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Autore: _Alcor    05/03/2024    5 recensioni
La fine del mondo è già passata.
Di preciso il mondo di Yuuki Shinomiya è morto insieme a sua sorella, cinque giorni prima. L'assassino è uno dei robot che hanno seminato panico in città nelle ultime due settimane. L'unica cosa che le rimane è trovarne il creatore e ammazzarlo con le sue mani.
Perché se non lo fa… che altro le rimane?
{sorella maggiore con il cuore in pezzi elabora il lutto | lo elabora male, e lo rende un problema per tutti quelli che conosce | companion fic per l’Ottantesima Vittima di Mixxo | minilong}
Genere: Angst, Mistero, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Chimere'
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Estinzione.

[Yuuki Shinomiya]





La streghetta di cristallo si lascia cadere giù dal bordo della tazza e afferra il cucchiaino con entrambe le mani: le braccia le tremano, pianta i piedi e spinge.

Il fuocherello blu che le brucia sottopelle si ravviva, brilla come le fiamme che danzano intorno al palco. La punta del manico disegna un arco e sbatte contro la tesa del suo largo cappello.

Ciocca Rossa fa un cenno del capo e sparisce tra i tavoli. Speriamo che non debba scendere giù all’arena quando faccio partire la distrazione.

La streghetta inarca la schiena e infila il cucchiaino nella tazza; mischia, le scaglie di cedro vorticano nell’infuso rosso. Non stonerebbe vederla nello spettacolo con il serpentone di oggi, con l’unica differenza che lei non è un effetto speciale.

Salta giù dal piattino e rimane in attesa.

L’intruglio getta fili di vapore sottili, ne bevo un sorso; il retrogusto piccante mi intorpidisce la lingua e scalda la gola. Non sento per niente il miele, ma quello è colpa mia.

La streghetta si toglie il cappello e fa un inchino, si accartoccia su se stessa con uno scricchiolio leggero. La fiammella blu sottostante sfugge dai bordi irregolari del cristallo, attecchisce fino a ricoprirla.

Una scintilla scoppietta. Si riunisce ai fuochi fatui che danzano sotto la direzione della voce di Myra.

Bevo un altro sorso, un calore piacevole si spande dallo stomaco lungo tutto il corpo: scioglie il dolore alle ossa e rende la testa leggera. Scintillii confusi mi accecano, scie sottili collegano ogni fuoco fatuo in tre grandi orbite regolari, al centro di esse la cantante brilla come un sole.

Poso la tazza sul piattino.

È davvero drogata, merda.

Ogni persona seduta ai tavolini sprizza gemme di colore dal petto che cadono a terra e si frantumano in polvere brillante dopo un paio di secondi. Mi stringo il petto, ma da me non esce nulla di simile.

La musica cala, solo la pianola accompagna i vocalizzi sussurrati di Myra che chiude la mano a pugno. Le orbite tracciate nell’aria vanno in pezzi e i fuochi si spengono come se qualcuno ci avesse soffiato contro.

Si allontana dal microfono. La luminescenza che la avvolge cala fino a diventare una coperta di luce che la avvolge, per lo meno non è più accecante. Passo il polpastrello sul bordo della tazza, non posso nemmeno definirla sinestesia. È come se potessi percepire a pelle che quella ragazza non appartiene a questa dimensione.

Perché servire un intruglio simile?

Un coro di applausi spezza il silenzio. Myra ondeggia il braccio e fa una riverenza teatrale verso il pubblico. Appena il suono si placa, si gira verso i musicisti. Il sassofonista tende la mano alta, uno dopo l’altro il gruppo si scambia il cinque.

I sorrisi sul palco sono degni di una band di vecchi amici.

Lei scende giù dai gradini, il gruppetto rimasto si rimescola per compattare la formazione. Il pianista, dal viso tappezzato di crepe come una vecchia statua, regola il microfono sopra la sua pianola e attacca una canzone a cappella.

È una lingua che non ho mai sentito prima, suoni duri si accavallano uno sopra l’altro ma sembra nostalgica. Un lamento per qualcosa che è stato perso da troppo tempo.

La figura scintillante di Myra passa tra i tavolini e si ferma al bancone del bar, dirimpetto alla barista sonnacchiosa. Puntella i gomiti sul bancone, la lunga coda di capelli oscilla alle sue spalle.

La poveretta dietro il bancone annuisce, non saprei dire se è un riflesso condizionato dal sonno o se la sta seguendo davvero il discorso. Incrocio gli occhi di Myra mi che fa un occhiolino e continua a parlare come se fosse la cosa più normale del mondo.

È davvero troppo a suo agio con l’essere fissata.

Sposto la frangia dalla fronte e sfioro la palpebra con il pollice, il taglio è leggermente gonfio sotto le dita, ma non mi lancia la solita fitta di dolore. Lo traccio, è insensibile dalla cima che spacca il sopracciglio fino allo zigomo. Pianto l’unghia sulla guancia, una lieve sensazione di prurito è il massimo che avverto.

Sfioro la borsetta tra i miei piedi.

Forse mi hanno consegnato l’arma per poterli sfidare.





Piccoli faretti rischiarano le scale che portano agli altri piani, stringo la borsetta al petto. Non si intona per niente con il maglioncino che mi sono messa, ma era l’unica abbastanza elegante che riuscisse a contenere il thermos senza deformarsi.

Una coppia mi supera e si ferma all’ascensore, lei intreccia le braccia intorno a quello di lui. Si accosta al suo orecchio, sprazzi di luce danzano tra i due per il tempo di un battito di ciglia e vanno in pezzi. Non ho fatto caso al suo viso, ma sarà una dipendente del posto.

E lo scemo si è fatto stregare… Ognuno si diverte come vuole.

Una zaffata di bruciato copre l’odore di agrumi che regnava sul pub.

Scendo le scale, ormai la voce del pianista è un mormorio distante spezzato da continui ruggiti. Un gruppetto di ragazzi in abiti da spiaggia è riunito all'entrata dell’arena, trafficano con i cellulari e si scambiano manciate di gettoni viola fluorescenti.

La rampa per scendere ancora più in basso è sbarrata da una corda rossa. Là sotto ci sono i “mostri” rifugiati, quelli che il Gamble sta nascondendo dalla Kaiser per chissà quale motivo.

Se la loro sicurezza venisse messa in dubbio per un istante, non dubito che tutti gli addetti ai lavori si riunirebbero per assicurarsi di risolvere il problema al più presto. Così da lasciarmi i pochi minuti necessari per salire, fotografare il file che mi serve e sparire.

Mi appiattisco al muro e passo accanto al gruppetto che neanche mi rivolge uno sguardo. Una gabbia esagonale prende il centro della sala, l’interno pulsa di luce. Aguzzo gli occhi: un ragazzo rotea la lancia e devia un’ondata di fiamme lanciata da un essere umanoide ricoperto da una folta criniera marrone. Quel tizio è due volte lui.

Diverse file di poltroncine circondano lo spettacolo. Tra di esse spicca un trono, dove sta stravaccato un tipo ricoperto dalla stessa aura di Myra. Sotto la luce intravedo una figura maschile con il viso nascosto da un cappello, avrà la stessa corporatura di Kaito occhio e croce.

Sarà il campione, speriamo si sbrighi a scendere in campo. Mi siedo su una delle poltroncine accanto all’entrata.

Criniera inarca la schiena e placca l’altro ragazzo contro la gabbia di metallo, gli prende la testa tra le mani e gli tira una ginocchiata secca contro la fronte. La lancia cade con un tonfo sordo, rilascia scariche elettriche.

Non riesco proprio a capire perché i feticisti del brivido amino spettacoli simili. Quelli che vengono messi in mostra qui dentro sono gli stessi poteri che hanno devastato Marton, solo perché sono clienti paganti non significa che non subiranno mai attacchi simili. Gente che ha paura come Ronan è molto più facile da comprendere.

Gli inservienti dell’arena, circondati da aure brillanti, si muovono per le file di poltroncine a conversare con chi li chiama. Scambiano manciate di gettoni viola, sorridono e sembrano in tutto e per tutto normali dipendenti.

Criniera afferra la lancia del suo avversario come una mazza e gli tira un colpo al viso, il ragazzo si china e gli prende le gambe. Lo spinge a terra con un urlo animalesco.

Quasi quasi scommetto su di lui, ha una faccia simpatica.





Faccio roteare sulle nocche l’ultimo gettone viola che mi è rimasto. Mi sono giocata buona metà dei soldi che mi sono portata dietro in meno di due puntate, la favoletta sul fatto che le prime volte in un casinò il cliente torna a casa con modeste vincite è falsa.

C’è da dire che io ho tentato la fortuna con combattimenti clandestini…

La barella con l’ultimo sconfitto dell’arena sparisce dentro una porta secondaria, il tizio sul trono salta giù. Alza il cappellino e ghigna verso il grosso orso squamato rinchiuso dentro la gabbia. Gli va incontro.

Il campione della zona ha finalmente deciso di dare spettacolo, e ciò significa che tutti gli occhi saranno sul combattimento.

Apro la borsa e tiro fuori il thermos, svito il tappo. Il sottile velo di plastica che tiene il composto dentro l’infusore separato dal reagente si strappa, inclino a malapena la borraccia.

Un sibilo freddo scivola fuori dalla bottiglia e mi accarezza le mani, la pelle prude malgrado sia ancora anestetizzata dalla roba strana che mi hanno propinato al pub. Tolgo il tappo e appoggio il thermos sotto la poltroncina.

Chiudo la borsa, esco di lì e risalgo le scale. Ci vorranno cinque minuti prima che la reazione riversi il gas lacrimogeno casalingo ovunque nell’arena. Mi dispiace per chi ne subirà gli effetti, ma la stanza è abbastanza grande da assicurare che nessuno abbia complicanze troppo gravi.

Probabilmente.

Compreso il tempo per risolvere il problema lacrimogeno, verificare lo stato dei clienti coinvolti, quelli degli ospiti nascosti al piano più inferiore e chissà che altre magagne hanno…

Con una stima pessimistica, ho dieci minuti per entrare negli uffici del capo. Raggiunto il piano terra continuo a salire, il tripudio di luci che arriva dal varco che porta al casinò è accecante. Socchiudo gli occhi e tiro dritto.

Arrivata in cima alla rampa spalanco la porta che dà su un lungo corridoio con le suite, dalle maniglie di un paio di esse pende il cartello NON DISTURBARE in caratteri eleganti.

Secondo la piantina, l’ufficio del capo è la settima camera sulla sinistra. La apro: una scrivania con poche carte in ordine occupa gran parte della stanza, dietro di essa ci sono un paio di schedari metallici a ridosso del muro.

Mi chiudo la porta alle spalle, ci appoggio la schiena sopra. Non hanno ancora dato l’allarme… Non è il momento di pensarci.

Giro intorno alla coppia di poltroncine che mi impiccia la strada, dalla finestra chiusa arrivano le luci bianche della città. ‘sto posto manca di un paio di piantine per ravvivare l’atmosfera, non c’è nemmeno qualche testa impagliata di dubbio gusto attaccata al muro.

Passo l’indice sulle etichette degli schedari, i documenti partono da cinque anni fa almeno. Il Gamble è aperto da sei mesi, che ci fanno con documentazione così vecchia?

Tiro la maniglia del cassetto centrale che scivola fuori senza fare resistenza, ci sono decine di fascicoli etichettati corredati di nomi. Scorro i ventisette, ventotto, ventinove. Rallento.

Ventinove, zero, sei, dieci: eccolo! Lo sfilo; è sottilissimo, non so come possa contenere tutte le informazioni necessarie sui robottoni e i loro creatori. È già tanto se c’è la lista completa di nomi dei coinvolti nella loro creazione, anche se avrei preferito avere le informazioni su dove abitano attualmente.

Una fototessera mi scivola tra i piedi, il viso arcigno di papà mi squadra dal basso verso l’alto. La raccolgo e butto l’occhio al nome del fascicolo.

Accordo Koller-Shinomiya.

Non era quello che avevo chiesto a Meg. Mi mordo la guancia, ovvio che non mi ha fatto pagare nulla per le informazioni. Si è limitata a mandarmi esattamente dove i suoi committenti volevano che finissi.





Il fascicolo contiene la vecchia ubicazione del manufatto che Kojo doveva rubare, una trascrizione di una conversazione telefonica tra Clare Koller e papà, la foto del robot colto nell’atto di sgozzare mia sorella e quella della giovane scienziata.

Capelli scarmigliati biondi su occhi affilati verde-acqua, lo stemma della Kaiser fa bella mostra di sé sul camice. I robot che hanno massacrato la città sono stati creati da una dei protettori della quiete, ovviamente.

Ricaccio la foto di papà nel fascicolo, il sapore acido in fondo alla gola non vuole sapere di andarsene. L’ho già riletto tre volte ma le parole lì sopra non cambiano. Kojo doveva rubare un einheri, che cazzo significa nemmeno mi importa, e il robot di Koller doveva intralciarla. Se fosse riuscita nell’impresa la famiglia avrebbe iniziato una collaborazione stretta alle dipendenze di quella donna, e ne avremmo tratto tutti vantaggio.

Ha fatto ammazzare la figlia per un test e Meg mi ha spinto qui perché lo scoprissi. Mi sfrego il braccio sugli occhi, trattengo un ringhio frustrato.

Un bagliore innaturale mi scintilla all’angolo degli occhi, una leggera risata spezza il silenzio. «I sicari sono proprio di un’altra pasta, huh.»

Davanti alla porta dischiusa dell’ufficio, Myra accenna un saluto con la mano. Ha una stazza minuta, potrei spingerla via e correre fuori… ma visto come può far apparire costrutti di cristallo dal nulla, temo che mi troverei un frammento in gola prima di fare un passo.

Dalla finestra non se ne parla, siamo al secondo piano.

Mi schiarisco la gola. «Mi sono persa– vabbe’, non ci credo nemmeno io.»

Myra nasconde il sorriso dietro il pugno, le spalle le tremano per una risata silenziosa. Felice di averla almeno fatta sorridere, magari sarà più clemente con la scarica di botte che sta per arrivarmi addosso. Infilo il fascicolo nel cassetto e lo chiudo.

Anche se, c’è buona possibilità che chi mi abbia mandato qui siano gli stessi capi del Gamble. «Non cerchi di scappare?» mi incalza.

Scuoto la testa, non ora che ha la guardia così alta. «Sono una persona normale rispetto a te. Non posso volare fuori dalla finestra e non posso placcarti per passare.»

«Peccato, sembri aver bisogno di un abbraccio.» Myra si mette un dito sulla guancia. «Cos’hai scoperto?»

«Mi prendi per il culo?»

«Linguaggio.»

«Ah, mi scusi.» Mi metto una mano sul petto. «Mi sta prendendo in giro?»

«In verità no.»

Secondo le informazioni di Meg questa si crede un’eroina che può fare la differenza. Se potessi fare leva su ciò…

Sospiro. «Ho scoperto quello che i tuoi capi volevano che sapessi. Mi lasci passare o hai intenzione di bloccarmi qui?»

«Con quella febbre non dovresti andare da nessuna parte.» Si abbraccia i gomiti, il lieve bagliore che la avvolge si arriccia in volute concentriche. Non si sposta dalla porta. «Avevi gli occhi appannati prima di bere il bocciolo della volontà. Non preferiresti andare a riposare?»

Piego le labbra in un sorriso. «Perché no, ma lasciami scavare la fossa da sola, eh. Voglio essere comoda nell’aldilà.»

Esita, gli occhi passano dalla confusione all’orrore. Fa una smorfia indignata. «Non voglio ucciderti.» Aggiunge a mezza voce: «io proteggo le persone.»

«E dire che averti in giro avrebbe fatto comodo mentre mia sorella veniva sgozzata.»

Il silenzio cala nella stanza come una martellata pesante, mi punta addosso uno sguardo pietoso. «Mi dispiace.» La voce è sottile.

Se non sfrutto questo momento di esitazione, non avrò altre occasioni. La spingo di lato. Braccia esili mi avvolgono le spalle, le tiro una manata dal basso verso l’alto sul naso. Mostro o meno, questo fa male a tutti.

Mi stringe come se non fosse successo nulla, preme il viso contro l’incavo del mio collo e si lascia sfuggire un leggero gemito di dolore. Mi arriva addosso un’ondata di profumi floreali contrastanti. Faccio forza per scrollarmela di dosso, ma non cede nemmeno di un millimetro.

Mi accarezza la testa. «Avrai qualcuno che sentirebbe la tua mancanza.»

Trattengo una risata, mi pizzicano gli occhi.

Catturata da una nemica che vuole assicurarsi che io stia bene, il mondo è finito sottosopra.

  
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