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Autore: Averroe    18/09/2009    8 recensioni
Gli anni passano, le generazioni si susseguono, e in un futuro più o meno remoto (ma neanche poi così tanto), anni dopo la guerra all'Akatsuki, anni dopo le faccende concernenti Pain, Danzou, le proposte di alleanza tra i kage e le strenue lotte per riportare a casa un nukenin di nostra conoscenza, anche il caotico, casinista Naruto dovrà avere a che fare con tre ragazzetti insolenti, istruirli e tentare di fare di loro valorosi shinobi.
Magnifico. Un sicario amorale, un mezzo delinquente lavativo e arrogante, un’inafferrabile ladra misantropa. Gran bella squadra gli era capitata.
Anche il vivace eroe della Foglia avrà l'onere di rivestire il ruolo di sensei.
Nevvero?
Genere: Commedia, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Iruka Umino, Naruto Uzumaki, Nuovo Personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Dopo la serie
- Questa storia fa parte della serie 'Naruto Sensei'
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Non sono certa di quale qualifica attribuire a questa roba. Diciamo che è un’idea. Se poi sia buona, questo proprio non lo so. Era una cosa mi ronzava in testa da un po’, solo che non avevo ancora idea di come creare i personaggi giusti. Solitamente non amo le fanfic dove figurano nuovi personaggi, ma qui non avevo scelta. Poi la folgore mi ha colpita, e per quanto non sia affatto sicura di aver raggiunto un risultato soddisfacente non mi sono potuta trattenere dal buttare giù la seguente sfilza di parole presumibilmente inutili. Come sempre.

Non so se anche a voi è capitato di pensarci, ma io mi sono sempre chiesta come sarebbe un Naruto sensei. Cioè, non è che passassi le giornate a rifletterci, voglio dire, persino io ho di meglio da fare, ma insomma. Questa è un’ipotesi. Totalmente cretina, ma pur sempre un’ipotesi. Devo dire che ho avuto non poca difficoltà a mantenere intatto l’IC del nostro amicone, calarlo nella parte di savio maestro – che comunque non sarà mai – è stato più complicato del previsto. E conservo tuttora seri dubbi sull’integrità degli aspetti caratteriali di questo fulgido individuo partorito dal geniale Kishimoto.

Un paio di premesse: non avevo la più pallida idea di come funzionasse quando ad un tizio viene affidato un team, non so se il sensei si aggiorna in tempo reale sui propri futuri allievi prima di incontrarli o se li conosce solo il giorno in cui si presenta a loro per la prima volta. Quindi ho fatto di testa mia, e va beh.

Poi non ricordavo troppo bene il momento della presentazione, e siccome non possiedo i primi numeri del manga non ho potuto controllare. Forse troverete qualcosa di poco plausibile, comunque a me pare che tutto più o meno quadri.

Ho in programma almeno un’altra shot che completi il senso di questa, perché così la storia rimane un po’ sospesa, fluttuante nel nulla, fine a se stessa. Ma non avevo nessuna voglia di impelagarmi in una long, specialmente conoscendomi. Quindi vi presento questo coso privo di una collocazione precisa. I personaggi inediti non si conoscono ancora troppo bene, casomai fatemi sapere se è il caso che provveda con un’altra fic sull’argomento.

Grazie dell’attenzione, mesdames et messieurs.

Buona lettura. ^.^


 

 

 

 

 

“Non credi che sia giunto il nostro momento, ora?”

“Quale momento?”

“Quello in cui passiamo dall’altra parte, la parte da dove lasciamo in eredità ciò che abbiamo appreso. Potrebbe essere piuttosto complicato, ma è così che va il mondo. Molto presto tu ti troverai a minacciare qualche bambino per mezzo del ramen, e lui ti chiamerà Naruto sensei.”

 

[Dialogo tra Shikamaru e Naruto, capitolo 406 dello Shippuuden]

 

 

Pessimo inizio.

Sì, decisamente pessimo. Un esordio indiscutibilmente infausto.

Il jinchuuriki imprecò a pieni polmoni, accelerando la marcia. Ma come diamine aveva potuto svegliarsi a quell’ora indecente, proprio quella mattina, dannazione? Sicuramente la sveglia aveva suonato almeno una ventina di volte prima che lui la udisse, e quindi un’altra dozzina buona, prima che si fosse totalmente distaccato dallo stato sonnolento. Per non parlare del tempo che aveva impiegato a scendere dal letto, rassegnandosi definitivamente ad abbandonare le morbide coltri. E poi, non contento del catastrofico ritardo accumulato, aveva avuto perfino la brillante idea di fermarsi al chiosco per rifocillarsi con una colazione degna di lui.

“Solo tu sei capace di mangiare ramen di prima mattina, baka”, aveva commentato Sakura che si era trovata a passare casualmente da quelle parti.  Poi aveva sgranato leggermente i begli occhi smeraldini, improvvisamente meravigliata. “Ma, Naruto …”, aveva mormorato pensosa, come sovvenendosi di un qualche fatto peculiare. “Naruto, tu oggi non avresti dovuto …”

E a questo punto la kunoichi era stata brutalmente interrotta da un roboante “Oh, merda!” scaturito dalla bocca dell’interpellato insieme a svariati sputacchi al ramen. “Merda, merda, merda! Me ne ero completamente dimenticato!”

Sakura aveva spalancato gli occhi ancora di più, se possibile. “Naruto!”, aveva sbottato con aria di rimprovero, incredula. “Ma come cavolo puoi dimenticarti una cosa del genere, idiota?!”

Ma le sue ultime parole erano state gettate al vento, dal momento che il biondo ninja si era defilato nel giro di qualche millesimo di secondo, correndo a perdifiato verso l’accademia.

“Merda!”, aveva soggiunto trafelato, giusto per ribadire il concetto.

E ora eccolo che si arrestava con una frenata repentina, destando un fracasso degno di una mandria di gnu impazzita.

Non osava neppure immaginare quanto fosse in ritardo.

Si sentiva teso come una corda di violino – insomma, non aveva idea di come affrontare qualcosa del genere! – e al contempo inspiegabilmente intorpidito.

Sospirò, tentando di recuperare un minimo del contegno che avrebbe dovuto avere un valente jonin di Konoha, quindi si incamminò mestamente verso l’ingresso, scoraggiato già in partenza.

La cosa gli pareva ben poco propizia. ‘E il tredici porta pure sgarro’, pensò imbronciato ricordando il numero del team. Ecco, si disse, ora sarebbe stato classificato immediatamente come il ritardatario imbecille, perché sarebbe arrivato due ore dopo l’orario previsto come quel disastrato meravigliosamente svampito di Kakashi sensei, i suoi allievi lo avrebbero sfottuto fino alla fine dei tempi, e poi visto che aveva esordito con il medesimo piede del suo stesso maestro, senz’altro il destino della sua squadra era ineluttabilmente segnato: fra i componenti del team avrebbe sicuramente figurato una ragazzina petulante dai capelli di un colore improponibile completamente cotta di un insopportabile sborone erede di un antico clan decaduto, il quale sarebbe divenuto senza via di scampo un nukenin, criminale di livello internazionale, e sarebbe stato inseguito cocciutamente per anni dal terzo disgraziato, unico polo positivo della combriccola, che però sarebbe stato preso per i fondelli dall’intera Konoha per via della sua testardaggine, e …

Naruto!”

Il jinchuuriki si riscosse con un sussulto, rischiando peraltro di andare a sbattere contro il portone socchiuso. Si voltò battendo le palpebre, e quando realizzò chi fosse il responsabile del richiamo sospirò sollevato. “Iruka sensei!”

Tuttavia l’insegnante non parve altrettanto soddisfatto. Lo fulminò con un’occhiataccia, evidentemente adirato. “Naruto, sei in ritardo clamoroso. Si può sapere che fine avevi fatto? Eh? Non vorrai mica seguire le orme di Kakashi, vero? Perché in questo frangente il suo atteggiamento è sempre stato terribilmente snervante.”

Naruto chinò il capo, colpevole. “Mi dispiace, io …” Non osò confessare di essersi scordato dell’incombenza, Iruka l’avrebbe fatto a fettine. Anche perché lui stesso non aveva idea di come avesse potuto, attendeva quel momento da mesi, con un misto di ansietà, trepidazione, inquietudine e l’immancabile allegria di sempre. Quindi preferì azzardare un sorriso, grattandosi distrattamente la nuca con aria scanzonata. “Eh … Non ho sentito la sveglia, ihih.”

Iruka crollò il capo, rassegnato. “Sei un disastro.” Ma poi sorrise a propria volta. “Beh, ormai quel che è fatto è fatto. Datti una mossa, ora. Ricordi quello che ti ho detto ieri?”

Naruto aggrottò le sopracciglia, ricordando improvvisamente il dialogo del giorno precedente. Quando gli tornò in mente cosa Iruka aveva detto della squadra che gli era stata affidata un brivido gli percorse la colonna vertebrale. Deglutì. “Sì”, bofonchiò, tentando di mantenere un’aria serena. Scosse il capo, scacciando le parole non propriamente rassicuranti del maestro. Ci avrebbe pensato più tardi.

Sorrise allegramente. “Bene, adesso sarà il caso che vada, o i miei allievi mi accoglieranno con una cascata di pomodori marci.”

“Non credo che sarebbero i tipi …” Iruka annuì deciso, con aria orgogliosa. “Adesso è arrivato il tuo turno, Naruto.”

Quindi girò i tacchi e se ne andò.

Il jinchuuriki restò qualche istante fermo su posto ad osservare la sua schiena in allontanamento.

Serrò le labbra, sorpreso. Solo in quell’istante si rendeva realmente conto di ciò che lo aspettava. Era difficile realizzare appieno che adesso toccava a lui insegnare, allenare, sostenere. Che non era più l’allievo, ma il maestro. Al pensiero gli si serrò la bocca dello stomaco. Ne sarebbe stato capace?

Si volse nuovamente all’ingresso dell’accademia, stavolta con un leggero timore, e una tensione del tutto diversa. Com’erano i ragazzini che gli erano stati affidati? Iruka gliene aveva parlato in modo abbastanza dettagliato, per prepararlo, ma adesso le sue parole gli parevano un’eco lontana, smorzata dall’aspettativa che aveva iniziato a crearsi senza che quasi se ne fosse accorto.

Non sarebbe stato meravigliosamente in gamba come Kakashi, sensei insuperabile, decise, ma avrebbe comunque fatto del suo meglio. Come sempre, del resto.

Figurarsi, aveva affrontato ben altri problemi, era stato invischiato in lotte sanguinose, ne aveva passate di cotte e di crude, non sarebbe certo stato un gruppetto di dodicenni qualunque a intimidirlo.

E poi, il suo compagno di squadra era Sasuke Uchiha. Dopo essere riuscito – più o meno – a gestire uno spostato con gravi lacune comunicative e affetto da psicosi di ogni genere come il teme, si sentiva pronto a sopportare chiunque e qualunque cosa. Insomma, era riuscito a riportare il più cocciuto e odioso dei nukenin a Konoha, e a farlo redimere. Mica roba da niente.

Perciò era evidente che nessuna, nessunissima squadra di ninja avrebbe potuto essere più problematica di quella di cui lui stesso aveva fatto parte.

Giusto?

 

 

Naruto Sensei

 

 

“Comunque non devi preoccuparti, Naruto. Tutto sommato sono bravi ragazzi.”

Bravi ragazzi? Ma se ce ne fosse uno, dico uno, che non ha problemi con la legge!”

Iruka sorrise leggermente, rimestando distrattamente il proprio ramen con le bacchette. “Naruto, ascolta. Molto spesso non conta quello che fai, ma la tua indole.”

Il jinchuuriki grugnì torcendo il naso, mentre ingurgitava un boccone spropositato della pietanza. “L’indole, eh?”, mugugnò poco convinto.

“Certo”, rispose serenamente il maestro. “Se una persona si comporta rettamente ma è di indole … sì, di indole malvagia, beh, ecco, prima o poi le sue reali attitudini verranno a galla. Così come il contrario. Anche agli individui con le migliori predisposizioni capita di sbagliare. Prendi Sasuke, ad esempio.”

Naruto trasalì, correndo il rischio di strozzarsi con un enorme involto di spaghetti. Quando si fu ripreso, guardò storto l’uomo che gli sedeva di fianco. Sapeva bene che corde toccare, l’infame. “Sasuke sarebbe un individuo con le migliori predisposizioni?”, biascicò a bocca piena, scettico.

“Beh, magari proprio le migliori no, ma … non è una persona abietta. Ha commesso un errore nel lasciarsi guidare dal rancore e dall’odio che alla fine hanno soffocato la sua …” Scosse il capo. “Ah, ma non farmi parlare sempre delle stesse cose! Sarà la centesima volta che ripeto questo discorso, e comincia a sembrare retorico anche a me. Quello che voglio dire è che Sasuke non è … ‘cattivo’. E questo non hai bisogno che te lo dica, è solo un esempio. Se lo fosse stato, tu non lo avresti inseguito per tutto quel tempo, giusto? E alla fine non sarebbe tornato a casa, non sarebbe stato perdonato.”

Naruto sorrise. “Sì, hai ragione.” Poi si accigliò. “Ehi, ehi, un momento! Che c’entra il teme, ora? Era dei miei futuri allievi …” E qui si interruppe un istante, faticando a digerire le parole da lui stesso pronunciate. I suoi futuri allievi. Suonava stranissimo. “… Dei miei … sì, insomma, era di loro che parlavamo. Non cercare di portarmi fuori strada!”

Iruka scoppiò a ridere. “Non cerco di portarti fuori strada. Anzi. Mi preoccupavo di farti capire che non devi giudicare la tua squadra dal solo … curriculum? Uhm, si potrà dire?”

“Non ne ho la più pallida idea”, dichiarò lui corrucciato, per nulla interessato al linguaggio tecnico o quello che era. “Sai benissimo che se c’è una persona che non giudica il prossimo in base alle sole apparenze, quella sono io.”

“Lo so, Naruto.”

“È solo che … voglio dire, tutti mi dite che sono una frana, no? E allora proprio non capisco perché un gruppo del genere venga affidato a me.”

Iruka poggiò le bacchette, poi sollevò lo sguardo sull’ex allievo disastroso dei tempi dell’accademia con un sorriso affettuoso. “Perché abbiamo fiducia in te. Perché sarai anche una frana, ma non c’è persona che meglio di te conosce le motivazioni che spingono o costringono qualcuno a stare in disparte o a fare sciocchezze.” Poi ghignò divertito. “E, insomma, non parliamone come se fossero dei reietti! Non sarà così tragica, credimi. Che fine ha fatto il rompiscatole casinista che non teme niente e nessuno?”

Naruto arricciò il naso, quindi sorrise scrollando le spalle e passandosi una mano tra i capelli. “Ci credi se ti dico che non mi sentivo così insicuro neppure durante la battaglia contro Pain?”

Iruka scosse il capo, comprensivo. “Ci credo. E ti dico che è normale. È una grossa responsabilità.”

“Grazie, questo sì che è consolante.” Si aprì in uno schietto sorriso a trentadue denti. “Beh, credo che per farmi coraggio prenderò un’altra porzione di ramen.”

“Ma Naruto! È la sesta ciotola!”

“E allora? Tanto offri tu, no?”

“APPUNTO!”

“Oh, andiamo, Iruka sensei, non essere verde! Non mi sarai mica diventato tirchio, eh?”

Naruto ..!”

 

 

Naruto attraversò il corridoio ad ampi passi, sorridendo tra sé. Era da parecchio che non metteva piede da quelle parti.

Lasciò scorrere gli occhi sulle ampie finestre che si susseguivano alla sua destra, identiche fra loro, sulle pareti scrostate e le piastrelle consunte dalle suole che le avevano calpestate. Era incredibile come ricordi sfocati prendessero forma e acquisissero nitidezza in quell’ambiente.

Ricordava perfettamente i richiami al silenzio e all’ordine della voce esasperata di Iruka sensei, i rimproveri, le ore trascorse a lavare i pavimenti delle aule per punizione alle sue bravate.

Una volta lui e Kiba avevano manomesso il sistema idraulico della scuola – non ricordava neanche più come – ed erano riusciti ad otturare tutti i water, dal primo all’ultimo.

“Devo dirtelo, Uzumaki, stavolta hai avuto proprio una bella idea.”

“Cosa ti aspettavi dal futuro più grande Hokage di tutti i tempi?”

“Ah, ma che piattola! Finiscila con questa storia.”

“Qualcosa in contrario?!”

“Sta’ calmo, idiota! Se ci becca il guardiano siamo fatti!”

“Beh, allora tu vedi di far tacere quella specie di topo che ti porti sempre dietro.”

“È un cane, Uzumaki, un CANE!”

“E chissenefrega! Per me può essere un cane come una tigre dai denti a sciabola, ma se non sta zitto lo ficco nel cesso e tiro lo sciacquone, chiaro?”

Si era divertito da matti, ma Iruka si era infuriato al punto che li aveva condannati a pulire i gabinetti per tre mesi. Qualche giorno dopo la sorella di Kiba aveva fatto visita al maestro per pregarlo di intercedere, ed era stata così convincente che nel giro di un paio d’ore il ragazzo era stato prosciolto. Ma lui non aveva nessuno che venisse a chiedere solennemente perdono per lui e a cimentarsi in colossali bluff nel proporre dei risarcimenti per i danni all’edificio, così era trascorsa una settimana prima che Iruka, più per simpatia nei suoi confronti – ne era certo – che non per par condicio rispetto all’altro teppistello, aveva finito per cedere e liberarlo dall’incombenza, decisione sancita da una splendida ciotola di ramen al chiosco di Teuchi.

Naruto sorrideva ancora beatamente tra sé, il passo trasportato dai ricordi, quando si ritrovò dinanzi alla soglia dell’aula dove lo attendevano i tre ragazzetti. La porta era chiusa, fortunatamente. Se oltre al fatto che era disastrosamente in ritardo i suoi allievi lo avessero visto con quell’espressione ebete stampata in faccia non avrebbe avuto speranza alcuna di farsi rispettare.

Sospirò, drizzando le spalle. “Bene”, mormorò tra sé. Ghignò smargiasso, dimentico di ogni inquietudine. “E adesso a noi, marmocchi.”

 

 

Ryo Tsurayaki?”

“Esatto.”

“E … che tipo è?”

“È … un tipo.”

 

 

Naruto si allontanò rapidamente dalla porta aperta, muovendo qualche passo rapido all’interno dell’aula, onde evitare commozioni cerebrali da urto con cancellini piovuti da sopra il vano d’ingresso. evidentemente però la sua squadra non era composta da gente in vena di scherzi idioti, perché nulla cadde in direzione del suo cranio.

Si volse indietro con aria circospetta, quindi tornò a rivolgersi ai presenti con un sorriso sfrontato.

“Scusate il ritardo”, esordì allegramente.

Tre giovanissimi esemplari di homo sapiens facevano da spettatori alla sua entrata trionfale, al momento intenti a studiarlo con aria annoiata e per niente curiosa.

“Alla buon’ora”, lo accolse canzonatoria una voce aspra e un po’ roca, profonda per essere quella di un dodicenne. La attribuì senza difficoltà ad un ragazzino robusto appoggiato alla cattedra con aria serenamente beffarda. Rifacendosi alle parole di Iruka lo identificò immediatamente come Ryo Tsurayaki.

 

 

“Cioè, fammi capire, Iruka sensei, uno tipo … tipo Sasuke?!”

“Ma no, Naruto, no! In un modo o nell’altro, in qualsiasi circostanza e in qualunque conversazione, riesci sempre a tirar fuori Sasuke. Questa non è un’amicizia, è un’ossessione.”

“Non è assolutamente vero!”

“Va bene, va bene, non ti scaldare. Se avessi saputo, avrei tenuto la bocca ben chiusa. La mia era solo una battuta sulla venerazione che tendono ad avere di Ryo le ragazze. Eh, eh … e dire che è odioso. Cioè, non è che io solitamente esprima giudizi sui miei allievi, non sia mai …”

“Ho capito, Iruka sensei.”

“Ecco. Però, accidenti, lui è arrogante, attaccabrighe e sfrontato. Non ha un minimo di rispetto per …”

“Ehi, dico, grazie! Questo sì che è favorire una buona sintonia tra persone che ancora non si conoscono!”

Iruka sorrise mestamente. “Scusa. Beh, se può consolarti credo abbia talento. È riuscito a passare tranquillamente gli esami facendosi vivo a lezione un giorno sì e tre no.”

“Ah, fantastico.”

“Già. Ma non preoccuparti, andrete senz’altro d’accordo. È una specie di teppista, è stato accusato di aver distrutto la vetrina di un negozio con merce esposta annessa, di vari furtarelli di poco conto e di essere il fomentatore di alcune risse scoppiate in periferia.”

“Grazie! E tu mi paragoni a un individuo del genere?”

“Dico solo che magari avete qualche … bravata adolescenziale in comune?”

Tsk. Sappi che mi ritengo profondamente offeso.”

“Per così poco? Comunque a pitturare le effigi degli hokage del passato non è ancora arrivato.” E scoppiò a ridere.

Naruto arrossì. “Umphf.”

 

 

Ryo Tsurayaki era un bel ragazzino alto per la sua età, piuttosto muscoloso; aveva lineamenti marcati e regolari, capelli arruffati color paglia, lunghi fin quasi alla mandibola, e occhi di uno strano castano-verde.

Al momento lo osservava con aria sfacciatamente divertita. Aveva un sorriso ampio e luminoso, anche se vagamente denigratorio, che gli disegnava due vistose fossette allegramente simmetriche ai lati della bocca. Naruto lo studiò sospettoso, incerto se la palese arroganza che si leggeva in faccia al ragazzo gli suscitasse una simpatia sviscerata o un odio assassino.

Alla fine optò per il mantenimento del sorriso spensierato. Scoppiò a ridere fragorosamente, nel modo che gli era proprio, sentendosi immediatamente a proprio agio. ‘Tu ti senti a tuo agio dappertutto’, gli avrebbe detto Sakura.

“Beh”, fece stiracchiando le braccia, “meglio tardi che mai, no?”

“Dipende dai casi”, replicò sostenuta una vellutata vocina femminile.

Naruto volse il capo – dovette esplorare l’intera stanza con lo sguardo, perché i tre piccoli disgraziati si erano collocati ognuno decisamente distante dall’altro – e alla fine localizzò una ragazzina minuta appollaiata sul davanzale di una finestra.

Occhi color ambra, corti capelli rossi raccolti in uno sparuto codino disordinato sulla nuca da cui ricadevano una miriade di ciocche scomposte, naso all’insù, visino roseo perfettamente ovale. Molto graziosa, ma il suo sguardo riottoso e sfuggente non ricordava neppure lontanamente quello di Sakura Haruno.

 

 

Kinuye Oharu non è di Konoha, proviene da un paesino derelitto sperduto fra i sobborghi del confine del Paese. È spiacevole ammetterlo, ma quelle zone sono in uno stato di profonda povertà. Non so molto di lei, non mi ha mai detto nulla. Non che sia una ragazzina scostante, ma non credo ami parlare di sé.” Sorrise. “So solo che l’ha portata qui uno shinobi della Foglia che si era imbattuto in lei di ritorno da una missione, e ha pensato fosse un peccato che una bambina così dotata non potesse frequentare l’accademia.”

“E lui che ne sapeva se era dotata o meno?”, borbottò Naruto dedicandosi allo svuotamento metodico della ciotola dinanzi a lui.

“Beh, sai …” Iruka si grattò il capo sorridendo incerto, come in imbarazzo. “Diciamo che da quelle parti si parlava piuttosto sovente di lei.”

Il jinchuuriki rizzò il capo di scatto, sorpreso. “Ah sì?”

“Già.”

“E perché?”, insistette, irritato dal fatto di dover cavare le parole di bocca all’interlocutore quando avrebbe preferito ascoltare soltanto: l’uso del senso dell’udito non ostacolava l’attività di masticazione.

“Beh … come dire … la sua fama di ladra era piuttosto diffusa.”

Naruto proruppe in un colpo di tosse finalizzato ad evitare che il ramen gli andasse di traverso. “E … eh?”

Iruka annuì serio. “Era una bambina sola, e per sopravvivere è stata costretta a rubare. Quasi tutti gli orfani di quelle aree – e sono moltissimi – fanno in questo modo. L’unica differenza è che lei ha … ehm … affinato la propria ‘arte’, così da …”

“Maestro Iruka”, tagliò corto Naruto, sbuffando, “non ho capito niente. Che cavolo stai dicendo?”

Iruka crollò il capo, rassegnato. “Che faceva furti dietro commissione”, borbottò controvoglia.

Ehhh?!”

“È così.” Sorrise senza troppa convinzione, senza tuttavia riuscire a celare un certo irrazionale orgoglio. “A quanto mi ha raccontato il ninja che l’ha portata qui, da quelle parti si diceva che nessun colpo era troppo difficile o rischioso per lei.” Ridacchiò. “Tutti i ricchi signori delle città vicine la temevano.”

“Ma se aveva solo sei anni!”

“Tanto per cominciare doveva averne almeno otto o nove, quando è arrivata qui ne aveva già dieci.”

“Ma allora come ha fatto a …”, iniziò risucchiando uno spaghetto tra le labbra contratte.

“Te l’ho detto, è dotata.”

“Bella forza! Ma uno normale posso sperare di averlo, o no?!”

“Accidenti, quanto sei irritabile, oggi. Che ti è successo? Sakura ti ha picchiato di nuovo? Hai litigato con Sasuke?”

“Adesso sei tu che lo tiri in ballo.”

Iruka scoppiò a ridere. “Hai ragione, te lo concedo”, ammise ilare.

Naruto ghignò a propria volta, poi tornò a farsi serio, deciso a terminare il discorso. “Ehi, Iruka sensei, non mi hai ancora detto nulla del terzo membro del mio nuovo personalissimo team”, osservò ironico. “Allora? Una persona almeno lontanamente somigliante ad un individuo sano di mente su tre posso avere l’onore di conoscerla?”

Iruka si riscosse. Corrugò la fronte. “Come se tu fossi una persona sana di mente”, commentò con affettuoso scherno.

“Sei proprio crudele, Iruka sensei. E io che pensavo di avere almeno il tuo appoggio”, gemette lagnoso il giovane con esasperata afflizione.

Iruka rise piano.

“Ma adesso torniamo ai discorsi seri”, dichiarò il jinchuuriki sfrontato. “Allora? Il terzo simpaticone?”

Le sopracciglia dell’uomo assunsero un’inclinazione poco rassicurante. “Beh, ecco, lui …”

 

 

“Come?”, gracchiò Naruto irritato.

La ragazzina scrollò le spalle, per nulla intimidita. “No, niente di importante.” Sorrise leggermente. “Mi sembrava una bella frase ad effetto”, cinguettò innocente.

“Oh.” Naruto drizzò le spalle, prestando attenzione a non mostrare le proprie emozioni esteriormente. L’ultima cosa che gli conveniva era che i suoi allievi sospettassero sin dall’inizio dei favoritismi.

Per il momento farsi un’idea gli risultava piuttosto difficile. Non sembravano degli allegroni, ma neppure dei morti viventi. Sospirò impercettibilmente. Avrebbe preferito persone un po’ più estroverse. Sarebbe stato più semplice.

Finalmente si rassegnò a spostare la propria attenzione sull’ultimo componente – quello la cui presenza lo metteva maggiormente a disagio – in modo da presentarsi dopo averli esaminati tutti e tre.

Voltò il capo verso il ragazzino relegato – manco a farlo apposta – nell’angolo più remoto dell’aula, serenamente accostato alla parete, come se starsene in una posizione sopraelevata fosse per lui la cosa più naturalmente lecita del mondo, e il fatto che quel giorno entrasse nella sua vita un individuo che avrebbe dovuto – con Kakashi era stato così – rivestire un ruolo fondamentale per lui rappresentasse poco più che un’accidentale evenienza di scarsa rilevanza e probabilmente anche mediamente scocciante.

Di primo acchito, pareva una specie di surrogato di Sasuke Uchiha.

‘Fantastico, ci mancava solo più questa’, pensò Naruto depresso, e improvvisamente si rese conto di quanto doveva esser stato difficile per Kakashi sensei essere il maestro del teme, e che per lui la difficoltà sarebbe stata probabilmente quadruplicata, dal momento che il Sensei e Sasuke erano comunque personalità affini.

Sospirò ancora.

 

 

“Un che cosa?”

“Uno Zeshin. E comunque non ‘che cosa’, ma ‘chi’. Quello degli Zeshin è un potente clan …”

“Ah, no, eh!”, sbottò immediatamente Naruto, scattando come una molla. “Ti prego, Iruka sensei, non vorrai tirarmi fuori una storia di potenti clan decaduti e fratelli che si ammazzano vicendevolmente per amore reciproco! No, perché altrimenti dimmelo fin da adesso, che mi tiro un colpo subito.”

Iruka sorrise un po’ mestamente. “Tranquillizzati, Naruto. Niente amore reciproco né unilaterale. E soprattutto nessun decadimento. Gli Zeshin – purtroppo, aggiungerei – sono ancora all’acme del fulgore … sempre che ‘fulgore’ si possa definire.” Ridacchiò amaramente.

Il jinchuuriki lo guardò stranito. “Cosa intendi dire?”

Iruka sospirò. “Naruto, sarò molto schietto con te. In tutta onestà non ho ancora capito cosa ci stia a fare questo bambino a Konoha. La residenza del suo clan è situata in un’area abbastanza distante dal villaggio, e … Beh, dovresti rivolgerti alle alte sfere dell’amministrazione, all’hokage o ai suoi consiglieri, se vuoi mettere meglio in chiaro la questione; tuttavia so per certo che la Foglia non ha mai reputato propria alleata questa gente, ed è peraltro totalmente ricambiata dal clan in questa ‘pacifica ostilità’ – passami l’orrendo gioco di parole. Perciò, non so proprio spiegarmi come mai il capostipite abbia scelto di spedire il figlio qui al villaggio.” Abbassò lo sguardo sulle bacchette e contemplò silenziosamente un boccone senza toccarlo. Fu solo dopo parecchi minuti che parlò di nuovo.

“Non sono pochi qui a Konoha quelli che sostengono che il ragazzino sia una spia.”

Naruto sussultò, allibito.

“Naturalmente io non lo credo affatto”, si affrettò a soggiungere Iruka, riportando gli occhi sul giovane. “Non capisco perché dovrebbero fare qualcosa del genere”, dichiarò parlando in fretta. “Se davvero volessero sapere qualcosa, potrebbero tranquillamente spedire un infiltrato senza sbandierare ai quattro venti la sua appartenenza alla stirpe. Oppure si procurerebbero le informazioni che servono loro senza difficoltà, non so come ma in qualsiasi altro modo, ho sentito dire che hanno infinite risorse.”

“Ah”, bofonchiò Naruto, vagamente stordito. Ma tutti a lui, dovevano venire affibbiati, i problemi? Poi scosse il capo. “Questo non spiega quello che hai detto prima”, osservò più che altro distogliere la propria attenzione dall’inquietante ipotesi che onestamente non sapeva come gestire.

Iruka tentennò, confuso. “Come?”

“Prima hai detto: ‘sono ancora all’acme del fulgore, sempre che «fulgore» si possa definire.’ Cosa significa?”

Iruka parve trasalire impercettibilmente, quindi chinò il capo, storcendo la bocca. Quando lo risollevò, si esibì in un lieve sorriso incerto che voleva probabilmente essere rassicurante, ma che risultò vagamente agghiacciante.

Naruto, gli Zeshin sono … sono una famiglia di killer mercenari.”

 

 

Fisicamente, Eisen Zeshin appariva filiforme e non particolarmente alto, almeno non rispetto a Ryo. I capelli avevano lo stesso colore della terra bruciata, e incorniciavano liscissimi un volto dalle fattezze curvilinee e incredibilmente delicate anche per la tenera età, quasi androgine, su cui risaltavano gli occhi grigio-neri, lievemente rivolti all'ingiù. Nell’insieme non aveva nulla che facesse pensare ad un killer mercenario.

Tra l’altro, dopo la prima impressione, Naruto si rese conto che quel ragazzino non possedeva neppure l’altezzosa grazia di Sasuke.

Non pareva più aggressivo di qualunque altro dodicenne, e al confronto la spettinata Kinuye aveva un aspetto più minaccioso.

Solo gli occhi avevano qualcosa di soffusamente inquietante, ma Naruto decise di non soffermarsi su questo, almeno per il momento.

Il ragazzino, dal canto suo, quando si accorse dello sguardo del ninja fisso su di lui, lo guardò a propria volta, impassibile. “Ehilà”, salutò con aria vagamente svogliata. “Vuoi che scenda?”, soggiunse poi con una cordiale gentilezza un po’ sforzata.

“A-ah … Beh, fai tu”, bofonchiò Naruto colto alla sprovvista. Prima impressione categoricamente smentita. Sasuke non avrebbe mai parlato in quel modo.

Il ragazzetto storse leggermente il naso, svagato, come ponderando l’idea. Infine decise di allontanarsi dalla parete e ridiscendere al livello dei comuni mortali. Stiracchiò le braccia tendendole verso l’alto e quindi si cacciò le mani in tasca, con aria annoiata.

Naruto lo studiò qualche istante di sottecchi, lanciando un’occhiata anche a Ryo, per tentare di indovinare cosa pensasse della vicinanza così immediata con un killer professionista. Eppure i due parevano del tutto indifferenti l’uno all’altro. Quando il jinchuuriki spostò la propria attenzione su Kinuye, scorse la ragazzina balzare giù dal davanzale e avvicinarsi con passo furtivo, senza tuttavia mostrare particolare interesse nei confronti dei compagni. Magari nessuno sapeva nulla degli altri. Era possibile.

Naruto si rese conto che più che studiarsi l’un l’altro, stadio probabilmente già superato, i tre erano ora intenti ad osservare lui.

Ghignò, strizzando gli occhi con fare a metà tra il socievole e lo smargiasso.

“Bene, sarà il caso che mi presenti. Mi chiamo Naruto Uzumaki, e diventerò il più …”

Si interruppe, mordendosi la lingua. No, non era quella la presentazione più appropriata in quel momento. Forza dell’abitudine, pensò con una scrollata di spalle. Cercò di riparare alla meglio. “… Il più simpatico e adorabile di tutti i sensei!”, cinguettò giulivo, per poi scoppiare a ridere fragorosamente. Cessò di sghignazzare solo quando si accorse che i tre fanciulli lo scrutavano perplessi, con vago scherno.

Corrugò la fronte, battendo le palpebre. Sorrise, lievemente impacciato. “Beh … adesso usciamo di qui, eh. Non rivedrete più quest’aula, adesso che siete genin, non siete contenti?”

“Sicuro”, rispose immediatamente Ryo, allegro. Eisen annuì con un breve sorriso; Kinuye lo studiava di traverso, poco convinta, con tutta l’aria di una a cui l’idea di non rivedere più la propria aula non fa assolutamente né caldo né freddo. Come darle torto, del resto. Eppure lui ricordava di essere stato orgoglioso e soddisfatto, una volta superato l’esame.

Sospirò tra sé, quindi condusse il variegato gruppetto fuori dall’accademia.

Passeggiarono in silenzio per le vie di Konoha fino a raggiungere una piazzola poco trafficata, dove l’unica traccia di fauna visibile era costituita da una vecchietta che portava malferma il suo cane a spasso – era più il cane che portava a spasso lei – e un fabbro al lavoro accanto alla propria officina.

Naruto indicò con un cenno una gradinata deserta, dove i tre andarono ad accoccolarsi, ubbidienti. Il jinchuuriki si posizionò a gambe larghe dinanzi a loro, sorridendo leggermente al pensiero di aver già vissuto quella scena, solo che lo aveva fatto dall’altra prospettiva, l’aveva osservata con gli occhi dell’allievo inesperto e sconsiderato, anziché con quelli del maestro che, pur rimanendo – a detta di tutti – uno sconsiderato, qualcosa in più doveva pur sapere – o almeno si sperava.

 “Okay, adesso cerchiamo di conoscerci un po’ meglio”, esordì, sentendosi particolarmente idiota. “Questo è una specie di rito, cioè, una tradizione. Mi capite?”, fece allegro, senza curarsi minimamente del fatto che in effetti i tre ragazzini non dovevano star capendo un’acca dei suoi discorsi sconclusionati. Ma del resto lo si sapeva, in fondo, che con le parole non era mai stato un granché. Avrebbero imparato ad accettarlo anche loro. “Adesso ognuno di voi mi dirà … No, anzi”, si interruppe improvvisamente, facendosi serio. “Prima di questo, vi devo fare una domanda importante.” Arricciò il naso, sospettoso. “Non è che qualcuno di voi adesso mi verrà fuori con la dichiarazione che ha qualcuno da ammazzare, vero?”

I suoi allievi sgranarono leggermente gli occhi, con tutta l’aria di crederlo completamente pazzo.

“Domanda indubbiamente interessante”, commentò infine con vaga denigrazione Ryo, “ma non credo …”

“Non fate caso all’apparente imbecillità del quesito”, lo interruppe Naruto. “Limitatevi a rispondere”, ordinò convinto.

Allora, in tutta serenità, Eisen sollevò una mano, impassibile.

Naruto lo studiò inquieto. “Beh?”, lo interrogò, impaziente.

“Io lo faccio per mestiere”, replicò il ragazzetto con aria ragionevole.

Ci furono alcuni secondi di silenzio. Il jinchuuriki impiegò svariati istanti per articolare una risposta intelligibile. “… Giusto.” Poi sussultò, circospetto. “Sì, ma nella fattispecie, non c’è nessuno che debba vendicarsi su qualcuno, vero?... Non guardatemi così, è di fondamentale importanza.”

“Mi sembri un tantino paranoico, sensei”, osservò Ryo – e chi sennò?

“Solitamente sono gli altri che tendono a volersi vendicare su di me”, dichiarò invece Eisen, concreto.

Kinuye seguitava a tacere, ma scrollò le spalle, con un atteggiamento che poteva significare: ‘Se mi vendicassi su tutti quelli che lo meriterebbero non finirei più. Non mi sembra il caso, non ne vale la pena’.

Naruto annuì. Si sarebbe aspettato un altro genere di risposte, ma sempre meglio che ricevere assensi. Bene, si disse, nessun Sasuke Uchiha 2 Il Ritorno. Anzi, La Vendetta, conoscendo il soggetto. Questa era in assoluto la cosa più importante. Decise di rimandare ad un’altra occasione un’eventuale indagine sui rapporti dei suoi allievi coi rispettivi fratelli, quindi si stiracchiò, soddisfatto.

“D’accordo, ora torniamo a noi. Vorrei che ognuno di voi si presentasse, e poi citasse qualcosa che gli piace, qualcosa che non sopporta e infine il proprio sogno, cioè … il proprio obiettivo, uno scopo di vita, non so … ognuno dovrebbe averne uno. Credo.” Si schiarì la gola. “Bene. Vuoi cominciare tu, Ryo?”

Il ragazzo drizzò il busto con sicurezza, sempre con quel suo sorriso allegro e canzonatorio. “Cos’è, una specie di gioco?”

“Qualcosa del genere. Prendilo come ti pare.”

“Va bene … Mi chiamo Ryo Tsurayaki, mi piacciono i ravioli e fare a cazzotti, e odio fare la spesa e quelle grandissime rompicoglioni di Emiko Chiaki e Ginko Momoko.”

Naruto ghignò, divertito. “E chi sarebbero?”

“Due oche”, lo liquidò il ragazzino torcendo il naso con visibile disgusto. “Un giorno o l’altro darò fuoco a quelle due streghe, insieme ai rispettivi compagni che tanto non rappresentano una grave perdita – incapaci. Essere arse vive sarà la giusta punizione per quelle arpie appiccicose.” Ghignò, sfrontatamente soddisfatto di quanto esposto. “E io godrò del loro dolore. E poi cos’è che devo dire? … Ah, già: il grande sogno della mia vita, quella roba lì, no? … Uhm … Boh, non è che me ne freghi più di tanto di diventare uno shinobi. Lo faccio solo perché poi la gente ti rispetta. Almeno dovrebbe. Voglio mettere su uno squadrone di fancazzisti e andarmene in giro a … a … Beh, non ho ancora deciso questa parte.”

Naruto lo osservò perplesso. “Questo sarebbe il tuo sogno?”, domandò deluso.

Il ragazzino sogghignò sfacciato. “Precisamente. Qualcosa in contrario?”

“Assolutamente no”, fece il jinchuuriki corrucciato. Si rivolse alla fanciulla del team. “E tu?”

La ragazzina inclinò lievemente il capo. “Mi chiamo Kinuye Oharu. Mi piacciono i soldi e gli oggetti di valore. E gli animali. Non mi piacciono le persone. O perlomeno la maggior parte di loro. Ho intenzione di diventare ricca sfondata – il come sono fatti miei – e poi andarmene da qui. Voglio esplorare i territori al di là dei confini delle cinque Grandi Terre.”

“Davvero?”, chiese Naruto sorpreso. “È una bella cosa. Cioè, eccetto la parte sui soldi e … e le persone, ma …” Si interruppe, notando che Kinuye lo scrutava truce. “… Ma ognuno ha i suoi gusti”, si affrettò a concludere ridacchiando in modo patetico.

Si schiarì la gola, tentando di recuperare un minimo di dignità, quindi lanciò un’occhiata eloquente ad Eisen, che al momento osservava gli altri individui – lui compreso – mantenendo intatto quel modo di porsi e di sorridere che evocava un’idea di amichevole superiorità, come a dire: ‘Sono perfettamente conscio di essere ventimila volte meglio di te, chiunque tu sia, sotto tutti gli aspetti. Ma non sono un asociale e tutto sommato potresti anche essermi simpatico, quindi credo che ti tratterò bene. In fondo anche i disgraziati meritano un po’ di rispetto, veh.

Naruto gli rivolse un cenno del capo, incitandolo a parlare.

“Il mio nome è Eisen Zeshin. Mi piace starmene per i fatti miei, e non tollero le persone invadenti.”

Fino a quel punto sembrava più un avvertimento che non una presentazione.

“Inoltre, parlando del mio ambiente, non sopporto le manie di grandezza di mio padre. Tornando alla domanda di prima, in effetti ci sono un paio di persone che devo far fuori più per motivi personali che non per lavoro. Ma niente di rilevante. Ho alcuni progetti, ma non credo che siano affari vostri.” Sorrise leggermente, con una punta di malizioso compiacimento. “Con rispetto parlando”, puntualizzò angelico.

Naruto strizzò le palpebre, sorridendo forzatamente. Quel ragazzino pareva avere il potere di metterlo a disagio. Questo era indubbiamente un aspetto pessimo della faccenda, già ai suoi occhi abbastanza complicata di per sé.

L’idea di divenire sensei inizialmente lo aveva eccitato incredibilmente, era entusiasta. Solo in seguito aveva iniziato a dubitare delle proprie capacità in un simile frangente, e ora all’insopprimibile soddisfazione si mischiava una specie di abbattimento, dettato dall’onnipresente consapevolezza dei suoi limiti, e dell’evidente difficoltà che avrebbe senz’altro riscontrato, una volta conosciuti i propri allievi.

Li guardò, uno per uno, provando una strana sensazione di euforia frammista ad incertezza, aspettativa e timore.

Magnifico. Un sicario amorale, un mezzo delinquente lavativo e arrogante, un’inafferrabile ladra misantropa. Gran bella squadra gli era capitata.

Eppure, diamine, non riusciva a non essere inaspettatamente felice.

 

 

“Sono sicuro che te la caverai benissimo, Naruto.”

Il jinchuuriki lo guardò storto, imbronciato. “Tu dici?”

“Ma certo. Ti adoreranno.”

“Mah, se lo dici tu …”

 

 

“Ehi, ragazzi, ci vediamo domani, d’accordo?”

Mmmh … Non urlare, sensei”, ruminò Ryo massaggiandosi un orecchio.

Naruto lo guardò sorpreso. “Oh, scusate”, esclamò ilare, e scoppiò a ridere.

Il ragazzino si allungò verso Kinuye con fare da conquistatore consumato. “Tu che dici”, bisbigliò accattivante, “secondo te perché sta ridendo, Kin chan?”

Quella lo squadrò torva. “Non ti ho mai dato il permesso di chiamarmi Kin, e tantomeno kin chan, sottospecie di babbuino decerebrato”, sibilò minacciosa.

Ryo ghignò, strafottente. “Quanto sei simpatica, tesoro. Peccato, con un così bel carattere, essere tanto bruttina.”

La graziosa fanciulla si infiammò all’istante. “Adesso ti mollo un cazzotto”, annunciò inviperita, saettando in avanti a velocità incredibile. Naruto scattò a propria volta e l’agguantò appena in tempo perché il suo pugno non raggiungesse il viso del compagno di team – centrandone in pieno il naso, peraltro.

“È manesca!”, si lamentò sdegnato Ryo, che in realtà sotto sotto doveva essersi preso un colpo nel vedersela balzare addosso così repentinamente.

In effetti anche Naruto aveva non poca difficoltà a tenere immobile la ragazzina guizzante, che al momento si dimenava con chiari intenti assassini nei confronti del giovanotto.

“Ehi, cavolo, state un po’ fermi, marmocchi!”, inveì Naruto spazientito.

“Levami le mani di dosso!”, fu l’immediata reazione di Kinuye.

“Vedi di portarmi rispetto”, esclamò il jinchuuriki con baldanza, lasciandola ricadere a terra in malo modo.

Quella si rotolò su se stessa, risollevandosi con un’imprecazione poco consona al suo tutto sommato gentile aspetto. “Umphf.”

“Oh, il brutto anatroccolo è stato rimproverato?”, la provocò subito Ryo.

Naruto seppe in quell’istante di detestare il ragazzino con tutto se stesso, e stavolta non potè fare nulla per evitargli il calcio affibbiatogli dalla diretta interessata, decisamente doloroso vista l’area colpita.

“Oh”, ribatté quindi la giovanissima kunoichi con scherno, “il bonazzo senza materia grigia è stato castrato?”

Il jinchuuriki si battè una manata sulla fronte, incredulo, mentre Eisen, poco più in là, prorompeva in una breve risata.

Ryo emise una specie di mugolio soffocato, piegandosi in due. “Che hai da ridere, stronzo?”, ringhiò a denti stretti. “Non è divertente.”

Eisen scrollò le spalle. “Credimi, dalla mia prospettiva lo è eccome.”

Naruto serrò le labbra, sforzandosi di non sghignazzare a propria volta, ma non riuscì a trattenere uno sbuffo divertito. Il ragazzino malmenato lo fulminò.

Lui sorrise apertamente. “Ti sei fatto mettere al tappeto da una ragazza, eh?”

“Come se le ragazze fossero per definizione più deboli dei maschi”, grugnì Kinuye punta sul vivo, mentre Ryo dichiarava indignato: “Quella non è una ragazza, è un mostro!”

A questa affermazione Kinuye ritenne opportuno rincarare la dose con un cartone in faccia al compagno.

“Ah!”, si lamentò il colpito a tradimento. “Basta, basta, ho capito! Ora sto zitto, ma finiscila di riempirmi di botte!”

Naruto scoppiò a ridere.

Quel pomeriggio non avevano fatto un granché. Si era limitato a saggiare le poche abilità dei giovincelli facendo loro ripetere le prove cui erano sottoposti per superare l’esame dell’accademia. Se la cavavano bene, e probabilmente l’indomani avrebbero intrapreso la prima missione.

Osservando i ragazzini allontanarsi dopo il congedo, Naruto sbadigliò al solo pensiero. Sarebbe sicuramente stato un incarico barboso che aveva a che fare col recupero di un gattino scomparso o intrappolato in cima ad un albero, e i suoi allievi si sarebbero lamentati per ore dell’inutilità delle missioni di livello D, del fatto che avrebbero dovuto affidare compiti del genere ai bimbetti del primo anno dell’accademia, come da copione.

Dieci minuti dopo camminava spedito verso casa, con tutte le intenzioni di fare prima una tappa all’Ichiraku e poi da Sakura. Quanto a Sasuke, la sua condizione era al momento decisamente peculiare. Era vero che era stato ufficialmente perdonato delle sue azioni e prosciolto da qualsiasi condanna. Tuttavia le autorità di Konoha gli avevano concesso la libertà a condizione che risiedesse fuori dal villaggio, a una decina di chilometri di distanza, in un’abitazione scelta apposta per lui, tenuta blandamente ma perpetuamente sotto controllo. Era stato inoltre declassato al grado di genin. E per quanto la hime avesse tentato il possibile per evitare il suo allontanamento, i consiglieri e i giudici si erano dimostrati irremovibili.

Naruto arricciò il naso con risentimento, ma si sforzò di scacciare quelle riflessioni delle quali solitamente si guardava bene dal seguire il corso, perché lo mandavano in bestia inutilmente. Al momento Tsunade stava lavorando continuamente per attenuare la costrizione imposta all’ex nukekin, e il jinchuuriki aveva fiducia nelle sue capacità. Era certo che nel giro di qualche mese la situazione sarebbe migliorata.

Sensei.”

Naruto arrestò la camminata e si voltò sorpreso.

Pochi passi indietro la sua allieva novella lo osservava in attesa.

Kinuye!” Le si avvicinò sorridente. “Credevo che fossi andata dall’altra parte …”

“Infatti.”

Il jinchuuriki batté le palpebre, perplesso. “Oh. Ma allora …”

“Volevo dirti una cosa, sensei”, annunciò lei sostenuta.

Naruto drizzò automaticamente le spalle. Lo faceva dalla mattina, da quando un gruppetto di ragazzini aveva iniziato a chiamarlo sensei. Ogni volta che gli veniva ricordata quella qualifica, gli era spontaneo tendere il busto, come a voler dimostrare di meritarla o come a prepararsi a ciò che essa comportava. Sensei. Era strano e difficile da accettare, e lo riempiva di orgoglio e di incertezza al tempo stesso.

“Va bene”, replicò senza cessare di sorridere. “Avanti, allora. Sono tutto orecchie.”

Kinuye distolse qualche istante le iridi dorate da lui, come intenta a riordinare le parole. Eppure c’era una certa ritrosia nel suo atteggiamento. “Sensei”, si decise infine, “vorrei chiederti scusa.”

Naruto sgranò gli occhi, confuso. “Come?”

“Per prima. Mi dispiace, non volevo mancarti di rispetto.”

Il jinchuuriki aggrottò le sopracciglia, nel tentativo di focalizzare l’avvenimento cui si riferiva la ragazzina. Quando gli tornò in mente, ridacchiò grattandosi la nuca, stupito. “Ma figurati! Non è successo niente.”

“Capisco che non sia molto importante, ma non mi piace che la gente interpreti male le mie intenzioni.”

“Beh, è … giusto”, borbottò lui colpito. Di certo non si poteva dire che il suo modo di parlare fosse scontato e prevedibile.  “Ma non ho mai veramente pensato che mi avessi mancato di rispetto. E poi, non è drammatico. Ryo lo fa di continuo.”

“Questo è vero.” Kinuye storse il naso con fierezza. “Ma io mica sono come lui, eh.”

Naruto rise, divertito. “Ah, beh, questo è poco ma sicuro.”

Anche Kinuye sorrise, concorde. Naruto la osservò soddisfatto. Era la prima volta che gli sorrideva apertamente. Ryo aveva torto, pensò, non era affatto bruttina. Di certo non era neanche una bellezza rara, né tantomeno appariscente. Ma era gradevole.

“Ti va del ramen?”, le propose di slancio.

Lei era visibilmente sorpresa. Lo guardò circospetta, quasi sospettosa, ma alla fine scrollò le spalle. “D’accordo, grazie.”

Lui confermò ridacchiando scioccamente, e s’incamminarono.

Non molto dopo allieva e maestro sedevano fianco a fianco dinanzi al voluminoso cuoco intento a porgere loro due ciotole fumanti.

“Grazie, Teuchi.”

“Di niente, Naruto san.”

Il proprietario dell’Ichiraku aveva iniziato da qualche anno ad omaggiarlo dell’onorifico san, nonostante le lamentele dell’oggetto di tale attenzione, e nel farlo mostrava anche un certo compiacimento, come orgoglioso del fatto che il ragazzino sbeffeggiato da tutti, da sempre suo fedele cliente, ora meritava quell’appellativo. Eppure il suo modo di pronunciare la particella restava affettuoso e confidenziale, come se la cosa non andasse comunque presa troppo sul serio.

“E questo”, soggiunse con un sorriso bonario l’uomo, porgendo un’altra ciotola, “è per te … Kinuye, giusto?”

“Sì. Molte grazie.”

Teuchi esplose in una grassa risata. “Ma come sei carina e composta. Siamo sicuri che sia una tua allieva, Naruto san?”

Il jinchuuriki si esibì in un broncio infantile. “Come sarebbe a dire? Perché, non sono forse carino e composto, io?”

“Tu? Ma per piacere! E ora mangia, ho altro lavoro da fare. Non posso fermarmi a chiacchierare con voi.”

L’uomo ridacchiò, scuotendo il capo. “Carino e composto, eh?” E si allontanò.

Naruto si rivolse alla ragazzina, sorridendo. “Beh, buon appetito!”, esclamò separando le bacchette con uno schiocco secco.

Lei annuì. “Altrettanto.”

La vide arrotolare scientificamente un fascio di spaghetti sulle bacchette, sollevare il boccone e studiarlo circospetta, quindi ingerirlo, dare tre masticate e ingoiarlo frettolosamente, e infine storcere il naso.

Sensei, questa roba fa veramente schifo.”

Naruto sgranò gli occhi e la fissò esterrefatto. Non poteva essere. Non aveva senso. Roba e schifo non erano termini da accostare al ramen.

“Cosa?!”

Kinuye alzò il capo con sufficienza. “È orrendo. Fa vomitare.”

“Ma … ma … ma come puoi …”

La ragazzina gli allungò la ciotola con un gesto secco, allontanandola da sé. “È tuo, se lo vuoi.”

Naruto accettò immediatamente l’invito, portando all’istante la pietanza sotto la sua protezione. Indi, ci si gettò sopra, famelico. Ingollatane una buona metà, sollevò lo sguardo su Kinuye, che lo osservava con un misto di divertimento e malcelato disgusto.

“Blasfema”, biascicò torvo a bocca piena.

Le labbra della ragazzina si contrassero e tremolarono, piegandosi nel tentativo evidente di trattenere una risata.

Naruto sorrise, gli spaghetti che penzolavano dalle labbra. “Allora?”, domandò infine. “Cosa ne pensi dei tuoi compagni?”

Lei scrollò le spalle, gli occhi abbassati sulle mani che giocherellavano con una scheggia di legno del bancone. “Penso che ci sia di meglio. Ma anche di peggio.”

Il jinchuuriki ridacchiò, cacciandosi in bocca un’altra generosa porzione di cibo. “Beh, se non altro è una risposta equilibrata.”

La ragazzina scrollò le spalle, laconica.

Naruto la osservò silenzioso qualche istante, cessando di mangiare.

Kinuye”, si decise infine. “Io … cioè …” Sbuffò. “Quello … quello che voglio dire …”

“Non è necessario un capolavoro dell’arte oratoria, dillo come ti viene”, suggerì lei, ragionevole. “Ti capirò lo stesso”, soggiunse compita.

Il jinchuuriki storse il naso. “Che bontà d’animo”, grugnì sarcastico.

Kinuye gli rivolse un mezzo sorriso sbilenco, compiaciuta, e alla fine anche lui tornò a sorridere. Del resto era difficile che smettesse di farlo a lungo.

“Quello che stavo cercando di dire è che … Prima hai detto che non ti piacciono le persone. Credo di avere una vaga idea di quello che vuoi dire. Capisco che non mi conosci, e che probabilmente non ti ho fatto una gran bella impressione …” Ridacchiò, passandosi una mano tra i capelli e arruffandoli più ancora di quanto non lo fossero in partenza. “Ma sappi che farò il possibile per essere un buon maestro. Ci riuscirò, ovviamente”, puntualizzò smargiasso, suscitando un’ironica ilarità nell’ascoltatrice. “Volevo che lo sapessi, tutto qui.”

Kinuye lo guardò sorridente, annuendo composta.

Naruto si spaparanzò sullo sgabello, vagamente sguaiato. “Certo, non sarò mai come il mio sensei …”, considerò riprendendo ad ingurgitare ramen a tutta forza.

La ragazzina drizzò il capo, indirizzandogli un’occhiata interrogativa.

Lui ghignò con convinzione. “Vedi, io ho avuto la grandissima fortuna di avere per maestro Kakashi Hatake.”

“Oh”, fece lei appoggiando un gomito sul bancone. “Ho capito di chi parli. Ti riferisci al Guercio Grigio.”

Naruto sobbalzò, tossendo e sputacchiando. Quando riuscì a sollevare il naso dalla ciotola, guardò la propria allieva ad occhi sbarrati. “Come … l’hai chiamato?”

Lei scrollò le spalle con noncuranza. “Tutti quelli che lo hanno visto della nostra classe lo chiamano così. Credo che sia stato Ryo ad affibbiargli il soprannome.”

Naruto roteò gli occhi, suo malgrado divertito. “E ti pareva.”

Kinuye contrasse le labbra, inclinando un po’ il capo. “Già.”

Il jinchuuriki sospirò, facendosi di colpo serio, ricordando improvvisamente di qualcosa che voleva dirle. “Ascolta una cosa”, disse allora, catturando lo sguardo di lei. Kinuye aveva dei begli occhi ambrati, di un lucente oro screziato di castano, mobili e pensosi. Naruto si raschiò la gola, incerto su come esprimere il concetto che ai suoi occhi era di fondamentale importanza. “Tornando al discorso dei tuoi compagni di team … Se posso darti un consiglio … cerca di tenerli d’occhio, voglio dire, di conoscerli il più a fondo possibile.”

La giovane battè le palpebre, perplessa. “Che intendi dire?”

Naruto distolse lo sguardo. “E’ solo un suggerimento spassionato … E’ per evitare di avere sorprese, sai.”

Kinuye assottigliò gli occhi, corrugando la fronte. “Ti riferisci a qualcosa in particolare, sensei?”

“Io … beh …”

La ragazzina gli rivolse un’occhiata penetrante, acuta. “Ha a che fare con quelle domande idiote che ci hai posto prima di quella specie di presentazione scema, non è vero?”

Naruto sgranò gli occhi, guardando confuso il liscio volto di dodicenne della ragazzina che lo studiava saputa. “Come fai a dirlo?”, borbottò sorpreso dalla sua perspicacia.

Lei mosse il capo con noncuranza, le ciocche fulve graziosamente disordinate si dimenarono leggere nell’aria. “Avevi più o meno la stessa espressione. È come se … Non importa. E’ solo che sono abituata a studiare gli atteggiamenti della gente, e quindi sono abituata a notare questo genere di cose.”

Il jinchuuriki annuì interessato. “Capisco.”

“Allora?”

“Cosa?”

“Non ho capito di cosa parlavi, prima.”

Naruto batté ripetutamente le palpebre, quindi distolse lo sguardo.

“Se non vuoi dirlo non fa niente”, lo rassicurò un po’ fredda Kinuye.

Naruto sorrise mestamente. “Non è che non voglia dirtelo, è che … Stai attenta. D’accordo?”

Lei lo scrutò scettica. “Mi è un po’ difficile esserlo non sapendo da cosa mi devo guardare.”

Il jinchuuriki sbuffò. “Come sei polemica.” Scrollò il capo, tornando serio. “Te lo spiegherò … magari un’altra volta, eh? Per il momento sta’ solo attenta. Io …” Abbassò gli occhi cupamente. “… Non lo sono stato abbastanza, al momento giusto per esserlo. E adesso … non dico sia troppo tardi, ma … Lasciamo stare.”

Si aspettava che la ragazzina esigesse un chiarimento, e invece Kinuye restò silenziosa, con espressione assorta, come ponderando le parole del maestro.

Infine pose la sua domanda. Ma non era quella che Naruto si sarebbe aspettato.

“Perché me lo stai dicendo?”

Il jinchuuriki la guardò confuso. “Cosa vuoi dire?”

“Quello che ho detto. Perché ne parli proprio a me? Perché non a Ryo? O … a Eisen? Se non ho capito male, questo avvertimento potrebbe essere rivolto a chiunque di noi, giusto?”

Naruto contemplò per qualche istante le pagliuzze opalescenti che parevano galleggiare pigramente nelle sue iridi, riflettendo. In effetti, non sapeva neppure lui perché avesse parlato di questo proprio a Kinuye. Forse perché casualmente si trovava al chiosco con lei, o forse perché la ragazzina lo aveva seguito solo per chiedergli scusa di un fatto del tutto insignificante, e questo era gratificante, o forse, e sapeva che era l’ipotesi più probabile, quella giovane era il componente della squadra che gli ispirava maggiore confidenza. Non se lo sarebbe aspettato. Avendo visto Gai con Rock Lee, e Kakashi con Sasuke, si era immaginato a prescegliere come allievo favorito un ragazzetto vivace che gli somigliasse almeno un po’. E invece ora si ritrovava a chiacchierare con inaspettato piacere assieme ad una ragazzina riservata e riflessiva, e per di più vagamente refrattaria ai contatti umani.

Scosse il capo con un sorriso. “Non lo so”, ammise sincero.

Kinuye si strinse nelle spalle. “In ogni caso grazie, sensei.” Scattò in piedi, agile. “Ora sarà il caso che vada.”

“Ma come? Di già?”

La ragazzina ridacchiò. “Sì, di già. Arrivederci, a domani.”

“A domani”, esclamò Naruto vivacemente, osservandola allontanarsi con quel suo passo felpato e perennemente furtivo, come avesse dovuto scattare o fuggire come una lepre da un momento all’altro, al minimo segnale di pericolo.

La giornata era quasi conclusa, aveva lo stomaco pieno e nel giro di un paio d’ore sarebbe andato a dormire.

Si sentiva leggero, lo permeava uno strano benessere.

All’ultimo momento, un attimo prima di scomparire dietro l’uscita, mentre scostava un lembo di stoffa con la mano, Kinuye si voltò. “Buonanotte, Naruto sensei.”

Il jinchuuriki annuì, sornione. “Buonanotte, Kinuye chan.”

Naruto sensei. Non suonava strano, né stonato, né ridicolo. Era meravigliosamente elettrizzante.

Si predispose quasi inconsciamente ad attendere la giornata dell’indomani con una serena aspettativa.

Sorrise da solo, come un idiota. Era felice.

  
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