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Autore: Marauder Juggernaut    08/03/2024    0 recensioni
Fa troppo caldo e il commodoro Sakazuki vuole solo tornare a casa.
Genere: Fluff, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Akainu, Aokiji, Kizaru, Monkey D. Garp
Note: De-Aging | Avvertimenti: Triangolo
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Hot Days



Sakazuki sbadigliò di nuovo, nascondendo questo gesto così poco professionale con discrezione dietro la mano. Non era da lui sentirsi così sonnolento, soprattutto durante il turno sul ponte, ma la pancia piena per il pasto appena consumato e il calore eccessivo lo stavano conducendo verso un senso di stanchezza francamente meritato. Se ne stava a osservare i marine semplici indaffarati a completare le ultime mansioni per l’approdo: il veliero della Marina avrebbe raggiunto in meno di un’ora il porto di Marineford, che già si scorgeva in lontananza in quella giornata limpida e soleggiata.

Un po’ troppo soleggiata.

Sakazuki sollevò lo sguardo dal mare colmo di riflessi al sole, tenendo gli occhi al riparo con le tesa del cappello. Una goccia di sudore colò dal suo sopracciglio e scivolò giù per la tempia, ma lui l’asciugò col bordo della manica senza dire nulla. Qualcuno dei suoi superiori lo avrebbe sicuramente preso in giro se Sakazuki avesse osato lamentarsi del caldo e non aveva voglia di spiegare che, fintanto che manteneva la forma corporea, il calore lo sentiva come tutti gli esseri umani.

Sakazuki fissò distratto la propria mano coperta dal guanto, prima di stringere il pugno. Con un piccolo sforzo, la vide mutare come se non potesse mantenere una forma precisa e cominciare a fumare come una spada messa a temprare. Durò solo pochi secondi prima di lasciar perdere anche se, per alcuni istanti, non aveva percepito nessun tipo di calore provenire dal mondo esterno.

Solo pochi mesi prima alcuni scienziati al servizio del Governo avevano compiuto degli esperimenti di carattere generale sulle capacità del frutto del diavolo che era appena riuscito ad ottenere. Sakazuki aveva ancora ben presenti le facce sconvolte di quei ricercatori quando avevano visto che la sua temperatura corporea, mentre era in una delle camere di contenimento, aveva raggiunto i 1200°.

Magma. Un potere strabiliante, una forza incontenibile. Il grado di commodoro non gli sarebbe rimasto addosso ancora a lungo.

«Ragazzino, vedi di non incenerirmi la nave!». Una risata sguaiata accompagnò quel commento e Sakazuki fu rapido a mettersi sull’attenti.
Il viceammiraglio Garp fece un cenno casuale della mano per dismettere l’istanza. «Riposo, riposo. Sei troppo austero, giovane». Sakazuki non rispose a quella critica e si limitò a guardare l’uomo avvicinarsi.

«Non è mia intenzione creare danni alla sua nave, viceammiraglio. Ho il potere sotto controllo». Era la verità: i primi tempi, un potere così distruttivo aveva portato a esiti altrettanto catastrofici, ma Sakazuki aveva lavorato a lungo perché tali capacità potessero essere imbrigliate e controllate. A sei mesi di distanza, gli risultava naturale come respirare.

«Lo so, stavo scherzando». Il tono del viceammiraglio Garp si era ammosciato, come se parlare con Sakazuki non gli desse alcuna soddisfazione perché non teneva testa al suo livello di estroversione. A Sakazuki andava benissimo così: non ci pensava neanche a rispondere a tono alle sue castronerie. Non era l’ammiraglio Sengoku.

«Tra poco meno di quarantacinque minuti saremo al porto di Marinford» lo informò Sakazuki.

«Lo so. Ti vedo rosso … stai bene, commodoro?» chiese Garp sollevando un sopracciglio e cacciando dalla giacca quello che sembrava essere un pacco di biscotti, che cominciò a mangiare.

«Accaldato, signore» ammise Sakazuki.

Come da copione, Garp sbuffò una risatina che si fece a poco a poco più insistente e ad alto volume, fino ad attirare l’attenzione di tutto l’equipaggio, che si chiese cosa stesse facendo il viceammiraglio Garp, che stava sparpagliando briciole e saliva ovunque. Sakazuki non commentò e si allontanò abbastanza per non essere sulla linea di tiro dei suoi sputacchi.

«Non pensavo sapessi essere divertente, commodoro» disse il viceammiraglio asciugandosi una lacrima dall’angolo dell’occhio.

«Non stavo scherzando» disse serio Sakazuki che sentiva l’irritazione cominciare a ribollire, ma aveva imparato a mantenere la calma di fronte a tutte le reazioni di Garp. Distolse lo sguardo dal suo superiore per puntarlo di nuovo sul Quartier Generale sempre più vicino e visibile.

«Beh, vorrà dire che una volta che sei rientrato a casa, ti godrai parecchio Kuzan, non è così?».

Sakazuki congelò sul posto, come se i poteri del collega appena citato fossero arrivati fino a lui per immobilizzarlo. Con movimenti meccanici, Sakazuki voltò appena la testa verso il suo superiore. «Cosa intende dire, signore?».

Garp lo fissò perplesso, come se non fosse sicuro di quello che stava per dire. «Il mio allievo! Non condivide casa con te e Borsalino? Col potere che si ritrova, sarete l’appartamento più invidiato di tutta la base!» e rise ancora, questa volta un po’ meno convinto.

Il peso che si era formato nello stomaco del commodoro si allentò un poco: avrebbe voluto sospirare di sollievo, ma non poteva permettersi un gesto così plateale senza doverlo spiegare a Garp e non aveva la scusa pronta per farlo.

Per un attimo Sakazuki aveva temuto che Kuzan avesse rivelato qualcosa al suo mentore, ma scacciò abbastanza in fretta il pensiero: per quanto ancora inesperto e sprovveduto, Kuzan aveva già capito quali informazioni era meglio divulgare e quali invece tenere per sé. La vita a Marineford era già abbastanza dura, senza instillare altre curiosità nei plotoni di marines che l’abitavano.

«Sì, è così signore, ma non penso che il potere di Kuzan possa funzionare come condizionatore, a meno di non congelare l’intera casa…» che non era la soluzione ideale, considerando a quanto ammontava l’affitto.

«Che noia! Un potere simile e neanche lo sfruttate per le cose utili! Col caldo che c’è, io lo farei senza pensarci due volte» ammise senza remora il viceammiraglio, mettendosi il mignolo nel naso, pronto ad andarsene.

Sakazuki fece un mezzo sorriso disgustato per il gesto. «Per fortuna non sono lei».
 


 
Lo sbarco si rivelò abbastanza rapido, con Sakazuki che dava indicazioni e aiutava i commilitoni negli ultimi incarichi che restavano da compiere. Ogni tanto gettava un’occhiata distratta alle donne, agli uomini e ai bambini sulla banchina che aspettavano il ritorno dei loro cari dalla missione durata quasi tre mesi.

Nessuno stava aspettando lui, lo sapeva, quindi non si fece illusioni di cercare tra la folla un volto conosciuto che lo era venuto a prendere per dargli il bentornato e accompagnarlo a casa. Quella era una fantasia che non si sarebbe concretizzata, eppure per un secondo gli parve di scorgere un bagliore biancastro che era sparito in fretta sui tetti dei palazzi. Forse solo un riflesso del sole incessante; forse un amico che passato per sincerarsi che lui fosse tornato a casa illeso, insieme a tutti gli altri.

Sakazuki sbuffò e fece un mezzo sorriso mentre congedava gli ultimi marines che sbarcavano dalla nave. Lui sarebbe rimasto a compilare e consegnare le ultime scartoffie prima di concedersi un meritato rientro alla base.
 


 
Garp aveva ragione, tutto sommato: nell’appartamento c’era nettamente più fresco che fuori ed era tutto merito della presenza di Kuzan. Era come se la sua sola presenza avesse causato un drastico abbassamento della temperatura di tutta la casa e Sakazuki non se ne lamentava affatto.

Sorrise soddisfatto e stanco mentre posava il borsone a terra e si toglieva gli stivali per posarli accanto alle altre due paia che giacevano indisturbate lì in ingresso.

Mettendoli ordinatamente al loro posto, recepì appena sullo sfondo una porta che si chiudeva poco distante dall’ingresso. Dei passi tranquilli lo avvisarono della presenza del suo inquilino.

«Ti ho visto al porto» disse Borsalino.

«Anch’io» ribatté solamente Sakazuki, dando un’occhiata di lato, vedendo le gambe nude del compagno che era presumibilmente appena uscito dalla doccia.

Lo confermava l’asciugamano stretto in vita e i suoi capelli ancora umidi che gli rinfrescarono ulteriormente le tempie quando Sakazuki decise di posare la fronte contro la sua spalla, esausto per il viaggio e per tutto il periodo passato in mare e tra un’isola e l’altra.

«Bentornato, Sakazuki» lo salutò l’altro commodoro, passando un braccio attorno alla sua vita e lasciandogli un bacio sulla tempia orimai fresca.

Sakazuki non era romantico, in nessuna accezione del termine; non sentiva il bisogno di esternare gesti o parole d’affetto, come non lo sentiva di riceverne. Ma in quell’occasione non poté negare che quel saluto e quell’abbraccio lo fecero stare di un bene che non provava da molto, molto tempo. Forse era quella la ragione per cui, ogni volta che attraccava, cercava nella folla il viso di qualcuno che conosceva: solo per sentirsi dire “bentornato”.

«Grazie». Raramente si sarebbe visto Sakazuki dimostrare gratitudine, ma in quel caso era necessaria.

«Fatti una doccia: sai di sale» “e poi vieni di là” Borsalino non lo disse, ma era implicito.

Sakazuki accolse volentieri la proposta perché c’erano poche cose che lo attiravano di più dell’idea di una doccia e un letto in quel momento. Aveva imparato in fretta ad adattarsi ai ritmi e alle brande delle navi da guerra della Marina, ma ogni tanto rimpiangeva il lusso dell’acqua corrente e degli enormi letti che lo attendevano a Marineford.
 


L’acqua fu davvero una benedizione per i suoi muscoli indolenziti dal lavoro e sapere che aveva di fronte intere giornate di riposo lo rivitalizzò quel tanto che bastava per dirigersi in camera rapidamente, colmo di aspettativa.

La camera di Borsalino era fredda in modo quasi eccessivo. Lui stesso, il giorno in cui erano riusciti ad affittare l’appartamento, aveva preteso di avere la camera con la finestra a nord, che affacciava tra l’altro su un altro palazzo, in modo tale che entrassero meno calore e luce possibili. “Fidati, Sakazuki: non ho mai avuto problemi per la mancanza di luce” aveva scherzato all’epoca con un sorriso idiota e Sakazuki aveva lasciato perdere, prendendosi l’altra stanza più grande della casa.

Poi era arrivato Kuzan, che si era dovuto accontentare della più piccola rimasta, ma non era stata una soluzione che era durata molto a lungo.
Ancora Sakazuki non aveva capito come era nato tutto quello, era successo in modo così naturale da non rendersene neanche conto. Prima c’erano solo lui e Borsalino, come amici. L’amicizia si era poi evoluta senza soluzione di continuità in quella che per un anno intero fu una solida relazione (una forte amicizia, a occhio esterno).

Quando era arrivato Kuzan, sia in casa che nella loro vita, era entrato a gamba tesa nella loro relazione, ma si era comodamente modellato un posto nel loro rapporto come se lui lì avesse sempre dovuto esserci. I primi tempi era stata dura, soprattutto per Sakazuki stesso che non aveva capito bene come reagire a tutto quello, ma si era reso conto che, finché non si fosse sparsa la notizia di quella relazione più che strana, avrebbe saputo conviverci.

D’altro canto, anche Borsalino e Kuzan erano ben attenti a non far sapere in giro la profondità del loro legame. Tutto sarebbe andato a gonfie vele fintanto che Marineford al completo avesse pensato che ciò che unisse i due commodori e il giovane capitano fossero solo una salda amicizia e un contratto di locazione.

Sakazuki entrò in camera: era buia tranne per un filo di luce pomeridiana che filtrava dalle persiane accostate e per la mano di Borsalino appoggiata sul libro che illuminava le parole. Era sdraiato su un fianco, al bordo del letto, con la testa sostenuta dalla mano, in mutande e canottiera per combattere l’afa di Marineford. A fianco a lui c’era il motivo per cui in quella stanza si stava tanto bene. Dal centro del letto, Kuzan sollevò la mascherina dagli occhi quel tanto che bastava per lanciare un’occhiata a Sakazuki e farsi un po’ da parte, per lasciargli posto sul letto a fianco a lui.

Il commodoro, senza neanche la voglia di cambiarsi e togliersi l’asciugamano, si lasciò cadere nel letto. Un braccio del capitano lo avvolse per le spalle e per un istante nella stanza si parve di sentire il tipico sfrigolio di un corpo bollente che entra in contatto con uno ghiacciato.

Una fresca sensazione avvolse Sakazuki, che sorrise con riservatezza ma comunque grato per quelle piccole attenzioni.

«Mi domando sempre chi ha avuto la brillante idea di costruire una base in cemento in mezzo all’oceano e non ha pensato al problema del caldo…» si lamentò Sakazuki, avvicinandosi di più al petto di Kuzan che era l’unica persona sul pianeta per cui valeva la regola che più ci si stringeva a lui, più freschi si stava e non il contrario.

«Potrai ripetere all’infinito come funziona il tuo potere, ma tu che ti lamenti del caldo non smetterà mai di far ridere, Saka-kun~» lo prese in giro Borsalino, senza alzare gli occhi dal libro che stava leggendo.

«Ssshh» li ammonì Kuzan «io sono tornato ieri da una missione, Sakazuki non più di venti minuti fa e tu, Borsalino, parti fra quattro giorni: avevamo detto che oggi si riposa, se non sbaglio».

Era sempre così: era raro che i loro periodi di riposo corrispondessero più di qualche giorno. Per i loro superiori non c’era ragione perché loro dovessero stare a casa tutti e tre assieme, quindi dovevano godersi quanto più potevano il poco tempo a loro concesso.

Non potevano neanche permettersi troppe uscite, per non destare sospetti. Qualche volta andavano a mangiare il ramen in quel posto dove lo facevano piccante abbastanza, secondo i gusti di Sakazuki; oppure alle terme, ma tutti e tre a debita distanza.

Ma anche quei momenti così semplici erano sufficienti. A Sakazuki bastava stare loro tre distesi in un letto, a non pensare a ciò che avevano appena fatto, a Borsalino che a breve sarebbe dovuto partire.

Andava bene anche così. Era un posto da chiamare casa.

«Ehi, Sakazuki!» borbottò Kuzan, ormai pronto ad addormentarsi di nuovo «guarda che tu quest’inverno farai la stessa cosa che sto facendo io adesso, ti avviso subito…».

«Beh, chiaro». Sakazuki non aveva nulla di cui lamentarsi.





 
 
   
 
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