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Autore: KushinaKurosaki    05/03/2024    1 recensioni
L’organizzazione degli uomini in nero era stata sconfitta. Tutti coloro che erano stati coinvolti da quella brutta faccenda potevano ormai tornare a tirare un sospiro di sollievo, forse non proprio tutti. Lei era oscurità e la luce del sole era la sua più acerrima nemica, però vi era da dire che neanche la notte era sua alleata. Era un angelo dell’oscurità destinato a soffocare e nessuno lo poteva notare. Alle volte paragonava la sua vita a quella di una stella, perché nessuno guarda le stelle quando splende la Luna. E anche se non splendesse, fra le scintillanti sorelle, chi noterebbe una fioca stella in procinto di cadere nel baratro? Era così che si sentiva la povera Shiho Miyano, tutti avevano vinto, lei era uscita l’unica sconfitta.
ReixShiho ShuichixJodie
Genere: Dark | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Ai Haibara/Shiho Miyano, Jodie Starling, Quasi tutti, Rei Furuya, Shuichi Akai
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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Seduta sul comodo divano in pelle restò a guardare l’uomo perso nei suoi pensieri. Stava sicuramente ripassando il discorso che si era preparato per evitare di pronunciare le parole sbagliate in sua presenza. Un po’ lo comprendeva, dato che la questione era delicata ma quell’attesa agitava il suo animo.  « Io… ho bisogno… di sapere una cosa. » lo interruppe mordendosi un labbro. Da quella risposta avrebbe compreso se poteva reggere o meno quel confronto. 
 
« Mia sorella…tu…tu l’amavi sul serio? » L’aveva vista perdere il sorriso a causa sua, l’aveva vista piangere per ore senza poter far nulla perché non sapeva come ci si comportava in quei casi. Voleva sapere se anche lui aveva provato quel sentimento struggente, perché in quel caso la felicità che le aveva visto in volto non era frutto di una mera illusione, com’era accaduto a lei.
 
 
« Si, ci misi poco ad innamorarmi di lei. »
 
 
Quel tono che all'apparenza sembrava atono, celava una sofferenza che Shiho colse, abbassò lo sguardo ai suoi piedi non voleva piangere, non di nuovo di fronte ad un uomo.
« Akemi, era fatta così. Allegra e solare, nessuno poteva arrivare ad odiarla. » ammise lei  per poi alzare lo sguardo su di lui.  « Si esatto, e mi dispiace che sia morta a causa mia. » Shiho strinse i pugni abbassando lo sguardo e lasciando che l'uomo continuasse il suo racconto. Sobbalzò, lo sapeva però. Rye non aveva scelto Akemi a caso per infiltrarsi nell’organizzazione. Era stata scelta perché era sua sorella. Ne era consapevole da tempo ma sentirselo dire era tutt'altra storia. Accusò quel colpo, cercando di non fare gesti avventati. La voglia di fuggire era tanta.
 
 
« Fu in quell'occasione che scoprii la sua morte. Non ho potuto proteggerla, non ho potuto fare nulla se non restare a guardare quel giornale. Mi dispiace Shiho.» ammise l’uomo dagli occhi smeraldini mentre restò ad osservare la ragazza. Aveva avuto il capo chino per tutta la durata del racconto, non riusciva a vedere la sua espressione ma i pugni serrati e le nocche bianche gli fecero intuire che fosse arrabbiata. Aveva ragione ad esserlo. Lui aveva sfruttato Akemi e, anche se innamorarsi non era mai stato nei suoi piani, lei aveva pagato il prezzo più alto. Era colpa sua. Odiava ammetterlo ma il biondino aveva ragione nel dire che l’FBI non guardava in faccia a nessuno pur di mettere gli artigli sulla sua preda.  « Devo andare. » esclamò di colpo la ramata uscendo a passi svelti dalla casa. Akai sospirò, seguirla non avrebbe portato a nulla di producente. Aveva bisogno di tempo per metabolizzare le informazioni, ma sapeva che non lo avrebbe mai perdonato e alla fine andava bene così. Aveva immaginato mille scenari diversi e quello in tutta onestà era il migliore possibile. Il campanello suonò, probabilmente era il dottore che voleva notizie sul come fosse andata. Si ritrovò sorpreso dal volto della sua collega, non si aspettava quella visita, anche perché Jodie, accompagnata a Camel voleva dire lavoro. 
 
 
 
 
La ragazza ramata sospirò cercando di scaldarsi le mani. Il freddo pungente di metà Novembre le stava entrando fin nelle ossa. Alla fine aveva optato di andare al parco. Se fosse rincasata in lacrime avrebbe fatto preoccupare il dottore ed era l’ultima cosa che voleva. Lì invece nessuno l’avrebbe calcolata, né tantomeno avrebbero potuto riconoscerla. Fortunatamente il maglione viola che aveva addosso era munito di cappuccio, in quel modo era al sicuro.
I membri dell’organizzazione si trovavano in carcere, chi era sfuggito all'arresto era finito in una bara eppure la sgradevole sensazione di avere una pistola costantemente puntata alla tempia era ancora lì. Non credeva che sarebbe stata così sconvolta da quella conversazione. Se n'era andata senza degnarlo di uno sguardo, era stata più scortese del dovuto nei suoi confronti.
Sapere che anche lui soffriva per Akemi…conoscere i suoi veri sentimenti per sua sorella gli aveva reso più facile accettare le lacrime che lei aveva versato, perché anche lui doveva aver sofferto. Non credeva avesse pianto ma dalla voce con cui gli si era rivolto, era chiaro che parlare di lei non lo lasciava indifferente. 
 
 
« Hello darling! » quella voce la fece spaventare, le servì qualche minuto per mettere a fuoco la persona che, nel silenzio più totale, le si era avvicinata. Forse avrebbe dovuto rivalutare il concetto di irriconoscibile. « Agente Jodie, come mai da queste parti? » le chiese cercando di darsi un contegno. « Sto tornando a casa, però sai una ragazza da sola che tenta di nascondersi con un cappuccio accovacciata sotto una quercia non può non attirare l’attenzione. » esclamò sorridendo allegra per poi prendere posto accanto a lei. « Come mai quel muso lungo? Non dovresti essere felice? D’altronde abbiamo vinto, no? » domandò un po’ incerta. Si erano parlate solo una volta ed era stato quando Vermouth aveva tentato di ucciderla nel party di Halloween fuori stagione. « Abbiamo vinto? » ripeté lei non convinta della sua esclamazione, cosa che la ragazza dagli occhi glaciali colse immediatamente. «Si sbaglia agente Jodie. Io non ho vinto proprio nulla anzi ci ho solo rimesso. » ammise nascondendo la testa fra le gambe. L’americana stette in silenzio aspettando che lei continuasse a parlare, effettivamente neanche lei aveva vinto.
 
« Adesso puoi avere una vita normale, no?» chiese ancora comprendendo che non avrebbe parlato se lei non gli avesse cavato le parole di bocca. « Normale? Cosa c’è di normale? È ormai una settimana che provo a varcare la porta di casa, perdo mezz’ora ogni volta che devo uscire. Quella stramaledetta sensazione di essere costantemente in pericolo mi schiaccia il petto, anche adesso continuo ad aver paura di loro sebbene io sappia che non possono farmi nulla. Non riesco neanche a pronunciare il mio nome che mi si mozza il fiato, come se qualcuno potesse uccidermi da un momento all’altro, e ciò che è peggio è che questo nome non mi appartiene. » Si sorprese e non poco nel sentire quelle parole spezzate dal suo pianto disperato. Non immaginava che quella ragazza potesse essere così disperata ma effettivamente in tutto ciò che le aveva detto non c'era la benché minima traccia della normalità. « Io ti comprendo più di quanto tu possa immaginare.» affermò la statunitense posando una mano sulla sua spalla. Le sembrava di parlare a sé stessa, forse erano più simili di ciò che credeva. « Anche io ho dovuto imparare ad apprezzare un nome che non mi apparteneva. Quando avevo nove anni, Vermouth uccise mio padre e da allora la mia vita fu completamente stravolta. Diventai Susan Darwins, non riuscivo proprio a pronunciare quel nome che non mi apparteneva  e la sensazione di non poter fidarmi di chi mi circondava la ricordo ancora. Era stato un periodo orribile ed ero sola, ma nonostante ciò avevo trovato qualcosa che mi aveva spronato ad andare avanti. Volevo che chi avesse fatto del male a mio padre venisse punito. » spiegò la giovane agente mentre Shiho sorrise leggermente. Non immaginava che quella donna potesse comprenderla, né tantomeno che lei le avrebbe confidato ciò che non aveva avuto il coraggio di dire neanche al dottore.
« Ma non è solo questo vero, Shiho? » le era venuto spontaneo chiamarla per nome tuttavia la ramata non aveva fatto neanche una piega. « Come fai a dirlo? » chiese guardinga mentre il sospetto che Akai l’avesse mandata da lei si fece largo nella sua mente ma dovette scacciarlo immediatamente. Seppur fosse stato lui a mandarla da lei, e Akai non sapeva la sua attuale posizione, per quale motivo avrebbe dovuto farlo? Che fosse preoccupato?
 
« Sono andata da Shuichi, avevamo del lavoro da ultimare ma era strano. Hai presente quando qualcosa ti lascia perplesso?» cercò di spiegare mentre la ramata ci pensò su. « Del tipo è andata bene, ma poteva andare meglio? Allora credo di si.» affermò la ragazza asciugandosi una lacrima.
« Esatto poi quando ti ho vista qui ho pensato fosse collegato a lui e quindi… » ammise mordendosi un labbro non sapendo cosa dirle. « Devi tenere molto a lui, Akai è impassibile quindi… » dichiarò lei con un sorriso mentre iniziò a comprendere la situazione fra la donna e il collega. Era brava a notare i piccoli dettagli, Akemi glielo ripeteva spesso…già Akemi.
« Comunque non è con lui che ho un problema. È vero abbiamo parlato, lui mi ha spiegato tutto e poi…sono scappata. » esclamò guardando la punta delle sue scarpe.
« Non comprendo allora… » sibilò confusa mentre Shiho sospirò mordendosi un labbro.
« Il problema sono io… Akai può dire quello che vuole ma Akemi non l'ha uccisa lui.» Quell'affermazione la sorprese, non riusciva a comprendere il nesso logico fra lei e la morte della sorella. « Akemi è morta a causa mia, e questa cosa nessuno potrà mai cambiarla. »
 
« Gin non l’ha uccisa… » iniziò lei ma Shiho la bloccò prima che finisse di parlare. 
« Akemi voleva portarmi fuori da quell'incubo, Akai si è avvicinato a mia sorella per raggiungere me. Che differenza fa? È morta comunque a causa mia. » dichiarò lei mentre Jodie non seppe come rispondere.
 
   
 
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