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Autore: Padme92    20/02/2024    1 recensioni
[L\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\]
[L'uomo che sussurrava ai cavalli]
«“Al diavolo…!” imprecò gettando il cappello per terra, mentre gli occhi gli si velavano di lacrime.
Poi, buttandosi carponi come un uomo in preghiera, Tom urlò. Non a causa della mano sanguinante che pulsava di dolore, ma a causa di una ferita molto più profonda, provocata dall’amore sconfinato e bruciante che sentiva per Annie.»
Questa fanfiction mescola il finale del film e quello del libro de "L'uomo che sussurrava ai cavalli" per esplorare cosa succede ad Annie Graves e Tom Booker dopo la loro separazione.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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5.




 
Passarono un paio di mesi. Le giornate si accorciavano sempre di più e l’autunno aveva in messo in mostra i suoi colori. Quando usciva di casa il mattino presto, le scarpe da ginnastica ai piedi, Annie doveva coprirsi bene per non prendere freddo: nell’aria c’era molta umidità, ma la corsa l’aiutava a ignorare le condizioni metereologiche. Era come meditare, per lei. Si trattava forse dell’unica parte della giornata durante la quale poteva rimanere sola coi propri pensieri. Non sentiva la mancanza dell’estate, in qualche modo trovava la malinconia di quel periodo dell’anno più consona al suo stato interiore. Tom non aveva più chiamato, nemmeno per sbaglio. Grace e Joey, al contrario, si sentivano circa una volta al mese, per aggiornarsi a vicenda sulla situazione dei cavalli e delle mandrie. Annie la ascoltava parlare al telefono con una punta di invidia, tale era la sua gioia e spontaneità. Da quando erano tornati dal Montana sua figlia non aveva mai perso il sorriso. Robert le aveva dimostrato una profonda gratitudine per il fatto di avergli restituito una Grace molto simile a quella pre-incidente. Forse per questo perseverava nel suo silenzio gentile, evitando di porle domande scomode. Dopo la sua telefonata con Tom, infatti, Annie si era tranquillizzata molto, perché la flebile speranza di rivederlo l’anno seguente abitava ora il suo cuore, riscaldandola dall’interno come una piccola fiammella. Era sicura che lui provasse lo stesso, e questa consapevolezza le era di enorme consolazione.
Tra una cosa e l’altra non si sentirono fino al giorno del Ringraziamento, quando Grace volle a tutti i costi che fosse lei a chiamare i Booker, cosa che fece con un sorriso di circostanza, sotto lo sguardo rassegnato di Robert, che quando fu il suo turno di prendere in mano il ricevitore si dimostrò amabile e interessato come sempre. Era davvero un uomo straordinario, e questo la faceva sentire un mostro ingrato. Chissà, forse era proprio questo il suo piano: essere talmente perfetto da farla sentire troppo in colpa all’idea di abbandonarlo. Quando lei e Tom si scambiarono gli auguri, le sembrò di rinascere e dimenticare per un minuto tutto il resto.
“Allora ci sentiamo per Natale,” le aveva detto prima di chiudere la telefonata, in un modo che sembrava le stesse facendo l’occhiolino.
“Sì, certamente,” aveva risposto lei con un po’ troppo entusiasmo.
Rimase di buonumore per tutta la sera, almeno fino a quando, verso la mezzanotte, Robert non la cercò sotto le coperte. Annie si immobilizzò, incapace di assecondare il marito. Era stupita di quella sua muta richiesta che, per quanto legittima, non si sarebbe mai aspettata. Robert non la forzò a fare l’amore quella notte, ma non si poteva dire nemmeno che lei lo fece con piacere. Ebbe il tremendo sospetto che lui sapesse perché era stata così allegra durante una cena a base del più tradizionale piatto di tacchino e patate, e che quel suo gesto fosse un modo di rubarle la gioia e di reclamare il suo corpo per sé. In fondo era ancora sua moglie. Ma se andare a letto con lui era diventato un tale sacrificio, Annie non vedeva come avrebbe potuto sopportare di sottoporvisi ancora a lungo.
Trascorsero ancora un paio di settimane, e poi accadde. L’imprevisto. Si era verso la fine di novembre ed Annie stava rovistando sul tavolo alla ricerca di alcune riviste, quando, senza preavviso, ebbe un conato di vomito e rigettò il caffè mattutino sul piano di lavoro.
“Merda,” imprecò più preoccupata per il disastro che aveva fatto sul tavolo, che per il possibile significato di quel sintomo così inusuale per lei. Andò a sciacquarsi la bocca in cucina, poi tornò a sistemare: buttò via le pagine illeggibili e i fogli rovinati e riordinò il resto. Nel mentre nei suoi pensieri iniziò a domandarsi se non avesse iniziato a soffrire di una forma di reflusso gastro-esofageo. In passato, quando lavorava come editor, le era capitato di soffrire di gastrite, sicuramente a causa dello stress lavorativo e dei pasti irregolari, ma da quando era stata nel Montana e aveva lasciato quel lavoro non le era più capitato. Decise di affrontare il resto della giornata con più calma e di mangiare in bianco per qualche giorno in modo da mettere a riposo lo stomaco. Ma non cambiò niente: quasi ogni mattina aveva conati di vomito accompagnati da mal di stomaco. Robert si mostrò più preoccupato del necessario quando notò il suo stato di salute e, malgrado le iniziali resistenze, alla fine Annie si decise a farsi visitare da un dottore. Disse a Robert che sarebbe andata dal gastroenterologo, ma in verità prese appuntamento con la sua ginecologa, che l’aveva seguita durante la gravidanza di Grace e tutti i successivi episodi di aborto spontaneo. Da quando usava la spirale, però, non aveva più avuto motivo di andarci. Ora, tuttavia, un dubbio atroce si era insinuato nella sua mente e sentiva di aver bisogno subito di risposte certe. La mattina della visita uscì di casa come sempre per correre, ma al ritorno si fermò in una farmacia e comprò il test di gravidanza più affidabile che ci fosse. Una volta a casa si infilò subito in doccia, nel tentativo di prepararsi psicologicamente a quello che sarebbe venuto dopo. Una volta uscita e asciugatasi, ancora nuda si sedette sul wc e aprì il test con mani tremanti. Due minuti più tardi, mentre aspettava il verdetto, Annie scrutò il proprio corpo allo specchio, alla ricerca di un indizio, come un piccolo rigonfiamento del ventre o un aumento della misura del seno. Il suo occhio critico le fece pensare di aver messo su un po’ di peso, niente a cui non avrebbe potuto rimediare. Ma quando tornò con lo sguardo allo stick, il suo cuore perse un battito: due sottili linee rosse confermavano una realtà impossibile, assurda, insensata. Annie si rifiutò di credere a quello che diceva il test finché non ebbe parlato con la ginecologa. Uscita dal bagno per prima cosa compose il numero e si fece dare un appuntamento, dopodiché si fiondò in cucina a farsi una tazza di tè rigorosamente senza zucchero, un’abitudine da vera inglese che non si era mai tolta. Mentre lo sorseggiava, il vapore della bevanda le scaldò le guance e, a poco a poco, il battito del suo cuore rallentò fino a riprendere un ritmo quasi normale. I due giorni successivi non riuscì quasi a toccar cibo e si domandò se lo scarso appetito fosse dovuto alla nausea da gravidanza o all’ansia terribile che le stringeva lo stomaco. La cosa più difficile era assumere un’aria di indifferenza davanti a Grace o a Robert, motivo per cui Annie era quasi impaziente di avere conferma della verità.
Finalmente, un grigio martedì di fine novembre, eccola varcare la soglia dell’ambulatorio privato della dottoressa Marrigan, una mano istintivamente sul grembo, l’altra stretta spasmodicamente attorno alla tracolla usurata della sua borsa di pelle preferita, la stessa che stringeva tra le mani nel Montana ogni volta che partiva dalla fattoria per andare in città. La ginecologa l’ascoltò e la visitò con attenzione e infine le propose di togliersi ogni dubbio facendo un’ecografia. Lei acconsentì, e quando le immagini nello schermo annunciarono la presenza di una nuova vita nel suo ventre, l’emozione fu così forte che le sembrò di sentirsi male.
“Direi che, su per giù, sei tra l'a nona e la decima settimana, Annie,” disse la ginecologa.
Si conoscevano da così tanti anni che ormai si davano del tu.
“So che questa gravidanza è inaspettata, ma ti prometto che faremo di tutto per riuscire a portarla a termine, se è quello che vuoi.”
Ancora stordita dalla novità Annie non capì subito di cosa parlasse la donna. Quando riuscì finalmente a dare un significato alle sue parole, si turbò.
“Certo che lo voglio, Wendy,” disse con tutta la determinazione che aveva.
Non esisteva un mondo in cui questo bambino non sarebbe venuto alla luce. Non esisteva e basta. E anche se non poteva averne la certezza assoluta, almeno per il momento, Annie sentiva che questo bambino era frutto dell’amore tra lei e Tom. Portava in grembo suo figlio. Un Booker. Questa era la realtà a cui voleva credere con tutte le sue forze. Una realtà che, presto o tardi, tutti avrebbero dovuto accettare.
 
A dicembre il ranch si ricoprì di uno strato di neve spesso quasi mezzo metro. Frank e Tom ebbero un bel da fare a spalare neve fino a Natale. Il lato positivo era che in quel periodo la mandria non dava granché da fare, mentre i lati negativi erano diversi: la neve inumidiva i vestiti facendo entrare il freddo fin nelle ossa, i bambini volevano continuamente giocare a palle di neve o costruire pupazzi in giardino, mentre Diane si prodigava in continui lamenti e rimproveri, arrivando a minacciare con una vanga chiunque varcasse la porta di casa senza essersi prima levato gli scarponi e aver cambiato i calzini. Le feste natalizie di solito portavano una ventata di allegria e colore nella fattoria, un’atmosfera spensierata che Tom si godeva volentieri, specialmente durante le lunghe sere invernali trascorse a bivaccare davanti al camino acceso, sbocconcellando i biscotti allo zenzero di Diane o bevendo una cioccolata calda mentre i nipoti lo sfidavano a carte. Ma quell’anno era diverso. C’era qualcosa di indescrivibilmente malinconico nel suo occupare la poltrona di chintz nell’angolo del salotto, sprofondando in un silenzio quasi religioso, per poi tirare fuori la vecchia pipa di suo padre in un gesto ormai rituale. Era un’abitudine tornata da poco che faceva storcere il naso a Diane, ma lui non se ne dava pensiero, al massimo evitava di farlo davanti ai bambini. Ma il punto è che Tom non fumava da anni. Da quando, in effetti, si era lasciato con sua moglie una quindicina d’anni prima. Essa rappresentava uno dei tanti motivi per cui non riuscivano ad andare d’accordo: Rachel odiava l’aroma dolciastro del tabacco, un odore che a lui invece ricordava l’infanzia, evocando memorie lontane di quando suo padre, Peter Booker, lo teneva sulle ginocchia seduto su quella stessa molle poltrona che pareva essersi deformata sotto il suo peso con l’andare degli anni. Aveva smesso solo quando aveva scoperto di aspettare un bambino. Non era sicuro del motivo per cui non aveva ripreso subito, una volta che si erano lasciati, ma ora quel piccolo vezzo gli dava conforto. Ogni tanto si domandava se ad Annie fosse dispiaciuto. In tal caso, forse si sarebbe risolto a smettere del tutto. Ma questo solo nella remota possibilità che il suo sogno si realizzasse ed Annie tornasse da lui. Sapeva che era pericoloso crogiolarsi troppo nelle sue fantasie, motivo per cui aveva pensato di concedersi una piccola coccola quotidiana, la sensazione di quel piccolo oggetto di legno tra le dita, il piccolo sbuffo di fumo che emetteva una volta acceso, il respiro profondo che lo obbligava a fare. A suo modo di vedere, era un’abitudine quantunque migliore di quella di fare telefonate fantasma a casa di Annie.
Dal canto loro, Frank e Diane cercarono di non turbare il suo silenzio luttuoso, chiacchierando animatamente coi bambini durante i pasti e coinvolgendoli in varie occupazioni, in modo da dissuaderli dall’andare a disturbare lo zio. Solo Joey, il più tranquillo ma anche il più maturo dei tre, veniva lasciato spesso in compagnia dello zio, il quale gli dedicava volentieri la sua attenzione. Il ragazzino sembrava condividere con lui lo stesso stato d’animo malinconico e, anche se non sempre dava voce ai suoi pensieri, Tom riusciva quasi sempre ad indovinarli. Non che fosse particolarmente difficile: ogni volta che squillava il telefono, per esempio, Joey scattava all’allerta, come un coniglio che rizza le orecchie. Era sempre in attesa di una telefonata da parte di Grace, come lui del resto.
“Perché non le scrivi una lettera?” gli propose Tom una sera che lo vedeva particolarmente amareggiato.
“Una lettera?” ripeté Joey dubbioso “Ma zio, oggi ci sono i telefoni… Le lettere sono roba da vecchi.”
“Dici?” fece Tom vagamente sorpreso “Eppure sono piuttosto sicuro che alle donne di oggi piacciano ancora.”
Joey non sembrava convinto.
“Non so… Quanto ci mette una lettera dal Montana ad arrivare a New York?”
“Una o due settimane, direi,” rispose Tom “Se la mandi subito potresti fare in tempo per Natale, o per l’anno nuovo.”
“Ma così, una lettera senza regalo?” fece il ragazzo incerto.
“Beh, allora mandale un pacco. Ci metti dentro quello che vuoi, lo porti all’ufficio postale e per una cosa come 9 dollari te lo fanno arrivare entro una decina giorni. Provare per credere.”
Il volto di Joey parve illuminarsi a queste parole.
“Un pacco!” esclamò con improvvisa eccitazione “Zio, sei un GENIO!”
Tom sbuffò un mezzo risolino insieme al fumo della pipa.
“Modestamente,” si umiliò mentre guardava il nipote saltare in piedi e andare a cercare una scatola di cartone adatta allo scopo.
“Domani preparo il pacco e giovedì chiedo a papà di andare a spedirlo,” disse Joey parlando più a sé stesso che a Tom.
“Zio, per caso vuoi metterci dentro qualcosa anche tu?”
La domanda lo prese in contropiede.
“Eh?” esclamò con sorpresa “Ti ringrazio, ma non saprei proprio cosa metterci…”
“Ma come no? Una bottiglia di vino, un dolce… Sai, quelle cose che gli adulti si regalano a Natale.”
Tom considerò per un momento l’offerta.
“In effetti non è una cattiva idea…” mormorò piano.
“Certo che non lo è! Dai, possiamo fare un pacco tutti insieme e mandarglielo per Natale. Vado a dirlo a papà.”
“Dirmi cosa?”
Frank comparve proprio in quel momento, una bottiglia di Scotch in una mano e due bicchieri nell’altra. Joey gli riferì la fantastica idea dello zio Tom di fare un pacco pieno di regali da mandare alla famiglia di Grace e lui non ne smorzò l’entusiasmo, ma lo spedì a letto dicendogli che ci avrebbero pensato l’indomani. Così, dopo aver augurato una buona notte allo zio, Joey salì a passo allegro le scale diretto in camera sua, mentre Frank, dopo aver riempito i due bicchieri di liquore, avvicinò una sedia al camino e vi prese posto, allungandone uno al fratello che spegneva la pipa.
“Grazie,” fece quello laconico, e ne bevve un sorso.
Dopo qualche minuto di silenzio, in cui entrambi si godettero il bruciante calore del liquido alcolico che gli scendeva nello stomaco, accompagnati dal crepitio rilassante del fuoco che lentamente si andava spegnendo, Frank parlò per primo.
“Così vuoi fare un regalo ad Annie.”
“Ma quale regalo,” si difese Tom “E’ a Joey che manca Grace. Io sto a posto.”
“Ehi,” lo richiamò dolcemente Frank “Sono tuo fratello. Non sono laureato, ma non sono stupido. Ti conosco da tutta la vita e so quando stai soffrendo.”
Tom ostentò un’aria di indifferenza.
“E ha importanza?”
“Beh, da quello che vedo mi sembra che ne abbia. E molta, anche.”
“So che ti dai pensiero per me, fratellino, e ti ringrazio, ma non serve. Io sto bene, sul serio. Non mi manca niente. Ho il ranch, i cavalli, una marea di marmocchi intorno… Cosa può volere di più un Booker?”
“Mah, non so…” fece Frank facendo finta di pensare a fondo “Forse… una donna?”
Tom fece spallucce, indifferente.
“Ma una donna ce l’ho.”
Frank gli lanciò un’occhiata incredula.
“Davvero? Vai a letto con una?” gli domandò a bruciapelo.
Tom rise tra sé prima di rispondere.
“E io che pensavo te ne fossi accorto.”
Frank sbarrò gli occhi.
“Chi è? Una che conosco?”
“Si chiama Christie,” fece Tom, enigmatico.
“Christie…?” Frank si fece pensieroso un momento “Non sarà quella ragazza nuova giù al pub… Dio, Tom, avrà meno di vent’anni.”
“Ma no, Frank, no”, fece Tom alzando una mano a mo’ di diniego “Questa qui è matura. Fin troppo, direi… Dio, ha più anni di me.”
“Ma che diavolo…?” Frank iniziava a sentirsi preso in giro “Tu menti. Non c’è nessuna Christie. Non sono così scemo, lo so che non hai mai frequentato una donna della tua età, figurarsi una più grande. Non ti sentiresti all’altezza.”
Tom non riuscì a trattenere una grassa risata.
“Tranquillo, fratellino, hai vinto,” fece fingendo di sventolare bandiera bianca “Te la presento, anche se vi conoscete già.”
E detto ciò prese la pipa che aveva appoggiata sul bracciolo della poltrona, tenendola bene in vista sul palmo della mano.
“Eccola qui, è lei. Christie, Frank. Frank, Christie.”
Frank scoppiò a ridere a propria volta, ma non risparmiò un gestaccio al fratello. Christie Pipes era la marca di pipe preferita dal loro defunto padre.
“Non so come abbia potuto non venirmi in mente,” ammise tornando serio.
“E dire che me la faccio tutte le sere nel tuo salotto,” fu il commento di Tom.
Almeno per quella sera, Frank smise di fare domande.
   
 
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