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Autore: Serpentina    23/02/2024    1 recensioni
Londra, 2037
Il verdetto sulla morte di Aisling Carter, giudicata come tragico incidente, non convince Frida Weil, che nei misteri ci sguazza per passione e sospetta possa trattarsi di omicidio. Decide quindi di "ficcanasare", trascinando nella sua indagine non ufficiale William Wollestonecraft, forse perchè le piace più di quanto non voglia ammettere...
Un giallo con la nuova generazione dell'Irvingverse. 😉
Dal capitolo 5:
"–È vero che sei la figlia di Faith Irving, la patologa forense?
–Così è scritto sul mio certificato di nascita- fu la secca risposta di Frida, che storse il naso, a far intendere che quelle domande insulse la stavano indisponendo, e fece segno ad Andrew di risedersi.
–Ho voluto questo incontro perché, se ho ben capito, sostieni che tua madre abbia liquidato un po’ troppo frettolosamente la morte di mia sorella. Che razza di figlia non si fa scrupoli a sputtanare sua madre?
–Una dotata di un cervello funzionante. Meine liebe Mutter è fallace come qualunque essere umano, e i vincoli parentali sono nulla, in confronto al superiore interesse della giustizia. Ma non siamo qui per parlare di me. Se avete finito con le domande stupide, ne avrei una io. Una intelligente, tanto per cambiare: perché siete qui?"
Genere: Mistero, Romantico, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Bentrovati!

Non mi scuserò della lunga attesa per questo capitolo. Non ha più senso, ormai avete capito che ho un lavoro complicato, poco tempo libero e un’ispirazione altalenante, combinazione letale per scrivere in maniera produttiva; ma ho anche una forte determinazione (testa di granito, direbbe mia madre), per cui state certi che, una volta cominciata una storia, la porto a termine.

Medaglia d’oro per la pazienza e un mare di grazie a tutti voi: ai lettori silenziosi, a chi ha inserito la storia tra le seguite/ricordate/preferite, e naturalmente a chi dà un feedback recensendo. Vorrei abbracciarvi uno ad uno!

Ultimissima nota: consiglio caldamente di ascoltare "Rasputin" dei Boney M per conciliare la lettura. Fidatevi! ;-)

 

L’ora della verità

 

Non troverai mai la verità, se non accetti sei disposto ad accettare anche ciò che non ti aspettavi di trovare”.

Eraclito
 

Ernst Weil non poteva credere che, per una volta, la fortuna gli avesse arriso: da quando aveva rischiato - ed evitato per il rotto della cuffia (alias, grazie all’intervento di mamma Serle, ispettore di polizia) - una condanna esemplare per crimini informatici, era diventato sorvegliato speciale da parte del parentame al completo: tutti, in varia misura, accampando motivazioni valide o scuse di vario grado di improbabilità, si adoperavano per tenerlo d’occhio. Aveva quindi del miracoloso la fortuita quanto fortunata coincidenza di eventi che lo aveva portato, in quella piovosa sera londinese, a restare a casa da solo.

Endlich allein. Kein vater, keine Mutter, keine Brüder… wunderbar1!- esclamò, allargando le braccia, assaporando appieno la libertà.

Quasi gli dispiacque di udire il trillo del campanello, ma non poteva fingere di non essere in casa, né tantomeno incolpare la sfiga o qualche altro capro espiatorio: era stato un debole, incapace di puntare i piedi e dire di no a Frida quando si era autoinvitata a casa degli zii per sviscerare insieme al suo hacker di fiducia i segreti contenuti nel diario (in formato digitale) della defunta Aisling Carter, che la Sherlock in gonnella riteneva essere stata assassinata.

Ich komme2!- urlò, mentre correva ad aprire. La sua espressione mutò radicalmente nel trovarsi davanti, al posto di Frida, Emma James, la sua ragazza da quattordici mesi (sì, li aveva contati). –Ah. Sei tu- aggiunse, senza neanche provare a camuffare la delusione.

Il risultato fu che Emma passò dall’entusiasmo alla rabbia nel giro di un millisecondo.

–Suona un po’ più funereo, sia mai che qualcuno possa pensare sia felice di vedere la tua ragazza!

Conscio di rischiare l’evirazione o, peggio, il ritorno allo status di single, Ernst prese a giocherellare nervosamente con la ciocca bionda sulla nuca, si schiarì la voce e ammise di essere sorpreso di vederla.

–Non ti aspettavo, ecco tutto.

–Però aspetti qualcuno, te lo leggo negli occhi- osservò Emma, fulminandolo con lo sguardo. –È una ragazza, non è vero?

–Beh, sì- rispose lui, affrettandosi però a precisare che la ragazza in questione era sua cugina Frida. –Le ho scritto di aver finalmente decriptato quella merdosa USB e si è autoinvitata qui.

Le speranze di aver placato definitivamente la sua battagliera (e gelosissima) metà svanirono al vederla contorcere i lineamenti in una smorfia di disappunto.

–Non posso crederci! Anzi, no, non voglio crederci!- sbraitò. –Ti lamenti di continuo del lavoro sporco che ti appioppa tua cugina, ma poi finisci sempre per accontentarla! Perché non la mandi a cagare, una volta tanto?

Ernst emise un lungo sospiro, che valeva più di mille parole. Era vero, quando si trattava di esigere i suoi servigi di esperto informatico, Frida lo trattava da schiavetto, però era pur sempre sua cugina, la cuginetta che aveva sostenuto nei suoi primi passi e nelle prime pedalate in bicicletta, la cuginetta che gli aveva insegnato a leggere e scrivere senza fargli pesare di essere riuscita ad acquisire quelle abilità prima di lui, pur essendo più piccola di due anni; era una Weil, sangue del suo sangue, e per i Weil la famiglia era tutto (altrimenti avrebbe già mandato a cagare da un pezzo suo fratello Wilhelm), senza contare che, nonostante i metodi poco ortodossi - per non dire questionabili, o addirittura ai limiti della legalità - le attività investigative di Frida avevano dato i loro frutti, assicurando alla giustizia parecchi criminali, e aver contribuito a ciò, nel suo piccolo, lo faceva sentire in pace con la coscienza.

Tuttavia, non ritenne saggio condividere quei sentimenti con la sua ragazza. Decise, perciò, di deviare la conversazione su altri argomenti.

–Lasciamo perdere. Comunque, Liebes3, senza offesa, come hai potuto anche solo pensare che abbia un’altra? È già fantasmagorico che tu ti sia innamorata di me; non c’è esattamente un codazzo di fan fuori dalla mia porta.

–Per forza- replicò Emma tra il serio e il faceto, scostandolo di lato per entrare. –Le ho fatte fuori tutte! Giuro, a volte vorrei cavarmi gli occhi e ficcarteli nelle orbite, così potresti vederti come ti vedo io e cominciare ad apprezzarti di più. Per l’amor del cielo, smettila di sminuirti!

–Non posso- scherzò Ernst –Devo compensare per quei palloni gonfiati dei miei fratelli.

–Sarai sempre il mio Weil preferito, ricordalo.

Emma lo baciò teneramente sulla guancia, prima di andare a razziare la dispensa in cerca di stuzzichini. Riemerse dalla cucina con una ciotola e un pacco formato famiglia allargata di pop-corn, che prese a ingurgitare allegramente, mollemente semisdraiata sul divano.

Ernst scosse il capo, e dopo aver provato, invano, a convincerla ad unirsi a lui in una sfida all’ultimo passo a “Ultimate Dance Revolution” - in breve, UDR - riprese il gioco da dove lo aveva interrotto.

–Preferisco osservarti- biascicò Emma a bocca piena. –Da qui godo di un gran bel panorama del tuo culo!

Lusingato, Ernst arrossì e le soffiò un bacio. Non era avvezzo a ricevere complimenti sul fisico: era il fratello intelligente - non ai livelli di Frida, ma comunque abbastanza da aiutarla nelle indagini - lo era sempre stato; Wilhelm era quello bello e Hans quello forzuto.

–Che soltanto tu puoi vedere e toccare!

–Esatto!

Le loro risate si fusero nell’aria, poi calò il silenzio. Si scambiarono un’occhiata d’intesa, consapevoli che le loro menti erano attraversate dal medesimo pensiero.

–Beh, potremmo approfittare della casa tutta per noi- suggerì Ernst, ma la proposta - indecente -venne troncata dall’insistente bussare alla porta. –Scheiβe! Den bring ich um4!

–Il tempismo di tua cugina non finisce mai di stupirmi- commentò Emma con malcelata frustrazione.

–Non è Frida- asserì Ernst, precipitandosi ad aprire, tallonato dalla ragazza, che stava morendo di curiosità. –Conosco una sola persona che bussa alla porta come un barbaro, invece di suonare il campanello, ed è… Wilhelm? Sei davvero tu?- chiese, anziché affermare, perché il giovane uomo biondo sulla soglia somigliava in tutto e per tutto a suo fratello maggiore, eccetto un o dei suoi tratti caratteristici. –Mein Gott! Cos’hai combinato ai capelli?

–Ai capelli?- lo rimbeccò Emma, altrettanto sconcertata. –Cos’ha combinato alla faccia!

Si sollevò sulle punte dei piedi per arrivare a sfiorargli il taglio ancora vermiglio sulla guancia sinistra, messo in risalto dal contrasto cromatico con la cute pallida. Wilhelm si tirò indietro e storse il naso, non era chiaro se per il fastidio della ferita ancora fresca, oppure per l’imbarazzo delle circostanze in cui se l’era procurata.

Conoscendolo, Ernst propendette per la seconda ipotesi: suo fratello era un giovane uomo vanitoso e talmente orgoglioso che, per citare Frida, “persino il suo orgoglio aveva dell’orgoglio”. Si prospettava una lunga lamentazione sul suo volto da statua greca irrimediabilmente deturpato. Il solo pensiero gli fece contorcere lo stomaco.

–È qui il club degli odiatori di Hans Weil?- chiese, facendosi strada nell’appartamento senza attendere una risposta.

–Dipende- replicò allora il fratello –Si può chiamare club, se conta un solo membro?- sorrise sornione. –Suvvia, non fare quella faccia: non è colpa mia se sei l’unico qui ad avere un rapporto conflittuale con Hans! Detesti che non ti dia l’attenzione - e approvazione - che senti di meritare.

–Sono venuto da te in cerca di conforto, non dileggio- ribatté imbronciato Wilhelm, alquanto carente sul fronte dell’autoironia. –Anche io sono tuo fratello, anche io ho diritto ad almeno un briciolo del tuo affetto. Altrimenti tanto vale che me ne vada.

–Ecco, bravo, vatt…

–E va bene, provo a fare il serio- disse Ernst, chiudendosi la porta alle spalle. –Ma non garantisco. Ora togliti quell’obbrobrio di dosso e sfogati con il tuo fratellino!

 

***

 

Also, da dove comincio?

–Io di solito comincio dall’inizio, poi fa’ un po’ tu- sbuffò scherzosamente Ernst, teso e concentrato nell’impresa di tenere testa a Wilhelm in una delle coreografie più difficili di UDR; impresa non da poco, dato che, insieme al tennis virtuale, quella era la sua unica fonte di esercizio fisico. A differenza dei fratelli e della cugina, non era uno sportivo.

–Ah, ah, muoio dal ridere!- si inalberò Wilhelm. –Ti sto odiando profondamente, sappilo!

Onkel Franz odierebbe profondamente te, se sapesse che ti sei appropriato della sua frase iconica!- ribatté Ernst.

Emma, seduta sul divano, trangugiò una manciata di pop corn, attenta a non perdere neppure una sillaba della battaglia verbale, che nulla aveva da invidiare a quella di ballo. A prescindere dal campo, la competitività dei Weil sfiorava vette ignote ai comuni mortali.

–Sì, beh, Onkel Franz può andare a quel paese! Potete andarci tutti!

Mein Gott!- ansimò Ernst, a corto di fiato, maledicendosi per non aver scelto un brano meno acrobatico. –Non dirmi che stai facendo i capricci perché Hans ha chiesto a Onkel Franz, invece che a uno di noi due, di fargli da testimone di nozze!

Was?- barrì Wilhelm, scoprendo i denti come un predatore pronto a balzare all’attacco.

–Ops!

Pervaso da una rabbia cieca, rovente e travolgente come una colata di lava, ordinò ad Emma di mettere in pausa il gioco, artigliò la spalla destra del fratello con una presa salda ai limiti del doloroso e sibilò –Ah, è così che stanno le cose? Per lui valgo meno di zero? Sehr gut5!

Bitte, Wilhelm, cresci un po’! Hans ha disdegnato anche me come testimone, eppure non perdo tempo a frignare!

Vielen Dank, Bruder6. Solo per questo, tu e quell’altro Scheiβkerl7 meritate lo spoiler più crudele mai esistito. Negherò a te la felicità di saperlo direttamente da Hans, e a lui la soddisfazione di vedere la sorpresa e la gioia nei tuoi occhi alla notizia che Sonja aspetta un bambino!

Dietro di loro si udì un urletto garrulo, seguito da spasmodici colpi di tosse: Emma stava rischiando di strozzarsi con un pop corn che aveva preso la via per la trachea, anziché quella per l’esofago.

Sebbene fosse Wilhelm il più simile nell’aspetto al principe azzurro delle fiabe, fu Ernst ad accorrere in soccorso della damigella in pericolo. Una volta salvata l’amata - la quale diede prova di aver imparato la lezione ricominciando subito a mangiare i pochi pop corn superstiti - riportò lo sguardo e l’attenzione sul fratello, seriamente tentato di dargli un pugno.

Sonja ist schwanger8?- chiese, tentando di mantenere la calma, sebbene l’uso del tedesco fosse indice che la stava perdendo, la calma. –E me lo dici così, come se parlassi del meteo? Questo è veramente lo spoiler più crudele mai esistito! Du bist so ein Arschloch9! Ci scommetto le palle, i miei potenziali figli, che la tua è tutta invidia: Hans si sta creando una bella famiglia, io ho Emma, e sei rimasto solamente tu, “il fratello bello” del trio, solo come un cane! Qualunque sia il modo in cui ti sei “sfigurato”, te lo sei meritato!

–Ah, sì?- ringhiò Wilhelm. –E se ti dicessi che è colpa di Hans se sono ridotto così?

–Cioè, ti ha ferito lui stesso, col suo coltello?

–No, ma è come se lo avesse fatto. Sta’ un po’ a sentire…

 

***

 

Non lo avrebbe mai ammesso, probabilmente nemmeno se ne fosse andato della sua vita: il coach aveva ragione, aveva ripreso ad allenarsi troppo presto e troppo duramente, per qualcuno appena uscito dalla riabilitazione. Il ginocchio infortunato, che gli era costato il primo posto agli scorsi campionati europei, aveva minacciato di cedere un paio di volte, obbligandolo a sforzare il doppio l’altro sano, col risultato che, sebbene non si fosse trovato a fronteggiare qualcuno alla sua altezza, l'ultima sfida lo aveva messo a dura prova. Juliet, la sua avversaria, si era rivelata più coriacea di quanto pensasse, e solo la forza della disperazione di non perdere la faccia facendosi sconfiggere da una ragazza gli aveva permesso di trionfare. 

Tolse la maschera, sudato e affamato d'aria, piegò indietro la testa e inspirò a pieni polmoni, facendo oscillare in maniera studiatamente naturale la treccia di capelli dorati, lunga fin quasi al fondoschiena. La liscia chioma dorata, che non avrebbe sfigurato in una pubblicità di shampoo o balsamo - e che da piccolo gli era valsa innumerevoli momenti di imbarazzo perché gli estranei lo prendevano per una femmina - era diventata il suo principale vanto, il suo tratto distintivo, assieme alla barba, anch’essa acconciata in due treccine alla maniera di Jack Sparrow.

Quanto gli sarebbe piaciuto essere immortalato in quel preciso istante: il ritratto di un campione.

Tronfio della superbia del vincitore, lasciò all'allenatore l'onere di aiutare l'avversaria sconfitta a rialzarsi, agitò la spada con fare sprezzante e sbuffò –Avanti il prossimo!

Dovresti evitare gli sforzi eccessivi, Wilhelm.

Non definirei sforzo la performance di poco fa, coach. Sono pronto a combattere contro un vero avversario! 

Anche adesso?- chiese un ragazzo, la cui voce venne distorta dalla maschera protettiva che non si era degnato di togliere. Uscì dalla penombra, avanzando verso di lui con andatura sicura, quasi tracotante, piazzandosi in piedi alla sinistra del coach. 

-Wilhelm- disse quest'ultimo, sentendosi in dovere di procedere con le dovute presentazioni. -Lui è Kenneth Rhys-Jones, nuovo acquisto della palestra. Rhys, ti presento... 

So chi è, grazie tante- lo interruppe Kenny. -Il Vichingo non ha bisogno di presentazioni. La sua fama lo precede. Fama meritata, tra l'altro, da quanto ho potuto osservare. 

Vielen Dank- lo ringraziò Wilhelm.

Che ne dici, Vichingo?- lo incalzò Kenny, senza dargli modo di ponderare la decisione (non che un uomo d'azione come Wilhelm "il Vichingo" Weil fosse solito ponderare alcunché). –Te la senti di vedertela con me, o hai paura che il tuo povero ginocchio possa tradirti? Ho notato che è ancora un po’ traballante.

Ti faccio traballare io, ibrido umano-equino!”

E sia!- acconsentì Wilhelm, infastidito dalla sfrontatezza di quel pivello, che era sicuro non costituisse una minaccia. –Ma prima levati quel sospensorio bicolore dalla faccia. Mi piace guardare i miei avversari negli occhi, prima di far mangiare loro la polvere. 

L’altro piegò leggermente il capo in un cenno di assenso e sfilò la maschera, rivolgendogli un sorriso che, deformato dalla luce che filtrata attraverso le tende sottili color panna, somigliava di più a un ghigno. 

Wilhelm storse il naso: quel ragazzino con la faccia allungata da equino si illudeva di poterlo battere? Se con la sua faccia tosta non gli avesse mancato di rispetto, avrebbe provato pena per lui. Rinfilò la maschera e disse, senza attendere il via del coach –Che vinca il migliore- “Cioè io” – En garde!

Fu costretto a ricredersi: il ragazzino con la faccia da cavallo se la cavava fin troppo bene, per i suoi gusti; si muoveva con la scaltrezza del serpente, e alternando rapide stoccate ad altrettanto rapide ritirate realizzò una situazione di parità.

Per il punto decisivo alzò la posta spogliandosi della parte superiore della divisa, invitando Wilhelm a fare altrettanto.

Che ne dici, Vichingo? Rendiamo le cose interessanti?

Ignorando una seconda volta la voce della ragione, Wilhelm accondiscese alla richiesta: gettò via con malagrazia gli indumenti non necessari e disse, prima di lanciarsi all’attacco –E sia. Diamo al pubblico qualcosa a cui pensare mentre sono sotto la doccia!

Stavolta non commise l’errore di sottovalutare l’avversario, riuscendo a metterlo alle strette, ma venne distratto dal tifo entusiasta di Hans, il quale, purtroppo, scelse proprio quel momento per annunciare la lieta novella della gravidanza di Sonja.

Sopraffatto dalla portata della notizia, Wilhelm rimase immobile come uno stoccafisso, esibendo la medesima espressione “intelligente”, sordo e cieco al mondo circostante, e si accorse di aver perso solamente quando avvertì qualcosa di caldo e umidiccio colargli lungo la guancia sinistra; il luccichio di irritante autocompiacimento negli occhi dell’equino umanoide gli diede conferma della desolante realtà: era stato battuto da un ragazzino, e tutto per colpa di Hans.

Scheiβe! Non poteva sbattermi in faccia la sua felicità in un momento meno inopportuno?”

Ciliegina sulla torta di sterco (di quokka, per aggiungere un tocco esotico), mentre il novellino si allontanava con la spada in resta, Hans gli scoccò un’occhiata di apprezzamento, di quelle che lui aveva sempre agognato, invano, ricevere.

Das ist ein Junge, den ich neben Frida gut sehen würde10!- sentenziò.

Fu in quell’istante che Wilhelm si sentì veramente sconfitto: nonostante gli sforzi profusi, Hans non lo degnava, né probabilmente lo avrebbe mai degnato, dell’approvazione che sentiva di meritare; chiunque era più meritevole di lui. Ricolmo di frustrazione, sputò malevolo –Chi, il gemello separato alla nascita di Alex DeLarge?

Mi piace, ha carattere.

Ha un carattere di merda, c’è differenza.

Sempre meglio del Weichtier11 australiano con cui esce!”

 

***


–Come immaginavo: sei rimasto il bambino viziato di sempre, che addossa agli altri i propri errori, solo barbuto!- commentò Ernst. –Certo, Hans avrebbe potuto pensarci due volte, prima di sganciare la bomba K (per Kind), però non puoi ritenerlo responsabile per la tua sconfitta, conseguenza della tua - sottolineo, tua - reazione esagerata! Inoltre, lasciatelo dire: un fallimento ogni tanto è positivo, serve a ricordarci che nella vita si può, e deve, sempre tendere al miglioramento, ma non tutto è in nostro potere. Comunque, non hai ancora spiegato come e perché è stata recisa di netto la tua splendida chioma da Raperonzolo.

Il trillo del campanello gli impedì di ottenere una risposta. Roso dalla curiosità, andò ad aprire sbraitando –Se pure stavolta non è Frida, ammazzo qualcuno, giuro su Dio!

Per fortuna, era Frida, in compagnia del suo fido socio, William. Entrarono in casa senza attendere un invito, scoprendo, con sommo disappunto, di non essere soli. Il disappunto, tuttavia, lasciò subito il posto allo stupore.

–Tu devi essere il cugino mio omonimo- disse William, tendendogli la mano con un sorriso a trentadue denti forzatissimo. –Adesso capisco perché ti chiamano “Vichingo”!

Mein Gott, Wilhelm!- esclamò Frida, fissandolo con tanto d’occhi. –Cos’hai combinato ai capelli?

–Ai capelli?- replicò William. –Cos’ha combinato alla faccia, piuttosto!

–Sulla faccia vi ragguaglio dopo- rispose Ernst, autonominatosi moderatore della conversazione. –Riguardo ai capelli, ne so quanto voi. Spero in un resoconto altrettanto succulento!

Wilhelm, dal canto suo, arricciò il naso, per poi sospirare, rassegnato –Non mi darete tregua fino a quando la mia umiliazione non sarà completa, vero? E sia! I capelli me li ha tagliati Hans con un colpo di spada. Ha acconsentito dopo che l’ho minacciato di tagliarli io stesso, a rischio della vita.

William, allibito da una tale assurdità, avrebbe voluto levare gli occhi al soffitto e chiedere, in tono drammatico, perché; invece, l’interrogativo che gli uscì di bocca fu –Tu hai una spada? Una spada vera?

–Oltre a quella nei pantaloni, intendi?- ironizzò Ernst, per poi sghignazzare insieme a Emma e Wilhelm. Perfino la puritana Frida - con suo massimo orrore - ridacchiò sommessamente, salvo tornare seria non appena si accorse di essere osservata.

–Wilhelm è uno schermidore, pure bravo: ha sfiorato il titolo di campione europeo!- celiò con evidente orgoglio.

–Santo cielo! Esiste qualcuno nella vostra famiglia che non sia un maniaco delle armi?- sbottò l’australiano. Più li conosceva, più si avvalorava la convinzione che i Weil erano tutti pazzi pericolosi; la risposta di Frida non contribuì a fargli mutare opinione.

–Uhm… no. Persino il pacifico Ernst sa usare il coltello, all’occorrenza!- l’interessato strizzò l’occhio nella sua direzione con fare poco rassicurante. –Discendiamo da un’ingloriosa stirpe di tagliagole e mercenari; volendo dar credito alla teoria della memoria genica - che personalmente reputo un cumulo di scemenze - la sete di sangue è impressa indelebilmente nel nostro DNA. Chiusa questa parentesi - che suppongo ti toglierà il sonno, dovessimo mai dormire insieme – è il mio turno di tartassare den Wichinger12 con domande stupide: per quale astrusa ragione ti sei tagliato i capelli, Wilhelm?

–Dopo la sonora sconfitta, che Ernst vi racconterà nei minimi particolari e mi segnerà a vita, non ero più degno della treccia vichinga- rispose, dopodiché, squadrando il suo omonimo da capo a piedi con occhio critico, rilanciò con un’ulteriore domanda –Questo putto ficcanaso vestito dall’Esercito della Salvezza sarebbe il Weichtier australiano che ti scopi, Cousinchen? Vorrei poter affermare il contrario, per il gusto di contestare Hans, ma… Mein Gott! credevo avessi ereditato il buon gusto di Tante Faith, invece…

–Invece?- sibilò Frida, avvicinandosi pericolosamente in assetto da combattimento. –Concludi la frase, se ne hai il coraggio! Und, für deine Information13, io non sco… vado a letto con nessuno.

–Al momento, ma conto di prenderla per sfinimento- si affrettò a precisare William in difesa della sua virilità, col risultato di essere trafitto da parte a parte da due identici sguardi omicidi, talmente aguzzi da provocargli fitte di dolore fisico. Era facile dimenticare che Ernst, il sorridente, simpatico e alla mano Ernst, condivideva il patrimonio genetico con Hans il terribile (secondo solo a Franz nella classifica dei membri più intimidatori del clan Weil). In preda a un mortale imbarazzo, balbettò –Sì, beh, basta cincischiare: abbiamo un crimine da risolvere! È l’ora della verità!

 

***


 

Aldous Huxley sosteneva che conoscere la verità rende folli. Dopo aver ascoltato dalla viva (si fa per dire) voce di Aisling Carter gli orrori che ne avevano decretato la morte, Frida non poté non concordare. Nemmeno la conferma definitiva di essere stata, per tutto quel tempo, dalla parte della ragione era riuscita a scalfire il senso di disgusto per gli abissi in cui riusciva a sprofondare l’umanità. Nonostante l’esperienza accumulata negli anni, il bandolo della matassa del caso Carter era difficile da metabolizzare: Aisling era stata l’ultima di una stirpe di povere creature, vittima per tutta la sua tormentata vita, fino alla dipartita. Per la prima volta nella sua “carriera” investigativa, si pose l’interrogativo se Aisling fosse morta in pace, sebbene sapesse, nel profondo del cuore, che ciò era impossibile: non ci si poteva congedare serenamente da questa vita dopo l’amara scoperta di essersi immolati invano per proteggere una persona cara.

Du wirst die Gerechtigkeit bekommen, die du verdienst, es ist ein Versprechen!14”.

Si voltò verso William, sollevata nel constatare che appariva turbato almeno quanto lei. Ernst si era allontanato, asserendo di aver bisogno del bagno (per rimettere l’anima, sospettava).

In mancanza di considerazioni brillanti, o quantomeno intelligenti, ruppe il silenzio con un’ovvietà.

–Andrew va informato.

–Anche Alex- aggiunse William.

–Cosa c’entra Alex?

–La amava, le ha dedicato tutta se stessa. Merita di sapere.

–Hai colpito il mio punto debole: non riesco a restare impassibile di fronte alle storie d’amore. E va bene- concesse Frida. –Tu chiama Alex, io Andrew. Dille di raggiungerci qui.

William scosse il capo e, pur intuendo di conoscere la risposta, domandò –Perché?

–Cosa posso dire?- replicò Frida con noncuranza e una scrollata di spalle. –Vado pazza per gli epiloghi “alla Poirot”: un ingegno del mio calibro merita di venire sfoggiato alla presenza di un pubblico più ampio possibile!

Contattare Alex fu un gioco da ragazzi, a differenza di Andrew, che si era reso irreperibile. In un ultimo, disperato tentativo, Frida chiamò il fidato amico, nonché occasionale collaboratore, Kevin Cartridge.

Hallo, Kev. Disturbo?

–Sono in conservatorio, nel bel mezzo delle prove del mio primo concerto di Natale da primo violino. Trai le tue conclusioni.

Entschuldigung15- rispose Frida a denti stretti. –Sarò breve, allora: Andrew Carter è lì con te?

–No, perché?

–Ho urgenza di parlargli, ma è praticamente svanito nel nulla.

–Esagerata!- ridacchiò Kevin. –Probabile sia impegnato. Quando ci siamo salutati ha detto che sarebbe andato a trovare suo nonno, che poveretto è vedovo di fresco. Frida? Pronto? Mi senti? Pronto? Pronto? FRIDA!

Frida non poteva sentirlo, perché aveva terminato la chiamata, e aveva altro per la testa. Si morse le labbra per il breve lasso di tempo necessario a elaborare un piano d’azione, dopodiché esclamò –Cambio di programma: si va alla villa dei Conworthy!

–Perché?

–Perché, mentre perdiamo tempo a blaterare, Andrew Carter è in compagnia di un pluriomicida. Hai altre domande inutili?

Sbollita la rabbia con un respiro lungo e profondo, William rispose a denti stretti –Ne ho una utile: con quale mezzo, Sherlock?

 

***

 

–Avete visto Frida e l’abitante delle colonie?- chiese Ernst al fratello ed Emma, intenti a sorseggiare birra nella cucina di casa Weil. In parte per distrarlo dai suoi (finti) problemi, in parte per evitare di annegare nel mare di lagnanze di Wilhelm, Emma gli aveva riferito, per filo e per segno, dell’ennesima indagine non ufficiale di Frida.

Nein. Warum?

–Sono andato in bagno, e al mio ritorno erano spariti.

–Sai com’è fatta: si sarà precipitata da Mutti und Tante Faith a gongolare perché ha risolto un caso che la polizia neppure sapeva di dover risolvere!- rispose Wilhelm, seccato di essere l’unico escluso dalle “attività extracurricolari” della cugina, per poi alzarsi. –Na gut. Ho abusato a sufficienza della vostra ospitalità. Grazie per la birra, il cerotto e la comprensione. Ora è meglio che vada… a scusarmi con Hans. Come al solito. Ah, Bruder, ein kleiner Gefallen16: potresti fingerti sorpreso, quando ti darà la notizia?

–Guarda, sono seriamente tentato di sputtanarti male, però ho deciso di ripulirmi un po’ il karma, quindi ti parerò il culo… stavolta.

Vielen Dank- lo ringraziò Wilhelm. –A buon rendere.

Recuperò la giacca e scoprì, con orrore, che le chiavi della macchina non erano in nessuna delle tasche. Le cercò febbrilmente per tutta la casa, senza successo: parevano essersi volatilizzate.

Scheiβe! Non posso averle perse! Come cazzo torno a casa?

Emma tentò di confortarlo offrendosi di dargli un passaggio, ma non bastò a bloccare la litania di piagnistei di Wilhelm, che proseguì finché Ernst, tra il serio e il faceto, gli comunicò che la sua auto era stata “presa in prestito” da Frida, godendo come un riccio in calore dello sbigottimento del suo caro fratello.

–Leggo testualmente: “avevo bisogno di una macchina e Wilhelm di una lezione: le sue chiavi sono capitate a fagiolo. Così impara a immischiarsi nella mia vita amorosa!”- sbuffò una risatina e aggiunse –Mi sa che è il caso di chiamare Mutti.

–Sei impazzito?- lo redarguì Emma. –Cacceresti Frida e Will in guai ancora più grossi! Chiama Hans: saprà cosa fare e, soprattutto, come farlo con discrezione.


 

Note dell’autrice

Immagino di aver deluso le aspettative di molti, ma la tranquillità è intenzionale e propedeutica al prossimo capitolo, che sarà anche l’ultimo (più epilogo); la proverbiale calma prima della tempesta. Il cerchio sta per chiudersi: appurata l’identità del colpevole, resta da scoprire il movente. Micro spoiler: scatta il toto-morto! Qualcuno ci lascerà le penne… divertitevi a indovinare chi!

Informazioni di servizio: il quokka è un piccolo marsupiale australiano della famiglia dei Macropodidi (come i canguri e i wallaby), erbivoro e generalmente notturno, delle dimensioni di un grosso gatto domestico; Alex DeLarge, per chi non lo conoscesse, è il protagonista del libro e film “Arancia Meccanica” (non proprio un tipo raccomandabile).

Auf wiedersehen!

1Finalmente solo. Niente padre, niente madre, niente fratelli… fantastico!

2Arrivo!

3Amore

4Merda! Giuro che lo ammazzo!

5Molto bene!

6Grazie mille, fratello

7Stronzo

8Sonja è incinta?

9Sei davvero un pezzo di merda!

10Quello è un ragazzo che vedrei bene accanto a Frida!

11Mollusco

12Il Vichingo

13Inoltre, per tua informazione

14Avrai la giustizia che meriti, è una promessa

15Scusa

16Un piccolo favore

   
 
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