gattino, per esempio – sono ferme e precise».

Quell’improvviso contatto avrebbe dovuto turbarlo, invece non provò nemmeno a ritrarsi, lasciò che le dita di Yuji scivolassero sui suoi palmi, che si intrecciassero alle sue tre, quattro volte. Come fosse un gioco si rifuggirono e cercarono, solleticandosi a vicenda. I piatti dimenticati sul tavolo, Megumi contò le imperfezioni e i calli dovuti al lavoro. Eppure, quelle mani così rovinate gli trasmisero un calore inaspettato, la delicatezza di quando si maneggia qualcosa di delicato e allo stesso tempo la forza di un affetto rassicurante che, chissà come, aveva accettato di mettersi in gioco e sfondare il suo muro di freddezza e distacco.

Il loro primo bacio fu spontaneo, con solo una punta di incertezza. L’esitazione di un attimo, il tempo di ingoiare l’orgoglio e indovinare il sorriso di Yuji premuto sulle sue labbra mentre si aggrappava alla sua maglietta. Era… confortante, sentirsi così tranquillo, rilassato. A suo agio.

Si rese conto di avergli preso il mento con una mano, come a volersi assicurare che non si tirasse indietro, e fu allora che la sentì: eccola, la tigre affettuosa che faceva già le fusa.

Esalò un sospiro beandosi di quel suono meraviglioso che sicuramente, sgradevole come lui solo sapeva essere, non meritava.

Poi, di colpo, un lampo improvviso lo accecò.

Si voltarono e Fushiguro sentì montare nel petto tutta l’avversione e l’insofferenza che Itadori era riuscito a sopprimere.

«Un sorriso per i miei follower? Siamo in live!»


 

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«Ebbene, cari follower, sono appena stato sfrattato!»

Gojo si sedette sul pianerottolo, la schiena appoggiata contro il portone di casa.

«Qualcuno di voi conoscerà già il mio coinquilino. Il ragazzone con le mani infilate sotto la sua maglietta invece è nuovo anche per me! Megumi-chan!!!», alzò la voce e bussò alla porta. «Come si chiama il tuo “amico”?»

«Mi chiamo Yuji!»

«Ma che fai? Gli rispondi pure!?»

«Mi sembrava cortese…»

«Yuji? Piacere, Yuji! Eh, sì, Megumi sa essere un po’… spigoloso, ogni tanto, ma… ehi! Non mi piacciono questi commenti! Ritirateli!», puntò un indice minaccioso contro la telecamera del cellulare, con cui stava facendo l’ennesima diretta streaming della giornata. «Ormai dovreste saperlo che in realtà è un ragazzo d’oro? Quante volte ve l’ho detto? Anzi, se avete animali domestici portateli alla clinica dove lavora: vi assicuro che non potrebbero essere in mani migliori! Hai sentito, Megumi? Sto facendo pubblicità al tuo studio! Sai quanti milioni di iscritti ho? Sono aumentati dall’ultima volta! Avanti, mi fai entrare in casa? Ho fame! C’era un profumino così invitante… Per quanto tempo dovrò restare qui sul pianerottolo? Ho comprato un po’ di dolci e se non mi apri subito andrà a finire che li mangerò tutti adesso e poi dovrai occuparti di me quando starò male!»

La risposta che gli giunse da dietro il portone non fu quella che si sarebbe aspettato: «UN SERPENTE!»

Ridacchiò: Orochi doveva essere strisciato fuori dal suo rettilario per venire a fare la conoscenza del nuovo arrivato. Megumi, fuori di testa com’era nel decidere di tenere tutti quegli animali liberi in casa, aveva però un dono innato: come avesse fatto ad insegnargli a non stritolare i lupi e a non mangiare né i conigli né le ranocchie rimaneva ancora un mistero. In ogni caso, come sempre, non seppe trattenere una provocazione: «Ehi, se dovete fare delle porcherie andate in camera! Risparmiate il divano! Uffa! E dire che lo avevo anche avvertito che sarei tornato a casa per cena. Ma, in fondo, posso capire che se ne sia dimenticato. A volte, quando siamo in compagnia di una persona speciale, il tempo ci sfugge. Capita a tutti, anche ad una persona stoica e calcolatrice come il piccoletto. E, sapete, non me la sento nemmeno di rimproverarlo: si concede così poche gioie. Erige attorno a sé un muro ogni volta che qualcuno tenta di avvicinarsi. Sono felice di vedere che qualcuno sta provando ad abbatterlo. “Non è d’aiuto fare amicizia” e “si tratta di rispettare gli altri ma anche di tracciare una linea di confine”. È vero che spesso la vita è un gioco che si gioca da soli ma, quando tiriamo le somme, la solitudine ci fa ritrovare o perdere noi stessi. Ma se è così perché mantenere le distanze? Certo, a volte la vicinanza può essere fastidiosa. Eppure, gliel’ho detto e ridetto: a volte va bene lasciarsi andare. A volte va bene essere egoisti».

Reclinò la testa, appoggiandola contro la porta. «L’amore è una vera maledizione, non è vero?»

Megumi non gli avrebbe aperto per un bel po’ e, forse, era meglio così. Nella foto che gli aveva scattato sembrava così felice…

«Detto questo, procediamo!», esclamò catturando nuovamente l’attenzione dei suoi followers: «Vi faccio vedere cos’ho comprato oggi! Ho un bel po’ di cose da mostrarvi ma che ne dite se cominciassi con i kikufuku della pasticceria Kikusuian? Sono buonissimi! Vi consiglio quelli alla panna!»


 


 

Angolino autrice:


 

Buona sera a tutti!

Eccomi di ritorno su questo fandom con una AU a cui pensavo da tempo. Mi pare che in un'intervista Gege avesse dichiarato che, se non facesse lo stregone, Yuji sarebbe diventato un pompiere ^^ Megumi/veterinario è venuto da sé ♥

Gojo influencer è stata un'aggiunta dell'ultimo minuto XD

Spero come sempre che questa piccola storia vi abbia strappato un sorriso! ^^

A presto!

Un bacione!

Bea

  
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