Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
Ricorda la storia  |      
Autore: Greenleaf    26/02/2024    5 recensioni
Intelligente, austero e granitico, Erwin Smith è il comandante che tutti chiamano demone. Ma anche il più spietato soldato ha un cuore e delle priorità che nessuno potrà mai comprendere.
E quando fuori dalle mura sorprende un suo sottoposto intento a fare qualcosa per una persona a lui cara, non lo rimprovererà, anzi, prenderà a cuore il suo progetto. Perché un demone può provare dei sentimenti, anche se nessuno lo direbbe.
[Terza classificata al "Rabbit Lunar Year Contest" indetto da Spoocky sul Forum di EFP]
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Erwin Smith
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
 
Disclaimer: Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Hajime Isayama; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.
 
 
 
 
 
 
Il demone dal cuore spezzato
 

 
 
Il vento soffiava sulle chiome degli alberi, spostando lo strato di nebbia grigiastra che rivelava una distesa infinita di verde smeraldo. Erwin abbracciò con lo sguardo il paesaggio. Apprezzò intimamente il cielo azzurro e le nuvole che parevano galleggiare sopra di lui. Una calda sensazione gli scivolò lungo la schiena, nonostante le urla di Hanji che ancora gli rimbombavano nella testa.
Era sempre la stessa storia con lei e si ripeteva ogni volta che lasciavano le mura: voleva catturare un gigante e non sentiva ragioni. Motivo per cui Erwin, doveva puntualmente riprenderla e spesso lasciarla con il broncio.
Sbuffò, pizzicandosi il ponte del naso, mentre avanzava lungo la stradina sterrata. I soldati, ignorandolo, correvano da una parte all’altra dell’accampamento provvisorio. L’aria si riempì di voci, di fischi, di lamenti e imprecazioni che Erwin decise di ignorare. Preferì invece organizzare in fretta la formazione per tornare indietro, così da poter viaggiare coperti dalle ombre dense del crepuscolo.
“Avete finito con i rifornimenti?” La sua voce catturò l’attenzione dei cadetti che si voltarono dedicandogli sguardi incerti.
“Ancora no.”
“Dobbiamo preparare i cavalli.”
“Non abbiamo tempo, affrettatevi!” I suoi occhi corsero sui mantelli color muschio, su cui erano raffigurate le ali incrociate blu e bianche. Si voltò per tornare nel suo padiglione, pensando velocemente alle mappe che aveva lasciato sul tavolo.
Uno squittio sommesso lo bloccò sul posto. Corrugò le sopracciglia, irrigidì la mascella e, palesemente sconcertato, cercò tra la sterpaglia il proprietario di quel suono.
Seduto su una pietra conficcata al terreno, trovò Oluo che stringeva tra le mani un taccuino e una matita. Qualunque cosa stesse facendo era molto concentrato. Erwin notò che adagiato sull’erbetta vi era un piccolo coniglio. Anzi, un batuffolo bianco dal pelo sofficissimo, il naso rosa e le orecchie tese all’insù. La zampetta rimbalzava pigramente graffiando il suolo, rivelando così una macchiolina color burro sulla parte bassa della schiena. Era molto piccolo, così indifeso che Erwin avvertì una fitta al petto. Non era abituato a contemplare spettacoli come quello. In realtà, la guerra contro i giganti, aveva indurito la sua pelle e il suo cuore. Ma in momenti simili, in cui l’innocenza del mondo si rivelava ai suoi occhi, cogliendolo di sorpresa, non poteva fare a meno di sentirsi sopraffatto.
Erwin, si avvicinò al soldato. I suoi occhi correvano dalle linee scure sul foglio di Oluo al coniglietto a terra.
Petra, che era lì vicino, intercettò l’occhiata del comandate e timorosa strattonò il compagno temendo il peggio. “Pensi ancora a disegnare? Non hai sentito gli ordini di Erwin?” Chiese solerte la ragazza. “Dobbiamo fare presto!”
“L’ho sentito. Se gridi vicino al mio orecchio in quel modo, rischierò di non sentire più nulla.” Con un gesto della mano congedò l’amica, ricordando a Erwin le strane pose che ogni tanto Levi sfoggiava in sua presenza.
Fissò il coniglietto che adesso stava giocando con le campanule sopra le orecchie pelose. L’ombra di Erwin coprì il foglio bianco a cui dedicò un’occhiata veloce. Si chinò e posò la mano sulla spalla del soldato.
“Hai fatto rifornimento di gas?”
Oluo trasalì e lo guardò da oltre una spalla. “Sì, tutto fatto.”
“Bene.”
Petra protese la mano con un finto sorriso disteso sulle labbra. “Mi dispiace comandante, stavamo giusto raggiungendo gli altri. Vero Oluo?” Quando rivolse gli occhi al compagno, il suo tono divenne duro.
“Un momento.” Oluo invece non sembrava della stessa opinione. La matita scorreva liscia sul foglio, cercando di intrappolare le curve morbide dell’animaletto, la zampetta tesa sull’erba e quell’adorabile nasino. Erwin trattenne un commento sulla punta della lingua. Doveva sollecitare Oluo a fare presto, ma proprio non ci riusciva. La passione che lo animava, il modo in cui i suoi occhi catturavano i movimenti del coniglio e, persino la gocciolina di sudore che gli imperlava la fronte, avevano fatto incuriosire il comandante.
“Sembra che sia importante per te.” Decretò.
Un sospiro fu l’unica risposta che ottenne. “Non sembra, lo è comandante.” Si affrettò a scivolare la punta scura avanti e indietro sul foglio. Sotto gli occhi di Erwin, quel coniglio prendeva vita e la cosa gli sembrò così naturale quanto straordinaria.
“Perché?” Gli chiese interessato.
“Ci sono due motivi…” Le parole gli morirono in bocca non appena vide il coniglio alzare la testa per squadrarli. “Motivo numero uno: devo finire prima che quella palla di pelo fugga via. Motivo numero due: è il regalo per il compleanno della mia sorellina.”
“Capisco.”
“È una birbantella, mi odierebbe se non le portassi qualcosa. In realtà, mi aveva chiesto di tornare con un coniglio, vero s’intende, ma non lo farei mai. A mia madre prenderebbe un colpo se mi vedesse con un altro animale.” Oluo scosse la testa, una risata proruppe dalle sue labbra. “Non li sopporta. Mia sorella, invece, li adora.”
L’angolo delle labbra di Erwin si tese in un sorriso. Anche lui da piccolo avrebbe voluto avere un coniglio tutto per sé. Purtroppo non era stato possibile. Eppure, ricordava con quanto entusiasmo ogni volta aveva espresso quel desiderio al padre.
Oluo, strappò Erwin dai suoi pensieri, picchiettando la punta della matita sul taccuino. “Con questo mi guadagnerò un gran bell’abbraccio e renderò felice mia sorella,” Un’ombra gli offuscò lo sguardo. “In caso non ci fosse un domani, per me.”
Il comandante sbatté le palpebre, avvertendo una stilettata al cuore. Quelle parole erano state tanto amare quanto vere. I componenti del gruppo di ricerca non avevano certezze. La loro vita, era come appesa a quei fili che usavano per arrampicarsi sugli alberi, ignari della sorte che li attendeva una volta usciti dalle mura. Corrugò la fronte, abbassò il mento e considerò brevemente l’ultima volta che anche lui aveva dedicato un po' del suo tempo per rendere felice qualcuno. Ma non gli tornò nulla in mente. I suoi uomini, in fin dei conti, lo consideravano un demone, questo perché non avevano idea del peso che gravava sul suo cuore.
Gli occhietti vispi del coniglio, sembrarono leggergli dentro e stranamente lo rincuorarono. Quella nube di tristezza che lo aveva avvolto si diradò veloce così come era apparsa. 
D’un tratto, il terreno vibrò impercettibilmente sotto i suoi stivali.
Un movimento che allarmò Erwin così tanto da costringerlo a spostare gli occhi sulla fitta boscaglia. Non si vedeva nulla, a parte colonne ordinate di tronchi.
Quel senso di pace svanì sotto le urla disperate provenienti da dietro le sue spalle. A Erwin sembrò come se l’avessero gettato all’improvviso dentro una fossa. Infatti, non era un posto per scambiare quattro chiacchiere tra amici. Non era neppure un posto per conigli. Quello era un campo di battaglia. Il fumo rosso e vivido che rigò il cielo azzurro riportò il comandante alla realtà.
Dalle tenebre emerse il nemico. Era un classe otto metri, il suo aspetto era molto somigliante agli uomini.
Quando Erwin abbassò le palpebre, il coniglio bianco era scappato e, a suo posto, era apparso il gigante dall’aspetto rabbioso, i denti aguzzi, gli occhi iniettati di sangue e i capelli secchi come stoppa. Le mani nodose stritolarono un albero fino a spezzarlo.
Oluo scattò in piedi. Le dita corsero in fretta alle spade che aveva ai fianchi e il taccuino precipitò a terra insieme alla matita. I soldati balzarono avanti con le lame sguainate, pestarono il foglio e lo affondarono nella terra viscida e scura.
Erwin provò sconforto, rabbia, indignazione. Un momento così puro era stato contaminato per l’ennesima volta da quegli esseri spietati. La parte più innocente di lui, quella che aveva rinchiuso dentro un cassetto della sua anima, emerse ferita alla vista di quel disegno schiacciato.
Serrò le palpebre e ispirò profondamente prima di concedersi alla battaglia.
“Soldati combattete!” Li incitò sollevando la spada. “Arrampicatevi sugli alberi. Non permettete al gigante di raggiungere i cavalli.” Spostò la testa più volte per osservare i suoi uomini sollevarsi come tanti burattini di legno, poi si affrettò a seguirli. Avanzò spietato. Inflisse al braccio del gigante un colpo preciso, recise la mano dal polso, facendola precipitare a terra con un tonfo secco. Il sangue schizzò sull’uniforme di Erwin, ma non macchiò di certo il suo coraggio. Infatti, si era arrampicato su uno dei rami più alti grazie al dispositivo di movimento tridimensionale. Arpionò il collo scoperto del nemico e librò nel vuoto come il più spietato dei predatori. La sua lama fendette l’aria per poi affondare nelle carni della creatura, uccidendola.
Affannato per via dello scontro, osservò il fumo levarsi in aria.
L’odore rancido gli punse le narici. Trattenne il respiro e voltò la testa scoprendo altri giganti a terra.
Scivolò giù solo dopo aver lanciato un’occhiata approfondita al sottobosco, con il cuore che batteva forte contro la cassa toracica.
“Erwin.” La voce calda di Levi gli giunse ovattata dal fruscìo degli alberi. Il capitano avanzò fiero mentre con un panno ripuliva la lama insanguinata. Si fermò, puntando gli occhi dentro quelli di Erwin. “La Quattrocchi di merda ha attirato quei tre giganti.” Lo informò stizzito.
Con un sospiro profondo Erwin chinò il capo. “Dovevo prevederlo.” Cercò tra gli occhi spaventati dei soldati il volto familiare di Hanji. La trovò piegata a terra a piangere su uno dei giganti. Scosse la testa e, invece di raggiungerla, girò i tacchi e seguì la fioca luce che sbucava dai rami.
Con espressione impenetrabile ripose la spada nella fondina e voltò di poco la faccia. “Tornate a occuparvi dei rifornimenti; partiamo al tramonto.” Strinse i pugni, le nocche divennero bianche. Superò i tronchi e tornò all’accampamento.
Gli occhi fissavano la punta degli stivali e l’erbetta che cedeva sotto il suo passo, quando d’un tratto, dalla terra, sbucò l’angolo spiegazzato del taccuino di Oluo. Si chinò per recuperarlo, accorgendosi che non c’era molto da fare per quel disegno.
Il vento gli scompigliò il ciuffo biondo e scosse il foglio tra le sue mani. Sembrò che il coniglio intrappolato nella pagina si stesse agitando come se avesse vita propria. Pensiero sciocco, che riuscì a strappargli un sorriso. Staccò il foglio dal taccuino e lo ripose nella tasca interna della giacca, senza un motivo preciso.
Lui era un demone.
Un demone, non doveva mostrarsi così fragile davanti a uno stupido ritratto.
Eppure, Erwin, non sentiva suo il nomignolo che gli avevano appioppato.
Certo, la guerra lo aveva inevitabilmente trasformato. Ma nel profondo del suo cuore, custodiva ancora il ricordo del bambino che desiderava solo ricevere un coniglio.


 
Sarebbe stato molto più facile per lui realizzare un nuovo disegno, senza seguire lo schizzo confuso di Oluo. Invece, dopo averlo ripulito con un pennello, decise di appiattire per bene le increspature. Lo lasciò sul piano, schiacciato da due tomi pesanti, così da rendere la superficie quanto più liscia possibile.
Cercò nel ripostiglio, tra i vecchi scaffali impolverati, gli scatoloni in cui erano stati riposti gli strumenti da lavoro del padre. Ignorò il groppo in gola che si formò appena le dita callose si spostarono sui vecchi libri di scuola. Con dolore scacciò subito dalla sua mente l’immagine del maestro che era stato una guida per lui, anche adesso che non c’era più. Estrasse dal fondo di cartone un vecchio astuccio malconcio e tornò in camera sua, sperando di trovare almeno un carboncino.
Si ritenne soddisfatto, quando trovò nel vecchio astuccio: delle penne scheggiate, una gomma, dei pennelli dalla punta sfilacciata e alcuni colori sgargianti. Accese una candela e si accomodò su una sedia.
Allineò i colori con severa precisione e scoprì di avere a disposizione: diciannove acquerelli e trentanove pastelli a olio, custoditi in dei flaconcini di vetro.
Quando si trovò davanti a quelle linee morbide e incomplete, non riuscì a comprendere perché avesse preso la questione così a cuore. Sentiva che lo doveva fare. E voleva farlo, anche perché, in qualche modo la cosa lo quietava, più di un fiasco di vino o delle scommesse a cui era solito prendere parte di tanto in tanto.
Voleva rendere felice qualcuno, ne era capace.
Afferrò il carboncino tra i polpastrelli e fissò la macchiolina di terra sull’orecchio del coniglio. Non cercò di toglierla. Scoprì che quel particolare gli piaceva, così trascinò la punta morbida che aveva tra le dita sul foglio e formò due dischi rotondi per creare gli occhi dell’animale. Nella sua mente permeava ancora l’immagine del piccolo batuffolo appollaiato sull’erbetta, intento ad acciuffare il petalo d’un fiore. Sorrise e tentò di ricreare quell’atmosfera suggestiva aggiungendo qua e là dei ciuffetti d’erba.
Una zampa lo stava facendo dannare. Dopo innumerevoli fallimenti, disegnò due ovali e tracciò delle linee quasi invisibili per realizzare il pelo soffice. Impresa ardua.
Stava creando, con amore e un semplice carboncino, l’immagine più tenera che aveva visto in quegli anni di oscurità.
La punta scorreva come burro sul foglio e il coniglio pareva sempre più reale, quasi fosse pronto ad animarsi e a saltargli sulle spalle. I baffi, le guanciotte paffute, la coda che ricordava tanto una palla di neve, il corpicino grassottello ma delicato allo stesso tempo. Era tutto perfetto. Il suo cuore si gonfiò ed entusiasta alzò il foglio per ammirare l’opera una volta completa. La luce fioca della sera, proiettò tenui colori luminosi sullo schizzo, rendendolo quasi trasparente. Erwin, con uno sguardo più attento, pensò che mancasse qualcosa. Ma cosa?
Se avesse dovuto tenerlo per sé, l’avrebbe incorniciato e appeso al muro. Una bambina, invece, ne sarebbe rimasta felice?
Si grattò la fronte e adagiò il foglio sulla scrivania. Tamburellò le dita sul legno e si mordicchiò le labbra in cerca di una buona idea. Il suo sguardo dardeggiò sugli strumenti per scovare la soluzione migliore. Il vermiglio che scintillava nella boccetta sembrò gridargli di afferrarlo e usarlo, ed ecco che tutto filò liscio come l’olio. Realizzò un fiocco pomposo per adornare il collo del coniglio e, quando fu soddisfatto, posò gli strumenti sul piano.
Sbatté le mani sullo scrittoio e rovesciò la testa all’indietro.
Aveva finito.
Gli occhietti vispi lo fissavano di rimando come se l’immagine che aveva in testa fosse scivolata direttamente dalle sue dita alla carta. Assottigliò le palpebre e prima di alzarsi e tuffarsi nel letto, decise di aggiungere una dedica speciale.
Non per la bambina, ma per il suo soldato.


 
“Mi serve il tuo aiuto.”
Levi, appoggiato allo stipite della porta, con braccia e gambe incrociate, scoccò un’occhiata annoiata a Erwin. Appiattì le labbra e sollevò un sottile sopracciglio.
“Non ne ho più.”
Erwin increspò la fronte. “Cosa?”
“Le pastiglie per aiutarti a cagare. Non ne ho più.”
Si maledisse mentalmente per aver confessato anni addietro quel problema a Levi. Solo lui riusciva a essere così diretto senza mostrarsi minimamente imbarazzato.
“Non sono qui per quelle.”
“No?”
“No, vedi…”
“Non andrò nemmeno dalla Quattrocchi per farle la paternale. Scordatelo!”
“Non è quello.”
Levi serrò la mascella e guardò Erwin come se volesse strappargli i pensieri dalla mente con le sue stesse mani. “Spero che sia qualcosa di importante. Mi stavo concedendo una tazza di tè e non mi va di sentirti brontolare su questioni ufficiose di cui non me ne frega un cazzo.”
“Dovresti accompagnami in un posto.”
“È un ordine?”
“Non proprio.”
“Allora spiegami perché hai quella faccia del cavolo e smettila di fare il misterioso.” La voce di Levi suonò elegante e impertinente allo stesso tempo.
“Vedi…” Estrasse dalla tasca dei pantaloni il disegno che aveva nascosto. Aprì la pagina e la porse al compagno guadagnandosi un’occhiata incuriosita.
“Questo fiocco è grande quanto tutto il coniglio.” Chiosò una volta ammirato il lavoro del comandante.
“Non è questo il punto.”
“No, infatti.” Abbassò il foglio e incrociò lo sguardo di Erwin. “Sentiamo, quale sarebbe il punto?”
“Potresti indicarmi la casa di Oluo?” Fece un cenno con il mento per indicare il disegno che Levi stringeva pigramente tra le dita, allo stesso modo in cui era solito afferrare la sua inseparabile tazza da tè.
“Continuo a non capirci un cazzo!”
Erwin si trattenne dal riprende il compagno. Tanto era inutile spendere una sola parola e invitarlo a parlare educatamente. “Vorrei sapere dove si trova.”
“Frena.” Alzò una mano. “Ho capito che vuoi andare da Oluo, ma non hai ancora detto perché vuoi andarci.”
“Quel disegno è suo, anzi, di sua sorella. L’ho trovato e l’ho completato per lui. Adesso, puoi indicarmi la casa?”
Le sopracciglia di Levi schizzarono fino all’attaccatura dei capelli. Con nuovi occhi guardò il coniglio intrappolato nella pagina. “Già.” Schioccò la lingua con disappunto prima di tornare all’amico. “Hai bevuto.” Non era una domanda ma una dura constatazione.
“No.”
“Vuoi dire che sei sobrio e quindi mi hai consegnato il disegno di un coniglio con la mente lucida?”
“Esatto.” Allargò le spalle e riempì i polmoni d’aria.
Erwin sembrò udire gli ingranaggi girare nella mente di Levi appena quest’ultimo annuì e schiacciò la spalla contro il telaio della porta. “Va bene, ci sto, andiamo!”                    
La giacca di Levi gli fasciava il busto rendendolo più snello di quanto fosse, il foulard bianco, ricordo della madre defunta, gli pendeva dal collo fermandosi al primo bottone della camicia. Erwin lo affiancò avanzando sul ciottolato con una mano in tasca. Non parlarono, forse entrambi erano concentrati ad ascoltare le lamentele dei bambini che si rincorrevano di casa in casa. Uno stormo di uccelli viaggiò sopra le loro teste. Il cielo, quella mattina, sembrava meno irraggiungibile del solito, ma come loro era intrappolato in quella muraglia. Infatti, l’azzurro scintillante sembrava terminare sul bordo di pietra. Ma Erwin sapeva che non era così. Lì fuori, oltre le colline ondulate, c’era un mondo da scoprire e loro presto o tardi l’avrebbero ammirato. Chiunque lo avesse guardato negli occhi in quel momento, avrebbe potuto scorgere il desiderio che li ravvivava, oltre la profonda angoscia che l’aveva spezzato come un tronco fatiscente.
Le casette attaccate sparirono a ogni passo. Alcune persone quando li videro, si affrettarono a nascondersi dietro le finestre, altri gli scoccarono sguardi truci, quasi fossero giganti giunti per banchettare su di loro. Tutto quell’odio sarebbe mai scomparso? Perché continuavano ad additarlo?
Aveva offerto tutto sé stesso per l’umanità.
Inspirò e serrò le labbra in una linea dritta.
Superarono una stradina spianata e raggiunsero una fontana dove l’acqua luccicava sotto il sole come una collana di cristalli preziosi. Gli occhi cerulei di Erwin si aggrapparono a un alberello in lontananza. Viaggiarono fino all’unica casetta presente. Era una dimora umile, dagli intonaci scrostati, un tetto con le travi di legno e un capanno attaccato.
Levi si fermò. “Sappi che da qui in poi ti terrò responsabile di quello che accadrà.”
Erwin dedusse che erano giunti a destinazione. Infatti Oluo si presentò a loro senza essere chiamato. Il ragazzo con i capelli ricci, stringeva tra le mani un cesto di panni puliti. Accorgendosi di loro, bruciò la distanza che li divideva e si fermò proprio sotto l’ombra sfuggente dell’albero.
“A cosa devo questa visita?” Chiese spostando lo sguardo da Erwin a Levi.
“Nulla di preoccupante Oluo.” Il comandante, estrasse dalla tasca il foglio che aveva piegato in quattro parti e lo porse al compagno, senza mutare espressione. “È per te.”
Oluo corrugò la fronte, afferrò il pezzo di carta e con curiosità, ne aprì gli angoli per studiarlo meglio. I suoi occhi si riempirono di meraviglia e come stregati corsero su tutta la pagina, fino a scorgere la dedica che Erwin aveva scritto proprio sotto il disegno. Comprese all’istante che quelle parole erano state dedicate a lui. In fin dei conti, non gli era sfuggita l’espressione di rammarico di Erwin, quando fuori dalle mura, gli aveva rivelato i suoi pensieri. “Non abbatterti mai, dopotutto, domani è un altro giorno.”¹ Lesse palesemente commosso.
“È così Oluo.” La larga mano di Erwin coprì la spalla del soldato. “Sarà un altro giorno, e insieme godremo della vittoria che ci spetta o, come hai detto tu, non ci sarà un domani per noi e crolleremo. Lasceremo questo mondo spezzati dalle fauci di un gigante.” Sia Levi che Oluo strabuzzarono gli occhi.“Ma non sarà così per questa gente. Noi vivremo nel cuore di coloro che abbiamo difeso, non si dimenticheranno del nostro sacrificio. Adesso potranno odiarci, ritenerci folli, ma sono certo che con il tempo ci comprenderanno. Ci onoreranno e così potremmo davvero ritenerci vittoriosi, perché  avremmo la certezza di aver offerto i nostri cuori per donare agli altri un futuro migliore. Un futuro, che noi stessi abbiamo costruito con il sacrificio.” Le spesse sopracciglia si sollevarono e quei due pozzi blu che Erwin aveva a posto degli occhi, scintillarono di quella determinazione che niente e nessuno poteva abbattere.
“Comandante,” Oluo serrò le palpebre. “Questo era il regalo per mia sorella. Non immaginavo che lei avesse potuto prenderlo, custodirlo e addirittura restaurarlo.” Gettò un altro sguardo al coniglio. “Non so che dire. Sono certo che Anna lo adorerà.”
“Adorare cosa?” Dalla porta di frassino sbucò una bambina che poteva avere intorno ai sei anni. I codini pendevano storti sulla testa, indossava una gonnellina rossa e una camicia bianca. Si fermò davanti a Erwin e gli regalò un sorriso sincero.
“Nulla, lascia stare. Non è ancora il tuo compleanno.” Con un movimento repentino Oluo nascose il disegno dentro il suo cappotto.
“Quindi è un regalo di compleanno?”
“Bè…”
Gli occhi scintillanti della bambina si fermarono sul cipiglio duro sul volto di Levi. “Sei pessimo Oluo.” Chiosò quest’ultimo sprofondando entrambe le mani nelle tasche.
“Voglio vedere.” La piccola strinse il tessuto di feltro appartenente alla giacca del fratello.
“Ho detto di no!”
“Suvvia, fammelo vedere, fammelo vedere, fammelo vedere.” Giunse le manine paffutelle e sbatté le palpebre ricordando tanto una cerbiatta. “Ti prego, ti prego, ti prego, fammelo vedere. Fammelo. Vedere.”
“Ti prego, farglielo vedere.” Intervenne Levi più scocciato che entusiasta.
Oluo sospirò, abbassò le ciglia e porse alla piccola il disegno. “Solo perché quel giorno riceverai un altro regalo ma…”
Le manine di Anna afferrano il foglio ed Erwin vide l’esatto momento in cui le pagliuzze dorate nei suoi occhi le scaldarono le iridi. La piccola sgranò la bocca e i suoi lineamenti si addolcirono rendendola ancora più tenera. Chiuse le labbra e inspirò profondamente.
“Sta per vomitare?” Sussurrò Levi non riuscendo a staccare gli occhi dalla sorellina di Oluo.
“No, tutt’altro.” Erwin, in cuor suo stava gioendo per aver fatto nascere un sorriso sul volto di una bambina.
“Oh, ma è bellissimo! Sembra vero, questo nasino è così carino, per non parlare del pelo bianco. Mi viene voglia di accarezzarlo, scommetto che sarà liscio.” I polpastrelli tastarono il foglio raggiungendo la macchiolina vicino alle orecchie. “Ma è sporco di terra?” Scrostò con le unghie la superficie senza ottenere risultati.
“Sì, mi dispiace, non ho potuto fare molto a riguardo.”
Gli occhi nocciola si posarono sul volto di Erwin. “L’hai fatto tu?”
“In realtà…”
“Grazie per avermi pensata!” Aprì le braccia per lanciarsi sulle ginocchia del comandante e schiacciare la guancia contro i pantaloni. Il calore della bambina si insinuò sotto i vestiti, raggiunse la pelle di Erwin che sorrise appena per il gradevole conforto che aveva ricevuto.
Quella piccina non lo considerava un demone.
Eppure, non aveva fatto nulla per meritarsi tanto affetto.
Fu in quel momento che gli affiorarono alla mente le preziose parole di suo padre: “Un cuore non si giudica da quanto ami, ma da quanto riesci a farti amare dagli altri.”²
Quel pensiero, lo trafisse come un fulmine a ciel sereno, ed Erwin, non riuscì a muovere la lingua, la sentiva incollata al palato. Forse non era meritevole della fiducia che gli era stata donata da un cuore fanciullo. Lui non aveva mai potuto amare. Era stato sempre costretto a mettere i sentimenti da parte ma, in quel momento, si sentì apprezzato. Come se ne fosse realmente degno.
Si chinò per scompigliare affettuosamente i capelli di Anna.
“Qualcuno sa spiegarmi perché questa mocciosa sta scalpitando per un coniglio, non vero tra l’altro?” Con le braccia incrociate e gli occhi che parevano schegge di ghiaccio, Levi squadrò Erwin, come se fosse un codice da decifrare.
 “Non puoi chiedere sul serio perché mi piacciono i conigli.” Rispose piccata quest’ultima, puntandolo con uno sguardo risentito. Invece, quando i suoi occhioni si spostarono su Erwin, scintillarono di felicità.
“E anche se è solo un disegno, resta pur sempre il disegno di un bel coniglio.”


 
Il giorno della riconquista del Wall Maria:
 
I cavalli sembravano più agguerriti dei soldati che galoppavano per andare incontro alla rovina, sotto un cielo che era troppo azzurro per un giorno di sangue.
Erwin, urlava così forte che le labbra parevano sul punto di spaccarsi. Il suo cuore martellava come se volesse uscire dalla gabbia toracica, mentre le pietre del gigante Bestia si infrangevano sulle case e buttavano giù dalle cavalcature gli uomini.
Gli zoccoli del suo cavallo, calpestarono furiosamente degli arti. La ghiaia crepitava, sembrava che si stesse lamentando, come se fosse stata contraria alla brutalità con cui i soldati rovinavano a terra. L’eco dei loro gemiti rimbombò nelle mura che avide inghiottirono ogni lamento. Testimoni silenziosi di quel massacro.
Erwin, provò terrore e furia, levò la spada in aria, come se fosse lo scettro di un dio. Sentiva come un uragano al centro del petto che stava risucchiando ogni particella della sua anima. Ma non poteva crollare. Danzò sotto la pioggia di massi, impartendo ordini per evitare di perdere altri uomini.
Il fumo si levò alto da terra e, come il dardo di una freccia, Erwin balzò in avanti per evitare di essere schiacciato da un altro masso e un altro ancora.
Fissò gli occhi rossi del gigante, i peli che cospargevano il corpo e le dita che spietate fracassarono una pietra e la gettarono addosso al suo piccolo esercito. Aggrottò le sopracciglia e mentalmente si promise di condurre quell’orribile creatura nel punto più basso dell’inferno.
Linee verdi macchiarono il cielo azzurro, le fosse a terra si riempirono di cadaveri e il sangue colò come un fiumiciattolo sotto di sé.
Cavalcava e cavalcava ignorando l’odore rancido, ignorando quei lamenti che si insinuarono nelle sue orecchie come dei rimproveri. Era stato lui a uccidere quei soldati.
La pelle increspata di brividi tremava al ritmo forsennato del cuore impazzito. Stava per urlare quando una pietra sferzò e gettò un altro soldato a terra.
I suoi occhi si posarono sulla divisa bianca del ragazzo e sulla striscia di sangue rosso che tanto assomigliava a un nastro arricciato.
Spalancò le palpebre e, come un fiume in piena, i ricordi si sovrapposero davanti ai suoi occhi: un coniglio, un foglio, un fiocco rosso. La risata di una bambina che non poteva minimamente immaginare di essere stata l’ultima luce prima che la morte fosse giunta a reclamarlo. 
Il momento di distrazione gli costò la vita. Percepì dapprima come un forte bruciore, poi vide il sangue schizzare nell’aria. Era stato colpito.
Crollò a terra.
 I suoi occhi assorbirono la luce del cielo limpido e, quando chiuse le palpebre, non sentì più nulla all’infuori di una piccola voce:
Grazie per avermi pensata!
 
Fine
 
 
¹Citazione dal film Via col vento.
 
²Citazione dal film Il mago di Oz.
 
 
 
 
 
   
 
Leggi le 5 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti / Vai alla pagina dell'autore: Greenleaf