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Autore: Giandra    31/01/2024    0 recensioni
❧ PangWave
➥ post-canon; aromantic!Pang
La storia partecipa alle challenge "L'Anno Aspec" indetta da Mari Lace e "Everything has CHALLENGED (Taylor's Version)" indetta da PinguinaMati sul forum Ferisce la penna, alla challenge "BTS - challenge" indetta da Mokochan sul forum "La torre di carta" e alle challenge "Things you said" indetta da Juriaka e "Un amore di challenge" indetta da AleDic sul forum di EFP.
“Cambia che per me non esiste nessuna differenza tra amicizia e amore, cambia che non credo che sentirò mai quelle cose da film: quell’amore totalizzante che diventa il centro del tuo mondo e della tua vita. Cambia che tante delle cose che son ritenute... Non lo so, tipo punti di distacco tra una relazione platonica e una romantica per me son cose... normalissime?, che potrei fare con chiunque a prescindere dall’etichetta che piazzo sul nostro rapporto. Cambia che posso dirti che ti amo, che so di amarti, ma non so cosa dovrebbe significare ‘essere innamorato’ di te; non è che non voglia dirtelo perché non credo nell’intensità del bene che ti voglio – anzi –, ma davvero non afferro quale dovrebbe essere la differenza.”
Genere: Hurt/Comfort, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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in the middle of the vast ocean
(one whale speaks softly and lonelily)


And this is our place, we make the rules
And there's a dazzling haze, a mysterious way about you dear
Have I known you 20 seconds or 20 years?

 
  Wave non avrebbe mai immaginato, agli albori della sua carriera accademica, di diventare amico di Sam – a dirla tutta, Wave non aveva previsto di diventare amico di nessuno. Nonostante l’esperienza degli ultimi tre anni di Mattayom gli avesse regalato un briciolo di fiducia nei confronti del genere umano, e lo avesse aiutato a relazionarsi meglio con i suoi coetanei, restava l’assunto per cui non dava mai per scontato che all’interno di ogni ambiente sociale avrebbe trovato qualcuno con cui stringere un rapporto d’amicizia.
  Contrariamente alle sue aspettative, durante il secondo mese di università, una ragazza spigliata e un po’ goffa aveva preteso di sedersi accanto a lui durante i corsi che avevano in comune, perché “gli altri chiacchierano troppo e non riesco a prendere appunti”; Wave, a dirla tutta, l’aveva ritenuta una motivazione comprensibile – quello che, al massimo, andava oltre la sua comprensione era il perché alcune persone si prendevano la briga di aprire gli occhi alle sei del mattino, per recarsi a lezione, se poi comunque non seguivano una parola di quello che i professori spiegavano in aula –, ma gli era parso comunque un po’ strano che con tanti banchetti vuoti lei avesse dovuto piazzarsi proprio vicino a lui. “È che non voglio stare proprio sola sola” gli aveva spiegato Sam, che tra l’altro si era presentata a Wave solo dopo un’intera settimana trascorsa senza che si scambiassero una parola, con lei che gli aveva dato gomitate involontarie ogni due per tre, mentre scriveva freneticamente sul suo taccuino rosa con sopra una stampa a unicorno. “Mi piace che tu non mi disturbi mentre i professori parlano, ma mi sentirei a disagio senza nessuno vicino”.
  Wave le aveva annuito e si era limitato ad accettare la sua presenza, che in fondo aveva smesso di risultargli fastidiosa non appena aveva capito a quanti centimetri posizionare il braccio destro dal suo sinistro per non venire colpito. Non si era messo ad attaccare bottone con lei, però: non che non volesse, ma non sapeva davvero come fare a dare il via a una chiacchierata di circostanza senza risultare impacciato.
  “Perché non le chiedi qualcosa di più personale, allora?” gli aveva proposto Pang, mentre smanettava con il joystick per massacrare gli zombie che stavano tentando di invadere la sua casa virtuale, nel videogioco che Wave gli aveva comprato per il suo compleanno (“Puoi giocarci al massimo un paio d’ore al giorno; non farmi pentire di avertelo regalato”; “Sì, papà”).
  “A stento so come si chiama e dovrei chiederle qualcosa di personale?” Okay, magari lui non era il maestro della socializzazione, ma quella non gli era sembrata poi una grande pensata.
  Pang aveva reagito con un mezzo sospiro divertito. “Non intendo che dovresti chiederle di faccende delicate, però magari puoi evitare di parlarle del meteo, ecco. Mi hai detto che ha un quaderno con sopra un unicorno. Puoi menzionare quella cosa, tipo.”
  “Dovrei prenderla in giro?”
  Quella volta, Pang si era messo proprio a ridere, anche se solo per un paio di secondi. “Ai'Wave, anche se con me ha funzionato, di solito la gente non diventa amica partendo da un insulto.”
  Wave gli aveva sussurrato un’imprecazione e si era girato di spalle per nascondere il suo sorriso.

 
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  Alla fine, seguì il consiglio di Pang. Non era certo di che tipo di domanda potesse formulare a partire dal taccuino di Sam, quindi non gliene fece una: “C’è un unicorno sulla copertina” disse solo, consapevole che se qualcuno avesse rivolto a lui una frase del genere – che si limitava a testimoniare l’ovvio – con ogni probabilità avrebbe dato una risposta sarcastica, e forse un po’ antipatica, al suo interlocutore.
  Sam però non sembrava il tipo che avrebbe reagito allo stesso modo – e, infatti, gli indirizzò un sorriso a trentadue denti, che le diede l’aria di una dodicenne. “Sì!” esclamò. “Carino, vero?”
  Wave tossì. “Uh...”
  Sam ridacchiò. “Se non ti piace, me lo puoi dire, eh. Non ti odierò, promesso.”
  Wave incurvò le labbra all’insù, segretamente grato di quella specifica, che lei doveva in realtà aver aggiunto con leggerezza. “Uhm, no, non è che non mi piace. Solo... Credo che l’ultima volta che ne ho visto uno sia stata durante gli anni del Prathom, più o meno.”
  Lei gli sorrise, assottigliando gli occhi. “Vuoi dire che sono infantile?”
  “Oh.” Ma chi gliel’aveva fatto fare di darle a parlare? Quella conversazione stava già degenerando. “No. Non volevo dire questo. Volevo dire-”
  Non poté dire proprio niente, perché a interromperlo fu Sam stessa, che si stava tenendo la pancia mentre si sganasciava come se Wave avesse appena preso a ballare sul banco con un hula indosso di fronte a tutti. “Sei proprio un tipo particolare” gli disse una volta che ebbe smesso di ridere, mentre si asciugava le lacrime con il dorso della mano. “So che si tratta di una stampa che ti aspetteresti di vedere più tra le mani di una bambina, ma a me gli unicorni piacciono un sacco: mi mettono di buon umore. E poi sono il simbolo della bisessualità, lo sapevi?”
  Wave sbatté le palpebre ripetutamente, preso alla sprovvista. “Ah. No, non lo sapevo.”
  Non erano poche le cose che Wave non sapeva e che scoprì nelle settimane successive. Sam gli fece ascoltare almeno dieci album di k-pop, che lui non aveva mai prima nemmeno preso in considerazione, gli spiegò il significato di una ventina di costellazioni visibili dal vetro trasparente dell’osservatorio della loro università e gli illustrò la trama di un’infinità di anime dei quali era una fan accanita ma che, a detta sua, non ricevevano abbastanza attenzione dalla community otaku. Spesso Wave si limitava ad annuire alle cose che gli diceva, ma Sam per qualche strano motivo non ci rimaneva male: riusciva sempre ad accorgersi di quando lo stava annoiando con il suo ciarlare e cambiava prontamente argomento, altrimenti continuava a parlare a ruota libera contenta anche solo di essere ascoltata.
  Dopo qualche settimana, prese a incitarlo a rendere quegli scambi biunivoci. “Voglio che mi parli anche tu delle cose che ti piacciono” affermò.
  Wave si prese il suo tempo, sia per sentirsi abbastanza a suo agio da aprirsi con lei, sia per preparare un discorso strutturato in modo tale da non metterlo in soggezione mentre lo esprimeva ad alta voce, faccia a faccia con lei. “Cioè?” gli aveva domandato Pang, quando gliel’aveva spiegato.
  “Cioè...” Il problema stava nel fatto che persino progettare quella conversazione lo faceva sentire a disagio, figuriamoci l’atto vero e proprio.
  Pang gli rivolse un sorriso gentile. Fece un paio di passi verso di lui e, dopo averlo squadrato per un po’, gli poggiò una mano sulla spalla. “A Sam piaci già. Sono sicuro che, quante più cose le dirai, potrà solo trovarti ancora più fantastico.”
  Quella doveva essere la prima volta che Pang gli indirizzava un complimento esplicito; uno che lo costrinse a distogliere lo sguardo e che fu la causa del sangue che andò dritto dritto a imporporargli le guance e a renderle bollenti. “Uhm” replicò soltanto. Pang ghignò, mordendosi il labbro e guardandolo come se fosse un film che lo stava intrattenendo parecchio. A Wave venne contemporaneamente voglia di dargli un pugno e di baciarlo fino a fargli perdere l’equilibrio.

 
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  “Per questo è interessante.” Sam lo stava osservando con gli occhi sgranati e la bocca aperta a formare una piccola ‘o’, mento poggiato sui palmi delle mani e peso sorretto dai gomiti piantati nell’erba. Aveva insistito per fare una passeggiata nel cortile dell’università – “tipo un picnic”, aveva detto. Wave si era pure ingegnato nel cucinare qualcosa, sotto gli occhi vigili e divertiti di Pang, che aveva avuto la faccia tosta di voler assaggiare tutto quello che stava preparando (e Wave, seppur con qualche insulto sparso qua e là per rendere il suo broncio più credibile, non aveva trovato la forza di vietarglielo).
  “In effetti, gli spazi vettoriali sembrano abbastanza ingegnosi, però lasciamelo dire: son contenta che abbiamo solo due corsi in comune. Le robe che studi tu son troppo difficili per me.”
  Wave non poté fare a meno di sorridere. Si aggiustò gli occhiali, portandoli più in alto tra la fronte e il naso, e le spiegò: “Non sono troppo difficili per te: è solo un fatto di predisposizione, di passione... di cose così.”
  Sam ricambiò il sorriso e si trascinò con i gomiti più vicina a lui, offrendogli uno spettacolo adorabile e un po’ buffo. “Infatti il tuo potenziale riflette questa tua passione, no?”
  Wave annuì.
  Lei lo fece di rimando; poi sbuffò.
  “Che c’è?”
  “Ma niente. È solo che io non ho ancora ascoltato le onde radio per attivare i miei neuroni potenziosi.”
  La risata gli uscì talmente spontanea che finì per sputare parte del succo di frutta che aveva ancora in bocca. “Non-” si pulì le labbra con discrezione, cercando di riacquistare un’aria più composta. “Non si chiamano così.”
  Sam fece spallucce.
  “Comunque lo avevo immaginato.”
  Lei lo guardò con aspettativa, occhioni luminosi e speranzosi. “Sì? Perché?”
  Wave fece schioccare la lingua contro il palato e alzò le sopracciglia. “Figuriamoci se una come te, che blatera non-stop di tutto quello che le piace, non mi avrebbe già parlato per ore e ore di tutte le applicazioni possibili del suo potenziale, ne avesse avuto uno.”
  Lei sembrò come colta in flagrante su una scena del crimine, ma non gli parve offesa, anzi: gli spedì una linguaccia e si girò a pancia in su, incrociando le braccia dietro la testa. “Vero.”
  “Quindi?” la spronò. Il silenzio rilassato che si era appena stagliato tra di loro era insolito: Sam pareva odiarli, i momenti di vuoto tra una chiacchierata e l’altra, e faceva sempre di tutto per riempirli, fosse pure con qualche cavolata randomica.
  “Non so, ho un po’ paura di scoprire di che si tratta. Non mi pare di essere portata per niente.”
  Wave aggrottò la fronte. “Scrivi molto bene” le disse – e lo pensava davvero. Sam gli aveva fatto leggere alcune delle storie che aveva steso, oltre a qualche sua fan fiction (a quanto pareva, esistevano persone che sprecavano il loro tempo a far muovere personaggi esistenti di qualche altro media in storie scritte da loro; creavano accoppiate inaudite, o ship, come le aveva chiamate Sam, e in pratica cambiavano le cose che nell’opera originale non erano loro andate giù; altra realtà che era stata lei a introdurgli, anche se Wave reputava che sarebbe sopravvissuto anche senza saperne nulla), e al di là del fatto che, magari, non rientravano necessariamente nei suoi gusti le aveva trovate davvero ben scritte e ragionate.
  Sam si coprì gli occhi con un braccio, come se quel complimento l’avesse imbarazzata. “Davvero lo pensi?”
  “Non lo direi, altrimenti.”
  Poté scorgere il suo sorriso – il che lo rincuorò. “Dubito però che il mio potenziale possa avere qualcosa a che fare con la scrittura.”
  Wave sospirò. “Non lo so, può darsi. Ad ogni modo, non devi forzarti: è una scelta che spetta solo a te. Riflettici bene. Sai già, credo, che se desidererai liberartene, del tuo potenziale, lo potrai fare. Stanno persino lavorando su un modo per recuperare le cellule distrutte, nel caso in cui la persona cambiasse di nuovo idea. Vedila come una porta sempre aperta, che puoi varcare, ma solo se vuoi.”
  Passò un paio di secondi a seguito delle sue parole, dopo i quali Sam drizzò la schiena di scatto e si girò verso di lui con un sorriso a trentadue denti. “Wow, Wave. Sei proprio saggio.”
  Lui scosse il capo. “Sei tu che sei stupida. Ti sembro saggio in prospettiva.”
  Sam gli diede uno scappellotto sul braccio, poi un altro, dopo prese a lagnarsi su come lui fosse cattivo e insensibile. Wave la lasciò fare, troppo impegnato a mordersi l’interno delle guance per non scoppiare a ridere.

 
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  Circa una settimana dopo la loro conversazione, Sam si precipitò da lui – per poco non capitombolò mentre tentava di riacquistare l’equilibrio dopo una corsa da gara atletica internazionale – e gli annunciò di aver ascoltato le onde radio. Lo investì con un abbraccio spaccacostole, che Wave fu troppo sorpreso per ricambiare e che lo fece irrigidire da capo a piedi: non gli aveva instillato un effettivo fastidio, ma lui non era il più grande fan del contatto fisico. Non appena gli si fu tolta di dosso, le chiese quale fosse quindi il suo potenziale; la sua reazione fu delle più bizzarre: alzò lo sguardo, puntandolo sulla testa di Wave o su qualcosa comunque al di là dei suoi occhi, e poi gonfiò le guance con un sorriso birichino stampato sulla faccia, prima di coprirsi la bocca con la mano destra.
  “Sei diventata scema?”
  “No.” Era ancora paonazza in viso per lo sforzo fisico.
  “Più scema?”
  Sam limitò a rispondergli con un cipiglio.
  “Cosa, allora?”
  Lei ridacchiò, si morse il labbro e prese a sghignazzare ad alta voce ogni paio di secondi. Forse, Wave ipotizzò, era sul serio impazzita. “Lo scoprirai, prima o poi! Ne son sicura. Comunque è un potenziale carino. Non son certa del perché mi sia capitato, ma mi piace.”
  Wave sbatté le palpebre tre o quattro volte, confuso. “Scusa, ma perché non me lo dici e basta?”
  Lei scosse il capo. Si puntò l’indice sulle labbra e biascicò: “Se-gre-to!”
  Gli venne voglia di prenderla a calci.

 
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  “È letteralmente per merito mio che ha deciso di scoprire qual è il suo potenziale!” si lamentò, forse per l’ennesima volta, mentre camminava avanti e indietro per la stanza. Pang lo stava ascoltando a gambe incrociate sul letto, i calzini gialli che gli aveva regalato Wave dopo il suo primo esame in bella vista (poteva esserci un barlume di verità nell’accusa per la quale, dopo che Pang gli aveva comprato la sua giacca verde durante l’estate tra il secondo e il terzo anno di Mattayom, Wave aveva usato quell’avvenimento come scusa per fargli regali a ogni buona occasione). Lo stava a sentire con attenzione e interesse – e anche solo quella consapevolezza lo rendeva entusiasta: quella per cui Pang volesse rimanere al corrente di cosa succedeva nella sua vita, pure se si trattava di qualcosa di così frugale, che non aveva nulla a che fare con le loro missioni o con gli impegni della Potentials Police.
  “Magari è qualcosa di cui è sicura tu possa accorgerti da solo. Magari vuole renderlo, tipo, un gioco” suggerì Pang.
  Wave inspirò ed espirò con lentezza – e sentì pian piano l’irritazione scivolare via dal suo corpo. “Forse” accettò, “però mi dà fastidio.”
  Il suo compagno di stanza rise, mentre si alzava dal letto per avvicinarsi al loro frigorifero. Ne tirò fuori due bottigliette d’acqua e ne lanciò una a Wave, che la prese al volo. “Anche io sarei curioso” ammise, “ma per come me l’hai descritta, questa Sam, è molto probabile che a breve o te lo dirà o creerà una situazione nella quale il suo potenziale risulterà ovvio.”
  Wave annuì. Ci aveva pensato anche lui. “Sì. Credo di sì.”
  Pang gli sorrise. Si sedette alla loro scrivania e tornò ai suoi appunti – frasi, doglianze, proposte delle persone che lavoravano per la Potentials Police e che, pur avendo almeno cinque, dieci o anche venti anni in più a lui, gli si rivolgevano per ogni dannatissima, minima cosa.
  “Ti serve una mano?” gli chiese.
  Pang si girò verso Wave e stavolta il sorriso che gli rivolse fu più caldo e complice, uno di quelli ai quali si era abituato quando ancora stavano combattendo contro il Direttore. “Se ti va.”
  Certo che mi va, fu la frase sulla punta della sua lingua, che riuscì a ricacciare in gola e che gli lasciò un sapore amaro in bocca. “Sì, okay. Sentiamo cos’hanno da dire.”
  Lo aiutò a scartare gli spunti più inutili (“No, Pang, non puoi risolvere tu i problemi di tutti! E chi se ne frega se la macchinetta delle merendine non funziona al terzo piano?”) e discussero per un paio d’ore di quelli più sensati. Wave sapeva che Pang prendeva molto seriamente i contributi degli altri, anche se poi voleva essere lui a prendere la decisione finale, motivo per il quale non vedeva tutte le responsabilità che venivano scaricate sulle sue giovani spalle come un peso. Wave era felice di poterlo aiutare – e ancora di più del fatto che Pang avesse a cuore la sua opinione.
  Ultimarono la revisione dei suoi appunti verso le dieci di sera. Non avevano ancora cenato, così Wave cucinò un piatto a base di pesce semplice e veloce per entrambi, iniziativa che Pang accolse con occhi scintillanti, gorgoglii di apprezzamento e con le sue adorabili fossette che spuntarono fuori mentre mangiava con appetito. Wave fu contento che fosse così distratto dal cibo da non accorgersi del fatto che lui stette lì a fissarlo come un imbecille cotto marcio – quello che in effetti era – per tutto il pasto.

 
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  Wave capì che il potenziale di Sam avesse a che fare con qualcosa di altamente pericoloso per lui quando lei tirò fuori il nome di Pang in una conversazione casuale un paio di giorni dopo. Le domandò come facesse a sapere che il nome del suo coinquilino fosse Pang – e lei gli rispose che tutti in università conoscevano i loro nomi e le loro facce, le identità dei “ragazzi Gifted” che avevano diffuso le onde radio per garantire un potenziale a chiunque lo volesse. La sua spiegazione, sulla carta, poteva anche starci: aveva senso – e Wave sapeva benissimo che la faccenda dei potenziali li aveva messi sotto i riflettori, tutti loro, sebbene fosse quello di Pang il volto che chiunque ormai in Thailandia, e fuori paese, conosceva —; capì subito che si trattasse di una frottola, però, per il linguaggio del corpo e per l’indecisione nella voce di Sam, che di certo non poteva annoverare ‘mentire’ tra i suoi talenti più portentosi.
  Non le disse nulla: se si era decisa a tenergli nascosto il suo potenziale, non sarebbe stata una domanda inquisitoria a farla cedere, testarda com’era.
  La seconda circostanza in cui Wave si ritrovò a provare quasi paura, in merito al suo potenziale – non che avesse paura di lei, ma avvertì un formicolio incessante e ansiogeno percorrergli le vene al pensiero che Sam, o chiunque altro, potesse essersi accorto dei suoi sentimenti per Pang –, fu durante un placido martedì pomeriggio, nel quale l’amica lo aveva invitato a casa sua per fargli vedere la sua stanza da letto – frase che, dalla bocca di chiunque altro, gli sarebbe suonata un po’ losca, ma che non lo preoccupò nemmeno un po’, trattandosi di Sam. Ciò che, invece, lo preoccupò eccome fu una frase che la ragazza si fece scappare, mentre gli stava raccontando di una sua cotta adolescenziale: “Penso che mi puoi capire, no?, ti sarà capitato con Pang- con- con- con persone varie nella tua vita...”
  Wave agì di scatto: le afferrò un polso e la guardò dritta negli occhi, sicuro che non ci fosse bisogno di dirle a chiare lettere quale fosse il problema. Lei lo squadrò con aria mortificata e forse un po’ spaventata; quando se ne accorse, Wave mollò la presa – e solo in quel momento si rese conto che doveva averle stretto il braccio con troppa forza. “Scusa” mugugnò, con sincerità, “però adesso mi spieghi da dove hai tirato fuori quella cosa.”
  Sam annuì. “Mi dispiace. Non ti volevo... Non volevo farti arrabbiare.”
  Wave non rispose – in realtà, più che arrabbiato era sconvolto; si era sentito quasi minacciato da quelle parole, forse irrazionalmente, ma l’implicazione dietro di esse era inequivocabile. Non poteva farci niente: l’idea di mostrare agli altri le proprie debolezze, o i lati di sé più sinceri e vulnerabili, ancora gli suonava estranea, assurda, pericolosa; quello che provava per Pang era un marasma di sentimenti ed emozioni a cui aveva faticato a dare un nome e che ancora aveva difficoltà ad accettare. Non poteva concepire il pensiero di perderlo – e la prospettiva che qualcuno gli andasse a rivelare che il suo migliore amico, in realtà, era follemente e perdutamente innamorato di lui gli faceva venire voglia di buttarsi a capofitto dalla cima più alta di un monte.
  “Il mio potenziale... Io posso vedere- posso vedere il nome della persona, o in rari casi delle persone, che ciascuno ama di più al mondo. Ce li avete scritti- Vi compaiono sulla testa, tipo sopra ai capelli, il nome svolazza in aria. Sulla tua c’è quello di Pang.”
  Sentì improvvisamente un groppo alla gola, che non andò via nonostante deglutì almeno tre volte.
  “Inoltre, in base al genere di rapporto che c’è tra le due persone, i nomi possono essere di colori diversi; ad esempio, sulla testa di mia mamma compare il mio ed è blu. Sulla testa della mia migliore amica compare il nome del padre – e pure a lei è blu. Sulla testa di un nostro collega di corso, invece, ho visto che compare... il nome del nostro prof di Programmazione 1, ma è verde... Significa, credo, tipo che lo ama come mentore, che è la persona che più di tutte l’ha ispirato, suppongo. Boh. Poi ovviamente c’è il colore che compare più spesso... Anche il nome di Pang è di quel colore là.”
  Wave sospirò, prevedendo già il continuo di quel discorso. “Che colore è?”
  “Rosa” gli rispose Sam, “ed è quello della persona di cui si è innamorati. Ne sono sicura perché, per esempio, sulla testa di mio padre compare quello di mia mamma in rosa, o sulla testa della nostra prof di Lingue compare quello del marito, o... Com’è che si chiama quel tuo compagno di classe del Mattayom, quello che ti portò certi documenti in aula un paio di giorni fa?”
  “Punn.”
  “Ecco, ecco, giusto. A lui usciva ‘Claire’... e ho visto su Instagram che è la sua fidanzata.”
  Il suo primo impulso fu quello di dirle che Claire non era la sua fidanzata – non più almeno –; tuttavia, sapeva che fosse difficile da credere, visto come si comportavano e le foto che postavano – ricordava ancora la storia del giorno precedente di Punn, che aveva pubblicato di nascosto un video di Claire che si era addormentata sul suo letto per farla arrabbiare –, in più aveva il presentimento che sarebbero tornati assieme presto o tardi in ogni caso, per cui glissò.
  “Wave... Sappi che io non sono omofoba!”
  Quella frase gli fece contemporaneamente inarcare le sopracciglia e reprimere uno sbuffo divertito. “Non l’avrei mai detto. Del resto, non sei mica tu quella che mi ha spiegato cosa rappresentano gli unicorni la prima volta che ci siamo dati a parlare.”
  Sam sbatté le palpebre, come se stesse solo in quel momento ricordandosi di quell’evento, e poi si mise a ridere. “Oh, è vero!”
  Wave le sorrise, ma ben presto la sua bocca tornò a formare una linea retta. Calò il silenzio per una manciata di secondi, ma questa volta non era rilassato. Non sapeva proprio che cosa dirle. Una parte di lui – una che stava cercando di seppellire, ma che a volte ancora riemergeva con prepotenza – avrebbe voluto minacciarla: avrebbe voluto dirle che se si azzardava a dire qualcosa in giro, lui avrebbe leakato tutte le informazioni più personali e private da qualsiasi dispositivo elettronico in suo possesso; avrebbe voluto spaventarla, al punto che non gli avrebbe forse mai più rivolto la parola. Quella parte fu soppressa dall’affetto che nel corso dei mesi era arrivato a provare per Sam – e dalla fiducia, sebbene con riserve, che aveva iniziato a riporre in lei. Sospirò. “Perché non mi hai detto subito che questo era il tuo potenziale?”
  Lei si morse il labbro con aria colpevole, poi parlò: “Mi dispiace! Volevo solo renderla una cosa spassosa. Non credevo l’avresti presa così male... Di solito, parlare di cotte tra amici è sempre una cosa divertente. Volevo magari prenderti un po’ in giro, o spingerti a confessarlo tu stesso. Mi dispiace.”
  Wave scosse la testa con rassegnazione. “Non so come sia di solito parlare di queste cose tra amici” ammise, “perché non mi è mai capitato. Ma quella per Pang non è una cotta. E non voglio che questa... informazione, diciamo, trapeli ad altre persone.”
  Sam annuì ripetutamente, in modo quasi comico, per trasmettergli la sua sincerità. “Te lo prometto. Non lo dirò a nessuno.”
  Wave le indirizzò un mezzo sorriso, che lei ricambiò con uno a trentadue denti.
  “Wave?”
  “Sì?”
  “Ti va di parlarne?”
  Wave allungò il collo verso destra, facendolo scrocchiare, e chiuse gli occhi, prima di passarsi una mano sulla faccia. “Di cosa vuoi che ti parli?”
  “Mmh” mugugnò Sam, con aria curiosa, “hai detto che quella per lui non è una cotta. Quindi sei innamorato di Pang?” gli domandò, con voce speranzosa, come se fosse entusiasta di quella prospettiva.
  Wave si limitò ad annuire.
  “Che cosa adorabile!” esclamò lei, guadagnandosi un’espressione scettica in risposta. “No, cioè, voglio dire... Trovo che le persone innamorate siano dolcissime.”
  Wave alzò il mento nella sua direzione e aggiunse: “Come le tue ship.”
  Lei prese ad applaudire freneticamente e annuì con decisione. “Sì, sì, sì, esatto! Tu e Pang potreste chiamarvi... Wang. O... Pave. O...”
  “Fanno schifo entrambi.”
  “Mh, okay... Magari WavePang... o, meglio ancora, PangWave!”
  Wave non replicò nulla per evitare di dover ammettere, che l’ultima opzione, in effetti, suonava abbastanza bene; piuttosto, tossì per schiarirsi la voce e disse: “Senti, lascia perdere la ship. Pure perché non stiamo insieme. Quindi va da sé che non ho nulla da raccontarti.”
  Lei gli indirizzò un’occhiata perplessa e maliziosa. “Non va per niente “da sé”. Anche se non state insieme, ci sono un sacco di cose che puoi raccontarmi.”
  “Tipo?”
  “Tipo... come vi siete conosciuti, quando hai iniziato a pensare che ti stesse piacendo in quel senso, che tipo di rapporto avete, quando hai capito di essere innamorato di lui, cosa pensi che lui provi per te... Un sacco di cose!”
  Wave la guardò dritto negli occhi per qualche secondo. Era arrivato a farsi un'idea abbastanza chiara del suo carattere da sapere che non avrebbe rinunciato a quello scambio di confidenze senza prima provare a ottenerlo con ogni mezzo a sua disposizione. Tanto valeva risparmiarle la fatica. “Ci siamo conosciuti a scuola; non è stato il tipico meet cute, questo te lo posso garantire. Non so esattamente quando ho iniziato a farci caso. Siamo... amici; viviamo insieme; diciamo che siamo... amici stretti. Quando l’ho capito...” si grattò la guancia mentre rifletteva sulle tempistiche e si leccò le labbra prima di continuare: “... Boh, più o meno un anno e mezzo fa, credo. Lui... mi vuole bene. Questo è quanto.”
  Sam increspò le labbra e gli indirizzò un’occhiataccia insoddisfatta a braccia conserte. “Dimmi di più su questo insolito meet cute. Poi...”
  “Senti” la interruppe, “non è che io abbia tutta ‘sta voglia di parlarne.”
  “Sei tutto rosso in faccia” puntualizzò lei, indicando le sue gote con l’indice e ridacchiando.
  “Ridi di nuovo di me e ti faccio saltare la corrente per il resto della tua permanenza in questa casa.”
  Sam deglutì e appiattì le labbra; le premette l’una sull’altra e incurvò i lati della bocca all’insù in un buffo sorriso di scuse. Wave annuì e lo ricambiò. “Se non ne vuoi parlare, è okay. Però... pensavo al fatto che il mio potenziale potrebbe esserti utile.”
  “Utile?” le domandò, curioso e incerto allo stesso tempo.
  “Oh, eccome,” confermò lei, e poi ghignò, “perché posso usarlo su Pang.”

 
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  “Ti dico di sì.”
  “E io ti dico di no.”
  “Ma perché?!” sbottò Sam, che proprio non si capacitava del fatto che Wave preferisse non sapere quale nome – e in quale colore – fosse scritto sulla testa di Pang. “In fondo non è colpa mia se posso vedere questa informazione. E non posso nemmeno attivare o disattivare il potenziale a mio piacimento: è automatico. Tanto vale che...”
  “Non voglio saperlo” ribadì lui. “Se proprio devi incontrarlo, e quindi leggere quel nome, non voglio che poi me lo vieni a dire.”
  “Ma perché!” proruppe di nuovo, mani ben piantate sui fianchi e cipiglio sul volto. Sembrava una madre incazzata con il figlio che aveva violato il coprifuoco.
  Wave sospirò. “Perché” cominciò, calcando forte sull’avverbio, “se Pang vuole parlarmi di certe cose, nessuno glielo vieta. Non ho intenzione di scoprirlo in questo modo qua.”
  Sam assottigliò lo sguardo e gli indirizzò un’occhiata penetrante. “No” disse, “secondo me è perché hai paura.”
  Wave si irrigidì. “Prego?”
  “Hai paura di entrambe le possibilità: sia che ci sia scritto il tuo nome e sia che ci sia scritto quello di qualcun altro.”
  Lui deglutì. Si limitò a squadrarla da capo a piedi con un’espressione che sperò risultasse impenetrabile. Non aveva intenzione di darle soddisfazione ammettendo che avesse ragione; o meglio, non aveva intenzione di mettersi a nudo fino a quel punto con quella che alla fine era una persona che conosceva da sì e no tre mesi.
  Lei gli sorrise, un sorriso dolce e comprensivo, di quelli che Wave odiava perché gli davano sempre l’impressione di starlo compatendo. “Guarda che lo capisco, eh. Ma son sicura che avere la certezza di quello che prova Pang potrà esserti d’aiuto. O vuoi continuare a vivere in una specie di limbo per sempre? Che farai se lui effettivamente ti considera un amico e prima o poi dovesse venire da te e presentarti una persona che sta frequentando?”
  La risposta sincera sarebbe stata: Stringerei la mano di quella persona e spenderei almeno cinque minuti in loro compagnia, poi andrei a scavarmi una fossa nella sabbia e mi ci seppellirei per urlare come un pazzo in santa pace, senza nessuno che possa sentirmi. La risposta che le diede fu: “Me ne farei una ragione.”
  Sam sbuffò sonoramente. “Va beh. Non so che dirti. Domani tu e i tuoi amici dovete fare quella presentazione sui potenziali nella nostra università, no?, quindi Pang lo vedrò in faccia in ogni caso. Il mio potenziale funziona solo di persona, altrimenti avrei già potuto scoprire chi gli piace tramite il video che caricò online o qualche foto su Instagram. Se dopo la presentazione comunque non vorrai sapere che nome c’è scritto sulla sua testa, non te lo dirò.”
  Wave annuì – ed era grato del fatto che stesse lasciando la decisione a lui, piuttosto che imporgliela. Sam era tante cose, ma non una persona prepotente.
  Quando tornò a casa, quella sera, non riuscì però a pensare ad altro che all’opportunità che Sam gli stava offrendo: il suo potenziale avrebbe una volta e per tutte dato una risposta a quei dubbi che lo stavano assillando ormai da tantissimo tempo. Avrebbe smesso di chiedersi che sentimenti si celavano dietro a un sorriso più tenero del solito, o se anche a Pang venissero la pelle d’oca e la tachicardia quando stavano troppo vicini l’uno all’altro, a un bacio di distanza che Wave avrebbe voluto disperatamente dargli. Avrebbe smesso di domandarsi se il loro rapporto indefinito avrebbe mai avuto un nome, se gli sarebbe mai stato concesso fargli una carezza sul volto stanco quando Pang lavorava più del dovuto, o stringerlo a sé, di notte, per cullarlo durante il sonno. Avrebbe smesso di pensarci su non due, non tre, ma mille volte prima di rivolgergli una frase posta in un determinato modo piuttosto che in un altro, con un groppo alla gola che gli faceva mancare il respiro al pensiero che un gesto o una parola potessero tradire i sentimenti che provava.
  Allo stesso tempo, però, credeva in ciò che aveva detto a Sam: non era giusto. Se Sam fosse stata amica di Pang, invece che sua, e lei gli avesse comunicato ciò che Wave provava, avrebbe cambiato per sempre il loro rapporto senza che Wave neanche avesse avuto voce in capitolo. Inoltre, se Wave avesse scoperto che Pang amava qualcun altro, che era innamorato di una persona di cui non gli aveva mai parlato, quello non solo sarebbe stato un colpo durissimo da incassare, ma lo avrebbe anche portato a domandarsi come mai Pang non si era mai confidato con lui a riguardo: che si fosse reso conto di ciò che Wave sentiva per lui e pertanto aveva preferito evitare? Che avesse scelto di avere pietà di lui? Solo ipotizzare quello scenario gli faceva venire voglia di vomitare.
  “Wave?”
  Quasi saltò dalla sedia, costretto a tornare sul pianeta Terra dalla voce di Pang. “Che c’è?”
  “Tutto okay? Non mangi?”
  Wave calò lo sguardo sulla porzione di Pad thai che aveva di fronte e si rese conto di non averne ancora gustato un singolo boccone. “Sì, sto bene. Ero sovrappensiero.” Posizionò le bacchette tra le dita e afferrò un gamberetto con attorno un paio di noodles e li infilò tra le labbra. “Buono” disse, con il cibo ancora fra i denti.
  Pang gli sorrise. Erano pochi i piatti che sapeva cucinare con maestria, ma quando Wave si complimentava con lui era sempre evidente che ne traesse orgoglio e piacere. “Non hai sentito una parola di quello che stavo dicendo, giusto?” gli domandò, con un mezzo ghigno divertito.
  Wave scosse la testa. Ingoiò ciò che aveva masticato, si asciugò le labbra con un tovagliolo e poi gli disse: “Scusa. Di che stavi parlando?”
  Pang gli raccontò degli ultimi aggiornamenti alla centrale della Potential Police, di come erano state accolte le sue più recenti proposte e di qualche scambio simpatico tra lui e i suoi colleghi. Wave ascoltò con attenzione, ma era come se un angolino della sua mente non riuscisse a concentrarsi davvero sulle parole di Pang, troppo impegnato a ragionare sulle conseguenze che l’applicazione del potenziale di Sam avrebbero potuto avere.
  Quando ebbero finito di mangiare, Pang sparecchiò la tavola e passò l’aspirapolvere in cucina, mentre Wave si occupò di lavare i piatti. Indossarono il pigiama in silenzio – e Wave non poté fare a meno di pensare che quella era un’altra cosa che sarebbe potuta cambiare, in base al responso che Sam avrebbe potuto dargli: se Pang avesse provato i suoi stessi sentimenti, lui non avrebbe più dovuto forzare lo sguardo sul pavimento per non lasciarlo scorrere sui suoi lineamenti mentre si spogliava, non avrebbe dovuto fingere di trovare estremamente interessante le decorazioni delle mattonelle pur di non fissare il modo in cui i suoi vestiti si incollavano al suo corpo, pur di non immaginare che a farlo fossero invece le sue mani. Se Pang ricambiava i suoi sentimenti, avrebbe potuto... forse Pang avrebbe voluto che...
  “Wave?”
  La voce di Pang lo fece sobbalzare di nuovo. “Cosa?”
  “Ma che hai?” gli chiese, in parte irritato e in parte preoccupato.
  “Scusa” Wave ripeté.
  Pang inarcò un sopracciglio e non gli disse niente, stette solo a guardarlo con espressione interrogativa.
  Wave inspirò ed espirò, insofferente. “Va tutto bene, davvero, stavo solo pensando... alla presentazione di domani” mentì.
  Pang stavolta portò entrambe le sopracciglia all’insù e sgranò gli occhi, pur riservandogli comunque uno sguardo perplesso. “Alla presentazione? Come mai?”
  Wave fece spallucce.
  Pang emise un mezzo sbuffo divertito, scosse la testa e gli si avvicinò. Wave deglutì quando se lo trovò a circa dieci centimentri di distanza. Alzò il capo per guardarlo bene negli occhi, nel tentativo di nascondere il suo nervosismo. Pang gli poggiò una mano tra la spalla e il collo, poi chiuse le dita sul suo pigiama un paio di volte, come in una sottospecie di massaggio. “Stai tranquillo. Abbiamo già progettato tutto, sappiamo bene cosa spiegare... È letteralmente quello che abbiamo vissuto.”
  Wave annuì. “Lo so.”
  Pang gli sorrise. Rimase lì a osservarlo per un po’, forse quasi per un minuto intero, e Wave dovette stringere con forza il cotone del suo pantalone del pigiama per non fare qualcosa di molto stupido. Gli occhi di Pang avevano una loro brillantezza vitrea che Wave non aveva notato in quelli di nessun altro – pure era vero che non aveva mai prestato tanta attenzione ai minimi particolari del volto di una persona che non fosse lui. Lo stava squadrando con uno di quei suoi sorrisi ambigui, che emanavano una gentilezza completamente diversa dalla cortesia che riservava a tutti: era un sorriso complice, che gli parlava di fiducia, di affetto, di compassione, ma anche di fierezza e consapevolezza; era un sorriso che Wave non gli aveva mai visto indirizzare ad altri, che regalava solo a lui e che lo faceva sentire capito e meno solo, come se nel raggio di una linea curva sul suo volto Pang avesse scritto parole di conforto e, forse, connivenza – come se Pang sapesse sempre cosa gli passasse per la testa e volesse rassicurarlo che da lui non doveva temere né giudizio né colpa. Come se Pang fosse in grado di leggergli nel pensiero e di abbracciare quel marasma senza senso, di sentimenti celati, di fantasie mai attuate, di scenari irrealizzabili e di idee che neanche comprendeva come mai gli ronzassero nella testa, di immaginazioni che il suo cervello formulava e che Wave non sapeva spiegarsi, che mai avrebbe desiderato attuare. A volte si sentiva come se Pang fosse in grado di vedere ogni cosa e che, difficile a credersi, Wave gli stesse bene così com’era. Altre volte invece pensava di starsi inventando tutto, di starsi illudendo – ed era un abisso di congetture senza né inizio né fine dove finiva sempre per annegare consapevolmente. 

 
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  Quando la presentazione fu finita, i Nong si sparpagliarono per l’auditorium dell’università e rivolsero domande a ognuno di loro. Wave trovò che fosse molto più semplice salire su un palco e dire ciò che aveva da dire, piuttosto che doversi invece interfacciare con tutte quelle soggettività, ognuna desiderosa di sapere di più, di ricevere risposte che potessero aiutarla a prendere o meno la decisione di ascoltare quelle onde radio, o a gestire il proprio potenziale nel migliore dei modi. Trascorsero circa un’ora a confrontarsi con i ragazzi del liceo che erano venuti lì apposta per sentirli parlare – al termine della quale Wave si sentì oltremodo stordito.
  La sensazione di disorientamento aumentò a dismisura quando buttò un occhio alla sua destra e si scontrò con l’immagine di Sam che chiacchierava allegramente con Pang. Sembravano andare d’accordo, le fossette di lui erano in bella vista e la sua postura era rilassata. Tutto poteva dire, Wave, di Sam, ma non di certo che non fosse in grado di mettere a loro agio le persone – e in fondo Pang in mezzo alla gente era nel suo habitat naturale. Si avvicinò a loro con una lentezza quasi felina, come un predatore che cerca di capire quali saranno le prossime mosse della sua preda.
  “Oh, hey, Wave” lo salutò Pang, con un sorriso ampio e sincero, che lui ricambiò.
  “Hey.”
  “Stavamo parlando del mio potenziale” gli disse Sam – e Wave avvertì subito un fiotto ansiogeno di acqua gelata spargersi nelle sue vene.
  “Neanche a me vuole dire quale potenziale le è capitato” disse Pang, “ma mi stava un po’ spiegando quali dubbi ha avuto negli ultimi giorni a riguardo.”
  “Oh.” Non trovò molto altro da dire, troppo impegnato a immergersi nella sensazione di sollievo che avvolse tutto il suo corpo al suono di quelle parole. Tossì, cercando di ricomporsi. “Sì, ne ha parlato anche a me.”
  “Wave ha detto che non sarebbe giusto usarlo” affermò Sam.
  Pang si leccò il labbro superiore e incurvò le labbra all’insù. “Son d’accordo con lui.”
  “Ma...! Io penso che possa anche essere d’aiuto alle persone. Penso sia per questo che mi è capitato.”
  Pang annuì. “Sai, se c’è una cosa che ho capito in tutti questi anni è che giusto e sbagliato sono spesso concetti molto soggettivi e arbitrari. Ciò che può essere giusto in una situazione può risultare catastrofico e immorale in un’altra. Il tuo potenziale è innanzitutto una tua responsabilità: prima di usarlo, pensa bene a quelle che possono esserne le conseguenze. Questo è il consiglio che mi sento di darti... Forse è un po’ troppo astratto.” Pang si passò una mano tra i capelli, scompigliandoli, e le rivolse un’espressione apologetica.
  Sam scosse il capo. “No, hai ragione. Hai proprio ragione.”
  Wave non disse nulla, ma non poté ignorare il modo in cui la traiettoria del suo sguardo passò dal viso di Pang alla parte più alta della sua testa – e nemmeno il sorriso che le adornava il volto mentre girò il capo nella sua direzione, quasi a mandargli un messaggio silenzioso, che Wave decise di non cogliere.

 
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  Nonostante la presentazione fosse durata all’incirca un’ora e mezza, la discussione con ragazzi e ragazze si protrasse fino alle sette di sera. Wave era assolutamente esausto: le sue batterie sociali si erano scaricate ormai da un pezzo e, pertanto, si era rintanato in un angolino isolato per non essere più né cercato né disturbato da nessuno.
  Una persona, però, riuscì comunque a trovarlo. Si accorse di lei non appena intravide i suoi elastici per capelli a forma di unicorno, che le chiudevano le due treccine ai lati del viso. “Hey” lo salutò. Tese il braccio verso di lui e gli offrì una bottiglia di tè verde.
  Wave la accettò. “Grazie.”
  “Pang mi ha detto che ti avrei trovato qui” sottolineò Sam. Il pensiero che Pang lo conoscesse così bene da sapere dove sarebbe andato a nascondersi gli fece avvertire un dolce calore al livello del petto. “E infatti sei qui.”
  “Sono qui” confermò.
  “Dunque” belò lei, allungando il suono della ‘u’, prima di sedersi accanto a lui, “hai deciso? Vuoi sapere cosa c’è scritto sulla sua testa oppure no?”
  Wave non le rispose. Si spalmò il palmo di una mano sulla faccia in segno di irrequietezza.
  “Lo prendo per un no? Per un forse?”
  Fece spallucce.
  “Oh, shia, Wave! Dammi una risposta chiara!”
  “Non lo so!” esclamò, perdendo la pazienza. “Ci voleva solo Pang, lui e tutte le sue filosofie del cazzo, a dire che forse non sarebbe sbagliato se tu...” Si morse la lingua e sospirò. “Pang neanche aveva idea di cosa tu stessi parlando. Se lo avesse saputo, ti avrebbe senz’altro detto cose diverse.”
  “Lascia stare quello che pensa Pang.” Scosse la mano a destra e a sinistra ripetutamente come se stesse scacciando una mosca. “Cosa pensi tu?”
  “Penso che, a prescindere da cosa hai visto con il tuo potenziale, se me lo dicessi diventerebbe tutto un gran casino. E penso che mi sentirei in colpa a scoprirlo in questo modo.”
  “E allora è deciso” annunciò lei, prima di alzarsi. Sbatté le mani un paio di volte sul suo pantalone al livello dei glutei per pulirlo dalla polvere del pavimento. Gli sorrise. “Mi pare che tu abbia le idee chiare! Non ti dirò niente, tranquillo. Ora vado a prendermi un gelato.”
  Prima che Sam potesse fare anche solo un passo in avanti, Wave le afferrò il polso per fermarla. Lei si girò verso di lui molto lentamente, con uno sguardo che era sia sconvolto e sia speranzoso. “Che c’è?”
  “Dimmelo.”
  “Ti devo dire... cosa?”
  “Dimmi qual è il nome che hai visto scritto sulla testa di Pang.”

 
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  Stando a contatto con Pang per così tanto tempo, Wave ormai era arrivato a capire come l’amico ragionasse: non era il tipo che si lasciava inibire da flussi di coscienza infiniti e sconnessi, ma più il genere di persona che agiva d’istinto; non era un idiota, non era sconsiderato, ma era molto impulsivo e pertanto tendeva a fare prima di pensare. Wave era il suo esatto opposto. Non mancavano, però, occasioni in cui era Pang stesso a prendere atto di aver bisogno di un piano d’azione immacolato prima di poterlo attuare, o momenti in cui era Wave a fare quello che gli passava per la testa evitando di ragionare troppo sulle conseguenze – come quando si era iniettato quel siero senza pensarci due volte, o come in quel momento, quando una voce dentro di lui gli aveva urlato di non lasciar andare Sam, di non permettere a quell’opportunità preziosa di scivolargli via dalle mani come fosse acqua prima di poterla stringere saldamente tra le sue dita.
  “Il nome sulla testa di Pang è il tuo” gli disse Sam. Wave non avrebbe saputo scegliere le parole adatte per descrivere come si sentì non appena lei ebbe pronunciato le sue; forse, si trattava di un’emozione che viaggiava tra l’euforico e l’incredulo, superandoli entrambi per intensità. Tuttavia, si rese conto che non poteva ancora cantare vittoria dall’espressione sul viso dell’amica, che si era aspettato gongolante dopo una rivelazione del genere e che, invece, era incerto e preoccupato.
  Solo in quel momento, Wave realizzò che esisteva un altro fattore da prendere in considerazione, con il suo potenziale. “Okay. E il colore?”
  Sam si morse il labbro inferiore.
  D’accordo. Era stato bello finché era durato. Sam gli avrebbe detto di lì a poco che il suo nome gli era apparso del colore dell’amicizia. Wave non ricordava nemmeno quale fosse, ma di certo non il rosa.
  “Era... viola.”
  Wave annuì. Il colpo fu attutito dal fatto che, per sua fortuna, si era preparato psicologicamente a quell’evenienza. “Okay. Grazie di-”
  “Ma grazie di cosa? Non so nemmeno che vuol dire.”
  “In... che senso?”
  “Non era mai comparso a nessuno, finora. Non so che cosa indichi... Non ne ho idea.”
  Wave avvertì il bisogno di respirare a pieni polmoni. Lo fece, una, due, tre volte. “Scusa, sono confuso: non è quello dell’amicizia?”
  “No,” rispose Sam, “l’amicizia è rossa. Me ne sono accorta nelle ultime settimane, ho chiesto conferme e tutto. L’amicizia è rossa.”
  L’amicizia è rossa. “Se il colore dell’amicizia è il rosso e quello dell’amore è il rosa, allora che diavolo è il viola?” le domandò, un impeto di rabbia a controllare il tono della sua voce.
  “Hey, non arrabbiarti con me! Ti ho già detto che non lo so!” ribatté Sam, a ragione.
  Incredibile come il mezzo con il quale aveva creduto di poter risolvere ogni suo dubbio lo avesse invece lasciato con ancora più domande senza risposta.

 
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  Sapeva che la scelta di tornarsene nel loro appartamento senza aspettarlo avrebbe causato come minimo una reazione di confusione in Pang, ma aveva bisogno di pensare, di lasciare che la sua mente viaggiasse indisturbata, e Pang era l’ultima persona che si voleva trovare attorno, in quel momento.
  Se non lo amava né come si ama il proprio amico più caro, né tantomeno come si ama un fidanzato, allora come?
  Una parte di lui era di certo rincuorata e appagata all’idea che, comunque, a prescindere da tutto, lui fosse per l’altro la persona più importante di tutte, esattamente come Pang lo era per Wave; un’altra parte, invece, era avida, rapace persino, e desiderava di più: bramava di capire cosa, con esattezza, Pang provasse per lui, aveva bisogno di comprendere se esistesse un modo per far sì che i loro sentimenti si allineassero e puntassero allo stesso traguardo. C’erano poche cose che nutrivano il suo lato inquieto quanto le questioni irrisolte, i quesiti senza soluzione, gli scenari forse possibili che non poteva evitare o controllare. Avvertiva l’ansia nuotare nel suo corpo in modo frenetico e non aveva idea di come fermarla.
  O meglio, un’idea ce l’aveva, ma il pensiero di metterla in pratica, ironicamente, gli faceva raggiungere uno stato ansiogeno ancora più forte: parlarne con Pang; affrontarlo e chiedergli in tutta franchezza come stavano le cose; rivelargli che era a conoscenza di quale fosse il potenziale di Sam da un po’ di tempo e che non glielo aveva rivelato per lasciarsi aperta la possibilità di farglielo usare proprio su di lui.
  Non immaginava quale sarebbe potuta essere la reazione di Pang e neanche provò a figurarsi la sua ipotetica risposta, che avrebbe potuto posizionarsi in qualsiasi punto in uno spettro ampissimo che contemplava e la più grande paura di Wave e il suo più grande desiderio.

 
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  Quando percepì il rumore delle chiavi che si inserivano nella serratura, Wave prima fu sul punto di trasalire, poi finse nonchalance e si appoggiò con il gomito sul tavolo; simulò di star leggendo un libro, sfogliandone le pagine a caso e fermando il dito su una riga qualsiasi, mentre emise un verso d’assenso che sarebbe risultato appropriato se fosse stato sul serio intento a capire un concetto difficile da un manuale accademico.
  Pang si incamminò verso di lui e Wave riuscì ad avvertire i suoi occhi addosso. Si sentì come se ogni punto sul quale Pang si stava soffermando con le sue iridi venisse automaticamente pietrificato. Faceva quasi fatica a respirare. “Hey” gli disse.
  “Hey” Wave gli rispose, senza alzare gli occhi dal libro.
  Pang si avvicinò ancora un po’ e, quasi in un gesto di sfida, curvò la schiena per portare le sue spalle allo stesso livello di quelle di Wave e appoggiò il palmo della mano aperto sulla pagina destra del romanzo. Wave fu così costretto a prestargli attenzione: gli riservò un’occhiataccia, cercando di sembrare scontento del fatto che gli stesse impedendo di continuare la lettura. Si scontrò con l’espressione sicura e penetrante di Pang, che lo stava fissando come se fosse in grado di leggergli la mente per magia.
  “Che fai?” gli domandò Wave – e si maledì mentalmente quando si accorse che la sua voce suonò spezzata e incerta.
  “Cosa faccio io?” replicò Pang. “Cosa fai tu, piuttosto – rileggi un libro che hai già letto mesi fa e che hai odiato, ti cito, ‘con ogni cellula del tuo corpo’?”
  Wave tossì e si umettò le labbra, distogliendo lo sguardo. Aveva afferrato il primo libro che gli era capitato sotto mano senza fare caso al titolo. Per quanto potesse fargli piacere che Pang si ricordasse le sue parole con tanta precisione, in quel momento gli recò solo seccatura. Sbuffò. “Uhm, okay. Non lo stavo rileggendo – per carità. Stavo solo cercando di evitarti.”
  Pang issò la schiena e lo guardò dall’alto dei suoi centottanta centimetri con le braccia conserte. Sbatté le palpebre più volte, visibilmente scioccato. “Ma perché? Che cosa ho fatto?”
  Wave scosse la testa. “Niente.”
  Pang fece schioccare la lingua contro il palato e alzò le sopracciglia con aria incredula. “È da giorni che ti comporti in modo strano. Cosa c’è che non va? Perché te ne sei andato per conto tuo? Potevi aspettarmi.”
  “Volevo stare da solo” spiegò Wave – e non era nemmeno una bugia.
  “Okay. Non è un problema. Ma potevi avvisarmi. E poi hai detto che mi stavi evitando: deve pur esserci un motivo.”
  Wave non gli rispose. Guardò fisso di fronte a sé e prese a sospirare pesantemente. Quando veniva preso alla sprovvista, era solito comportarsi in due possibili modi: o reagiva d’impulso e con rabbia, mettendosi sulla difensiva, o passava al mutismo selettivo, rifiutandosi di interagire con chi lo circondava. Era più consono che fosse la prima delle due opzioni a presentarsi, ma quando lo faceva la seconda voleva dire che qualcosa lo aveva sul serio colpito, in una maniera tale che lo lasciava inerme, incapace di ragionare sulle proprie intenzioni.
  “Wave” Pang lo chiamò. Quando Wave continuò a ignorarlo, Pang gli scosse una spalla con le mani mentre pronunciava il suo nome a voce più alta.
  “Guarda che ti sento benissimo.”
  “Non mi sembra!” sbottò Pang. In quel momento, gli ricordò una scena di tanto tempo prima, dinanzi ai suoi occhi apparve un flashback di quello stesso ragazzo che lo rincorreva con la paura nella voce e il panico negli occhi, chiaramente terrorizzato all’idea di perdere il loro rapporto, in un pomeriggio cupo e tenebroso del loro terzo anno di Mattayom.
  Wave non aveva piacere a vederlo in quello stato. Sbuffò. “Sam mi ha detto qual è il suo potenziale” rivelò. Mai come in quella occasione era stato conscio dei dieci centimetri che li dividevano. Si alzò in piedi e lo guardò dritto negli occhi, mento in su e mani lungo i fianchi. “Me lo ha detto all’incirca una settimana fa.”
  Pang aggrottò la fronte. “Una settimana fa?” gli fece eco. “Perché non me l’hai detto? Ti sei lamentato per giorni del fatto che non volesse dirti cosa-”
  “Il suo potenziale” lo interruppe, “consiste nel vedere scritto sulla testa delle persone il nome di chi amano di più al mondo.”
  Il volto di Pang ebbe un rapido spasmo. Sgranò gli occhi e si leccò le labbra. “Ah.”
  “Già.”
  “Okay. Cosa c’entra questo con noi due?”
  “C’entra” ribatté Wave. Distolse lo sguardo dal suo viso e lo spostò verso sinistra, puntandolo su uno qualsiasi dei tanti fogli che tenevano attaccati al loro moodboard all’ingresso. “C’entra perché mi ha detto... Io le ho chiesto di dirmi quale nome ci fosse sulla tua.” Non aveva il coraggio di guardarlo in faccia. Attese una risposta, magari una reazione infuriata o oltraggiata, ma non ne arrivò una; pertanto, continuò a parlare: “Mi dispiace. Ci ho riflettuto tanto prima di farmelo dire. Lo so che è stato ingiusto nei tuoi confronti-”
  “Avresti semplicemente potuto chiedermelo” Pang spezzò il suo discorso, ma la sua voce non era irritata, non era delusa, anzi: gli suonò quasi... intenerita. “Avresti potuto chiedermelo e ti avrei detto che le sarebbe senz’altro comparso il tuo nome.”
  Wave sussultò. Si mordicchiò la parte di pelle sottostante il suo labbro inferiore ed ebbe l’impulso di toccarsi le guance con le mani fredde, visto che le sentì arrossarsi quasi immediatamente. Deglutì, chiuse gli occhi per qualche secondo, poi trovò la forza di tornare a guardarlo: trovò Pang intento a sorridergli; le sue belle fossette splendevano ai lati del suo viso e le sue labbra andavano a formare una curva deliziosa, che gli scopriva i denti bianchi; i suoi occhi splendevano e Wave poteva vederci un barlume di ilarità, come se quella situazione sotto sotto lo stesse divertendo molto. “Non- Non dovresti essere arrabbiato con me?” gli chiese – e doveva ammettere che la domanda suonò stupida alle sue stesse orecchie.
  Pang rise. “Mh, forse” ammise, ma la sua voce trasudava sarcasmo. “Se ti dicessi che sono arrabbiato con te, come ti faresti perdonare?” Era solo la sua immaginazione, o Pang aveva appena abbassato il suo tono di voce, condendolo con qualcosa che assomigliava vagamente a malizia?
  Wave non seppe dare un nome all’intento che si nascondeva dietro le sue parole. Seppe solo che la sua mente gli spedì tutta una serie di scenari che dubitava Pang avesse contemplato come possibili metodi di scuse. Tossì e si passò le mani nei capelli per liberarsene. “Senti” gli disse, “non è- non è solo per senso di colpa che non volevo vederti.”
  Pang increspò le labbra in una forma adorabile ed emise un piccolo “Ohw”, che Wave trovò altrettanto adorabile. Dannazione. “Perché, allora?” gli chiese. “Non sei contento di essere tu la persona che amo di più al mondo?”
  Era davvero difficile rimanere con i piedi per terra di fronte ad affermazioni di quel genere, che non si era neanche sognato potessero mai davvero essere indirizzate a lui. Il fatto che gliel’avesse rivolta con un tono che pareva quasi di sfida non migliorava affatto la situazione. “Sì, guarda, mi sento più realizzato” ironizzò, e fu contento di vedere un piccolo ghigno spuntare sulla faccia di Pang, “ma non è... Il potenziale di Sam va oltre. Non ti mostra solo il nome... Cambia anche il colore in cui è scritto, in base, diciamo, al... rapporto che lega le due persone. Tipo.” Non era da lui fornire una spiegazione tentennata, ma considerato tutto riteneva di poter essere orgoglioso di se stesso per il modo in cui stava affrontando quella situazione ricca di imprevisti ed emotività.
  “Oh,” reagì Pang. “Wow. Che potenziale particolare” commentò. “Beh, qual è il problema? Di che colore è il tuo nome sulla mia testa?”
  “Viola” rispose Wave. “E non... non è chiaro che cosa stia a indicare” aggiunse, prima che Pang potesse fargli un’altra domanda. “I colori che ha scoperto finora sono il rosso, il rosa, il blu e il verde. Il rosso è per l’amicizia, il rosa è per l’amore, il blu per la famiglia e il verde, diciamo, per i rapporti di stima, tra colleghi, o tra mentori e allievi, queste cose qui. Il viola non l’aveva mai visto comparire sulla testa di nessuno se non la tua. Riesci sempre, in qualche modo, a uscire fuori dagli schemi.”
  Pang ridacchiò, annuendo. “Chiedo umilmente scusa” disse, con un tono di voce che non pareva affatto dispiaciuto. “Comunque...” cominciò, facendo un passo avanti, portandosi a pochi centimetri di distanza da Wave, che si irrigidì immantinente ma non si mosse, “... credo di sapere cosa significhi il viola.”
  “Cosa?” Wave gli domandò subito, a costo di suonare disperato.
  Pang sospirò. Abbassò la testa e puntò lo sguardo sul pavimento, prima di alzarlo senza però sollevare il capo. Lo fissò con uno sguardo incerto e dubbioso, come se stesse valutando i pro e i contro che la sua risposta avrebbe potuto avere. Alla fine parlò: “Diciamo che è una sorta di via di mezzo tra il rosso e il rosa.”
  Una via di mezzo... tra amicizia e amore? “Che vuoi dire?”
  Pang si voltò di profilo, appoggiando i glutei al tavolo e allungando il collo verso destra con aria stanca e un po’ seccata. “Non te ne ho parlato prima semplicemente perché è difficile da spiegare” premise. “Tempo fa... stavo chiacchierando con Namtaarn e, a un certo punto, tu sei, diciamo, diventato l’oggetto della conversazione.”
  Reminescenze del suo passato non gli permettevano di sentirsi del tutto a suo agio nel sapere che qualcuno avesse parlato di lui in sua assenza, ma era quantomeno consapevole che né Namtaarn e né Pang avrebbero mai sputato maldicenze sul suo conto.
  “Disse che, in pratica, si era accorta che le cose tra di noi erano... un po’ ambigue, diciamo. Mi chiese se fossimo, cito, ‘più che semplicemente amici’... e io non seppi minimamente cosa risponderle, perché non vedevo cosa ci fosse in meno nell’essere amici rispetto all’essere qualcos’altro.”
  Quell’ultima frase lo spiazzò. Non credeva di aver mai valutato la cosa da quel punto di vista: il suo desiderio di avere con Pang un tipo di relazione che andasse oltre l’amicizia non svalutava l’amicizia che nel frattempo avevano costruito, il rapporto più importante e profondo che lui avesse mai stretto con chiunque. C’erano dei limiti, però, in quello che due amici potevano e non potevano fare tra di loro, c’era una differenza enorme tra il genere di sentimenti che lui provava per le sue amicizie più strette – per Claire, ad esempio, o anche per Sam – e quelli che provava per Pang, in grado sia di avvolgere il suo cuore e di coccolarlo con gentilezza, sia di stringerlo in una morsa soffocante e mortale, in base alla circostanza; dall’umore di Pang dipendeva il suo, dalla felicità di Pang la sua. Era un legame completamente diverso da qualsiasi altro che aveva o avrebbe mai avuto.
  “Te lo leggo in faccia che non sei d’accordo” lo incalzò Pang.
  Wave ci rifletté un attimo. “Non è che non sia d’accordo. Ovviamente sono... contento del fatto che siamo amici. E sai benissimo quanto per me sia importante... avere delle persone che posso chiamare amiche.”
  Pang annuì, con un mezzo sorriso comprensivo.
  “Però questo non...” Appiattì le labbra una contro l’altra, chiuse gli occhi, inspirò ed espirò con lentezza, lasciando che l’ossigeno penetrasse appieno nei polmoni. Stava per dirgli qualcosa che aveva realizzato ormai da tempo e che avrebbe irrimediabilmente cambiato tutto, da cui non sarebbe potuto tornare indietro. “Non mi basta esserti amico.”
  Pang tornò a fronteggiarlo, ergendosi nel suo metro e ottanta che in quell’istante gli sembrò infinitamente alto. “Cosa ti manca?” gli chiese, più un bisbiglio che una domanda. Si avvicinò alle sue guance e il naso andò a fiorargli la pelle, facendolo tremare. “Cos’è che non ti basta?”
  Wave rimase lì dov’era, ma spostò un piede dietro l’altro, sentendo l’equilibrio venirgli a mancare. Si appoggiò alle spalle di Pang e avvertì quasi una scarica di giubilo al pensiero che, a quanto pareva, gli era concesso toccarlo in quel modo.
  “Questo?” sussurrò Pang, prima di portare le labbra a contatto con le guance di Wave e posarle lì, in una sorta di statico bacio che lo fece sentire come se nel suo corpo scorresse una scarica elettrica. “È questo che ti manca?” biascicò, poggiandogli le mani sui fianchi.
  Wave era sicuro che se si fosse guardato allo specchio la parola migliore a cui avrebbe potuto pensare per descrivere la propria espressione sarebbe stata ‘arrendevole’. Era certo di starlo guardando come un credente riverisce la foto di un santo, in religioso silenzio. Quando Pang lo baciò, fu quasi come la risposta a una preghiera – e le sue labbra che si mescolavano con le proprie gli parvero un miracolo. Impiegò un paio di secondi a rispondere al bacio, aggrappandosi al cotone della giacca di Pang e alzandosi sulle punte per approfondire quel contatto che aveva bramato ormai da anni. Spostò una mano dalla sua spalla alla sua nuca e gli strinse i capelli, mentre Pang gli infilava una mano sotto la maglietta: era calda al tatto, le sue dita lunghe che andavano a toccare ogni centimetro nel loro raggio d’azione – e Wave poté avvertire la pelle d’oca arrivargli fin sotto i calzini. Tutto il suo corpo stava andando a fuoco, ma lui era disposto a morire nella combustione pur di saggiare ancora e ancora le labbra di Pang. Premette la lingua tra i suoi denti e l’altro gli consentì l’accesso alla sua bocca – e Wave ne gustò il sapore, di limone e cioccolata, finché non furono a corto di ossigeno e dovettero separarsi. Pang si rifiondò sul suo viso subito dopo, baciandogli la fronte, il mento, le guance, poi di nuovo la bocca.
  Wave respirava a fatica, aveva il fiatone. Tornò con i piedi per terra e indietreggiò di qualche centimetro. Chiuse gli occhi e lasciò che a mantenere il suo peso fosse il braccio sinistro, il cui palmo della mano era saldamente ancorato al tavolo della cucina. Aveva bisogno di pensare. Si sentiva in sovraccarico: l'idea di baciare Pang era stato un tarlo fisso nella sua testa ogni qualvolta quello gli si era avvicinato più del dovuto negli ultimi due anni – e ora era successo davvero; ed era stato meraviglioso –; tuttavia non erano ancora venuti a capo di ciò di cui avevano iniziato a discutere prima che gli eventi prendessero un risvolto inaspettato.
  Pang lo stava guardando con aria quasi famelica, ma non si mosse, rimase lì a fissarlo e a urlargli con gli occhi che non sapeva bene neanche lui cosa fare arrivati a quel punto. “Wave-”
  “Di cosa hai parlato con Namtaarn?”
  Per un attimo Pang ammutolì, e sbatté un paio di volte le palpebre, come se si fosse dimenticato del discorso che lui per primo aveva introdotto, poi scosse la testa su e giù. “È stata una conversazione lunga. E proficua.” Si indirizzò verso la libreria da muro che adornava la parete che divideva la cucina dalla loro stanza e ne estrasse un libricino dalla mensola dei fumetti.
  Wave agrottò la fronte. “Lo hai piazzato tra le tue storie di supereroi per non farmelo trovare.”
  Pang rise, una risata tutta gola, che gli lasciò sul viso un sorriso colpevole, e si coprì la bocca con il palmo della mano. Annuì. “Sì. Comunque le storie di supereroi me le ha regalate Ohm. I miei sono perlopiù manga-”
  “È irrilevante” lo interruppe, “smettila di tergiversare.”
  Pang sembrò colto nel segno. Cambiò traiettoria del suo sguardo una decina di volte, come in perlustrazione della stanza, prima di tornare a puntarlo su Wave. “Tieni” gli disse. Wave afferrò il libro che Pang gli stava porgendo e ne lesse il titolo: Hopeless aromantic — an affirmative guide to aromanticism.
  “Sì, immaginavo che il termine ti suonasse estraneo” gli disse – e Wave capì che dovette aver interpretato le sue sopracciglia incurvate come un segno di ignoranza di fronte all’argomento presentatogli. “Ecco... Non devi leggerlo per forza. Però potrebbe aiutarti a capire meglio delle cose... Io posso provare a spiegarti cosa significa per me. Anche se non so benissimo come fare.” Sembrava di certo essere nel pallone; era arduo per Wave vederlo in quello stato: Pang, l’eroe della loro generazione, il volto del programma Gifted, era sul punto di masticarsi le labbra, per quanto le stava torturando con i denti, e le sue mani si stavano muovendo l’una contro l’altra, le dita che si contorcevano. “È difficile da spiegare” ripeté.
  Wave sentì un’ondata di compassione e di amore viscerale assalirlo da capo a piedi. Poggiò il libro sul tavolo, si sporse verso Pang e lo abbracciò. Sentì le spalle dell’altro irrigidirsi per un istante, ma presto riuscì a sciogliersi e a ricambiare la stretta. “Non so cosa ci troverò scritto in quel libro” premise, “ma non c’è bisogno che mi nascondi niente. Spiegami quello che ti pare. A parole tue. Anche se è difficile. Ti ascolto.”
  Non poteva guardarlo in faccia, ma fu abbastanza sicuro avvertire dei singhiozzi silenziosi provenire dalla sua bocca, mentre Pang si avvinghiava alla sua maglia come fosse stata un’ancora in un mare in tempesta e affondava il viso nell’incavo del suo collo.

 
):)
 
  Dopo aver aiutato Pang a calmarsi, Wave gli aveva suggerito di mettersi il pigiama e di andare a letto: parlarne come se si fosse trattato di un argomento qualsiasi, di una chiacchiera serale che avrebbe preceduto un buon sonno ristoratore, forse avrebbe contribuito a far sentire Pang più rilassato. Nel mentre che si faceva una doccia e si spogliava dei vestiti indossati durante la presentazione, Wave diede un’occhiata al libro, scorrendo velocemente tra le pagine per individuarne i punti più salienti. Iniziava a spiegarsi cosa Pang intendesse dire con “una sorta di via di mezzo tra rosso e rosa” – e allo stesso tempo si rese conto che quella non era stata altro che una semplificazione un po’ inaccurata che Pang aveva usato per rendere il concetto più semplice da comprendere per lui. Wave era ben consapevole di quanto potesse far male l’idea di non essere capiti, di essere l'unica voce fuori dal coro, di essere oggetto di giudizio o di scherno, ma in parte lo feriva il pensiero che Pang avesse temuto di aprirsi proprio con lui a riguardo.
  Quando si accoccolarono sotto le coperte, ognuno nel suo letto, stesi su di un fianco per potersi guardare negli occhi, Wave gli sorrise. “Ho iniziato un po’ a leggere” affermò.
  “Ti sembrano stupidaggini?” gli chiese Pang.
  “Per quale assurdo motivo mi fai questa domanda?” Non aveva avuto intenzione di innervosirsi – si rendeva conto che Pang fosse in una posizione di debolezza, in quel momento –, ma gli venne spontaneo reagire in quel modo, di fronte a una frase interrogativa tanto stupida. “Non lo penso. Diciamo che... non ho ancora capito tutto per bene. Alcune cose mi suonano un po’... Non lo so. Estranee, insolite, sconosciute. Ma sono qui per ascoltarti, Pang. Non per sputare sentenze su un argomento che non conosco.”
  Pang annuì – e gli parve sollevato dalla sua rassicurazione. “Okay. Io, diciamo... Non sono cieco. So bene quello che provi per me. Lo so da un pezzo.”
  Se Wave aveva immaginato che si sarebbe trattata di una conversazione dove a essere vulnerabile sarebbe stato uno solo di loro due, si era di certo sbagliato. “Mh. Okay. Perché... non hai detto niente?”
  Pang sospirò. “Non... non sapevo bene cosa dire” iniziò. Aveva tutto il corpo coperto dal lenzuolo, con solo la testa che spuntava fuori, a eccezione del mento. Il suo adorabile naso era in bella vista, assieme ai suoi occhioni sinceri e ai suoi capelli arruffati; era una vista di una tenerezza inconcepibile. “A me il nostro rapporto piace così com’è. Non nego che ci sono cose che vorrei e che attualmente noi non... Insomma, che non fan parte della nostra dinamica. Ma definirti ‘amico’ per me non è limitante, così come non lo sarebbe definirti ‘fidanzato’. Non so quali siano le tue aspettative, non so tu esattamente cosa vorresti che cambiasse se diventassimo una coppia ufficiale. Non so se sarei o meno in grado di darti quello di cui hai bisogno.”
  Wave rimase lì a fissarlo per un po’; dopodiché, inspirò ed espirò con forza e gli rispose: “Quello che provo per te non è... non è comparabile a quello che provo per nessun’altra persona.”
  “Anche per me è così” proruppe Pang.
  “Sì, però... Per me c’è un’effettiva differenza tra quello che provo per te, quando sono con te, e quello che provo per gli altri o quando sono con gli altri. Naturalmente, con ogni persona ho un rapporto diverso, ma tutte le altre persone che considero mie amiche rientrano in una categoria a parte rispetto a... rispetto alla tua. Diciamo. Non è che io sappia perfettamente come spiegarmi, perché le ho sempre ritenute cose... Non lo so, naturali? Non devi giustificarti per come ti senti. Come non devo farlo io.”
  Pang annuì. “Per me non è proprio così. Non provo per te qualcosa di visceralmente diverso rispetto a quello che provo per, magari, i miei migliori amici. Però allo stesso tempo quello che provo per te è diverso da quello che provo per chiunque altro.”
  Wave si passò le dita tra i riccioli che si gli formavano sempre sulla nuca ogni volta che si faceva lo shampoo. “Diciamo che non ho capito esattamente cosa cambia rispetto...” Si rese conto di essere stato sul punto di dire ‘rispetto a quello che prova una persona normale’; fu grato di essersi fermato prima che la sua impulsività ottusa riuscisse a rovinare completamente quel dialogo.
  “Cambia che non sento le farfalle nello stomaco quando mi sei vicino” tentò Pang, in grado di leggere tra le righe, “cambia che per me non esiste nessuna differenza tra amicizia e amore, cambia che non credo che sentirò mai quelle classiche cose da film: quell’amore totalizzante che diventa il centro del tuo mondo e della tua vita. Cambia che tante delle cose che son ritenute... Non lo so, tipo punti di distacco tra una relazione platonica e una romantica per me son cose... normalissime?, che potrei fare con chiunque a prescindere dall’etichetta che piazzo sul nostro rapporto. Cambia che posso dirti che ti amo, che so di amarti, ma non so cosa dovrebbe significare ‘essere innamorato’ di te; non è che non voglia dirtelo perché non credo nell’intensità del bene che ti voglio – anzi –, ma davvero non afferro quale dovrebbe essere la differenza.” Wave non era certo di come sentirsi a riguardo. Non ebbe però il tempo materiale di formulare una riflessione, poiché Pang subito lo incalzò: “Non ti sta bene, giusto? Qualcosa che ho detto ti ha offeso.”
  “No” chiarì subito, “non mi hai offeso. Ma mi hai detto un sacco di cose e le sto valutando.”
  Pang sembrò accorgersi di essere stato troppo precipitoso e assottigliò le labbra come segno di scuse. Non aggiunse altro e diede a Wave il tempo di cui aveva bisogno per pensarci su.
  La loro sarebbe senz’altro stata una relazione non-convenzionale – e a Wave di rientrare in qualche schema preconfezionato fregava assolutamente zero, ma quella non era una prospettiva che si era immaginato, in quegli anni di fantasie circa come sarebbe stato se lui e Pang fossero diventati una coppia. Il quesito principale al quale trovare una risposta era: gli stava bene frequentare una persona che non era romanticamente attratta da lui? La sola espressione gli suonava davvero bizzarra – non aveva mai riflettuto più di tanto sulle varie sfumature che l’amore poteva assumere, limitandosi a distinguere amore e amicizia sulla base di quella che era stata la sua esperienza. Se Pang tuttavia lo riteneva la persona che amava di più al mondo, ed era disposto a divenire il suo ragazzo, e lo desiderava tanto quanto Wave desiderava lui, non trovava un buon motivo per sottrarsi a quella possibilità: non era imprescindibile che il suo cuore battesse più forte quando si abbracciavano, o che sognasse di vivere con lui un’esperienza da commedia romantica (a dirla tutta, Wave stesso, che era piuttosto certo di essere in grado di provare attrazione romantica, non si era mai rivisto in quel genere di sentimenti: il suo amore per Pang era, sì, totalizzante, ma non si esprimeva in grandi gesta e non aveva bisogno di essere rumoroso e visibile; preferiva dimostrargli i suoi sentimenti in modo più sottile, al di là del fatto che se si fossero sul serio messi assieme forse si sarebbe sentito più a suo agio nell’essere sincero e a dire ad alta voce quello che provava). Forse Pang quando parlava di amore totalizzante intendeva, però, anche che l’intensità dell’amore di Wave sarebbe stata per lui opprimente. Questo, più di ogni altra cosa, non gli sarebbe proprio andato giù; non voleva che la loro relazione risultasse un peso per nessuno dei due, non voleva sentirsi inadeguato o diventare estenuante: avrebbe volentieri trascorso l’interezza del suo tempo con Pang? Sì. Comprendeva che Pang avesse, magari, bisogno dei suoi spazi e della sua indipendenza? Sì. Non occorreva essere un esperto di aromanticismo per accettare quella realtà. Non voleva, però, che Pang potesse trovare il suo attaccamento a lui eccessivo. Presunse, tuttavia, che il modo migliore per schiarirsi le idee e togliersi determinati dubbi fosse rivolgerli all’unica persona che poteva dargli delle risposte.
  “Posso farti delle domande?” gli chiese, dopo una ventina di minuti passati nel silenzio più totale.
  “Certo.”
  “Se qualcuno ci provasse con me, ne saresti geloso?”
  “No.” Fu una replica quasi istantanea, ma ben presto Pang aggiunse diverse specifiche a quell’avverbio: “Mi farebbe piacere vederti apprezzato da altre persone. Potrei sentirmi geloso se mi accorgessi del fatto che... Insomma, se tu preferissi l’affetto di qualcun altro al mio. Ma per semplice egocentrismo: mi piace essere al centro della tua attenzione. Mi piace sapere di essere per te la persona più importante.”
  Forse la sua preoccupazione era, dopotutto, stata piuttosto vana. “Non ti dà fastidio il fatto che...” Non sapeva neanche bene come esprimersi senza mettersi del tutto in imbarazzo. “A volte mi fa paura il modo in cui ti amo” gli confessò. “Farei davvero qualsiasi cosa per te. Non sei solo importante, per me. Se non ci fossi, se domani morissi, io non saprei proprio come fare a... ad andare avanti. Tu, invece, credo che tu ci riusciresti. Tu non dipendi da nessuno.” Doveva ammettere che ciò che gli aveva appena detto rientrava tra le sue più grosse insicurezze da ben prima che Pang gli rivelasse di essere aromantico.
  Wave si era voltato di schiena prima di rivolgersi di nuovo a lui dopo quei minuti di contemplazione – e si trovava ora a fissare il soffitto bianco della loro stanza. Quando non avvertì alcun genere di reazione da parte di Pang, si rivolse a lui con aria interrogativa – e scoprì che si stava sfilando di dosso la coperta per alzarsi. Si diresse verso il letto di Wave e gli fece cenno con la mano di abbassare il suo lenzuolo. “Fammi spazio” gli disse.
  Il battito cardiaco di Wave aumentò immediatamente a dismisura, avvertì un attacco di tachicardia farsi strada nel suo petto, ma fece del suo meglio per ignorarlo mentre si rannicchiava nell’altro lato del letto e si girò su di un fianco, così che anche Pang potesse stendersi e stare comodo. Quando tirò su il lenzuolo a coprire i corpi di entrambi, si avvicinò tantissimo a lui e portò le loro fronti a sfiorarsi. Wave poteva sentire il profumo – ormai camuffato da quello alla menta del dentifricio – di cioccolato e limone sotto al suo naso e in un gesto istintivo si affrettò a instaurare un punto di contatto tra di loro – che ottenne andando ad avviluppare le proprie gambe alle sue. Entrambi indossavano i calzini – e Wave ne fu grato perché i suoi piedi tendevano a essere sempre, sempre gelidi di notte –, il suo tallone si ancorò dietro al polpaccio di Pang, il cui ginocchio toccava il suo inguine in uno strano puzzle di membra che però funzionava benissimo e sapeva di casa. Wave non aveva mai davvero sperato che un giorno si sarebbe trovato a essergli così vicino, a toccarlo in quel modo, ed era talmente felice che se il suo cuore fosse stato un’entità animata gli sarebbe senz’altro esploso dal petto per la contentezza.
  Pang gli sorrise. Gli carezzò gli zigomi con il polpastrelli con estrema dolcezza, Wave chiuse gli occhi per bearsi del suo tocco e perdersi in esso. Si sentiva così bene che quasi non gli importava di continuare quella conversazione e di chiarire ciò che restava in sospeso. Non aveva mai desiderato così tanto qualcosa in vita sua quanto rimanere lì con lui, i loro corpi intrecciati, in silenzio, anche per tutta l’eternità.
  “Il fatto che mi sforzerei di andare avanti con la mia vita, e di viverla anche per te, non significa che non mi sentirei comunque come se mi mancasse, non lo so, un arto, o un’altra cosa fondamentale, alla cui assenza mi dovrei all’improvviso abituare” gli disse, più un sussurro che un’affermazione, e poi gli diede un bacio sulla fronte, dopo un altro e un altro ancora, fino a scendere verso i suoi occhi, verso la sua mascella, verso il suo collo. Wave sentì le sue parti basse reagire a quel contatto così intimo e ravvicinato e non riuscì a controllare il tremore che avvolse il suo corpo. Pang lo strinse a sé, spostando la mano dalla sua faccia alla sua schiena. Wave lo abbracciò di rimando. “Sei importante per me quanto io lo sono per te, Wave. Di questo non dubitare.”
  Tirò su col naso e si costrinse a reprimere le lacrime che altrimenti sarebbero sgorgate dai suoi occhi, bagnando la maglietta del pigiama di Pang. “Non ti pesa che per me sia... un po’ diverso? Che io sia un po’... dipendente da te?”
  Pang ridacchiò. “Al massimo dovrei essere io a chiederti se la mia diversità ti sta bene.”
  Wave ci rifletté: non era una consapevolezza diversa da quella che aveva sempre avuto riguardo alla loro relazione, a prescindere dalle diverse sfumature che avrebbe acquisito in futuro. “Non nego che mi piacerebbe se anche tu fossi come me” ammise, “ma... non è perché penso che c’è qualcosa che non va in te, o perché non mi sento appagato se non provi le stesse cose che provo io: aiuterebbe solo a placare la mia insicurezza.”
  Pang aggiunse maggiore pressione alla sua stretta e gli baciò teneramente i capelli, senza aggiungere altro.
  Wave chiuse gli occhi – e sentì il ronzio dei pensieri esagitati nella sua mente placarsi quando si abbandonò totalmente alle coccole di Pang. Si addormentò tra le sue braccia, finalmente senza nessuna traccia di preoccupazione a disturbare il suo sonno.

 
   
 
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