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Autore: Signorina Granger    23/02/2024    2 recensioni
“Se vuoi dormire smetto di suonare, se ti disturbo. O vuoi che chiuda la porta?”
“No, lasciala aperta. E non smettere di suonare, mi piace sentirti.”
“Vuoi ascoltare qualcosa in particolare?”
“Für Elise.”
Joël annuì e mormorò un assenso prima di invitarla a dormire e allontanarsi silenziosamente dal letto, diretto in soggiorno per rimettersi al pianoforte ed esaudire la richiesta della fidanzata. Era quasi fuori dalla porta quando Sabrina lo chiamò, portandolo a ruotare su se stesso stringendo il pomelo dorato di una delle due ante della porta bianca: la strega si era sollevata mettendosi a sedere sul materasso, ma prima che il fidanzato potesse rimproverarla affettuosamente lei gli sorrise, grata e profondamente felice di averlo accanto:
“Grazie per la musica.”
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het | Personaggi: Maghi fanfiction interattive
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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Thank you for the music



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Joël gettò un’ultima, rapida occhiata allo specchio del bagno di Sabrina, ravvivandosi i lisci capelli castani con la mano per tenerli eccezionalmente il più in ordine possibile prima di aggiustarsi il colletto della camicia nera che la fidanzata gli aveva comprato e lasciato eloquentemente sul letto, quasi in una muta minaccia. Se un paio di anni prima gli avessero detto che un giorno avrebbe lasciato che una donna gli suggerisse che cosa indossare avrebbe riso e non ci avrebbe creduto, eppure eccolo lì, ad assecondare la volontà della sua bellissima e cocciutissima fidanzata.
In realtà normalmente non si vestiva elegante per uscire a cena fuori, ma quella non era affatto una serata come le altre e anche se detestava doverlo fare doveva ammettere di provare un leggero nervosismo sin da quando aveva aperto gli occhi quel mattino, quando Pascal gli aveva dato il buongiorno balzando sul letto scodinzolando per chiedergli di giocare e regalargli dei salivosi baci su tutto il viso.
“Ok, ho preteso un posto neutrale, non ci avrei spediti nella fossa dei leoni nemmeno sotto compenso monetario… è un ristorante terribilmente spocchioso in centro a Marsiglia.”, asserì il musicista mentre usciva dal bagno dopo essersi messo un po’ del profumo che Sabrina gli aveva regalato per Natale, più per far felice la fidanzata, sapendo quanto le piacesse, che per impressionare le persone con cui avrebbe dovuto condividere il pasto.
“Mi fa piacere saperlo, perché il mio vestito è molto spocchioso!”, fu ciò che Joël udì dal soppalco dove si trovava la camera da letto e dove Sabrina si stava vestendo, finendo di chiudere l’odiatissima zip del suo bel vestito nero: un giorno o l’altro, si disse la strega mentre con un sospiro di sollievo riusciva finalmente a chiuderla fino in cima, avrebbero inventato qualche altro modo più pratico per chiudere i vestiti che non fossero quelle ridicole cerniere fatte per non essere viste ma non per essere chiuse senza rompersi un’unghia, per lei e tutte le altre povere donne del pianeta. Ancora a piedi scalzi ma già truccata e pettinata, con i corti capelli scuri che le incorniciavano dolcemente il viso, gli occhi grandi e le labbra carnose dipinte di rosso, Sabrina si aggiustò distrattamente i ciuffi che le sfioravano la fronte e studiò il proprio riflesso nello specchio a figura intera a pavimento che il fidanzato spesso usava come appendino per gli abiti facendole saltare i nervi, mettendosi le mani sui fianchi e ruotando il busto di qualche grado per assicurarsi che il suo occhio critico fosse soddisfatto del risultato prima di annuire, chinarsi per afferrare i sandali col tacco neri e infine gettarsi verso le scale salutando Salem, acciambellato nel bel mezzo del letto e pronto per godersi una serata di libertà nell’appartamento.
Joël, che le scarpe aveva appena finito di allacciarle e si stava infilando la giaccia, guardò la fidanzata sedersi sul penultimo gradino per infilarsi i tacchi che li facevano sembrare della stessa altezza prima di alzarsi in piedi e rivolgersi direttamente a lui, allargando leggermente le lunghe braccia come a volergli chiedere un parere. Joël guardò brevemente lei e il suo bellissimo vestito nero con le spalline sottili lungo fino a metà polpaccio, con un lieve spacco frontale sulla gonna aderente e lo scollo profondo prima di sorridere, colmando la distanza che li separava con qualche sola falcata:
Dio ti ringrazio.” Le braccia del musicista strinsero la vita della fidanzata per attirarla a sé il più possibile, guardandola con un luccichio compiaciuto negli occhi blu prima di scoccarle un bacio su una guancia: la sua guerra contro le tinta labbra rosse della fidanzata era ancora aperta.
“La bava dei miei fratelli arriverà fino al Mediterraneo.” All’improvviso Joël non vedeva l’ora di assistere al famigerato primo incontro tra Sabrina e la sua famiglia, e si beò dell’immagine delle espressioni sbalordite che di certo avrebbero fatto capolino sui volti di Leo e Simon, i suoi fratelli maggiori, mentre Sabrina invece alzava gli occhi al cielo senza però smettere di accarezzargli delicatamente il retro del collo e la spalla destra con le dita lunghe e sottili:
“Non essere sciocco, volevo solo essere carina.”
“Tu sei un essere orribile Sabrina St John, sei carina anche in pigiama e con la febbre alta.” Lo sguardo di Joël si addolcì mentre le scostava delicatamente le ciocche di capelli dalla fronte per poterla guardare meglio in volto, ma prima che potesse provare a baciarla Sabrina sgusciò dalla sua presa per superarlo e dirigersi verso il divano dove Pascal, notevolmente cresciuto e con le zampe ormai molto lunghe, aspettava di essere salutato dalla padrona agitando la coda speranzoso.
“Certo, i miei pigiami sono bellissimi! Ciao Pascal, amore mio, fai il bravo, torno presto. Gli hai dato la pappa?” Dopo aver salutato affettuosamente il cane grattandogli la grossa testa e aver sfoderato la “vocina idiota” che usava solo per lui e Salem Sabrina sollevò il suo cappotto e quello del fidanzato dallo schienale del divano, infilandosi rapida il proprio prima di raccogliere anche la sua borsetta e raggiungere nuovamente Joël per consegnargli il suo. Il musicista lo prese e indirizzò un sorriso affettuoso in direzione del cucciolo dinoccolato che li guardava con aria triste dall’altra parte della stanza, quasi accusandoli di starlo abbandonando, provando più che mai l’impulso di annullare la serata per trascorrerla sul divano a fargli le coccole.
“Certo, e non sai quanto li invidio per la bella serata che li attende. Ciao ragazzi, fate i bravi!”
“Sai chi altro deve fare il bravo stasera?”, gli chiese Sabrina mentre chiudeva a chiave la porta quando furono soli, immersi nel corridoio buio che conduceva a quello che un tempo era stato l’ufficio di Gideon, e dal suo tono eloquente il musicista riuscì chissà come ad immaginare in anticipo la risposta mentre restava in attesa con un sorriso amabile stampato in viso e le mani in tasca:
“Tu, bello.”
 
Joël aveva rimandato quel momento e quella cena il più a lungo possibile, finendo col comprendere di aver commesso un errore quando lui e Sabrina raggiunsero il parcheggio dell’elegante ristorante che sua madre aveva scelto, scesero dalla sua Alfa Romeo decappottabile bianca e varcarono la soglia dell’edificio prima di farsi accompagnare dal maître al tavolo dove sedeva la sua famiglia in attesa del loro arrivo. Si pentì di aver rimandato tanto l’incontro tra la sua famiglia, che vedeva più o meno due volte l’anno, e la fidanzata non tanto per la perfetta e pacata nonchalance con cui Sabrina si presentò a tutti porgendo con decisione la mano e sostenendo fermamente ogni sguardo, quanto più per le facce stravolte di Leo e di Simon, nonché delle sue due cognate – simpatiche quanto un pianoforte scordato – e persino dei suoi genitori: avrebbe giurato di aver visto suo padre Edouard squadrare da capo a piedi Sabrina non una, ma ben due volte, prima che la moglie se ne accorgesse e gli rifilasse una discreta gomitata celata dal tavolo e dalla tovaglia bianca che lo ricopriva.
Strano a dirsi, ma Joël era persino riuscito a sedersi a tavola sorridendo, e si era sistemato il tovagliolo in grembo non potendo fare a meno di rimpiangere l’assenza di suo nonno: di certo come lui anche Alfred, l’unico ad averlo sempre capito e averlo sempre sostenuto, avrebbe adorato lo sgomento sui volti di norma molto impettiti del resto della famiglia. I suoi fratelli potevano tenersi le loro famigliole perfette da spot pubblicitario, le lauree in architettura e giurisprudenza e le loro belle carriere rispettabili, ora che oltre alla musica nella sua vita anche aveva Sabrina Joël poteva affermare con certezza di non essere mai stato tanto felice.
 

*

 
Sabrina stava leggendo un libro – si era resa conto di aver, forse, sempre lavorato troppo quando aveva realizzato di aver vissuto trent’anni senza mai aver letto Dieci piccoli indiani – distesa sul suo enorme e comodissimo divano grigio, o almeno era ciò che stava provando a fare: anche il suo fidanzato aveva deciso di sistemarsi sul divano, ma anziché occuparne un altro lato aveva optato per lo stesso dove si era accomodata lei stessa, finendo col piazzarsi nello spazio tra la fidanzata e lo schienale imbottito tenendola stretta con le braccia e con il viso premuto contro l’incavo del suo collo. I lisci capelli castani di Joël le solleticavano il mento e il suo sottile ma ispido strato di barba il collo mentre le depositava piccoli baci sulla pelle, le gambe intrecciate alle sue.
“Hai capito chi è stato?”, domandò la voce del suo fidanzato mentre Joël strofinava dolcemente una guancia contro il suo collo, urticandole la pelle con la barba ben sapendo quanto la cosa le facesse molto poco piacere.
“Se me lo chiedi ogni cinque minuti come faccio a capire qualcosa?”, fu la risposta della francese mentre alzava gli occhi al cielo, decisa dal guardarsi bene dall’ammettere di non avere la benchè minima idea di quale potesse essere la soluzione del mistero. Forse era per questo che non aveva mai letto molti gialli, si disse mentre Joël ridacchiava e sollevava leggermente la testa per poterla guardare bene in viso, un consueto luccichio divertito negli occhi blu, perché la facevano sentire un po’ meno intelligente.
“Non ti crucciare, nessuno è intelligente quanto lei. Doveva avere un cervello da paura… una donna molto interessante.”
“Ah sì? Peccato siate nati con tanti decenni di differenza, poteva essere la tua fidanzata ideale.”
Di nuovo Joël ridacchiò, scoccandole un sonoro bacio su una guancia prima di rimettersi comodo sistemando la testa sulla spalla di Sabrina, studiando dolcemente il suo volto abbronzato mentre disegnava cerchi concentrici sul suo avambraccio nudo:
“Sai a cosa stavo pensando?”
“A quanto sei fortunato a stare con me? Lo penso spesso anche io.”, disse Sabrina senza distogliere i grandi e bellissimi occhi scuri dalle pagine del breve romanzo che stava leggendo, ma anziché demordere di fronte al suo sarcasmo Joël non si diede per vinto e continuò, ignorando il suo commento: si stava preparando quella sottospecie di discorso da giorni e non aveva più voglia di tenerselo dentro.
“Stavo pensando che sono stanco di girare di continuo e di non fermarmi mai, di non avere una vera dimora fissa… insomma, in pratica faccio avanti e indietro tra qui, New Orleans e dove i concerti mi portano.”
“Quindi? Santo de la Renta, ne è morto un altro!”
“Penso che, visto che ormai sono vecchio e stanco, mi potrei anche fermare stabilmente da qualche parte.” Joël sistemò meglio il viso sulla spalla della fidanzata, guardandola sbattendo amabilmente le ciglia mentre Sabrina continuava a leggere e Salem balzava a sua volta in fondo al divano, offeso per lo scambio di affetto dal quale gli umani avevano bellamente deciso di escluderlo senza alcun ritegno.
“Capisco. Beh, tranquillo, posso trovarti uno sgabuzzino.”
Joël sapeva di essersi innamorato perdutamente di una persona sadica: a Sabrina piaceva farlo soffrire, e quella consapevolezza lo portò a sollevarsi per poterla fronteggiare, togliendole il libro dalle mani per disporre della sua completa attenzione mentre la guardava serio fisso negli occhi.
“Sabrina. Andiamo a vivere insieme. Ho 31 anni, non ho voglia di perdere tempo, voglio… suonare, e quando non suono voglio stare con te.” Joël sapeva che Sabrina gli avrebbe detto di sì, del resto perché non avrebbe dovuto? Stavano insieme solo da sei mesi, era pur vero, ma tra loro andava bene, la relazione era stabile, non avevano mai avuto grossi litigi e, soprattutto, sapeva per certo quanto si amassero. Eppure c’era una minuscola percentuale di dubbio pronta a dargli il tormento da quando aveva iniziato a maturare quell’idea, e fu proprio quella percentuale a fargli martellare ansiosamente il cuore nel petto mentre studiava in silenzio e in attesa il bel viso di Sabrina, che ricambiò in silenzio il suo sguardo prima di limitarsi ad una debole stretta di spalle:
Ok.”
“Non qui, non nel Principato. Ho pensato che potremmo restare sulla Riviera, così per te spostarti sarebbe comodo… Magari a Nizza, o a Marsiglia. Non qui, sono tutti odiosamente snob e saresti troppo vicina all’Hotel, voglio tenerti leggermente lontana per poterti sequestrare di tanto in tanto.”
“Ok, credo che possa andare. Posso riavere il mio libro?”
Joël esitò, indeciso sul da farsi e ancora non del tutto certo di poter esultare, e inarcò speranzoso un sopracciglio mentre guardava la mano che Sabrina gli stava porgendo, sempre guardandolo con sguardo neutro, mentre un sorriso iniziava a farsi strada sulle sue labbra:
“Quindi è un sì?”
Ma sì, è ovvio, che domande fai? Ma non voglio vivere proprio in centro a Nizza. Troppo vicino a mia madre.”
Joël sorrise, felice e leggero come non si sentiva da una settimana, e prima di restituirle Dieci piccoli indiani annuì, premendo le labbra sulle sue cercando in tutti i modi di sigillare quel momento nella sua memoria.
 
 
*


Poco più di sei mesi dopo Joël e Sabrina si trasferirono in un appartamento all’ultimo piano di un elegante palazzo a Nizza – non poi così vicino al centro –, pieno di luce naturale e con vista mare, esattamente tutto ciò che il musicista aveva richiesto quando lui e Sabrina avevano iniziato a cercare casa. Quello, certo, e il bellissimo pianoforte a coda Steinway realizzato su misura in palissandro indiano che, quando era finalmente arrivato ed era stato montato, Joël aveva praticamente abbracciato commosso destando risate intenerite nella fidanzata.
Nel corso delle settimane precedenti aveva trascorso più tempo in negozi di arredamento di quanto non si sarebbe mai sognato, ma Joël comprese che ne fosse valsa la pena quando lui e Sabrina cenarono insieme lì dentro per la prima volta, seduti su una tovaglia bianca distesa sul parquet a spina di pesce dell’enorme stanza ancora quasi vuota e avvolti dalla semi-oscurità.
“Credo che verrà bene.”, commentò la strega facendo indugiare lo sguardo soddisfatto sulle alte pareti bianche del salone, immaginando chiaramente dove avrebbe sistemato l’enorme divano bianco che avevano ordinato mentre teneva stretto un calice pieno con qualche dito di vino rosso. Joël glielo rimboccò sorridendo, certo che grazie all’ottimo gusto della fidanzata – e della di lei migliore amica, che si era auto-proclamata sua consulente e l’aveva accompagnata pressochè ovunque quando lui era impegnato per dei concerti fuori dal paese – una volta finito l’appartamento sarebbe stato meraviglioso. E in realtà per lui non faceva poi così tanta differenza, l’importante era che piacesse a lei.
“Se ci pensi tu di sicuro. Io ho il mio pianoforte e sono soddisfatto, del resto occupati pure tu. Nella tua cabina armadio non ci voglio mettere piede.”
“Io ho la cabina armadio, tu la stanza extra per i tuoi strumenti e per comporre, erano gli accordi. Sicuro di volerlo lasciare lì, il pianoforte?” Sabrina aggrottò la fronte e accennò lievemente con il mento allo splendido pianoforte a coda fatto su misura che per settimane Joël aveva spasmodicamente atteso, non del tutto certa di aver compreso per qualche motivo il fidanzato avesse deciso di lasciarlo nel salone invece di portarlo nel suo studio insieme a tutti gli altri strumenti musicali, ma Joël annuì e liquidò sbrigativamente il discorso con un distratto gesto della mano prima di spalmare un altro po’ di camembert su un pezzo di pane fresco.
“Sì, va bene così, nello studio metterò il mio piano verticale. Non si può chiudere uno Steinway in una stanza, deve essere ammirato. Sarebbe come chiudere me in una stanza visitata di rado, immagina la perdita!”, disse il musicista spalancando con fare teatrale i grandi occhi blu mentre indicava se stesso con la punta del coltello da burro sporco di formaggio morbido che teneva in mano, allargando le labbra in un sorriso quando vide la fidanzata annuire e ricambiare il suo sguardo con affettuosa esasperazione:
“Sarebbe una perdita terribile per l’umanità. Sei così stupido.”
“Se non fossi così mi adoreresti un po’ di meno. Allora, Anjali quando viene a dare la sua approvazione?”
“Le ho giurato che sarebbe stata la nostra prima ospite, quindi non appena sarà tutto finito sentirai suono di Louboutin salire in ascensore accompagnato dall’aroma di un profumo firmato Chanel. Dovrò tirare fuori il servizio di piatti nuovo che ci ha regalato mia madre.”
Quello che vale quanto il PIL di un paese in via di sviluppo?, era ciò che avrebbe voluto domandarle Joël, ma si limitò a sorridere e per una volta tenne per sé il suo sarcasmo, limitandosi a sporgersi verso di lei per baciarla dolcemente mentre le candele accese li avvolgevano con il loro delicato profumo alla rosa.
 

*

 
“Pensi mai di sposarti?”
La domanda di Anjali colse Sabrina del tutto impreparata, portandola quasi a sputare il sorso di champagne appena ingerito mentre insieme, un flûte alla mano ciascuna, studiavano i magnifici abiti da cerimonia appesi alle grucce dell’atelier.
“Con Joël?”, fu tutto ciò che la francese riuscì a chiedere attonita rivolgendosi alla svizzera, che smise di scrutare accigliata un bell’abito di raso rosa – dovevano scegliere l’abito da damigella per le sue nozze – per gettarle un’occhiata visibilmente esasperata:
“No, con il gufo postino. Certo, che domande!”
“Non credo molto nel matrimonio, lo sai. So che può essere meraviglioso, non mi fraintendere, sono molto felice per te perché so quanto ci hai sempre tenuto e l’hai sempre voluto, ma credo che non faccia per tutti. Insomma, guarda i miei genitori. Guarda mio padre, che è persino riuscito a divorziare due volte.” Persino da ragazzina Sabrina non aveva mai fantasticato sul matrimonio, provando invece un cinismo crescente verso l’istituzione col passare del tempo, quando la realtà del divorzio aveva iniziato a farsi sempre più comune e insistente attorno a lei. Forse il matrimonio rappresentava solo una misera illusione per gli animi romantici, e già da adolescente aveva fermamente stabilito che molto difficilmente avrebbe commesso gli stessi errori fatti in passato dai suoi genitori. La francese diede le spalle alle file di abiti nuovi, stirati e pronti per essere indossati per dirigersi con un sospiro verso il divanetto più vicino, improvvisamente piena di dubbi: lei era piuttosto sicura di non volersi sposare, ma all’improvviso la preoccupò il fatto di non aver mai condiviso le sue idee con il suo fidanzato.
“Quindi non pensi mai che ti piacerebbe sposarti con Joël?” Anjali aveva ormai momentaneamente dimenticato a sua volta gli abiti da cerimonia, e dopo aver respinto con un cenno sbrigativo della mano una bellissima e sorridente commessa in divisa nera che reggeva un vassoio con altri flûte si affrettò a seguire l’amica verso uno dei divanetti bianchi trapuntati disseminati per tutto l’atelier per sedersi accanto a lei, guardandola vuotare il suo calice prima di scuotere la testa guardandosi pensosa le punte delle scarpe:
“Non lo so, non ne abbiamo mai parlato. Non credo che per lui sia una necessità impellente e per me nemmeno. Può essere bellissimo, ma penso che due persone possano amarsi benissimo anche senza sposarsi.” Sabrina si strinse debolmente nelle spalle mentre giocherellava con il suo bicchiere, studiandolo accigliata e improvvisamente un po’ preoccupata, ed Anjali annuì dopo una breve esitazione volta a riflettere sul suo vecchio amico: Sabrina aveva ragione, riusciva perfettamente a figurarsi Joël vivere serenamente la sua vita senza convolare a nozze, ma era anche vero che le sarebbe piaciuto terribilmente fare la damigella d’onore al loro matrimonio, e voleva sapere se doveva mettersi l’animo in pace o meno.
“Beh, questo è sicuro. Non lo so, credo che dovresti intavolare il discorso e parlargliene, meglio di ritrovarsi con una proposta inattesa e non sapere che cosa rispondere.”
La sola idea di rimanere impietrita di fronte ad una proposta di nozze fece quasi rabbrividire Sabrina assumendo le sembianze di un vero e proprio incubo, portandola ad annuire e ad assicurare all’amica che avrebbe risolto la questione parlandone al più presto. Soddisfatta, la svizzera sorrise e annuì prima di alzarsi nuovamente in piedi e invitare caldamente l’amica ad imitarla: avevano un vestito da cercare con urgenza.
 

*

 
Da ormai una settimana a quella parte Sabrina non faceva altro che maledire la sua migliore amica: mentre si destreggiava tra il lavoro e i preparativi del matrimonio di Anjali un altro pensiero si era scomodamente insinuato nella sua mente come un tarlo, e non ne voleva sapere di lasciarla in pace. Non aveva mai pensato all’eventualità di potersi sposare e ora, per colpa dell’amica, da giorni le capitava di rimuginare e di gettare un’occhiate in direzione del fidanzato, magari impegnato a fare altro, come suonare, giocare con i loro animali o lavare qualche padella, chiedendosi se lui, al contrario, ci avesse mai pensato.
Avvenne un sabato sera: lei e Joël stavano guardando Intrigo Internazionale quando ad un tratto, incapace di trattenersi, la strega distolse lo sguardo dall’enorme schermo della loro tv per gettare un’occhiata al fidanzato, che aveva la mano sinistra sprofondata nella ciotola di popcorn e la destra stretta nella sua.
“Pensi mai che vorresti sposarti?”
La domanda di Sabrina, postagli tanto a bruciapelo e fuori contesto, riuscì quasi a fargli andare i chicchi di mais scoppiati di traverso. Fortunatamente Joël riuscì a non morire soffocato sul divano nuovo, e si voltò attonito verso la strega per guardarla stranito, quasi stentando a credere di aver davvero udito quelle parole uscire dalle sue labbra:
“Con te?” Fu tutto ciò che la sua mente presa alla sprovvista riuscì a formulare mentre Sabrina, esasperata, alzava gli occhi al cielo:
“No, con mia madre. Non saprei, c’è qualche altra persona nella tua vita che, al momento, potrebbe farti pensare al matrimonio?”
“Suppongo di no. Perché me lo chiedi? Non me abbiamo mai parlato.” Sorpreso, Joël si sollevò la ciotola dalle ginocchia per sistemarla sul divano accanto a sé in modo tale da potersi rivolgere completamente alla fidanzata, ruotando il busto verso di lei e guardandola con gli occhi blu pieni di curiosità mentre Sabrina, come a disagio, si stringeva nelle spalle disegnando dei cerchi concentrici sul dorso della sua mano.
“Appunto, e penso che sia il caso di farl0. Ho sempre pensato di non volermi sposare e vorrei avere la certezza che tu sia d’accordo.”
“Sinceramente non penso che cambi poi molto quando già vivi insieme, clausole legali e divisione dei beni a parte. Posso vivere benissimo anche senza sposarmi, ma pensi che sarebbe tanto orribile essere sposata con me?” 
Un sorriso distese le labbra di Joël, che studiò teneramente il volto della fidanzata mentre Sabrina scuoteva debolmente il capo, infastidita dalla sua incapacità di esprimere appieno come si sentisse:
“Non si tratta di te. Dopo essere cresciuta con l’esempio dei miei genitori non penso di essere una fervente sostenitrice dell’istituzione, tutto qui.”
“C’è un sacco di gente che non crede nel matrimonio ed è giusto così, ma a bloccarti non dovrebbe essere la paura che il matrimonio possa rovinare le cose come per tuo padre e tua madre… Non va sempre così. È solo una festa, poi le cose tornano ad essere identiche al giorno prima. I miei fratelli sono, da quel che ne so, felicemente sposati, e a modo loro anche i miei genitori.”
“La festa non mi interessa.”, borbottò Sabrina sempre senza guardarlo, seduta sul divano con le lunghe gambe incrociate e avvolta da un pigiama di raso nero dal taglio maschile, e Joël annuì mentre sollevava entrambe le loro mani allacciate, baciando quella della fidanzata prima di posarsela su una guancia.
“Nemmeno a me se è per questo.”
Nonostante non lo esternasse mai a parole talvolta Joël aveva l’impressione che Sabrina temesse che per lui, alla lunga, stare con lei avrebbe potuto rappresentare un peso a causa delle sue condizioni di salute. Ora, magari, temeva che il suo essere poco incline all’idea di sposarsi potesse portare ad una sorta di mancanza nella vita del fidanzato, che al contrario si sentiva pienamente felice e soddisfatto della loro relazione.
Sabrina St John non era il tipo di persona in grado di chiedere esplicitamente delle rassicurazioni, Joël lo sapeva bene, e per questo non esitò a fornirgliene mentre allungava anche la mano sinistra per stringere entrambe quelle della strega nelle sue.
“Sai una cosa? Per un sacco di gente è talmente stressante organizzarlo che ci perde il sonno, una fine che di certo non vorrei fare in ogni caso. Sai cosa faremo? Se un giorno ci sveglieremo e vorremo farlo lo faremo senza perdere mesi ad organizzare tutto, senza invitare decine di persone di cui non ci importa, lo faremo a modo nostro, io e te e basta, e il giorno dopo non cambierebbe assolutamente niente, te l’assicuro. E se non dovessimo mai farlo pazienza, non cambierà niente e io non sarò meno felice di stare con te.”
Di solito era lui a prendere l’iniziativa e ad avere slanci d’affetto, pur sapendo quanto Sabrina, pur non essendo avvezza a dimostrare il suo affetto con il contatto fisico, tenesse a lui. Quella sera invece la strega, dopo aver sollevato finalmente lo sguardo per posare i grandi occhi scuri sui suoi, si sporse verso di lui e lo abbracciò allacciandogli le lunghe braccia attorno al collo e posando la testa sulla sua spalla, ringraziandolo con un mormorio mentre Joël, sorridendo, le accarezzava la schiena.


*
 

Joël Moyal era un fascio di nervi. Non ricordava di provare tanta ansia, con un nodo allo stomaco che a stento gli consentiva di mangiare, dai tempi in cui la salute di suo nonno aveva iniziato a peggiore sensibilmente.
Una settimana prima stava facendo colazione leggendo il giornale – e condividendo pezzettini di croissant con Salem approfittando della momentanea assenza di Sabrina, che si era chiusa in camera da letto per parlare al telefono – godendosi la pace e la serenità garantitegli dall’ignoranza quando l’aprirsi e il richiudersi di una porta aveva anticipato il ritorno di Sabrina. Uditi i passi della donna sul parquet, suono come sempre amplificato a causa dei tacchi che indossava, Joël si era affrettato ad intimare con un mormorio a Salem di sparire per non essere scoperti e ed era tornato a concentrarsi sul giornale che teneva in mano appena prima che la silhouette longilinea della fidanzata apparisse sulla soglia del salone.
“Finito di parlare con il tuo amante?”, domandò con tono distratto Joël mentre sollevava la tazzina da Espresso per portarsela alle labbra – certo che fino a poco prima la fidanzata si fosse intrattenuta al telefono con la sua migliore amica – mentre Sabrina, in piedi alle sue spalle, si chinava per depositare una carezza sulla morbidissima testa di Salem, che l’aveva raggiunta per strusciarsi affettuosamente sulle sue gambe.
“A dire la verità era la clinica. Tra una settimana mi operano.”
Joël riuscì a non far cadere e a non ridurre in pezzi la tazzina, che faceva parte di un costosissimo set che Sandrine aveva donato alla coppia quando si erano trasferiti nell’attico, ma in compenso sputacchiò caffè sul tavolo di marmo costringendo la fidanzata a raggiungerlo e a picchiettargli la schiena.
Quando si fu ripreso ed ebbe scampato il rischio di strozzarsi Joël si voltò sulla sedia per alzare lo sguardo sulla fidanzata, scrutando apprensivo il viso di Sabrina che, al contrario, non stava tradendo alcun indizio o emozione particolare:
“E me lo dici così?! Perché ti devi operare? Sei peggiorata?”
“Più o meno.” Sabrina annuì con l’aria di avergli appena confermato un appuntamento dal dentista, e Joël quasi boccheggiò mentre si alzava rischiando di mandare all’aria una delle costosissime sedie che la fidanzata aveva personalmente scelto ormai un anno prima.
E perché sei così calma Sabrina? Aspetta, io domenica prossima dovrei essere ad Amburgo.” Tutta l’enfasi di Joël cessò di colpo mentre il musicista rifletteva sulla natura dei suoi impegni futuri: se l’operazione era di lunedì e lui doveva essere ad Amburgo domenica avrebbe fatto in tempo a tornare in Francia? A che ora sarebbe finito il suo concerto? In fin dei conti poteva sempre non dormire e tornare subito a casa, ma non sapeva a che ora si sarebbe dovuta operare Sabrina, né se dovesse recarsi in clinica con qualche ora di anticipo. Non sapeva un bel niente, ma quel folle turbinio confuso di pensieri venne messo a tacere dalla sua stessa fidanzata, che un attimo dopo si strinse nelle spalle con una calma e un’indifferenza che quasi diedero i nervi a Joël:
“Non c’è problema, mi accompagna mia madre.”
“Ma tu sei fuori, col cazzo che ti accompagna tua madre, adesso chiamo e disdico, e poi ti siedi e mi spieghi in che cazzo consiste l’operazione. Sei impossibile quando fai così! E quanto devi stare ricoverata? Cosa devi portarti via? Posso venire a trovarti, vero? È un’operazione rischiosa?”
Oltre a non riuscire a definire quale fosse il suo stato d’animo – era arrabbiato con lei per quell’improvvisa rivelazione che lo aveva colpito come un fulmine a ciel sereno, era preoccupato e terrorizzato al tempo stesso, ma anche cosciente di, almeno in teoria, non doversi mostrare troppo nervoso per impedire alla fidanzata di stressarsi più del dovuto – Joël aveva anche un milione di domande che avevano preso a vorticargli in testa tutte insieme all’unisono, ma Sabrina pose fine a quello che altrimenti sarebbe stato un lungo monologo prendendogli delicatamente il viso tra le mani e posando dolcemente le labbra sulle sue, zittendolo con un lungo bacio al termine del quale gli sorrise gentilmente e accennò in direzione del divano:
“Perché non ti siedi e non ti rilassi?”
Calmatosi leggermente Joël annuì, ma invece di muoversi in direzione del divano l’abbracciò, stringendola a sé più che poteva mentre Sabrina, in silenzio, gli accarezzava gentilmente i lisci capelli castani.
“Oggi puoi non andare all’Hotel?”, mormorò il musicista mentre i capelli scuri di Sabrina gli solleticavano il viso, cercando di ricacciare indietro le lacrime che avevano iniziato a bagnargli gli occhi sbattendo ripetutamene le palpebre mentre Sabrina annuiva, scoccandogli un bacio su una guancia prima di mormore un assenso.
“Certo che posso.”
 
 
La sera prima dell’intervento di riparazione dell'aorta ascendente – Joël aveva passato tutta la settimana a leggere tutto ciò che era riuscito a trovare sull’argomento, non toccando uno spartito per il lasso di tempo più lungo di cui aveva memoria mentre Anjali, Silas, Michel, Pierre, Joyce, Gideon e Sandrine si erano alternati di giorno in giorno per far visita ad una Sabrina sempre più esasperata: come doveva farlo capire di dover passare quei giorni normalmente, leggendo, passeggiando o guardando la tv? – Joël, oltre ad essersi rifiutato di cenare sfiorando un’accesa discussione con la fidanzata, stava vivendo forse tra le ore peggiori di tutta la sua vita.
Non sapendo cosa fare, come calmarsi o come passare il tempo aveva portato Pascal a spasso per il quartiere e poi aveva iniziato a vagare per l’appartamento come un’anima in pena, o almeno finchè Sabrina, fino a quel momento seduto sul divano con Salem sulle ginocchia, un libro in mano e una tazza di tisana calda davanti, non aveva sbottato di “avere il mal di mare per colpa sua e di non riuscire più a sopportarlo”. La strega si era alzata e si era diretta a passo di marcia verso il bagno della loro camera da letto mentre Joël, in piedi in un angolo del corridoio, si diceva pronto a vederla uscire armata di piastra per capelli rovente per picchiarlo.
Pochi minuti dopo invece, sorprendentemente, Sabrina era apparsa sulla soglia della loro camera ordinandogli perentoria di seguirla, e dopo aver obbedito – non ci pensava neanche a fare il contrario – Joël si era ritrovato fermo sulla soglia del bagno a fissare la vasca ovale piena di schiuma bianca e bolle di sapone.
“Brava, un bagno caldo ti farà bene.”, approvò il musicista voltandosi verso la fidanzata, che invece sospirò prima di indicargli la vasca con un perentorio cenno della mano:
“Non per me cretino, è per te. Spogliati e datti una rilassata.”
In una qualsiasi altra situazione a fronte di un invito del genere Joël avrebbe finito di togliersi i vestiti ancor prima che Sabrina finisse di parlare, ma quella sera la strega dovette quasi minacciare di affogarlo nella vasca prima di riuscire a convincerlo ad entrarci.
“Non capisco perché l’orario di visita è così breve, voglio stare lì per più di due ore al giorno.”, mormorò cupo Joël qualche minuto dopo, mentre cercava di rilassarsi in mezzo alla schiuma profumata e Sabrina, seduta accanto alla vasca, gli strofinava dolcemente il petto con una spugna color confetto.
“Ho la valigia piena di libri e mi porto anche l’iPad per guardare Netflix, non ti preoccupare. E poi non vorrei in ogni caso saperti lì per tutto il giorno.”
Joël la pensava molto diversamente – stare a casa senza di lei, sapendola sola in clinica, sarebbe stato insopportabilmente penoso – ma si costrinse a non dar voce ai suoi pensieri mentre Sabrina, riuscendo comunque ad intuirli, si chinava leggermente in avanti sulla vasca per riuscire a guardarlo negli occhi e sorridergli cercando di rassicurarlo:
“È un intervento comune per le persone come me, non è niente di troppo grave, devono solo intervenire affinché le dimensioni dell’aorta non aumentino ancora. Qualcosa di molto grave accadrebbe se non mi operassi.”
“Lo so. Lo so e mi dispiace averti rotto per tutta la settimana, sono solo preoccupato perché è la prima volta, da quando stiamo insieme, che devi passare più di un giorno in ospedale.” Joël sollevò la mano piena di schiuma per stringere quella della fidanzata, posata sul bordo della vasca, e Sabrina annuì prima di depositargli un bacio su una guancia, comprensiva:
“E infatti ti perdono per avermi fatto venire i capelli grigi solo proprio perché so che hai reagito così solo perché sei preoccupato e perché ci tieni a me. Ma andrà bene, vedrai, lo sai che ho sempre ragione.”
Joël naturalmente lo sapeva, e tutto quello che riuscì a fare fu annuire sperando ardentemente che quel caso non costituisse un’eccezione.
 
*

 
Salem e Pascal avevano accolto con gioia il ritorno a casa della loro padrona dopo non averla vista per quasi una settimana, ma il gatto e il cane sembrarono anche prendere coscienza rapidamente di qualcosa di inconsueto: di norma Sabrina andava e veniva dalla porta d’ingresso di continuo e quando era a casa giocava con loro, portava Pascal a spasso, spesso insieme a Joël, spazzolava tutti i giorni il folto pelo nero di Salem e soprattutto faceva avanti e indietro misurando l’open space a grandi passi mentre si intratteneva in più e più telefonate.
Quando tornò a casa dopo quella settimana di assenza che aveva visto l’umore di Joël precipitare a picco Sabrina iniziò a passare al contrario buona parte delle sue giornate a letto, limitandosi a parlare al telefono solo di tanto in tanto. Leggeva, guardava film dal portatile grigio argento e dormiva, dormiva più di quanto i suoi animali da compagnia l’avessero mai vista fare. Entrambi iniziarono a passare con lei buona parte della giornata, Salem acciambellandosi accanto a lei sopra al lenzuolo e Pascal ai piedi del letto, sopra alla sua copertina marrone, o dentro la cuccia che Joël aveva spostato appositamente dal salotto.
Anche Joël trascorse quei primi giorni a casa, uscendo solo per portare Pascal a passeggio o per fare la spesa, comprando tutto quello che la fidanzata gli chiedeva. Quando si trovava nell’appartamento il mago suonava, nello studio o in salotto sedendo davanti al pianoforte, e quando non suonava leggeva o si univa alla fidanzata per guardare qualcosa insieme a lei.
Sabrina aveva fatto ritorno nel loro attico da due giorni quando un pomeriggio mise da parte il libro che stava leggendo – Joël l’aveva convinta a cimentarsi nella lettura di una delle opere di Maurice Leblanc – posandolo sul comodino bianco accanto all’enorme letto matrimoniale e si mise più comoda contro i cuscini per provare a dormire: lei che durante il giorno non aveva mai dormito in tutta la sua vita all’improvviso si sentiva più stanca che mai. La strega poggiò il viso sul cuscino lasciandosi accarezzare la guancia dalla federa di seta che il suo fidanzato definiva “il più grande spreco di denaro mai contemplato dall’uomo” e dando le spalle alla porta della camera mentre le note distanti della composizione che Joël stava eseguendo al pianoforte in soggiorno la cullavano dolcemente.
Stava quasi per addormentarsi, crogiolandosi in quella piacevole sensazione di quiete che di rado si concedeva di provare, quando la musica smise di solleticarle l’udito: Joël aveva abbandonato il pianoforte per controllare che non le servisse nulla, e un attimo il mago si affacciò nella stanza senza far rumore grazie all’anta lasciata semi-aperta. Quando vide la fidanzata raggomitolata sotto il lenzuolo dando le spalle all’uscio istintivamente si avvicinò al letto muovendosi il più silenziosamente possibile, limitandosi a depositare una carezza sulla testa di Salem quando il gatto, percepita la sua presenza, socchiuse un occhio verde per dargli una sbirciatina; raggiunto il letto Joël si prese un paio di secondi per contemplare la fidanzata cercando di capire se stesse dormendo o meno, sollevato nel vederla riposarsi. Le labbra del musicista si erano appena distese in un lieve accenno di sorriso quando Sabrina si mosse leggermente sul materasso e dischiuse pigramente le palpebre per guardarlo, accennando un sorriso di rimando mentre sollevava un braccio per invitare il fidanzato a prenderle la mano.
“Se vuoi dormire smetto di suonare, se ti disturbo. O vuoi che chiuda la porta?”, domandò Joël cercando di non suonare affatto apprensivo o appiccicoso mentre accarezzava il dorso della mano della donna con il pollice, guardandola scuotere il capo prima di tornare a chiudere gli occhi e posare il viso contro la morbida federa del cuscino.
“No, lasciala aperta. E non smettere di suonare, mi piace sentirti.”
“Vuoi ascoltare qualcosa in particolare?”
“Für Elise.”, rispose la strega dopo una breve riflessione e senza aprire gli occhi, vicinissima a farsi stringere dall’abbraccio di Morfeo.
Joël annuì e mormorò un assenso prima di invitarla a dormire e allontanarsi silenziosamente dal letto, diretto in soggiorno per rimettersi al pianoforte ed esaudire la richiesta della fidanzata. Era quasi fuori dalla porta quando Sabrina lo chiamò, portandolo a ruotare su se stesso stringendo il pomelo dorato di una delle due ante della porta bianca: la strega si era sollevata mettendosi a sedere sul materasso, ma prima che il fidanzato potesse rimproverarla affettuosamente lei gli sorrise, grata e profondamente felice di averlo accanto:
“Grazie per la musica.”
Joël non rispose, ma ricambiò il sorriso e le mandò un bacio; poi uscì dalla stanza e attraversò il corridoio per tornare a sedersi davanti al pianoforte ed eseguire a memoria uno dei brani prediletti dalla persona che più amava al mondo.
 

*


“Penso sia uno dei regali migliori che tu mi abbia mai fatto.”
Joël si fece cadere mollemente all’indietro atterrando sull’altissimo e comodissimo materasso del letto matrimoniale dove lui e Sabrina avrebbero trascorso le due notti successive, contemplando sereno il soffitto spiovente di legno mentre la fidanzata, in piedi davanti ad una cassettiera e impegnata a togliersi i gioielli, lo guardava divertita attraverso il riflesso dello specchio ovale:
“Non pensavo che ti piacesse così tanto la montagna.”
“Non particolarmente, ma con la neve è tutta un’altra storia. Anche se continuerò in ogni caso ad essere insofferente verso questi postacci pieni di ricconi, non ti illudere.”
Verbier rappresentava più o meno tutto ciò che Joël detestava di un mondo di cui non si sarebbe mai sentito parte, esattamente quello che avrebbe potuto permettersi con il suo denaro e che i suoi genitori avrebbero per lui agognato: lusso, ostentazione, privilegio e ancora lusso, ma persino il suo lato più scettico doveva ammettere che quelle baite e quel panorama meritavano la gente odiosa con cui doveva condividere le piste per fare snowboard. E poi Sabrina in tuta da sci era una gioia per gli occhi.
Sabrina ridacchiò mentre dopo essersi sfilata gli orecchini – avevano cenato loro due soli al pian terreno della baita, per quale motivo si fosse agghindata di tutto punto invece di mangiare in pigiama era una delle tante cose che Joël non avrebbe mai compreso della fidanzata – dava le spalle al mobile per avvicinarsi al letto, sfilandosi con due semplici movimenti delle caviglie sottili le slingback col tacco alto di vernice borgogna mentre il fidanzato sollevava leggermente il busto fissando i gomiti sul sofficissimo piumino bianco simile ad una nuvola, giusto per guardarla di rimando mentre la strega gli prendeva delicatamente il viso tra le mani.
“Siamo noi la gente ricca, carino.”
“Rimangiatelo subito!” Joël sgranò inorridito gli occhi blu e fece del suo meglio per fingersi offeso, ma finì col ridere piano quando Sabrina, sorridendo a sua volta, prese a cospargerli il volto con piccoli baci sfiorandogli la pelle con un tocco delicato e appena percettibile.
“Non sei felice di essere qui solo per la neve, confessa.”, asserì la strega mentre sedeva accanto al fidanzato sul bordo dell’ampio materasso sprofondando nel copriletto, raccogliendo e incrociando con grazia le lunghe gambe contro il corpo mentre accarezzava delicatamente i lisci capelli castani di Joël. Lui al contrario sorrise, visibilmente compiaciuto mentre annuiva:
“Certo che no. Ho gradito questo regalo di San Valentino perché così sei lontana dal lavoro.”
“Pur di farti felice ho lasciato Silas con la sola supervisione di Michel e Pierre, pensa quanto devi amarmi.”
“Come darti torto. Sono talmente meraviglioso.”
Sabrina reagì colpendolo piano sul braccio, falsamente esasperata mentre il musicista, sempre con il suo immancabile sorrisino sghembo sulle labbra, ammiccava prima di alzarsi dal letto con un colpo di reni.
“Il mio regalo non è altrettanto meraviglioso, ma penso che ti piacerà comunque.”
“Strano, pensavo stessi per dire che il vero regalo sei tu. Stamani pensavo di svegliarmi e di trovarti con un fiocco in testa.”
“Il fiocco gigante l’ho visto su Amazon, ma lo tengo per Natale.” Joël si diresse verso il comodino che affiancava il suo lato del letto, talmente serio da impedire a Sabrina di intuire se il suo fosse sarcasmo o meno. Lo avrebbe capito solo a Natale, si arrese la donna mentre guardava il fidanzato tornare e porgerle un pacchetto incartato impeccabilmente, avvolto da una sottile e lucida carta color avorio e un nastro dorato.
Dopo averlo ringraziato scoccandogli un bacio su una guancia Sabrina strappò delicatamente l’involucro di carta, sorridendo d’istinto quando lesse il nome impresso sulla scatola bianca che si ritrovò tra le mani. Joël tornò a sedersi accanto a lei mentre la fidanzata sollevava il coperchio della scatola, e un sorriso allargò le labbra del musicista quando vide la gioia farsi strada sul bellissimo viso di Sabrina e la sentì sospirare piano:
L’Interdit. Il profumo di Audrey.”
“Non riuscivo a scegliere tra quello classico e quello rosso, quindi ho preso tutti e due. Spero che ti piacciano.”
“Li adoro. Hubert de Givenchy lo fece creare apposta per lei.” Sabrina prese delicatamente una delle due boccette e la sollevò, studiandone brevemente il pallido liquido rosato sotto la luce prima di tornare a rivolgersi al fidanzato a donargli un sorriso, ringraziandolo prima di sporgersi verso di lui e baciarlo. Quando le loro labbra si staccarono i loro visi rimasero comunque a pochi centimetri di distanza l’uno dall’altro, e Joël si prese qualche istante per contemplare i grandi e profondi occhi scuri di Sabrina mentre lei gli accarezzava il retro del collo con la punta delle dita. Avrebbe potuto restare lì seduto a guardarla per un lasso di tempo quasi interminabile, ma decise di interrompere la magia dopo pochi istanti sfoderando il sorrisino che la fidanzata ormai conosceva fin troppo bene:
Domani posso sfottere i ricconi tedeschi che non sanno andare sullo snowboard?”
“Basta che lo fai di nascosto, come facciamo io e Michel all’Hotel.”
 
*

 
“Bambini, andate a lavarvi le mani e venite a sedervi.”
Dopo aver finito di disporre i piatti sulle tovagliette che ricoprivano parte del tavolo da pranzo di marmo Sabrina aprì il primo dei quattro cartoni di pizza impilati uno sopra l’altro che un fattorino le aveva appena consegnato, gettando un’occhiata scettica alla cascata di patatine fritte che ricoprivano la pizza prima di passare a studiare i bambini: mentre intonava una canzone Disney dietro l’altra Joël aveva fatto sedere Adriel e Ariel sul pianoforte e i due bambini, rispettivamente di sei e quattro anni, ridacchiavano mentre pigiavano tasti a caso con le manine intralciando il movimento delle dita del pianista.
“Sentito la zia? Forza, andate in bagno, vi ho già sistemato lo sgabellino davanti al lavabo.”
Essendo perfettamente consapevole di quanto far attendere la fidanzata non fosse una buona idea Joël si alzò con un sorriso dall’ottomana e sollevò uno dopo l’altro i bambini per rimetterli con i piedi sul pavimento, dando una leggerissima e giocosa spintarella sulla schiena della più piccola, sul cui visino angelico brillavano un paio di splendidi occhi grigio-azzurri ereditati dalla madre, per indirizzarla verso il corridoio. Vedendo i bambini, entrambi con un paio di calzini antiscivolo colorati con motivi di animali ai piedi, sfrecciare verso il bagno per andare a lavarsi le mani Joël poté voltarsi in direzione della cucina giusto in tempo per vedere la fidanzata impiattare le pizze – ci aveva provato a fargliela mangiare dal cartone, ma non c’era stato verso –, incantare una rotella per tagliare quelle dei bambini e rubare una patatina dal mucchio che ricopriva quella di Adriel.
“Ma guarda un po’, Sabrina St John, ti stai fregando le patatine di Adriel!”
“Io volevo fargli mangiare qualcosa di sano, sei tu che come sempre hai deciso di fargli fare quello che vogliono… Lo faccio per lui, così mangia meno grassi.” Sabrina fece spallucce mentre prendeva un’altra patatina e le vocine dei due nipotini echeggiavano dal bagno in fondo al corridoio, dando ad entrambi l’impressione che si stessero schizzando a vicenda dell’acqua addosso.
“Certo, come no.” Joël imitò la fidanzata raccogliendo una patatina dalla pizza di Ariel, sbuffando torvo e fulminandola con lo sguardo quando Sabrina gli disse di piantarla e gli assestò un colpetto sul dorso della mano:
“Tu puoi rubare e io no, scusa?! Tanto ne avanzano sempre metà, sono piccoli per mangiare una pizza intera!”
“Io ho famissima!”, annunciò Ariel mentre correva verso il tavolo, avvolta dall’adorabile tutina rosa a cuoricini che Sabrina le aveva messo prima di cena: di certo il vestitino di Chanel che Anjali le aveva infilato prima di portare i figli a casa degli amici non avrebbe fatto una bella fine davanti ad una pizza piena di mozzarella e salsa di pomodoro. Quando Sabrina aveva cambiato la figlioccia prima di cena Joël aveva scoccato due baci sulle guance della bambina assicurandole che fosse la più bella che avesse mai visto, e Ariel era diventata dello stesso colore dei cuori che ornavano la sua minuscola felpa.
“Anche io! Dopo possiamo il dolce?” Adriel prese posto accanto alla sorella minore sfoderando un sorriso amabile e puntando gli imploranti occhi scuri sulla migliore amica di sua madre, che gli allacciò prontamente un bagaglino attorno al collo e liquidò il discorso con un rapido gesto della mano prima di fare altrettanto con la sorellina, che aveva già agguantato famelica un paio di patatine.
“Prima la pizza, poi se vi avanza posto vediamo. Aspetta amore, ti lego i capelli così non li sporchi.” Dopo aver allacciato il bavaglino attorno al collo di Ariel Sabrina indugiò alle spalle della piccola per farle un codino e non rischiare che i lucenti capelli scuri le si riempissero di sale e pomodoro, linciando Joeel con lo sguardo quando il fidanzato prese a tagliare la sua pizza rivolgendole uno strafottente sorriso smagliante:
C’è sempre posto per il dolce!”
C’era anche posto per farlo dormire nella stanza degli ospiti, così che i bambini dormissero con lei nella loro camera, avrebbe voluto fargli notare Sabrina. Ma non lo fece, in parte perché i bambini stavano già esultando e in parte perché ne aveva le tasche piene di fare perennemente il poliziotto cattivo quando si trattava dei figli di Anjali e Alphard.
 

*

 
Quando la sua migliore amica le chiedeva se potesse lasciarle i figli Sabrina non si tirava mai indietro, e quando Anjali e Alphard dovettero volare a Londra per un assolato weekend di giugno la strega si prese due interi giorni di pausa dall’Hotel per stare con i suoi tre bambini preferiti, nonché, era solita ripetersi, gli unici nipoti che avrebbe mai avuto: in famiglia si riponevano scarse aspettative nell’intenzione di Silas di procreare, ma a riguardo la strega si sentiva in parte sollevata.
Lei e Joël avevano fatto salire Adriel, Ariel e la piccola Adhara, l’ultima aggiunta di soli otto mesi della famiglia Vostokoff, all’interno della sua amatissima Alfa Romeo bianca dopo aver, come sempre, perso una discreta quantità di tempo per allacciare prima i seggiolini ai sedili e poi i bambini ai seggiolini, e poi erano sfrecciati tutti insieme verso le spiagge di Nizza, Joël divertendosi a fare il solletico e a cantare con Adriel e Ariel.
 
Un’ora dopo tutti e tre i bambini erano stati generosamente cosparsi di crema solare e muniti di cappellini, e dopo aver fatto il bagno con la supervisione di Joël Ariel e Adriel avevano iniziato a costruire delle fortificazioni con i sassi della spiaggia, le minuscole scarpine colorate per non ferirsi o scivolare ai piedi. Mentre i due bambini giocavano e discutevano, talvolta parlando in lingue conosciute agli “zii”, accanto alle loro sdraio Joël si era disteso a prendere il sole leggendo un libro, rilassandosi e godendosi l’inizio dell’estate mentre Sabrina, seduta sul lettino bianco accanto, spalmava un secondo strato di crema sulle braccine della piccola Adhara.
“Non serve che la mummifichi Sabrina.”, osservò distrattamente Joël senza nemmeno alzare lo sguardo dal libro, gli occhi blu schermati dalle lenti degli occhiali scuri mentre la piacevole brezza marina gli solleticava i capelli e i raggi del sole gli scaldavano la pelle che presto si sarebbe fatta molto abbronzata. Sabrina invece sbuffò, assicurandosi di aver fissato per bene il minuscolo cappellino blu sulla testa della bimba prima di sollevarla e metterla a sedere sulla piscinetta colorata piena di giochi e un po’ di acqua che si trovava in mezzo ai due lettini.  
“È piccola, non deve prendere il sole. Ecco cucciola, stai nella piscinetta, così ti rinfreschi.”
La strega posò la bimba nel bel mezzo della piscinetta, sorridendo con affetto quando Adhara sembrò apprezzare prendendo a battere le manine pallide sulla superficie dell’acqua. Invece di mettersi supina sul lettino Sabrina rimase seduta stringendosi le ginocchia, supervisionando Ariel e Adriel e i loro “lavori edili” mentre respirava la tanto amata aria salmastra.
“Sono adorabili.”, disse infine la strega dopo qualche minuto di silenzio, osservando con affetto i bambini giocare attraverso le lenti scuri degli occhiali mentre Joël girava pagina annuendo distrattamente:
“Lo sono. Non fraintendermi, gli avrei voluto bene comunque, ma visto quanto sono ricchi è bello che non siano degli insopportabili marmocchi viziati.”
“No, Anjali non è quel tipo di madre.”
Joël assentì con un cenno del capo e tornò a leggere allungando una mano verso il lettino di Sabrina, invitando la fidanzata a stringerla. Per un po’ non parlarono e gli unici suoni a disturbare la lettura del musicista furono il fragore delle onde e lo stridio delle voci che animavano la spiaggia, ma dopo qualche minuto il francese distolse brevemente l’attenzione dal suo libro per gettare un’occhiata in direzione della fidanzata: Joël ebbe la sensazione di sentire un peso scivolargli e affondargli nello stomaco quando intuì, anche se lo sguardo di Sabrina era schermato dagli occhiali scuri, la natura dei pensieri di cui la donna era preda.
“Vieni qui.”
Una parte di Sabrina avrebbe voluto restare ferma sul suo lettino e assicurargli di non aver bisogno né di un abbraccio né di rassicurazioni, una necessità che la faceva sentire insicura e debole come una ragazzina. Eppure si alzò mettendo a tacere quelle voci, raggiungendo il fidanzato sul suo lettino per consentirgli di abbracciarla e depositarle un bacio sulla tempia prima di mormorarle qualcosa disegnando cerchi concentrici sul suo addome usando la punta dell’indice.
“Vedi, non serve che sforniamo dei pargoli, ci hanno pensato Anjali e Alphard. Magari ne faranno altri sei e noi faremo da babysitter fino alla vecchiaia, chi può saperlo.”, le disse tenendo le labbra premute contro la sua tempia e destando irrimediabilmente un sorriso sulle labbra della strega facendole provare, come accadeva pressochè ogni giorno, immensa gratitudine per il solo fatto di averlo nella sua vita accettando condizioni più complicate rispetto a quelle previste da una relazione con una persona in perfetta salute.
Sabrina non aveva mai provato l’impellente desiderio di diventare madre, ma la consapevolezza di non poterne avere, o meglio averne con il 50% di possibilità di trasmettere la sua malattia, era una questione diversa. Soprattutto lo era la consapevolezza di costringere, stando insieme a lei, Joël a non averne a sua volta.
C’era stato un momento in cui aveva pensato che un giorno avrebbero sempre potuto adottarne uno, ma aveva scartato in fretta quell’idea quando una sera, tra le lacrime, aveva confidato al fidanzato di non voler vivere la responsabilità di essere madre in ogni caso: le sue aspettative di vita non erano poi così limitate, ma d’altro canto sapeva anche fin troppo bene di poter venire a mancare in ogni momento. Era già difficile vivere con quella consapevolezza sapendo che avrebbe potuto lasciare Joël solo a piangerla, non voleva rischiare che accadesse anche ad un bambino.
Non fraintendermi, adoro i bambini… Ma non vivo il diventare padre come un obbiettivo da raggiungere a tutti i costi per sentire che la mia vita è completa. E poi siamo in 8 cazzo di miliardi su questo pianeta, direi che ce ne sono tanti di bambini da sfamare in giro.”
Così le aveva detto, e Sabrina aveva riso per la sua schiettezza, lì seduta sul loro divano. Poi lo aveva abbracciato e baciato con gli occhi ancora lucidi, grata per la fortuna che aveva avuto nel trovarlo.
“Ziaaa, possiamo il gelato?!”
La voce acuta di Ariel riportò entrambi al presente, e Sabrina si affrettò ad annuire mentre scivolava dalla stretta di Joël mettendosi a sedere sul lettino, abbozzando un sorriso affettuoso ai due fratelli mentre si alzava per infilare le infradito ai piedi e prenderli entrambi per mani:
“Certo. Anche due. Joël, controlla Adhara per favore.”
Mentre la fidanzata andava alla ricerca della propria borsa per recuperare il portafoglio con Ariel e Adriel al seguito Joël annuì, si mise a sedere sul lettino e si stiracchiò prima di chinarsi per raccogliere Adhara dalla piscinetta e sorridere beffardo:
“Ottimo, aspettavo solo che te ne andassi, ora posso dare fondo al piano che ho escogitato anni fa e scambiare la bambina con un cammello.”
“A me piacerebbe un cammello.”, osservò pensoso Adriel mentre si incamminava insieme a Sabrina e alla sorella verso il chiosco tenendo per mano la migliore amica di sua madre; Ariel al contrario ci tenne a far sapere quanto le sarebbe piaciuto un canguro, ma Sabrina mise rapidamente a tacere le speranze di entrambi assicurando che fosse impossibile scambiare una sorella per un quadrupede.
Non bisognava certo prendere sul serio tutto quello che diceva lo zio.
 

*
 


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Per tutta la vita Sabrina St John sarebbe stata pronta ad assicurare a chiunque glielo avesse chiesto che no, mai si sarebbe sposata. E per tutta la vita lo stesso aveva affermato prontamente anche Joël Moyal.
Che cosa ci facessero allora in piedi uno di fronte all’altra, sulla spiaggia, lei avvolta da un lungo vestito bianco fluttuante agitato dalla brezza, dei fiori di un pallidissimo rosa tra i capelli e lui con una camicia addosso, le mani strette le une nelle altre, entrambi avrebbero trovato difficile dirlo solo poco tempo prima.
Il sole stava tramontando stagliandosi sul confine orizzontale del Mediterraneo, dipingendo acqua e spiaggia di rosa e d’arancione mentre i corti capelli scuri di Sabrina le si agitavano attorno al viso, rendendole più arduo del previsto infilare il sottile anello d’oro al dito di Joël. La strega rise quando il fidanzato l’aiutò posandole la mano destra sul capo, tenendole lontani i capelli dal viso abbronzato e sorridendole di rimando, gli occhi blu colpiti dalla calda luce del tramonto.
Joël non riusciva a crederci, di essere sul punto di sposarsi, mentre imitava Sabrina facendole scivolare la fede attorno all’indice affusolato. Eppure era stato lui a proporle di farlo due giorni prima, quando la sveglia era appena suonata ed entrambi ancora non erano scivolati fuori dal letto. Era stato lui a dirle di mettersi un vestito bianco e di andare a sposarsi sulla spiaggia, sarebbe bastato prendere qualche candela, qualche lanterna, qualche fiore. Al massimo pagare uno sproposito per un arco ricoperto da rampicanti, se ci teneva ad averne uno.
Naturalmente per sposarsi servivano dei testimoni, e Anjali aveva gridato al telefono prima di lasciare marito e figli e comprare un biglietto aereo per Nizza: la svizzera era corsa all’aeroporto con una valigia minuscola contenente solo un vestito, scarpe e gioielli, viaggiando più leggera di quanto non avesse mai fatto in tutta la sua vita. Silas invece dormiva, e la telefonata lo aveva svegliato. Aveva risposto chiedendo alla sorella cosa volesse all’alba delle 9 del suo giorno libero e poi il telefono gli era caduto dalle mani.
Si sarebbero anche sposati lì da soli sulla spiaggia, ma essendo il fratello della sposa incapace di tenere un segreto si erano infine presentati anche Michel, Pierre, Gideon e Sandrine, quest’ultima lamentando il preavviso inesistente che le aveva negato la possibilità di pensare ad un bel regalo di nozze per la sua unica figlia. Stavano tutti seduti su delle sedie pieghevoli bianche, in mezzo a lanterne e candele fluttuanti, e mentre Anjali si soffiava il naso singhiozzando per la commozione, Silas cercava con tutto se stesso di non imitarla e il violino appartenuto ad Alfred Moyal eseguiva La vie en rose Sabrina e Joël si baciarono, stagliandosi contro il tramonto e incuranti di chi e cosa li circondava.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Che dire, ci ho messo solo un anno per scrivere e pubblicare questa OS, ma non potevo assolutamente lasciare Joël e Sabrina senza un approfondimento degno di questo nome su quella che sarebbe stata la loro vita futura dopo la fine dell’Hotel e anche se in ritardo sono felice di esserci finalmente riuscita, non ho mai smesso di amare questa coppia❤️
Nei paragrafi conclusivi si fa ampiamente cenno ai figli di Alphard e Anjali, e infatti mi metterò al più presto all’opera (mille capitoli da scrivere permettendo, vi prego abbiate pazienza) per scrivere una OS anche per la royal family delle mie storie, invito caldamente Sesy e Bea a non perdere le speranze a riguardo, anche se per quando l’avrò pubblicata dovessi avere le sembianze di Rose alla fine di Titanic. Li abbiamo lasciati in luna di miele dopo essersi sposati e da lì ho intenzione di riprendere il filo per poterli mostrare anche nelle vesti di genitori.
Ora scappo perché ho i minuti contati, ma grazie a chi dovesse aver letto, spero che la OS vi sia piaciuta, e ovviamente GRAZIE ad Em per Joël, per il lieto fine che Sabrina si meritava di avere🤍
Signorina Granger
   
 
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