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Autore: Lilyrae    20/02/2024    1 recensioni
La vita prosegue tranquillamente, dopo una lunga Estate passata a recuperare rapporti, tempo perso e persino compiti scolasti, Yuma Tsukumo è pronto a iniziare il secondo anno, una svolta segnante la nuova alba e proietta ombre simili a campanelli d'allarme, che continuano a suonare infrangendo il delicato equilibro creato dall'apparente pace: gli basta guardare verso l'alto, per capire il problema. Il cielo di Heartland City è solitamente sgombro, ma adesso misteriosi avvenimenti compaiono continuamente gettando le basi a demolire l'epilogo.
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: I Sette Imperatori Bariani, Nuovo personaggio, Yuma/Yuma
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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The beginning of a New Era
Prologo
«Yuma, mancano due settimane e non hai ancora toccato libro!»
 
L’urlo di Akari, dalla cucina di casa Tsukumo, è ormai parte dell’ordinaria quotidianità, non appena il fratello minore saliva le scale per rintanarsi in camera sua fino all’ora di cena. Più volte v’è passata davanti, sopprimendo l’istinto di sorella maggiore che le diceva di aprire la porta per accertarsi almeno come stava, cosa faceva o se semplicemente dormiva, ma finiva sempre col fissare quel muro fatto di legno, ridestata dal trillare della sveglia, dell’orologio da polso, che le ricordava che la pausa era finita e doveva riprendere il lavoro, lasciato momentaneamente sospeso; le cartelle contenenti notizie, raccattate su Internet, ancora sparpagliate disordinatamente sul desktop del computer portatile, coprendo l’immagine raffigurante lei e la sua famiglia, tutti sorridenti mentre guardano verso l’obbiettivo.
 
Stringe la spugna - sentendo l’acqua, mista a detersivo dei piatti, bagnarle la manica arrotolata poco sotto il gomito - per fissare il proprio riflesso sulla superficie di ceramica, domandandosi cos’ha sbagliato stavolta. Era stata troppo dura? Eppure gli concedeva sempre il permesso di duellare, facendogli tuttavia promettere di rincasare in tempo per la cena, quando lo chiedeva. Era passato almeno un mese dall’ultima volta che l’aveva visto uscire, ricordando anche come tornava a casa sfinito e si buttava subito sul divano.
 
Quel silenzio non le piaceva affatto, al punto che vorrebbe dire immediatamente “si”, senza neanche dargli il tempo di formulare la frase, appena l’occasione si ripresenta. Come per cercare risposta guardò prima la cartolina, spedita dagli Stati Uniti d’America, dei propri genitori - il paesaggio esotico di Hialeah, situata in Florida, alle loro spalle - poi nonna Haru intenta a pulire il tavolo con uno straccio, ma né lei né l’immagine di Kazuma e Mirai sembrano notare il suo stato d’animo inquieto.
 
Per rompere il ghiaccio, guardando in direzione dell’orologio da muro, nascosto dall’anta della credenza aperta, domanda «Che ore sono?»
 
«Le 14:00 cara, hai ancora tempo prima di iniziare a lavorare» le rispose, alzando il capo senza smettere di pulire il tavolo. Akari appoggiò il piatto pulito sulla pila, mollando la spugna ancora zuppa di detersivo nel lavandino prima di sfilarsi il grembiule verde con un pattern di quadratini bianchi.
 
«Vado a vedere Yuma.» sentenziò infine, stanca del silenzio del fratello. Le dispiaceva irrompere bruscamente nella sua vita, anche con un semplice gesto come il bussare alla porta, ma non poteva limitarsi a fargli da promemoria, in vista dell’imminente inizio del nuovo anno scolastico, ulteriormente. Odiava ricevere in risposta il silenzio, specialmente da qualcuno a lei importante e Yuma rientrava pienamente nella categoria. Per lei esso era sinonimo della completa assenza di notizie, quindi inaccettabile essendo una giornalista, coperte dal velo d’oscurità chiamato menzogna. Aveva lo stesso sospetto nei confronti della JAXA, l’agenzia spaziale giapponese, sprofondata in quella che per lei è più una spirale di menzogne per coprire il segreto dietro gli strani avvenimenti caratterizzanti il cielo di Heartland City. Era un paragone strano, ma c’era una similitudine tra l’ente del governo e Yuma: l’uso di tante parole generiche per eludere il problema.
 
Non poteva fare loro una bella ramanzina, irrompendo nel loro ufficio per guadagnare solo l’arresto, e nemmeno commentare gli articoli col dente avvelenato, ma aveva il diritto di farlo con Yuma sperando di rimetterlo in riga.
 
Con un certo timore, bussò infine alla porta. Attese per qualche secondo, tamburellando con le dita sulle braccia incrociate, a ritmo delle lancette dell’unico orologio vecchio stile, collocato vicino alle scale. L’aveva comprato Kazuma diversi anni prima, amante degli elementi appartenenti al passato. Anche l’intera casa aveva subito lo stesso trattamento, tanto da ricordarle quelle del Giappone novecentesco, escludendo la stanza ristrutturata con le ultime tecnologie, permettendole di cercare velocemente notizie, provenienti da ogni dove, senza problemi di connessione.
 
«Avanti»
 
Venne invitata dall’entusiasmo forzato del fratello. Aprendo la porta lo trova disteso sul letto, con le carte componenti il deck appoggiate sul petto, eccetto un paio in mano. Le riconosce come XYZ, il cui bordo tipicamente nero accentua l’immagine al centro, fissata da uno sguardo vacuo distolto solo per salutarla.
 
«Mi hai sentita prima?» lo rimprovera, appoggiandosi minacciosa sulla testata del letto per chinare appena il busto in avanti. Intimorito dal tono della sorella, Yuma indica la scrivania dai toni del blu e dell’arancio, come il resto della mobilia, sul quale v’è appoggiato il quaderno ancora aperto. Akari si avvicina per controllarne le risposte, rimangiando con sorpresa le parole gridate poco prima, già rassegnata all’idea di vedere le cose fatte, come al solito, di fretta. Non erano perfette, le bastò una rapida occhiata per notare diversi errori, alcuni anche gravi, ma ogni tanto le faceva piacere ricredersi e c’era sempre tempo, seppur poco, per rimediare.
 
«Sono stupita, davvero» commenta con mezzo sorriso, eliminando dalla mente la spiacevole immagine di vederlo tornare a scuola coi compiti non fatti. Purtroppo era già successo e non voleva nuovamente perdere la voce per rimproverarlo.
 
«Non sono uno che passa il tempo con le mani in mano» ribatte, facendo cadere le carte come foglie dall’albero appena si mette seduto sul letto. In risposta gli poggiò una mano sulla spalla, con una delicatezza rara quanto l’espressione rilassata del volto. La fissò dritto negli occhi lilla, aprendo la bocca per commentare la strana paura, in secondo piano rispetto all’atteggiamento tipicamente severo, nei suoi confronti. Venne liquidato da delle piccole pacche, senza neanche dargli il tempo di formulare la frase, affacciandosi sulla soglia ancora una volta per dire, prima di tornare in soggiorno «A proposito, Kotori è tornata ieri»
 
Yuma annuì piano, sentendo sollevato il rumore della porta che viene chiusa. Ascoltò la sorella scendere le scale, sfiorando inconsciamente il ciondolo dalla forma di chiave, di un dorato riflettente la luce del sole pomeridiano e la osserva perso nella marea di ricordi che quell’oggetto, all’ignara apparenza insignificante, ma per lui è come una parte del suo cuore, può trasmettergli semplicemente guardandolo.
 
«Spero che un giorno ci rivedremo, Astral» sussurra il nome di un vecchio amico andato da tempo, partito per un lungo viaggio con destinazione un luogo lontano. Gli metteva tristezza sapere di non poterlo raggiungere, soffocandola ancora una volta con un sorriso quando salutò i suoi genitori all’aeroporto di Heartland City. Erano stati assieme neanche un mese e già le loro strade si separano, lasciandolo indietro mentre volano oltreoceano.
 
«Magari potremmo duellare assieme, come ai vecchi tempi…» i contorni della Chiave dell’Imperatore diventano meno nitidi, una lacrima si infranse su di essa facendogli capire che stava piangendo. Le asciugò subito col dorso della mano, respirando profondamente nel tentativo di calmarsi. Non voleva che Akari e nonna Haru lo vedessero così, anche se gli sembra che hanno già capito tutto, notando la sua profonda tristezza dal comportamento pressoché solitario. Per qualche strano motivo, lo lasciavano stare, dando la colpa alla partenza di quasi tutta la cerchia di amici. L’unico rimasto era Girag e di tanto in tanto faceva affidamento su di lui, invitandolo a duellare per mantenersi allenato, ricavando sonore sconfitte a causa della ruggine. Del resto, sono settimane che non mette mano al deck.
 
Ricorda, anche, di come scoppiò a ridere, ancora a terra dall’ultimo colpo, ironizzando sul come le cose sarebbero cambiate se l’avesse battuto pochi mesi prima.
 
«Yuma!»
 
La voce di Akari rompe il silenzio della stanza, facendo sobbalzare il ragazzo e la collana per poco non gli sfugge dalle mani. Grazie ai suoi riflessi ben allenati, riesce ad afferrarla appena in tempo, prima che finisca sul pavimento di legno. La rimise al collo, costatando divertito come il buonumore della sorella sia rapidamente scomparso.
 
Non impiegò molto a capirne il motivo, gli bastò raggiungere la cucina per vedere il pavimento completamente zuppo e l’acqua filtrare da sotto il mobile del lavello, la cui anta è aperta rivelando il tubo incriminato. Neanche una decina di minuti dopo, si ritrova a fare avanti e indietro dal bagno, versando l’acqua nella vasca nel momento in cui raggiungeva il bordo della bacinella.
 
Stremato, si accasciò a lavoro concluso sul divano. Le gambe, avvolte dai pantaloni zuppi, lasciate penzolare sul poggiolo per non bagnare il telo. Quel problema era riuscito a distrarlo dall’opprimente nostalgia, ma ora che il lavoro è concluso, con del nastro isolante messo attorno al tubo, è tornata più spietata di prima. Per distrarsi, prende in mano il telecomando e accende la televisione, chiudendo un attimo gli occhi nel momento in cui un raggio di sole lo colpì direttamente in volto. Era caldo, come la stanza, seppur raffreddata dal condizionatore per mantenerla su una temperatura accettabile, quanto basta per asciugarlo. Appoggia il capo sul cuscino, saltando stranamente il canale dedicato ai duelli per soffermarsi su quello delle notizie, ovviamente il preferito di Akari.
 
«Ultime notizie, stasera si potrà ammirare la pioggia di stelle cadenti…»
 
Il nome di Aruna Okamoto non gli era del tutto nuovo, presentato dai kanji aggiunti in sovrimpressione, così come il tono calmo, sfumato da una certa eccitazione che lui ben conosce, nel narrare di un evento, al quale tutti sono ormai abituati, e di come esso sia visibile chiaramente, nonostante il velo di luce occultante il cielo notturno. Storse involontariamente il naso nel sentire il discorso, stanco di eventi più di una semplice coincidenza. E’ un messaggio di Astral? Ma allora perché non lo raggiunge? La porta di casa, per lui in particolare, è sempre aperta.
 
Inoltre, come può essere una pioggia di stelle cadenti un’ultima notizia? Non c’è tutta una preparazione prima?
 
Il cervello di Yuma, stranamente, lavorava, elaborando molteplici scenari, assurdi per chi non ha visto ciò che ha visto lui. A interrompere il flusso di pensieri è uno squillo, proveniente dal Duel Gazer appoggiato sul tavolino. Allunga una mano per prenderlo, leggendo subito il nome di Kotori. Giusto, è tornata.
 
«Yuma!» allontanò subito il simil-telefono dall’orecchio. Nell’arco di un’ora avevano detto il suo nome diverse volte «Hai sentito la notizia?!»
 
«Ciao Tori» la saluta, sorvolando sulla strana fretta della ragazza. Di solito, era lui quello che passava direttamente al fulcro del discorso, a scapito delle buone maniere, come un semplice saluto prima di iniziarlo, continuamente rimarcate nella speranza di insegnargli qualcosa. Era solo impaziente di sentire la sua voce, magari anche di vederlo di persona.
 
Poté udire chiaramente il rumore di una manata tirata sulla fronte «Giusto, perdonami. Ciao anche a te» si corregge con evidente imbarazzo, tossicchiando appena prima di continuare «Stasera ci sarà la pioggia di stelle cadenti e volevo chiederti se…»
 
«Si» non la lasciò finire, intuendo subito la richiesta. E’ impaziente di uscire di casa, stanco di avere come sola compagnia una presenza non del tutto frequente. Non gliene faceva una colpa a Girag, neanche era arrabbiato, ma ogni tanto voleva una distrazione che andasse oltre il paio d’ore, di cui una spesa duellando, dimenticando così il tetro silenzio dell’ultimo periodo.
 
Kotori sembrò un attimo sorpresa della sua perspicacia, chiudendo poi la chiamata dopo un’ultima chiacchierata, raccontandogli la sua vacanza all’estero e curiosa di sapere le ultime novità di Heartland City, oltre a tutto ciò che lo riguarda direttamente. Passò un lungo quarto d’ora, facendo il possibile per nasconderle la tristezza dovuta alla mancanza di Astral. E’ senza dubbio pessimo nel mentire, ma in cuor suo sperò di aver fatto un ottimo lavoro e rimandato l’inevitabile. L’ultima cosa che vorrebbe fare è rovinarle gli ultimi giorni di tranquillità.
 
«Ci vediamo dopo, ho anche preso qualcosina per te!» trillò infine come saluto.
 
 
Verso sera, vestito di tutto punto, iniziò ad avviarsi al luogo d’incontro, guidato dai messaggi che gli suggeriscono anche di portare qualche snack. Si sentiva un po’ un idiota a girare con tutte quelle buste contenenti del mangiare, gentilmente fornite da una Haru timorosa che potesse morire di fame, così ingombranti da rendere goffo il saluto, con un rapido cenno della mano, alla coetanea sua vicina di casa, non negando di sentire un certo languorino man mano che cammina. Raggiunge il Santuario dei Duelli una ventina di minuti dopo, la metà spesa in metropolitana.
 
«Siamo qui, Yuma!» si sbraccia Kotori dalla cima delle scale, accanto a lei c’è Girag con un telescopio portatile, tenuto a mo’ di mazza da baseball. Non appena salì l’ultimo gradino, venne accolto da un abbraccio da parte della ragazza e delle pacche sulla spalla dal combattente, che gli sottrae il peso delle borse.
 
«Però, hai portato da mangiare per un intero esercito!» commenta, sollevandole come se fossero riempite da piume e non diverse pietanze.
 
«Colpa di mia nonna» si gratta il capo, giustificando il gesto ritenuto esagerato da Kotori. Girag invece sembrò contento, indicando poi un tappetino da spiaggia, adagiato poco distante, con la punta del cannocchiale «Quello è il nostro posto»
 
Annuisce, lo sguardo fisso sull’oggetto tra le grandi mani del ragazzone «Dove l’hai preso?» domanda, in risposta Girag indicò col pollice un punto dietro di sé. Situato sul tronco di un albero caduto, stava un invasato dai capelli azzurrini e gli occhiali tondi, intento a sbracciarsi con lo scopo di attirare l’attenzione, per sua sfortuna parecchio stizzita.
 
«State per osservare la settima pioggia di stelle cadenti nell’arco di tre mesi. Uno spettacolo molto bello, ma che si dovrebbe vedere più raramente di così»
 
Fece una pausa d’effetto, ignorando le occhiate torve di gran parte dei presenti. Yuma, d’altro canto, alza un sopracciglio, perplesso dall’astio e sinceramente interessato «E la colpa è degli alieni!»
 
«Toshiyuki, stai zitto!» esclamò uno dei suoi compagni di classe, tirandogli una lattina vuota di Coca Cola dritta in faccia. Si sbilanciò nel tentativo di schivarla, finendo a terra con un “ouch” sibilato a denti stretti. Per quanto disapprovi l’uso leggero di una certa parola del discorso, solitamente usata per descrivere il fuori dall’ordinario, non poté fare a meno di lanciare loro un’occhiataccia, empatizzando con lo studente più grande. Lo guarda gattonare verso il suo angolo di mondo, il volto ferito, non solo per l’alone rosso sulla fronte, laddove ha incassato il colpo, coperto in parte dalle ciocche azzurrine.
 
«Dovrebbero essere più gentili con lui» borbottò Girag, finendo di ruminare la palla di riso. La trovava solo un’innocua passione, un po’ ironica considerando che, in realtà, non stava effettivamente dicendo cose campate per aria, ma con uno sfondo di verità. E lui lo sapeva bene, anche troppo.
 
Inoltre, era l’ultimo che poteva commentare. Oltre alla facciata di lottatore, circondato da una schiera di amici solita atteggiarsi da duri, si nascondeva un’amante delle idol.
 
Anche Yuma era rimasto a fissare lo studente più grande per un po’, tentato dall’avvicinarsi per scambiare quattro chiacchiere e, magari, fissare un duello nei giorni a seguire. Fece per alzarsi, ma Kotori gli afferrò la maglia costringendolo a rimanere seduto, accanto a lei. Le rivolse un’occhiata interrogativa, un po’ stizzita dal come l’aveva trattenuto, ricevendo come risposta un dito puntato verso il cielo.
 
«Giusto, le stelle cadenti» se le era quasi dimenticate. Una scia luminosa comparve, tracciando un arco sulle loro teste per scomparire dietro il profilo dei grattacieli. Ne seguì poco dopo un’altra, riempiendo il cielo di stelle cadenti. Un paio di settimane prima sarebbe stata la normalità, ma ora si trovavano alle porte di Settembre e il ripetersi dell’evento era diventato alquanto strano. Aveva uno strano presentimento, impossibile da esporre senza rovinare la tranquillità tanto agognata dalla sua cerchia di amici. Mentirebbe con sé stesso se la pensasse diversamente, felice di girare e non trovare l’ennesimo malintenzionato, che lo sfida a duello per le carte Numero, sulla strada.
 
 
Si concesse uno sbadiglio quando finalmente giunse nella via di casa, il profilo di essa annebbiato dalla stanchezza. Non si preoccupò neanche di coprirlo con la mano, nonostante fosse completamente libera dall’ingombrante presenza dei sacchetti contenenti gli ormai finiti stuzzichini preparati per la serata.
 
«Yuma!»
 
Una voce, non del tutto conosciuta, lo bloccò nell’atto di cercare le chiavi per aprire il cancello. Seduta su una panchina c’era una ragazza dai capelli chiari, tagliati corti poco sotto le orecchie. In mano reggeva un pacco di piccole dimensioni.
 
«Dalia?» domandò incerto, felice di essersi almeno ricordato il nome della sua nuova, momentanea, vicina. Sapeva infatti che non era una presenza fissa e che presto sarebbe dovuta tornare nel suo paese d’origine.
 
«Vedo progressi, molto bene. Qualche settimana prima non ti ricordavi neanche come mi chiamo» commenta sarcastica, allungandogli poi il motivo del loro incontro «Il robot postino ha di nuovo sbagliato a consegnare la posta, questo è per tua sorella»
 
Lo afferrò senza troppe cerimonie, rigirandolo per avere l’adesivo rivolto nella sua direzione. Effettivamente c’era l’indirizzo di casa Tsukumo, Dalia non aveva mentito. Dovrebbe essere meno diffidente, specialmente con una ragazza che manco esiste nella sua vita per una buona parte d’anno, ma le esperienze passate non si dimenticano facilmente.
 
«Grazie, Dalia. Ci vediamo…»
 
«L’anno prossimo, sempre se non ti va un viaggio in Inghilterra» concluse per lui, salutandolo con un cenno della mano prima di allontanarsi. Rincasò anche lui poco dopo, il tempo di trovare le chiavi giuste, lasciando il pacco sul tavolo prima di raggiungere camera sua, dove si gettò vestito sul letto, addormentandosi non appena appoggiò la testa sul cuscino.
 
   
 
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