Anime & Manga > Lady Oscar
Ricorda la storia  |       
Autore: xwaterice    02/03/2024    5 recensioni
“Io verrò con lei, dottore. L’accompagnerò come suo assistente o qualsiasi cosa io possa e debba essere.”
Ho immaginato una parentesi alternativa per André mentre Oscar è in Normandia. Un’occasione e una speranza nuova per ritrovare se stesso.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Alain de Soisson, André Grandier, Nuovo Personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
- Io verrò con lei, dottore.


Fissò l’uomo davanti a lui intensamente, il tono della voce tinto di una durezza sconosciuta persino a se stesso. I cavalli scalpitavano impazienti sulle pietre ancora umide, figlie di una pioggerella fredda e un cielo colmo di nuvole. S’intravedevano appena dei batuffoli ambrati che emergevano dall’orizzonte, pronti ad annunciare il tramonto. Una carrozza attendeva il dottore Debois a qualche passo dal vialetto che conduceva al suo studio, un baule era già stato sistemato sul postiglione e il cocchiere sedeva già a cassetta.


Doveva essere duro. Doveva imporsi, ma solo nei riguardi di se stesso e nessun altro, ché ormai sentiva di aver imbrattato l’animo dell’attendente che non sarebbe più stato, dell’amico di una vita ed ancor di più dell’innamorato respinto ubriaco di lei, vestitosi delle stesse tenebre di quella rovinosa sera. Faticava a riconoscersi in quell’essere, perché solo questo poteva dire di esser stato. Meritava dunque di non essere più nessuno, perché, André Grandier, in quei giorni di aprile, non sapeva davvero più chi lui fosse. 


Vagabondava tra l’alcol e i pensieri pregni del passato, svolgeva le sue consuete mansioni a palazzo Jarjayes e sempre più spesso accoglieva di buon grado le commissioni che sua nonna avrebbe dovuto svolgere in città, proponendosi di sua sponte, così da sollevare l’anziana e le altre cameriere dalla fatica degli spostamenti. In realtà voleva solo trascorrere il minor tempo possibile tra quelle mura, ché pure tra quelle sentiva di non aver più diritto di vivere, mangiare e dormire. E forse voleva anche risparmiare alla donna, e chiunque altro, l’occasione di notare qualche cambiamento in lui. Fingere di vederci bene era un peso a cui non poteva più mostrare indifferenza, e non voleva la pena e la pietà di nessuno.


In una di quelle occasioni, mentre ritornava a cavallo da Montmartre, il vociare acuto e agitato di un gruppetto di bambini ammucchiati ai lati di una fontanella arrugginita aveva attirato la sua attenzione. Li aveva raggiunti, smontando da cavallo in fretta, ed era sobbalzato alla visione di uno dei bambini accasciato in terra, con le manine serrate alla gola e gli occhietti nocciola impauriti, il volto terribilmente pallido e quasi violaceo. D’istinto lo aveva afferrato dalle braccia e fatto sedere, e aveva poi chiesto ai compagni di gioco di sostenergli la schiena, così che lui potesse tirargli fuori la lingua ed impedirgli di soffocare. Raccolto il piccolo, che lentamente riprendeva a respirare tra le sue braccia, si era poi fatto indicare il medico più vicino da quelle parti ed aveva così fatto la conoscenza di Laurent Olivier Debois, un uomo appena oltre la mezza età dai capelli scuri e dalla folta barba rossiccia, retto e generoso. 


Era nato un patto silenzioso tra i due: il medico preparava nuovi unguenti per alleviare i fastidi che accusava all’occhio destro e lui, conclusi i suoi doveri giornalieri, accompagnava e poi riportava a cavallo altra povera gente del popolo che necessitava delle sue cure e non poteva permetterselo; spesso si fermava ad aiutarlo con le carte da compilare, le erbe da comperare, gli strumenti da pulire, le consegne da fare… e le giornate gli erano parse persino più brevi. 


Era venuto poi a conoscenza dell’imminente partenza del dottore verso Pais-de-Calais; sarebbe stato via qualche settimana, sotto richiesta di un suo vecchio compagno di studi che teneva care le sue ricerche in merito alla chirurgia dei grandi vasi e del cuore e che, in quel momento, necessitava del suo aiuto. Un’alluvione aveva scosso la quiete di quel villaggio che ora naufragava in bilico tra la vita e la morte e l’uomo non aveva atteso un istante per disporre al meglio la sua partenza. 


Un pensiero fulmineo aveva così iniziato a pungolare la mente, o forse più il cuore, di André. Un pensiero sciocco, decisamente poco consono ad un guercio come lui che forse, con molte probabilità, sarebbe potuto diventare cieco anche dall’unico occhio che gli era rimasto. Un’idea di quelle che forse hanno solo i folli, o gli stolti, ma che pure lo attraeva come fosse il canto di una sirena.


Ed ora era lì, appena oltre l’uscio di quello studio che per lui era diventato come una seconda casa, i battiti accelerati ed il respiro appena più pesante. Strinse i pugni abbandonati lungo i fianchi ed inspirò, lentamente, socchiudendo le palpebre per assaporare meglio quell’istante. Ansia e coraggio si tennero per mano, riunendosi in semplici e ferme parole.


- L’accompagnerò come suo assistente, o qualsiasi cosa io possa e debba essere.


Perché doveva farlo ora, ora che aveva fatto a brandelli tutto quanto. Ora che gli erano rimaste solo le taverne e l'alcol, i liquori ed i rimpianti, le parole non dette, i gesti di troppo, l'indignazione e la vergogna verso se stesso addosso. Ed ancora vino, borgogna fradicia nelle vene. Ora che per Oscar non era e non meritava d'esser più nessuno. Voleva servire la medicina, proprio lui che a quella scienza avrebbe potuto implorare solo pietà, in ginocchio, chiedendo che gli venisse risparmiato anche solo un rivolo di luce. Eppure, sentiva che fosse la cosa giusta, lui che impulsivo era stato mai. 


- Desidero aiutare il prossimo con ogni mezzo a mia disposizione, con tutta volontà che ho. Lo desidero davvero, dottore.


Perché aveva sentito dentro di sé una forza immensa quando quel bambino che aveva salvato dalla morte, con il volto ancora rigato dalle lacrime, si era stretto a lui abbracciandolo come se fosse la sua persona più cara al mondo. E la sua mano non l'aveva più lasciata, mentre il medico controllava che respirasse bene e non avesse alcun corpo estraneo in gola. Perché era indicibile la sensazione che aveva provato quando i pazienti del dottore riaprivano gli occhi dopo ore di terrore e agonia, e lo ringraziavano per aver compiuto un miracolo. E ringraziavano anche lui, solo per essergli stato accanto in quell’inferno.


Io verrò con lei, dottore.
Perché in questi giorni ho sentito di nuovo la vita dentro di me, dopo che io stesso ho spento e annerito la mia Luce, strappandola come se avessi lacerato la mia stessa pelle insieme a quei fili di lino. In questo momento sento che solo aiutando il prossimo posso provare a ritrovare me stesso. Ed io desidero davvero ritornare ad essere degno di chiamarmi André Grandier. L’unico posto a cui so di appartenere in questo mondo è accanto ad Oscar. Non importa come, o in che forma, io ritornerò da lei. Farò in modo di meritarmelo, anche se forse non perdonerò mai me stesso. Io verrò con lei, dottore, ma partirò solo per poter ritornare.

André abbassò lo sguardo per un istante, incurvando appena le labbra. Un po’ rideva di se stesso, tra sé e sé, come se le parole appena pronunciate lo avessero svuotato della fermezza delle sue intenzioni. Una calma apparente, reduce di un peso che lo inchiodava da giorni. Uno tra i tanti, pensò, ma l’unico ed il solo su cui al momento poteva agire.


Una stretta sulla spalla destra lo scosse poi dai suoi pensieri. Non c’era compassione in quel gesto, era più come una carezza amica, forte e sincera. I due uomini si guardarono dritto negli occhi, rischiarati dai raggi dell’ultimo quarto di sole mentre sfuggiva, in un fortunato istante, dalla fitta morsa delle nuvole, filtrando tra i lunghi rami dei cipressi che costeggiavano la via principale.


Debois non aveva detto nulla. Era rimasto in silenzio ad ascoltare, ad osservare. 
Lo comprendeva, in fondo, perché forse quel ragazzo dall’iride che fiammeggiava di verde non era molto diverso da lui; e sapeva che, davvero, guarire qualcuno ridandogli una possibilità di vita creduta persa talvolta è come ricevere in dono uno spicchio di vita stessa. Non sentiva di avere alcun diritto di sfumare quel guizzo d’innocente – e forse sconsiderata - euforia che aveva intravisto in quel ragazzo, tanto più simile a lui che al figlio che aveva perso in guerra. E non voleva nemmeno fermarlo, dopo tutto. 


- Figliolo…


- Lo so. – lo interruppe - Prometto che non le sarò d’intralcio. Lo ha visto da sé, mi posso rendere utile anche se la mia vista non è delle migliori. Non ne ho mai fatto mistero, dopotutto…


Anticipò l’ovvio, ché non era necessario fingere né girarci intorno… almeno in questa realtà.


- Va bene. Non credo di avere nulla in contrario.

- Davvero?

L’uomo annuì. Frugò all’interno della tasca della sua giacca, tirò fuori un involucro con all’interno un panno bianco di cotone e poi lo svolse velocemente aiutandosi con l’altra mano. Era una lente rotonda, più spessa e del tutto diversa da quelle d’uso ordinario: due vetri giustapposti, il primo concavo e l’altro che si adattava ad esso di curvatura opposta, inclinati anteriormente. Erano tenuti insieme da un cerchio di metallo spesso e da un’unica stanghetta frontale da agganciare al capo.[1]

- Te li avrei fatti consegnare prima di mettermi in viaggio, purtroppo sono riuscito a terminarli solo oggi. Non risolverai il tuo problema con degli occhiali, André, ma forse con questa – gliela porse, sorreggendola con cautela – la visione degli oggetti quantomeno vicini sarà più nitida. Almeno per leggere… ed assistermi al meglio.

- Io…


André era visibilmente commosso. Trattenne le lacrime che già sentiva bruciacchiargli gli occhi e, con voce spezzata, riuscì appena ad articolare delle parole. Era grato per quella premura così inaspettata, come se non riuscisse a realizzare che qualcuno credesse davvero in lui, nonostante tutto. In quell’istante sentì di non essere più solo, dannatamente solo, dopo molto tempo. Indossò la lente, cercando di incastrarla velocemente tra i suoi capelli. Fu sorpreso dal peso che tutto ad un tratto sentì sul suo naso. Strizzò gli occhi più volte per mettere a fuoco, ma rimandò ad un secondo momento ogni considerazione.


- Ora andiamo, siamo già in ritardo e lì fuori c’è molto da fare.


Annuì. Il dottore si allontanò per raccogliere ciò che era rimasto sulla sua scrivania, strumenti e medicinali e probabilmente altre utilità più che bagagli pieni di indumenti. André aveva con sé una sola sacca da viaggio, con delle camicie, culottes e qualche tozzo di pane. Lo aiutò a caricare il tutto sul postiglione, insieme al cocchiere che gli sembrò visibilmente annoiato dall’attesa. Partirono, infine, accompagnati dal rumore delle ali degli uccelli che si spiegavano in volo sovrapposto allo scricchiolio delle ruote sul terreno lastricato.

Con lo sguardo rivolto oltre il vetro, mentre il sole si addormentava dietro le coltri dell’orizzonte, il pensiero di André volò a palazzo Jarjayes, da sua nonna, la quale – immaginò – sarebbe stata ancora sveglia e briosa come un’allodola, con le mani impastate di farina, latte e uova, mentre con la sua vocina imperiosa disponeva le indicazioni per la cena, la colazione e l’intera giornata a venire. Sorrise al pensiero e si chiese se ella avesse letto la lettera che aveva lasciato sul mobiletto di castagno adiacente al suo letto, accanto al rosario. Qualche riga, le spiegazioni che occorrevano per non darle molta pena. Avrebbe capito, forse…


Si voltò di scatto verso il medico, intento a leggere uno dei suoi manuali. Un velo di preoccupazione gli adombrava il volto, anche se egli cercava di non darlo a vedere.


- Dottore?



Lui continuò a sfogliare i suoi fogli, senza levare lo sguardo verso il giovane.


- Sì, André?


- Grazie.


Riuscì a dirlo finalmente, senza riserve, appellandosi alla speranza che ogni minuto sentiva squarciare il guscio di ghiaccio che gli mordeva lo spirito, sopendo, irrequieto, il fuoco bollente che quella sera non aveva saputo domare, vergognoso e vile. 


Ma se come il ghiaccio a contatto col fuoco cambia forma ma non la sua natura, lui ora voleva essere acqua. Limpida, quieta, fresca.


Guardando la Senna che s’increspava in lontananza, immaginò Oscar passeggiare sulle spiagge della Normandia, illuminata dallo stesso crepuscolo arancio [2] che tingeva il cielo di Parigi. I riccioli biondi bagnati dagli spruzzi salmastri di quelle onde che, come lei, turbinavano e s’infrangevano le une con le altre per poi tornare ad essere più immense di prima.


Si abbandonò contro lo schienale, stringendo da sotto il mantello il suo diario, all’altezza del cuore.


Aspettami, Oscar.
Io ti aspetterò per sempre, semmai vorrai ritornare da me.
Anche tutta la vita.



[1] con molta, moltissima fantasia intendiamole come la cosa più vicina alle nostre moderne lenti progressive.
[2] menzione alla mia “crepuscolo arancio”, da cui ho anche ripreso una metafora.

 


Note: questa piccola storia ha in totale due capitoli, il secondo l’ho già scritto e lo pubblicherò a breve (giusto il tempo di rivederlo). Anticipo solo che non mi discosterò poi molto dagli eventi canonici dell’anime… grazie mille per la lettura!
   
 
Leggi le 5 recensioni
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Lady Oscar / Vai alla pagina dell'autore: xwaterice