Anime & Manga > Lady Oscar
Segui la storia  |       
Autore: aubrunhair    23/02/2024    9 recensioni
Era venuto al mondo un maschio poi finalmente e il suo essere maschio lavava via gran parte dell’onta e sarebbe stato il futuro della famiglia. Il cognome bastava e avanzava a renderlo il degno erede dell’erede di Reinier De Jarjayes.
Genere: Hurt/Comfort, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Axel von Fersen, Nuovo Personaggio, Oscar François de Jarjayes, Quasi tutti
Note: AU, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Capitolo 3

- Da quanto tempo accusate questi fastidi?
- Alcuni giorni.
- E quanti di ritardo avete detto?
- Circa venti.
- Non avrei mai pensato di dovervelo dire, ma vi sto per chiedere una cosa molto personale…

La loro conversazione appena conclusa la inseguì fino a casa in tutto l’imbarazzo che aveva provato vivendola. Aveva già avuto incontri difficili con il dottore in passato, ma quest’ultimo lo era stato più di tutti. Non era come necessitare di una visita per una malattia. Non era malata lei. Come non lo erano le chissà quante donne che gli avevano riportato i medesimi sintomi e che erano state sollevate dal sentire le stesse parole che le erano state riferite senza mezze misure. Ma Oscar non era come loro, né nel bene né nel male. E non era un fatto che di per sé la rendesse migliore o peggiore. Era solo diversa, perché il destino per lei aveva scelto una strada alternativa. Che ora, però, la stava riavvicinando alle altre…

Con l’ennesimo pianto bloccato in gola e gli occhi bassi, ascoltava il rumore delle ruote sulla strada lastricata di pietra e rifuggiva dagli scenari catastrofici che la sua mente le presentava provando a razionalizzare quelle lacrime.

In primis, lei sapeva di non essere capace. Avere un figlio ed essere una buona madre non è come tenere compagnia alla nipotina esagitata durante i pranzi in famiglia e questo era certo. E nemmeno come accudire Rosalie, alla quale bisognava insegnare tutto ma i fondamenti dello stare al mondo un po’ li conosceva già. Ecco, Rosalie sì che sarebbe stata un’ottima madre…

Un secondo fatto importante riguardava il suo non avere tempo per nulla. Conosceva l’infanzia lontana dai genitori e non l’avrebbe mai augurata a nessun bambino. Entrambi per motivi diversi sempre a corte, quando poi tornavano era perlopiù il generale ad addestrarla prima di mandarla in accademia.

Per non parlare della totale inadeguatezza emotiva che riteneva di avere. Si sentiva inadeguata a gestire qualsiasi genere di situazione al di fuori della vita militare, in special modo nei rapporti con le altre persone. Solo con André riusciva ad avere un ottimo rapporto, ma loro erano loro e niente e nessuno ci somigliava.

- Siamo entrambi due persone adulte, non credo di dover parlare per metafore con voi. Ebbene, voi non avete l’aria di una che lo stesse cercando.

- Nel modo più assoluto, dottore. C’è almeno una speranza che sia altro?

- Vi potrei dire di attendere ancora alcuni giorni, ma dubito succeda qualcosa. Sappiamo già la risposta.

Una sensazione di nausea la colpì improvvisamente. La carrozza stava viaggiando troppo veloce per la sua sopportazione del momento, ma finse tranquillità. Non chiese di rallentare, tanto più che prima sarebbe tornata a casa e meglio era. Cominciò a piovere.

Il mattino non aveva segnato il momento della verità. Monsieur Lassonne si era fermato agli appartamenti di Versailles e sua moglie l’aveva invitata a presentarsi la sera, dopo cena. Oscar, diligente, aveva seguito le sue parole. Una visita più lunga del previsto, che era stata male e il dottore voleva assicurarsi di rimandarla indietro più in forze.

- Le donne alla vostra età…

La sua età, certo. Ventitré anni compiuti da due mesi. Le sue coetanee avevano almeno già un figlio. Oscar invece aveva le responsabilità degli uomini e le colpe delle donne. E nessuno con cui dividerle realmente.

Le sue sorelle avrebbero potuto darle consigli, chissà, ma non si sarebbe mai permessa di informare prima loro del generale. Magari loro quattro l’avrebbero comunque rimproverata e si sarebbero lamentate del fatto che proprio a lei fosse toccata in sorte l’eredità morale ed economica della famiglia, una che non aveva saputo resistere alla tentazione e aveva gettato fango sul loro nome. Il padre le aveva sgridate malamente per decisamente meno!

- Vi invito a pensare di congedarvi dalle Guardie Reali. Se avete bisogno, vi firmo io il foglio che ne attesti la necessità.

Il suo ruolo. I suoi uomini. Non voleva perdere tutto. Aveva sacrificato la sua vita per la carriera militare! Sì, ci era stata messa dentro da altri, ma era comunque qualcosa che le dava la possibilità di vivere davvero. Non l’aveva protetta dall’amore e dalle debolezze, però.

- Non penso che lascerò. I sovrani hanno bisogno di me e io ho giurato di compiere il mio dovere in ogni caso e a ogni costo.

- Sarà pericoloso per voi e per il bambino, madamigella.

Quella frase l’aveva fatta stare male. Non era riuscita a nascondere più la nausea e il medico se n’era accorto. Il problema era dover guardare in faccia la realtà e accettarla. Il suo corpo non l’aveva mai tradita davvero, adesso invece si rifiutava di collaborare.

Un terribile mal di testa si ripresentò prepotente. Le tempie pulsavano, credeva di impazzire. Si lasciò scivolare appena contro lo schienale della carrozza, avvolta nel mantello per proteggersi dall’aria fredda di febbraio.

La mano tornò sulla pancia, quasi ad accarezzarla. Quando realizzò, si bloccò.

Basta affezionarsi.

Finalmente le lacrime si liberarono. Necessitava di buttare tutto fuori: pensieri, paure, ipotesi.

Gli occhi di ghiaccio del padre la fissavano e bruciavano di rabbia e delusione. La sua voce potente la accusava mentre il pugno si calava devastante sulla scrivania di mogano. Una reazione violenta, distruttiva. Avrebbe maledetto il suo nome, al quale per la prima volta avrebbe preferito non rispondere.

Meglio affezionarsi, forse, che non è certo ci potremo incontrare un giorno.

Asciugò le lacrime e si trovò a sorridere di nascosto di se stessa all’idea di crescere una persona fatta e finita. Una nuova persona, per metà come lei.

- Che fatica… - Se lo disse da sola.

- Perdonatemi, ma devo capire la situazione. Voi sapevate quello che stavate facendo, non è vero?

- Certamente.

Lo sapeva davvero? O era meglio dire che aveva seguito i gesti dell’altro e il proprio istinto.

- Ve lo chiedo perché vivete in mezzo a situazioni pericolose e…

- Ritengo di saper gestirle meglio di qualsiasi altra cosa, dottore.

Se c’era una cosa in cui eccelleva era proprio quella: affrontare il pericolo. Tutto il resto era routine o un pasticcio. Niente in mezzo. Questa volta, era un pasticcio.

- Siate onesto. Sarà doloroso?

- “Donna, partorirai con dolore”. Il buon Dio questo ha decretato. Io sono un uomo di scienza, ma posso confermarvi che sì, lo sarà.

Se così era necessario, che lo fosse allora. Avanti in quella direzione. Chi era lei per sottrarsi, d’altronde? La sofferenza fisica non l’aveva mai davvero spaventata. Fosse stato solo quello il problema…

- E il mio corpo cambierà.

- Il vostro corpo cambierà e vi costringerà a rallentare se non a fermarvi del tutto.

Avere un corpo femminile era qualcosa per cui si era messa l’anima in pace. A volte, però, quando un misto di disperazione, stanchezza e solitudine la sopraffacevano, aveva creduto che parte del problema dipendesse da lei. Poi, razionalizzando, era giunta alla stessa conclusione più volte: non odiava realmente il proprio corpo. Voleva che non la mettesse in svantaggio nella vita e che si adattasse ad essa il più possibile.

Oscar aveva riabbottonato la giacca ascoltandolo con attenzione, le dita tremavano alle parole che in quel momento pesavano più di ogni altra indicazione.

- Dimenticate di poter cavalcare, tirare di scherma, guidare le Guardie Reali almeno per un po’… Cominciate ad accettare che sta per aprirsi davanti a voi una nuova vita che richiederà spazio, tempo e pazienza. Vi suggerisco di prendere una licenza se non volete congedarvi. Ritiratevi in campagna, meglio ancora al mare. Necessitate di calma per riflettere e riposarvi.

Oscar scese dalla carrozza lentamente. Non che stesse molto meglio di quando aveva lasciato casa del dottor Lassonne, ma quantomeno si reggeva in piedi. Fece un profondo respiro e si diresse al portone d’ingresso. Sperava non ci fosse nessuno a quell’ora, aveva ancora bisogno di tempo da sola. Aveva già un piede sulla scalinata quando sentì la nonna salutarla, come se fosse stata via per giorni.

- Devi essere stanchissima, hai una faccia pallida…

Mentì con maestria, ma se anche non si fosse nascosta dietro l’accusa all’eccessivo carico di impegni che la sfinivano probabilmente l’altra non l’avrebbe notata.

- Non preoccuparti, sto bene. - rispose lei laconica.

C’erano così tante cose che le avrebbe voluto chiedere, in verità. La sua saggezza e la grande esperienza che sapeva avere nel mondo reale sarebbero state sufficienti per scioglierle ogni altro dubbio. Marie sarebbe di sicuro stata più esaustiva, perché in quella situazione lei c’era già stata e l’aveva vissuta dall’interno e certamente si ricordava ancora.

- Posso… Posso chiederti una cosa?

Se ne pentì immediatamente. Non era il caso, era troppo stanca adesso e ancora di pessimo umore.

- Dimmi tutto, bambina mia. - rispose la nonna, sincera nella sua dolcezza.

Per la prima volta da settimane Oscar si sentì scaldare il cuore. Poteva contare su di lei, poteva fidarsi. Si volevano bene da sempre, non avrebbe avuto nulla da temere. Ma non ora, un altro giorno.

- André è uscito?



I suoi appartamenti cominciavano a diventare claustrofobici e ci si chiudeva dentro solo da trenta ore. Non sarebbe sopravvissuta così, mai. E la nausea stava tornando, prepotente, ma lei voleva uscire, voleva piangere, urlare a pieni polmoni.

Aveva bisogno di calore e conforto. E di un tè, che magari avrebbe attutito il fastidio e sciolto i muscoli. Era tardi ormai, la nonna doveva già essersi ritirata e così le altre cameriere. Una sola persona poteva essere ancora sveglia. Anzi, pregava che lo fosse che a tirarlo giù dal letto ci avrebbe messo una settimana. 

Era stato un riflesso spontaneo trattenere il respiro finché Marie non le avesse detto ciò che sperava: non lo aveva visto uscire André quella sera. D’altronde aveva iniziato anche a piovere e faceva freddo, non avrebbe avuto molti motivi per andare in giro. Dove, poi, era un mistero per chiunque, ma nessuno glielo domandava e lui di sua sponte non parlava. Però, doveva ammetterlo, le dava non poco fastidio non essere al corrente di come passasse il suo tempo libero in sua assenza. Si fidava – d’altronde a mettersi nei guai pareva essere l’unica in quella casa – ma se lo avesse saputo sarebbe stata più tranquilla.

Oscar si incamminò al piano della servitù con lo stesso passo di quando a corte doveva raggiungere la sovrana. Sicura, decisa. D’altronde sapeva cosa voleva: una tazza di tè e la compagnia di qualcuno che non la giudicasse. Scese le scale veloci, svoltò a sinistra e lì attraversò il corridoio.

Davanti alla porta di legno scuro esitò. Si sarebbe aperto il vaso di Pandora con lui e ne aveva paura. Non di André, chiaramente, ma di ascoltarsi pronunciare quelle parole. Parole non presenti nel suo lessico quotidiano che a stento sapeva dirle.

Bussò un paio di volte. La voce dall’interno diede il permesso di entrare e Oscar finalmente tornò a guardarlo negli occhi. Le era mancato.

- Vuoi un tè?

Le sue prime parole dopo ore e ore di mutismo suonavano come le prime in assoluto che gli avesse rivolto. Speciali, destinate esclusivamente a lui, puntuali.

- A quest’ora?

- Se non vuoi, non importa. Scusa. - Fece per tornarsene sui propri passi con la coda fra le gambe, ma una mano la fermò.

- No, no, va bene. Ehm… Dammi un paio di minuti, tu comincia ad andare in cucina.

Non si era neanche accorta che André si era già tolto la camicia. In realtà non lo aveva proprio osservato con attenzione. Premurarsi che fosse in camera sveglio era sufficiente. E lui l’aveva fatta entrare perché non aveva gran senso essere così pudico nei suoi confronti, conoscendosi da tutta la vita.

Volò a raggiungerla con l’indumento di nuovo addosso, anche se un po’ stropicciato. La trovò in piedi, appoggiata al tavolo con la testa bassa. Singhiozzava, di tanto in tanto asciugava il volto con il dorso della mano.

Si avvicinò per capire cosa succedesse, ma Oscar non si accorse di lui e scappò nella stanza accanto. La inseguì, ma era stata più veloce e la porta del ripostiglio si chiuse con un colpo.

André bussò, seriamente preoccupato. Non ricevette alcuna risposta se non la prova che stesse male. Poteva accettare che i suoi immotivati malumori gli si riversassero addosso, ma che non volesse essere aiutata proprio quando ne aveva evidente bisogno era fuori discussione. Riprese a chiedere di aprirgli ma ricevette solo un ordine di aspettarla di là e di preparare tutto.

Si allontanò sospettoso, tenendo sempre un occhio e un orecchio all’erta. Non si era mai comportata così, mai.

Prese dell’acqua e la mise nel pentolino per scaldarla. Tirò poi fuori una teiera di ceramica bianca, due tazze dello stesso servizio e un vassoio. Stava aprendo il cassetto dove tenevano i barattoli con il tè e gli infusori quando sentì una mano chiudersi piano attorno al suo polso.

Si voltò con cautela e trovò Oscar a meno di un passo. Gli occhi erano lucidi, il viso stanco e tremava. André mollò tutto e la abbracciò, d’istinto. Al diavolo che erano grandi adesso ed era sconveniente perché un servo non ha certe confidenze con la sua padrona. Prima di tutto erano amici e vederla così era la più grande sofferenza per lui.

Più ancora di amarla da sempre senza poterglielo dire.

- Vorresti dirmi che cosa succede? - le domandò nella speranza di capirci finalmente qualcosa.

Dov’era la forza che aveva sempre dimostrato di avere? Dov’era adesso che le serviva? Santo cielo, riusciva solo a piangere!

Oscar rimase in silenzio con il viso ancora nascosto sulla stoffa sgualcita della camicia. Non lo aveva mai stretto così. Un calore così intenso, così profondo, non lo aveva mai provato. Neanche… No, neanche quella sera.

Davanti al suo rinnovato mutismo, André tentò la carta di strapparle un sorriso. Anche mezzo, purché non piangesse almeno per un istante.

- La nonna mi ha tirato uno schiaffo ieri sera. Mi è perfino rimasto il segno.

La strategia funzionò, perché le sue labbra si incurvarono leggermente ed ebbe un piccolo sussulto.

- Te lo sarai meritato. - Trovò in un angolo dell’anima un briciolo di forza per scherzare. La pazienza per piangere per quella sera era finita. – Cos’hai combinato?

- Non ne ho la minima idea, dovresti dirmelo tu. Sostiene che riguardi te.

Oscar gli propose di sedersi. Era talmente debole che un minuto di più in piedi l’avrebbe costretta a svenirgli addosso. Non sapeva perché Marie se la fosse presa con lui e, in tutta onestà, aveva altri problemi a cui pensare. Ma per quanto la riguardava, non aveva nulla da recriminargli.

André l’aiutò e poi riprese a occuparsi del dopocena. Quando finalmente il tè fu pronto, portò il vassoio sul tavolo e versò il liquido caldo nelle tazze. Gliene passò una e le allungò il barattolo con i biscotti che da bambini tenevano loro nascosto perché non se li finissero. Non gli ci era voluto un grande sforzo per immaginare che non avesse neanche cenato.

- Puoi mangiarli adesso.

Sorrisero di quel ricordo. Lei ne prese uno perché non insistesse, ma lo posò sul piattino. - Domani andrò a parlarle, non preoccuparti.

- Oh, ma non è per me che mi preoccupo. - Si intromise André, che tanto Oscar da sola non avrebbe vuotato il sacco. Probabilmente neanche con il suo aiuto, ma tanto valeva provarci. - È per te.

Il calore della bevanda creava scie sottilissime di fumo che si liberavano nell’aria e poi svanivano. Le guardarono entrambi finché non finirono in prospettiva davanti ai loro volti. Gli occhi si incontrarono di nuovo, seri.

- Non dovresti.

Il tono con cui glielo riferì tradì un reale desiderio che qualcuno intorno a lei lo facesse comprensibile solo da André. Ma perché succedesse, era necessario forzare le barriere autoimposte e svelare il mistero del suo comportamento e delle lacrime, che finalmente parevano essersi placate un po’.

- Mi chiedi troppo, Oscar.

- Promettimelo.

- Va bene, te lo prometto.

- E promettimi anche che non mi giudicherai e che mi starai accanto, anche dovesse cambiare tutto.

Certo che resterò con te! La mia intera esistenza non ha senso se non ci sei tu accanto a me e poi non giudicherei mai la persona che più amo al mondo.

Annuì convinto.

- Da quando dubiti di me? Pensavo mi conoscessi…

- Anche io pensavo di conoscermi. - lo interruppe lei, innervosita dalle sue parole. - E neanche dubitavo di me. Avrei dovuto farlo, invece, avrei dovuto promettere a me stessa le stesse cose che io pretendo da te.

- Da parte mia sai già la risposta. - Un tono asciutto. Così tanto da incresparle l’apparente calma che credeva di aver ritrovato. Se ne risentirono entrambi. - Se hai qualcosa da dire sbrigati, comincia ad essere tardi.

- Si farà spesso tardi tra non molto tempo in questa casa. - Parole ancora più secche e taglienti. - E ci saranno anche notti in bianco, se lo vuoi sapere.

- Notti in bianco, fare tardi… Ma di che cosa stai parlando? Sei sicura di non stare male?

Appoggiò la tazza su piattino. Qualsiasi cosa avesse avuto, non voleva rischiare di bruciarsi.

- Non è da te girarci intorno.

- André, io…

Erano lì le parole, a un passo dal vedere la luce, una spinta leggera et voilà! Il segreto non era più un segreto almeno tra loro due. Un piccolo sforzo, piccolissimo, un incoraggiamento ma anche senza ché ormai era quasi fatta.

Diglielo, Oscar. Diglielo. Lo deve sapere. All’improvviso le dimostrazioni di amicizia non valgono più con gli amici veri?

Bevve un sorso di tè tenendo gli occhi nei suoi. Si accorse di quanto fossero verdi solo in quel momento, cosa che la distrasse un momento dall’obiettivo di quella conversazione. Abbassò la tazza a insieme ad essa lo sguardo, poi sospirò.

- Sono andata dal dottor Lassonne per una visita.

Lo disse senza prendere fiato per non correre il rischio di essere interrotta. Posò la tazza e si alzò rimettendo tutto nel vassoio, perfino il biscotto rimase intonso. Il tutto davanti agli occhi indagatori di André, il quale si alzò di scatto soltanto all’ultimo – quando Oscar provò a passargli accanto per raggiungere la porta.

- Gradirei tornare in camera. Si è fatto tardi, lo hai detto anche tu. Grazie per il tè.

Era di nuovo scontrosa adesso. Dall’altra parte, però, trovava adesso un avversario che non si sarebbe arreso tanto in fretta.

André le fece cenno di passare, ma non appena fu alla porta la richiamò. Lei si fermò e rimase di spalle. Non girò neanche il viso quel tanto per vederlo con la coda dell’occhio.

- Sono disposto a prendermi tutti gli schiaffi del mondo se significa proteggere te. E credimi che quello di ieri ha fatto male. Almeno abbi la decenza di spiegarmi.

Il tono grave, la voce ferma a mantenere una posizione più che legittima.

Ti seguirei perfino sott’acqua e ti darei il mio ossigeno per farti respirare. Per favore, però, dimmi qualcosa.

- Tu sai crescere un bambino?

Una domanda caduta dalle nuvole come un fulmine a ciel sereno.

- Io… cosa?

Se scopro che sei davvero tu il responsabile ti uccido prima che lo faccia suo padre!
Il responsabile?

- Rispondimi. Tu sai crescere un bambino?

- Oscar, noi ci siamo cresciuti a vicenda.

- Allora dovrai ricordarmi com’era, perché mi servirà.

Se scopro che sei davvero tu il responsabile ti uccido prima che lo faccia suo padre!

Le sue dita afferrarono la maniglia, ma la porta restò chiusa e lei immobile sulla soglia.

Il cuore di entrambi cominciò a battere sempre più forte, fino quasi ad uscire dal petto. La luce flebile delle candele parve tremare sotto la tensione che si era creata in cucina tra loro due.

André si mosse nella sua direzione, si avvicinò lento e in un attimo le fu alle spalle. A un passo da lei quella rete di sicurezza che si era eretta intorno pareva fabbricata con fili spinati.

Appoggiò delicato una mano sul braccio, neanche un tocco vero e proprio. La sfiorò e gli sembrò tremare per un attimo.

 - Tu…

Oscar annuì.
 
 
Note: grazie per essere arrivat* fino a qui! Gli aggiornamenti sono rapidi, lo so, ma voglio condividere questa mia piccola follia con voi. A presto!
   
 
Leggi le 9 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Lady Oscar / Vai alla pagina dell'autore: aubrunhair