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Autore: _Alcor    27/02/2024    6 recensioni
La fine del mondo è già passata.
Di preciso il mondo di Yuuki Shinomiya è morto insieme a sua sorella, cinque giorni prima. L'assassino è uno dei robot che hanno seminato panico in città nelle ultime due settimane. L'unica cosa che le rimane è trovarne il creatore e ammazzarlo con le sue mani.
Perché se non lo fa… che altro le rimane?
{sorella maggiore con il cuore in pezzi elabora il lutto | lo elabora male, e lo rende un problema per tutti quelli che conosce | companion fic per l’Ottantesima Vittima di Mixxo | minilong}
Genere: Angst, Mistero, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Chimere'
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Incendio generalizzato.

[Yuuki Shinomiya]





Afferro la rete metallica e mi isso sul muretto di pietra che circonda il parco degli schermitori. Il linno, un serpentone di cartapesta color ottone, occupa gran parte del palco. Tre sgherri, vestiti di stracci rugginosi e dai volti coperti, lo tengono sollevato con altrettante aste; il quarto, seduto ai piedi della scalinata di fronte a un microfono, ruota un bastone della pioggia.

Le casse gracchiano uno scroscio metallico, il linno si arrotola su sé stesso e apre le fauci: rivoli di fumo chiaro scivolano giù dal palco, dritti nell’erba che lo circonda. Raggiungono l’esercito di bambini seduti ad assistere alla storia.

Chissà quale di quelle teste è Belle.

Un brivido mi risale la schiena, ho le mani deboli e l’impressione sgradevole di non riuscire a reggermi. Le ore di sonno in arretrato si stanno facendo sentire.

Lo studente di prima – Ronan? – supera il cancello d’entrata e si rifugia sotto la pensilina dell’autobus alle mie spalle. «Che schifo ‘sto caldo,» borbotta.

Ma dove lo sente il caldo? Rimpiango di non aver messo una canottiera.

Butta lo zaino sulla panchina, allarga il colletto della maglia rossa e si arrotola i pantaloni della divisa fino alle ginocchia. «Quando è la corsa per il centro?»

Dopo quella per Marton di sicuro.

Salto giù dal muretto. «Già torni indietro, huh.»

«Avrei fatto meglio a seguire l’ennesimo corso della protezione civile più che saltare la scuola. Mi sarei evitato di quasi morire e di spendere cinque krone in caramelle.» Ronan calcia l’aria come un bambino capriccioso.

«Sbaglio o Belle ti ha chiesto solo un pan ranocchio? Tu hai preso il rest–»

«La prossima volta, se vuoi fare un regalo a una sconosciuta, non farlo con i soldi degli altri!»

«Tu non hai rifiutato.»

«Io non sono stronzo.» Sfrega la scarpa sull’asfalto e si china sul cartello con gli orari delle linee. «Il trentasei è tra un’ora, ma andiamo!»

«Ti dà così fastidio farmi compagnia?» Inclino il busto indietro e lancio un’occhiata al palco. Un cavaliere ammantato di rosso ci sale sopra, pianta il piede e sfodera una spada a due mani piena di dettagli che luccicano sotto la luce. I bambini gridano di gioia.

Altro che spettacolo di burattini, sembra il set di un tokusatsu.

Ronan si lascia cadere sulla panchina, tira fuori dalla cartella una bottiglia imperlata di condensa e il cellulare. Mancano solo un paio di cuffiette per avere la trinità dei segnali che dicono: non parlarmi.

Stendo le braccia al cielo e mi stiracchio, la chiavetta nella tasca dei pantaloni pesa più di un’arma da fuoco. Ho aspettato sei giorni, posso attendere un paio d’ore in più. Un brivido di freddo mi risale la schiena, mi gira la testa.

Aver dormito poco sta facendo sentire i suoi effetti.

Il cavaliere in rosso pianta la spada dentro il linno, il serpentone crolla a terra.





Piazzo le scarpe nello scomparto sotto il cubicolo e salgo sul materasso grigio lucido che ricopre il pavimento, l’aria condizionata è talmente bassa che mi sorprendo di non trovare un pinguino davanti alla postazione pc.

Sbatto il gomito contro la scaffalatura su cui sono sistemati cuscini, il dolore mi strappa un gemito sottovoce. Si sta stretti qui dentro ma per una cinquantina di krone avrò vitto, alloggio e privacy per due giorni: gli internet café sono il paradiso.

Lancio le chiavi della stanza accanto alla tastiera del computer e infilo lo zaino, con il cartellino del prezzo ancora attaccato, tra il muro e il case. Apro la cerniera: i contorni di un sacchetto di plastica sbordano fuori, lo schiaccio di lato e prendo il malloppo di fogli arricciati che ho stampato poco fa.

Centottanta pagine di dossier sul Gamble Night, offerte gratuitamente dalla gentilissima Meg. Le appoggio sulla scrivania e mi siedo; sfilo il cellulare dalla tasca, lo punto al viso come uno specchietto. I ciuffi color cioccolato vanno in ogni direzione, il taglio corto mi lascia il collo fresco, sembro un ragazzino che non ha ancora toccato la fase della pubertà.

Praticamente Ronan.

Passo la mano sulla nuca per dare una direzione ai ciuffi. La cicatrice sulla palpebra è arrossata e gonfia, sono riuscita a togliermi i punti da sola con un bisturi monouso. Sfioro la ferita, mi lancia una fitta di dolore tale da farmi girare la testa.

Che idea del cazzo che ho avuto.

Poggio il telefono a terra e sfoglio il malloppo fino alla pianta dell’edificio: cinque piani, di cui due sotterranei. La ripartizione degli spazi è nello standard, sicuramente è un luogo piacevole da frequentare come cliente.

Bar al piano terra, casinò al primo, stanze private al secondo… ogni planimetria è corredata da un riassunto dei servizi specifici offerti. Non mi sorprendo che guadagnino tanto; c’è fin troppa gente al mondo attratta da bellezze esotiche, vendere la compagnia di mostri provenienti da altri mondi è destinato ad attirare tanti portafogli.

Mi si appannano gli occhi, li stropiccio con il pugno chiuso. Una fitta di dolore mi strappa un gemito soffocato; la palpebra pulsa, ondate di calore e gelo si mischiano.

Giro pagina degli appunti. Il primo piano sotterraneo contiene un’arena per combattimenti, il luogo perfetto per mettere in mostra le abilità dei mostri. L’altro piano sotterraneo è una collezione di stanze piccole ma arredate per accogliere persone.

Dubito che venga affittato a clienti, senza uno straccio di luce naturale com’è, sembra più adatto per tenere prigionieri. O rifugiati che non vogliono essere trovati.

Scuoto la testa. «Non sono qui per mettermi nelle faide tra Gamble e Kaiser.»

Salto alle pagine successive, trovo schede corredate di foto e nomi dei dipendenti. La maggior parte ha a malapena qualche frase di descrizione, poteri e data di quando sono comparsi sul nostro piano di esistenza.

L’ultimo scatto ritrae una ragazza dalle orecchie a punta e i capelli legati in una morbida coda bassa, il sorriso enigmatico è stato catturato in una foto mossa. Accanto al suo viso c’è scritto solo: MYRA, VIGILANTISMO.

È un volto nuovo, sarà apparsa da pochissimo se è Meg è riuscita a dirmi solo questo.

Mollo i fogli sul tavolino.

Ci saranno una trentina di mostri riuniti dentro quel posto, come non siano ancora stati assaltati dalla Kaiser e messi dentro con il pretesto di una misura cautelare è sorprendente in sé. Puntello il gomito contro il ginocchio e mi sostengo il viso.

«C’è da dire che attaccarli apertamente sarebbe incauto. Gli operativi Kaiser sono in grado di affrontare due-tre mostri contemporaneamente, ma se si trovassero trenta di quelli a collaborare… la città diventerebbe una nuova Marton.»

Una distesa di cenere con un numero incalcolabile di morti.

Informazioni del genere ce le avrebbe fatte pagare a peso d’oro in condizioni normali. Meg non mi ha dato tutto questo gratis, sta guadagnando qualcosa da questa situazione. «Considerando da dove viene il colpevole… ha detto. Lei sa già chi è stato, altrimenti non saprebbe che l’informazione è contenuta al Gamble.»

Torno alla prima pagina; il file da recuperare è il 290610 contenuto nell’archivio dentro l’ufficio del proprietario al secondo piano, proprio accanto alle suite private.

«Stiamo scherzando?» Mi lascio cadere di schiena sul materasso, stringo le dita sulla carta fino a farla accartocciare e tiro un sospiro. «Chi usa schedari fisici di questi tempi!?»

Sento la puzza di trappola, ma l’alternativa di prendermela con calma mi piace ancora meno. Non so se a cedere sarà prima il mio fisico o i miei fratelli a trovarmi, entrambe le prospettive non mi allettano. Passi risuonano nel corridoio, serro le labbra e rimango in ascolto. Superano la porta della camera.

Lancio un’occhiata alla mensolina dei cuscini, l’interruttore della luce è a distanza di braccio. Lo spengo e piazzo il malloppo di fogli sul grembo, devo recuperare il sonno perduto prima di pensare un piano di azione.

Chiudo gli occhi.





L’insegna del Gamble Night è un miscuglio di neon rossi e blu che si illuminano a intermittenza, reprimo l’ennesimo brivido di freddo. Ho preso un antinfiammatorio, ma la sensazione di debolezza nelle ossa non vuole saperne di andarsene.

Non c’è traccia di fila o un buttafuori all’entrata, per ora non si permettono di essere schizzinosi con i clienti.

Supero le porte scorrevoli, un ragazzo in infradito e pantaloncini da spiaggia sciabatta sul tappeto dall’aria costosa. Passa il guardaroba e sparisce oltre una porta di vetro, seguito dall’occhio critico dell’inserviente che sta aiutando un paio di ragazze a liberarsi delle loro giacche eleganti.

Recupera un paio di grucce libere, la manica della camicia scivola giù e rivela il polso chiazzato da cicatrici a forma di petali. Il tipo ha le pupille verticali, come un gatto. Stringo la cinghia della borsa dove ho infilato il piccolo thermos con infusore, di questo non mi posso liberare se voglio sperare che il piano A vada in porto.

Tiro dritto per la porta e la spalanco, l’odore di agrumi e qualcosa dalla tinta dolciastra mi pizzica il naso. Diversi fari illuminano il palco dove un paio di musicisti accompagnano la cantante. Con uno svolazzo della mano, frammenti di cristallo appaiono dal nulla intorno a una giovane dai lunghi capelli legati in una coda bassa.

Myra.

Con uno schiocco delle dita i frammenti si condensano in un paio di gru origami, battono le ali e si librano sui tavolini in ombra occupati da gente di ogni genere.

Un sassofono si lancia in un assolo, la superficie delle creaturine si accende di un bagliore e prende fuoco. Lingue scoppiettanti che vanno dal verde al blu danzano sopra i presenti, indugiano sulle teste delle cameriere vestite da maggiordomi. Myra disegna un paio di cerchietti con il dito, le luci del palco scintillano sulle fibbie dorate della sua giacca.

I fuochi si riuniscono intorno a lei.

Nausea improvvisa mi stringe lo stomaco, la soffoco.

Lancio uno sguardo al lungo bancone, dove una barista solitaria sonnecchia in piedi. In fondo alla sala c’è un leggero via vai, diviso in due flussi. Uno sale verso la sala d’azzardo, l’altro scende verso l’arena: il mio prossimo obiettivo.

Punto verso quella direzione.

Una delle cameriere con un vassoio pieno di bicchieri vuoti si stacca dai tavolini, mi faccio di lato per lasciarla passare ma mi posa la mano sul braccio. Ha un viso giovane, capelli neri con una solitaria ciocca rossa che incornicia il viso.

Una delle poche non-mostro che lavora qui dentro, se ricordo bene i documenti.

Mi lascia. «Signora?»

Stendo le labbra in un sorriso e rimango in ascolto. Se non sbaglio è anche minorenne, non dovrebbe lavorare dentro a quest’ora. Non che mi riguardi.

La cameriera esita, cerca le parole. «È la prima volta che viene qui?»

«Mi hai bloccato per chiedermi questo?»

Sono piuttosto convinta che non sia la domanda che voleva farmi davvero, ma chiedere sei ubriaca? sarebbe troppo scortese anche per un posto del genere. Mi si legge troppo in faccia che non sto bene.

Ciocca rossa annuisce. «Oggi offriamo un infuso di cedro, miele e,» tentenna, aggiunge una parola musicale che non ho mai sentito prima. «Sono stati piantati e fatti crescere qui, ma sono originari di una terra lontana di nome Cyrrium. È consigliato per chi rimane ad ascoltare Myra cantare.»

Non canta così male da dover drogare i vostri clienti, sapete?

Faccio un cenno del capo. «Allora seguirò il tuo consiglio…»

La cameriera mi indica un tavolo vuoto piuttosto lontano dal palco, corre a consegnare il vassoio pieno alla barista senza aspettare di vedermi muovere. Mi siedo, sprofondo nella poltroncina morbida.

Questo posto non ha routine particolari a cui si attiene. Funziona con il minimo indispensabile di personale, quindi gran parte dell’orario di apertura è speso a gestire il flusso di clienti tra le varie sale.

Se voglio sfruttare una loro distrazione per trafugare le informazioni che mi servono, devo creare la distrazione.

Ciuffo rosso mi compare accanto, posa sul tavolino una tazza con un filo di liquido ambrato e scagliette dorate. Ci rovescia dentro un infuso rossastro fino a un dito di distanza dal bordo. Uno dei fuochi fatui danza sopra la testa della ragazza, si cristallizza una streghetta che si posa sul bordo della tazza. Mostra il pollice.

Bizzarro.

Alzo gli occhi, Myra ha fatto l’occhiolino nella nostra direzione. Continua a cantare con uno sguardo degno di un uccellino che stende le proprie ali per farsi ammirare; c’è qualcosa di candido nella gioia che sta sprigionando solo perché ha gli occhi dei presenti addosso.

Se fosse un’egocentrica e basta sarebbe più semplice.

Poso la borsetta con il thermos tra i piedi e prendo il cucchiaino. Essere puntata da due membri del Gamble appena entrata è sospetto.

Temo che non sia solo paranoia la mia.

  
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