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Autore: aubrunhair    21/02/2024    7 recensioni
Era venuto al mondo un maschio poi finalmente e il suo essere maschio lavava via gran parte dell’onta e sarebbe stato il futuro della famiglia. Il cognome bastava e avanzava a renderlo il degno erede dell’erede di Reinier De Jarjayes.
Genere: Hurt/Comfort, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Axel von Fersen, Nuovo Personaggio, Oscar François de Jarjayes, Quasi tutti
Note: AU, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 1
Le venne un dubbio. Da molti giorni, in realtà, era perseguitata da quel dubbio. Osservò il calendario finemente decorato in carta pregiata che teneva sulla scrivania e lesse la data, per sicurezza. 19 febbraio 1779.

Non poteva essere.

O forse sì. Forse sì, in realtà.

Decisamente sì.

Spalancò gli occhi azzurri ora attoniti e li spostò freneticamente nel vuoto davanti a sé, come a leggere un foglio invisibile. Redatto in grandi dimensioni, il testo di un problema. Il suo.

Non sarebbe mai stato un problema loro, di loro due. No, signore. Non glielo avrebbe mai rivelato, tanto più che neanche sapeva dove fosse. Sarebbe stato un segreto anche quando segreto non avrebbe potuto più esserlo per forza di cose. Suo, solo suo. Di nessun altro.

Ma magari non era. Magari erano le difficoltà del periodo, i pasti irregolari, le innumerevoli fonti di pressione. Mattone dopo mattone stavano crollando tutte le certezze che governavano il mondo in cui viveva e la serietà con cui tentava di compensare si rifletteva poi sul suo corpo.

Sì, doveva essere quello. Non poteva farci molto, ma se avesse prestato più attenzione alle proprie necessità fisiche...

Un paio di passi rapidi e superò le poltrone in centro alla camera. In un attimo fu davanti all’armadio. Si accovacciò e aprì il primo cassetto. Scavando sotto a tutto, scovò uno spesso contenitore rettangolare. Sollevò il coperchio, tornò accanto al letto e ci rovesciò sopra il contenuto.

Un gran numero di pezze di tessuto bianco accuratamente lavate, stirate e piegate finirono sparse sulla coperta di lana. Le mosse rapida per dividere le une dalle altre e cominciò a contarle.
Troppe rispetto al solito.

Rimise tutto al proprio posto.

Spalancò l’anta inferiore del comodino per controllare anche lì dentro. Tastò con la mano senza guardare finché non trovò ciò che cercava. Ricominciò a contare altre pezzuole, che conservava lì per le emergenze. Lo stesso numero di quando ne aveva avuto bisogno la volta precedente.

Ma quando era stata la volta precedente? Le era stato insegnato come contare quando aveva meno di tredici anni e lei, diligente come sempre, aveva imparato subito come si teneva sotto controllo un’incombenza su cui non aveva in realtà alcun controllo.

Cercò di fare mente locale, ma la confusione era troppa.

Lei! Proprio lei che aveva il sangue freddo davanti a tutto!

Si sedette sul pavimento, sconsolata. Guardava verso la finestra, ma non vedeva niente a parte la montagna infinita di problemi che le si paravano dinnanzi.

Ricominciò a contare, questa volta usando le dita.

I calcoli erano giusti e se lo erano significava una sola cosa.

Batté il palmo della mano sulla faccia e lo lasciò lì.

- Merde. - Avrebbe voluto lasciarsi andare ad imprecazioni peggiori, ma in quel momento le mancavano le parole.

Ne aveva un’enorme necessità, però. Non sapeva nemmeno come spiegarselo. O meglio, sapeva come spiegarselo, ma non trovava il modo per descrivere come si sentiva.

Qualcuno bussò alla porta. Si mosse di scatto per rimettere tutto al proprio posto, poi diede il permesso di entrare.

- Oscar, avevi int… Cosa stai facendo lì a terra, scusa? - André era perplesso. Gli era noto il contenuto di quella scatola e l’occasione in cui ne era venuto a conoscenza aveva causato imbarazzo in entrambi. Ciò che vedeva, però, non aveva senso. La guardava sistemare tutto con premura dimenticando qualche pezzo di stoffa sul letto e poi inveire quando se ne accorgeva. Una volta chiusa rumorosamente l’anta si affrettò e lo spinse in corridoio insieme a lei. Serrò l'uscio e girò la chiave.

- Tu non hai visto niente, chiaro? - intimò Oscar.

Era una furia.

Lo avrebbe strozzato a mani nude se avesse potuto. L’avrebbe sentita, eccome se l’avrebbe sentita… se fosse stata colpa sua.

- Ma sei impazzita? - le rispose mentre liberava il braccio dalla presa. - Guarda che lo so…

Si fermarono in mezzo al corridoio, guardandosi intorno.

André si sentiva puntati addosso occhi di fuoco, ma non ne comprendeva il motivo. Non era uno sprovveduto, conosceva quali fossero le esigenze del corpo femminile. Però fino a quel momento non gli era mai stato fatto pesare… Non così tanto.

- Che giorno è oggi?

Magari si era sbagliata, era convinta che fosse il 19 e invece era ancora il 18… Ma no, non poteva essere, suo padre era partito con il regimento il 18 febbraio era ieri il 18… Non che cambiasse molto, in verità. Pregò che le rispondesse in un altro modo, ma no, lui non le poté che ribadire l’ovvio.

- Io dico che tu non stai bene. Comunque, oggi è il 19 febbraio. Ricordi? Ieri tuo padre…

- Sì, lo so.

Oscar lo lasciò in mezzo al corridoio e per il resto della giornata non si fece trovare. Non voleva parlare con nessuno, vedere nessuno, incontrare anima viva. Aveva già fatto abbastanza.
Passò l’intero pomeriggio a cavallo, in giro per la campagna che d’inverno gelava e sembrava ricoperta di neve. Il vento freddo le colpiva il volto ma non la scalfiva. Accelerava di tanto in tanto, anche se, a quel punto, non avrebbe dovuto farlo, ma più l’aria le graffiava la pelle e più le sembrava di essere libera.

La sera cenò da sola in camera, con la porta chiusa. Un lungo pianto le tenne compagnia. Si prospettavano talmente tante difficoltà, talmente tanti ostacoli impossibili da evitare che, paradossalmente, se fosse scomparsa nel nulla sarebbero solo che peggiorati.

Non aveva alcuna via di fuga. Non poteva fare altro che rimanere su quella strada fino all’ultimo e decidere per il dopo. Sempre che suo padre non volesse risolvere il problema alla radice a modo suo una volta venuto a conoscenza di tutto. Levandosela di torno. O insabbiando la vicenda.

Per essere l’erede di una grande famiglia vicina al re da generazioni, ne aveva combinate un po’ troppe. Tutte faccende perdonate, recuperate, per cui era stata messa perfino in punizione dalla stessa sovrana. Ma ogni volta era tornata a corte in sella a César e accanto ad André, che non meritava di rimanere all’oscuro perché se le fosse successo qualcosa senza che lui sapesse nulla non se lo sarebbero mai perdonati entrambi. Non voleva dargli delle pene. Ma non ce la faceva, non adesso. Non nel momento in cui lei stessa doveva ancora mettersi in testa che la vita sarebbe cambiata, qualsiasi fosse la sua sorte.

André stava rientrando in casa dalle scuderie quando alzò lo sguardo e vide Oscar aprire la finestra. Era una sua abitudine lasciare che il vento dall’esterno soffiasse in camera per spegnere le candele del lampadario in una volta. Lo faceva per non dover chiamare una cameriera che se ne occupasse, perché non era dell’umore di dover anche solo condividere un paio di minuti con qualcuno. Non ci provò nemmeno a salutarla ché lei comunque non stava guardando giù in giardino. In un attimo l’imposta e poi le persiane si richiusero e la perse di vista.

Avrebbe giurato fino a mettere la mano sul fuoco di conoscerla, Oscar. Il suo comportamento non era mai stato troppo misterioso per lui. Era in grado di leggere il riflesso dei pensieri sul suo volto e nei suoi gesti. Mordeva lievemente il labbro inferiore quando era agitata, alzava il sopracciglio sinistro se era irritata e nel malaugurato caso in cui fosse stata arrabbiata i suoi occhi diventavano di fuoco. Ci era passato tante volte attraverso le sue fiamme, l’ultima poche ore prime.

Adesso, però, gli sembrava un libro scritto in una lingua che non decifrava. Se lo avesse reso partecipe, l’avrebbe di sicuro aiutata. Invece Oscar se ne stava murata dietro una cortina di silenzio e André avrebbe fatto di tutto per far breccia e portarla fuori da lì, fuori dalla nebbia e dalla sua camera. Era sempre difficile vederla soffrire, qualche fosse il motivo, ma non avere idea di cosa le stesse realmente accadendo era ancora peggio. Perché di solito le lasciava spazio per respirare da sola, consapevole che prima o poi avrebbe rimesso la testa fuori dal guscio. Adesso non gli appariva così gestibile.

Per un secondo se ne risentì. Erano insieme, fianco a fianco, ogni ora del giorno da talmente tanto tempo da potersi considerare due facce della stessa medaglia, perché allontanarlo così? Perché prendersela con lui, che non aveva fatto niente? Ripensò ai peccati che potesse aver commesso nel recente passato, ma non gli venne in mente alcunché. Non di così grave, perlomeno.

Ma il livore svanì subito, nel momento esatto in cui entrò in casa dalla porta sul retro e si ricordò che, volente o nolente, il giorno dopo si sarebbero dovuti parlare per forza. Anche solo un saluto, per educazione, ché gli impegni alla reggia non si curavano degli eventuali battibecchi tra loro.

- Giovanotto, cos’hai combinato?

Sobbalzò. La voce infuriata della nonna infranse la coltre di pensieri che gli frullavano nella mente. Si accorse immediatamente che era troppo seria perché fosse un rimprovero di poco conto. Eppure era certo di non aver mancato in niente, ma com’era possibile che ce l’avessero con lui?

La donna gli indicò la sua camera con il dito puntato e il braccio teso, la sua faccia era rossa di rabbia. Se fosse esplosa non sarebbe stata una grande sorpresa. Quando arrivarono nella stanza, fu lei a sbattere la porta e gli scagliò addosso i peggiori improperi.

- Ma siete impazziti tutti oggi? Cosa volete da me?

- Io pretendo delle spiegazioni!

- Le vorrei anche io!

Marie si placò. Era una follia la sua richiesta, ma se voleva giocare sul terreno del fingere di niente lo avrebbe tirato fuori con la forza.

- Ah, se la metti così te lo dico io. È da quando ti ho mandato a parlare con Oscar dopo pranzo che nessuno riesce ad avvicinarsi a lei. Per farmi sapere che avrebbe cenato in camera ha lasciato un biglietto in cucina e poi è sparita di nuovo.

- Nonna, non so come altro dirtelo, ma io non ho idea di cosa le prenda.

La donna decise di risolversela da sé. Il padrone era stato chiaro quando le aveva chiesto di controllare che la figlia tornasse a casa sana e salva ogni giorno e, quando era fuori, che suo nipote non la perdesse mai di vista.
Gli ripeté più volte se comprendesse la gravità della circostanza – stupido lui che si era sempre preso troppe confidenze e dannata se stessa che non si era più preoccupata della vicinanza tra quei due. Non gli passò per la mente nemmeno mezza delle risposte che avrebbe presumibilmente dovuto darle, mentre lei era già giunta alle conclusioni e attendeva che il sipario si chiudesse.

La nonna se n’era accorta che la sua bambina nascondeva qualcosa dalla fine dell'anno appena passato. Non era mai stata una persona di molte parole, ma da quando era tornata dopo un’insolita uscita a cavallo la sera tardi ne aveva ancora meno. Era sparito anche suo nipote alla fine della cena, poco prima di lei. Poi erano rientrati a due orari diversi – aveva controllato bene. Nessuno dei due era sembrato particolarmente sereno e ciò l’aveva impensierita. Non avevano fatto alcun riferimento a quella sera nei giorni successivi per quanto avesse potuto capire dai loro discorsi; seppur sospettosa, aveva deciso di passare oltre. Fino a quando, alla fine del mese, non le era stata consegnata la biancheria che si aspettava di ricevere e lì si preoccupò. Giorno dopo giorno l’aveva attesa, in silenzio, affaccendata in altro, ma i panni e le lenzuola da lavare erano sempre uguali. L’aveva osservata, per quanto le fosse stato possibile, si era soffermata sui dettagli e sì, Oscar era diversa. Sarà anche stata una donna differente rispetto alle altre, ma ci sono cose che le accomunano tutte. Compresa l’unica in uniforme.

Si convinse che dopo pranzo ne avessero parlato e che quella a cui stavano assistendo fosse la reazione ad un rifiuto che suo nipote le aveva opposto alla notizia. Lo aveva sempre chiamato pigrone irresponsabile per cose davvero infinitesimali rispetto a quella. Dovesse essere vero il sospetto…

- Se scopro che sei tu davvero il responsabile ti uccido prima che ci pensi suo padre! – Gli mollò uno schiaffo su una guancia.

Se ne andò imprecando, la porta sbatté di nuovo.

- Ma responsabile di cosa? - le urlò in mezzo al corridoio tentando di seguirla, la mano in faccia per il dolore. Cominciava ad essere stanco di quella situazione e più ancora delle insinuazioni incomprensibili che la sua unica parente gli stava riservando.

- Ti giuro che non ho la minima idea di cosa stia succedendo!

Pur anziana, Marie aveva ancora sufficienti energie per camminare lesta. Uscì dal piano della servitù e il nipote la perse di vista in corrispondenza delle scale che portavano di sopra.

André tornò in camera sempre meno convinto di quanto fosse successo nelle ultime ore. Sospirò per scacciare via la terribile sensazione di essere già stato accusato e processato per un reato non commesso, quale che fosse. Macchiato di una colpa sconosciuta, non l’avrebbe mai lavata se ciò fosse bastato a riavere Oscar in sé. L’avrebbe portato ben in vista il marchio a fuoco per lei.




Note: Se avete letto il prologo alla prima pubblicazione, vi saretǝ accortǝ che la nota precedente con la puntualizzazione sulla cronologia è stata cancellata e quindi urgono spiegazioni. In fase di scrittura di questo capitolo ho deciso di cambiare momento in cui ambientare la storia. In virtù di ciò, voglio ringraziare cuorealtrove (dalla cui penna è nata Fuoco nel fuoco, tra le prime che ho letto qui) ed epices (la cui Rentrée è davvero splendida). Perché proprio loro due, che non conosco ma che saluto? Perché hanno messo in moto la mia immaginazione, le loro storie si sono fuse nella mia mente e hanno dato il via a una nuova, forse inconcepibile per molti – anche per me, prima di trovare il coraggio di metterla giù.
Grazie a chi ha letto e chi vorrà continuare, nonostante tutto.
Grazie a chi la apprezzerà e anche a chi non lo farà.
Panta rei.
   
 
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