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Autore: ChiiCat92    23/03/2024    0 recensioni
"Ganondorf strinse i denti, le spalle gli facevano male ma si rialzò, come gli era stato ordinato. « Lasciala. » la maestra indicò con un gesto del mento la lancia. Lui ubbidì. La guardò fare un solco sulla sabbia morbida, apertasi intorno ad essa come fosse semiliquida. Avrebbe voluto sprofondare in quella sabbia anche lui, sparire per non essere più percepito. La maestra schioccò le dita, Ganondorf strinse i pugni e pensò solo a difendere la testa, il volto, poco l’addome, mentre le compagne di allenamento si accanivano su di lui. Ogni colpo che incassava risuonava sulla carne e sulle ossa. Portavano tutti lo stesso messaggio: tu non diventerai mai Re delle Gerudo."
Genere: Angst, Fantasy, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Ganondorf, Ghirahim, Link, Princess Zelda
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Il sole, dietro una spessa coltre di nubi bianche e gonfie, si poteva guardare direttamente senza che gli occhi neanche lacrimassero; era un punto di riferimento luminoso, adesso in alto sopra la linea dell’orizzonte, e disegnava un confortante arco in cielo così da rendere possibile capire che il tempo scorreva, che il mondo era ancora in movimento, che la neve, il ghiaccio, il vento non avevano cancellato tutto il resto. Ganondorf lo guardava dalla finestra della baita, quel pallido globo latteo che sembrava a tratti ondeggiare sotto le nubi. 

Non avrebbe nevicato quel giorno, il cielo era gravido sì, ma non ancora pronto al travaglio; il termometro piantato nel telaio della finestra segnava -7°, era il momento più caldo della giornata; il vento, la voce perenne del ghiacciaio, mormorava intorno alla casa, cercava gli interstizi fragili nell’isolamento con l’intento di spegnere il fuoco che ardeva nei due camini e al sicuro dietro la grata della grande stufa di ghisa. Ganondorf socchiuse gli occhi, il fischiare del vento e il brusio delle fiamme lo cullavano, così tra le ciglia poteva immaginare sagome che si muovevano là fuori sul pianoro di neve che si estendeva all’infinito. Link era partito quella mattina per andare allo Stallaggio del Nevaio e doveva essere ormai di ritorno, presto avrebbe visto la sua figura incappucciata e piegata contro il collo del cavallo, una nuvola bianca a sollevarsi dalle froge dell’animale, le bisacce e lo zaino pieni di quello che serviva per andare avanti per la settimana successiva. 

Il ghiacciaio non era poi così diverso dal deserto, l’hylian non aveva avuto torto nel descrivere sabbia e neve come due parti di un intero, come lo erano lui e Ganondorf. Il giorno e il suo vago calore duravano poco, le notti erano rigide e pericolose, le stagioni non esistevano se non nella forma di un infinito manto di ghiaccio ora impenetrabile ora malleabile; gli animali che si erano adattati a vivere in quel clima erano soprattutto volpi, alci, orsi, qualche uccello dal piumaggio bianco e la carne grassa e tenera che era un piacere cuocere sulla brace, ma erano tutti difficili da cacciare, maestri della sopravvivenza, aggrappati a quella vita estrema; a differenza del deserto l’acqua non mancava mai: la neve era così candida e pulita da poter essere raccolta, sciolta e immagazzinata, e produceva l’acqua più buona che Ganondorf avesse mai bevuto; non era difficile trovare cespugli di more selvatiche grosse come un pugno sparsi nella tundra, che non solo erano ottime da mangiare ma attiravano gli animali e si potevano usare come esche; il bene primario, usato a volte come merce di scambio, era la legna da ardere, gli alberi erano abbondanti sul ghiacciaio in maniera impressionante, e lo erano perché nessun hylian riusciva ad inerpicarsi tanto in alto sulle montagne per un carico di legna. Nessuno hylian, ma lui non era un hylian. Negli ultimi cinque anni lui e Link si erano fatti una certa nomina sul ghiacciaio; per fortuna la gente del nord non era ficcanaso al punto da indagare sulla loro provenienza o sul loro modo di vivere, apprezzava quello che potevano offrire a una comunità frammentata e divisa da chilometri di nulla ghiacciato. Per questo, quando erano arrivati allo stallaggio, smagriti, stanchi, con i cavalli allo stremo delle forze, anche se avevano capito che stavano cercando un posto dove nascondersi, non avevano negato loro l’asilo e i mezzi per costruirsi una vita sul ghiacciaio: chi ha abbastanza coraggio per affrontare il nord merita l’aiuto della gente del nord. Se si erano pentiti di averlo fatto dopo, quando la voce di quello che era successo ad Hyrule aveva raggiunto Colbacco, non l’avevano dato a vedere. 

Ganondorf aprì gli occhi, il sole si era spostato e il suo candido lucore illuminava adesso un’altra porzione del cielo, il vento si era fatto più insistente, come il gemito di un animale, le fiamme tremavano nel camino. Doveva essersi addormentato a giudicare dal formicolio di metà del viso, schiacciato contro il vetro freddo della finestra. Si alzò in piedi e gettò le braccia in alto per stiracchiarle. Link era in ritardo ma non lasciò che sensazioni sgradevoli si impossessassero di lui; poteva aver avuto un contrattempo, essere stato sorpreso da una nevicata improvvisa ad esempio, anche se non nevicava lì su non era detto che a valle, dove si trovava lo stallaggio, fosse lo stesso, il cielo minacciava neve grossa da quella mattina. Andò al camino per ravvivare il fuoco, la legna scricchiolò ancora umida, l’odore della resina e della terra gli entrò nelle narici; ne aveva sempre un po’ sotto le unghie, dentro i vestiti, più resistente della sabbia del deserto. Gettò un fascio di legnetti e una manciata di muschio secco che prese fuoco non appena entrò in contatto con le fiamme. Per un attimo rimase a guardare lo scoppiettio rassicurante delle lingue rosse e gialle, poi si alzò per preparare il pranzo. Avevano abbattuto un cervo poche settimane prima la cui carne adesso era un toccasana per il viaggio di quattro ore a cavallo che li separava dallo stallaggio; accompagnata da spiedini di funghi arrostiti e una zuppa di pomodorini, avrebbe rinfrancato qualunque spirito. Ganondorf si prese tutto il tempo per preparare, tagliò con accuratezza il pane un po’ indurito (Link ne avrebbe portato di fresco) e lo mise ad arrostire sul fuoco; insaporì i funghi in una ciotola di legno prima di metterli sullo spiedo e lo stesso fece con la carne che aveva ancora l’odore del sangue di una cosa viva. Alla fine, quando stava mettendo una noce di burro nella zuppa, la porta della baita si spalancò, lasciando entrare per un attimo le lame taglienti del vento del ghiacciaio e Link. I cinque anni erano passati cheti su di lui, gli avevano lasciato impronte visibili nella forma del suo corpo, rimpolpato, tonificato dal movimento e dal freddo, gli avevano allungato i capelli che portava legati in una coda bassa, gli avevano reso le mani più dure, screpolate sulle nocche, ma avevano anche reso più blu i suoi occhi, che sembravano risuonare e riempirsi del bianco intorno ad essi. L’hylian si chiuse la porta alle spalle, si sfilò gli stivali da neve e il giaccone, che cominciò subito a gocciolare sul pavimento; tolte le prime braghe di pelliccia e il giaccone, sotto portava un paio di calzoni più leggeri e un maglione di lana, che tolse, per rimanere in maglia leggera. 

« Dee, non voglio più tornare allo stallaggio per un mese almeno. » si passò una mano sulla fronte (il cappello e il paraorecchie glieli aveva appiccicati tutti sulla fronte, sulla nuca, sugli zigomi) e rivolse un sorriso a Ganondorf. « Che profumino, stavo morendo di fame. » 

« Chi ha detto che ho preparato anche per te? » fu la risposta del Gerudo. Era riuscito a trattenere appena la voce dentro di lui che era pronta ad esplodere, a dirgli in quanti modi sarebbe rimasto solo, in quanti modi Link poteva morire nel tragitto per tornare a casa, a cosa sarebbe potuto andare storto, a sussurrare con metodicità e raffinatezza che forse, alla fine, qualcuno dello stallaggio aveva parlato e che i soldati del Re li avevano trovati. 

Link indicò i due piatti a tavola, gli spiedini vicino al fuoco, le bistecche di carne di cervo. « Hai intenzione di mangiare tutta quella roba da solo? »

« Forse. » 

Il ragazzo diede in una risata e, dopo averlo raggiunto, si gettò tra le braccia di Ganondorf. Su quelle montagne, tra i ghiacciai, negli infiniti giochi di luci e riflessi nel cielo, sotto il mantello più puro di tutta Hyrule, potevano essere felici. Potevano toccarsi, la pelle di Link più chiara contro quella olivastra di Ganondorf, e studiare i contorni delle loro labbra, la differenza tra i loro corpi. Non era stato il tempo passato insieme, relegati sul tetto del mondo, ad aver acceso qualcosa tra di loro, né l’aver sconfitto le avversità del ghiacciaio e trovato un modo per vivere che andasse bene a loro e solo per loro, ma il fatto di essere legati l’uno all’altro nello spirito. Erano due anime legate a doppio nodo nel midollo, nel sangue, nei fasci di nervi che creava i loro corpi. Con naturalezza si erano scoperti e con naturalezza si desideravano. 

« Sei… gelido! » Ganondorf poggiò una mano sul viso di Link e lui vi si strusciò contro come un gatto. 

« Sì, non so se lo sai, ma siamo andati parecchio sotto zero fuori. »

Il gerudo alzò gli occhi al cielo. « Mettiti davanti al fuoco, forza. » Link mosse qualche lieve rimostranza ma non appena fu seduto sullo sgabello davanti al fuoco, con la ciotola di zuppa tra le mani, impegnò la bocca a mangiare e non a parlare. Ganondorf trascinò l’altro sgabello di fianco a lui. « Perché ci hai messo così tanto? » 

« Ho fatto una piccola deviazione. » fu il commento dell’hylian. Addentò uno dei funghi sullo spiedo che ancora fumavano, urlicchiando come un bambino prima di riuscire a mandare giù il boccone. Ganondorf aspettò che finisse e andasse avanti ma non arrivò risposta. C’erano appetiti che non poteva soddisfare, a prescindere da quanto gli stesse vicino, ed era lo stesso anche per lui. Da quando vivevano sul ghiacciaio la pulsione non si era raffreddata, piuttosto si era trasformata in una bestia munita di zanne che grugniva in una gabbia diventata troppo piccola; il movimento fisico, tagliare la legna, cacciare, aiutava in parte, ma il vero sollievo lo provava quando impugnava la spada dalla lama nera. Link faceva finta di non saperlo, e lui in cambio non chiedeva da dove provenissero le macchie di sangue sui suoi vestiti. 

Mangiarono in silenzio sugli sgabelli, la stazza di Ganondorf tutta rannicchiata in avanti per stare in bilico di fianco a Link. Sembrava che non dovesse mai smettere di crescere, di diventare massiccio e largo. 

« Mh, ho preso la tinta. » disse Link, agitando lo spiedino ormai vuoto in direzione del gerudo. 

« Ah, finalmente! Sarai triste di non scendere più a valle. » 

« Scherzi? Vatti pure a gelare il culo là fuori, io rimango a casa volentieri. » Link poggiò i piatti a terra e poi si poggiò sulla spalla di Ganondorf che ancora doveva finire di mangiare la bistecca. 

« Notizie da Hyrule? » di tanto in tanto si facevano quella domanda, per non dimenticare, per non essere colti impreparati. 

Link scosse la testa. Trattenne uno sbadiglio tra i denti, poi allungò i piedi verso il fuoco, poggiandoli davanti al parascintille di metallo. Ganondorf osservò come muoveva le dita dei piedi nelle calze spesse per riscaldarle, come un bambino. « Si aspettano una tempesta prima della fine di questo mese, sono tutti impegnati a fare scorte prima di rimanere bloccati in casa. » 

Link gli fece l'elenco delle cose che era riuscito a scambiare e di quelle che aveva dovuto portare indietro; mentre il giorno lasciava il posto al pomeriggio e là fuori il cielo diventava sempre più scuro, ragionarono insieme su quello che avevano in dispensa e in cantina, sui segnali del ghiacciaio, su quanto poteva andare avanti la tempesta, se fosse o meno il caso di scendere a valle la mattina successiva per accaparrarsi ancora qualcosa, poi quando le risposte di Link si fecero meno comprensibili e sempre più lente ad arrivare, Ganondorf smise di chiedere e lasciò che l’hylian dormisse contro la sua spalla.

Di solito cominciavano a prepare la cena quando non c’era più nulla da fare in baita o quando lo stomaco cominciava a gorgogliare. Quella sera Ganondorf, bardato di tutto punto, si occupò di tenere il vialetto libero dalla neve, soprattutto visto che aveva ricominciato a nevicare, mentre Link strigliava i cavalli e puliva la stalla, deliziosa e calda con le pareti imbottite di paglia: gli era toccato il lavoro migliore. Insieme, poi, controllarono la dispensa, e constatarono di essere stati ottimisti sulle loro scorte. Quando ormai la notte si era fatta un turbinio di fiocchi bianchi e non si vedeva a un palmo dal naso e la casa era illuminata dalle lampade a gas e dal confortante mormorio del camino, Link si mise a fare la tinta a Ganondorf. La ricrescita ormai era lunga quattro dita, rosso fuoco che spiccava contro il nero aggressivo che tentavano di imporgli. I capelli degli hylian si avvicinavano più all’arancio degli alberi in autunno, quel rosso così intenso apparteneva solo alle gerudo. Il ragazzo non era convinto che nasconderlo dopo così tanti anni avesse ancora un senso, se non li avevano riconosciuti fino a quel momento non sarebbe più successo, o forse era quello che gli piaceva pensare, quell’indugiare sereno nell’idea di essere al sicuro. Fuori nevicava e dentro casa c’era un caldo quasi asfissiante, i vetri delle finestre erano tutti appannati, tra le dita macchiate di nero si passava le ciocche di capelli di Ganondorf, una ad una, cercando di non saltare neanche un punto: in un momento come quello credeva davvero che niente potesse toccarli. 

« Domani mattina vado io allo stallaggio. » disse Ganondorf. Teneva gli occhi chiusi e si lasciava fare da Link, assecondando ogni movimento con la testa piegata da un lato o dall’altro. 

« Sicuro? Potrebbe non smettere di nevicare. » 

« Potrebbe non smettere per tutto il mese per quanto ne sappiamo. » 

« Per un po’ possiamo cavarcela. » 

Ganondorf prese la mano di Link fermandone il movimento, così costrinse l’hylian a rivolgergli tutta la sua attenzione. « Qual è il problema? » 

« Non c’è… nessun problema. » Link accennò un sorriso, ma non si diffuse agli occhi. “Hai fatto qualcosa?” avrebbe potuto chiedergli Ganondorf “Hai fatto del male a qualcuno?” ma sarebbe stato meschino da parte sua. Per quanto l’oscurità dentro di lui lo chiamasse non avrebbe mai messo a rischio la loro sopravvivenza. Per questo si limitò a tirarlo a sé e baciarlo. L’odore dell’hennè, simile a quello del tè forte mischiato a terra appena smossa, gli riempì le narici, sotto di esso si nascondeva quello di lui, una rotonda boccata di legna e carne. « Ho una brutta sensazione. » disse l’hylian, con le labbra ancora a sfiorare quelle di Ganondorf, il suo respiro così caldo sulla pelle che lui sentì un brivido percorrergli la schiena. 

« Che sensazione? » 

« Non… non lo so. » Ganondorf avrebbe voluto dirgli di fare attenzione perché con l’henné avrebbe finito con il macchiare i vestiti, ma Link gli strinse comunque le braccia intorno al collo per affondare il viso contro di lui, il corpo applicato al suo come un velo. « Ho avuto addosso questa cosa tutto il giorno, ancora prima di arrivare allo stallaggio. » era più facile parlare senza guardarlo. « Pensavo che fosse… » non c’era bisogno di dirlo, non a Ganondorf. « Ma non è andato via. Non mi sono mai sentito così. » 

« E pensi che la soluzione sia rinchiudersi in casa e morire di fame e freddo per non andare allo stallaggio? »

Link sbuffò dal naso e allontanò Ganondorf da sé con una spintarella. « No, certo che no. Ma non moriremo certo di fame e freddo se aspettiamo che la tempesta sia passata. » 

« Link. » più di ogni vezzeggiativo, più di ogni nomignolo, niente lo faceva sentire più reale e vivo di quando lo chiamava per nome, lo identificava tra le ombre e gli dava un corpo tangibile. « È okay, lo facciamo tutte le settimane, è una tempesta come le altre e dobbiamo prepararci come per tutte le altre. Ti va di finire di tingermi i capelli? »

L’hylian sospirò ma non disse niente, riprese il lavoro dove l’aveva lasciato. 

 

Link si svegliò nel cuore della notte; il respiro si condensava nell’aria che andava raffreddandosi, sentiva la punta del naso e delle orecchie gelide mentre il corpo andava a fuoco sotto la coperta di lana, stritolato dalle braccia di Ganondorf; l’odore dell’hennè fresco che era di solito un sollievo gli diede la nausea. Provò a divincolarsi dall’abbraccio del gerudo ma lui strinse di più e per un attimo ebbe l’impressione di soffocare, i polmoni stretti in una morsa che l’avrebbe alla fine ucciso. In preda al panico lo spinse via e si sentì uno stupido quando le braccia di Ganondorf cedettero, docili, per niente intenzionate a stritolarlo o fargli del male. Rimase, ansimante, a guardare il compagno addormentato, la sagoma possente raggomitolata sotto le coperte, la testa abbandonata sul cuscino, le ciglia chiare che tradivano più di ogni cosa, più della sua pelle scura, più della sua statura, le sue origini: chiare, quasi dorate, un alone abbagliante sugli zigomi. Link si passò una mano sul viso, il freddo cominciava a fargli tendere la pelle sulle ossa, la peluria sulle braccia e la nuca rizzata. Si alzò, senza neanche pensarci prese la vestaglia di lana di Ganondorf da gettarsi addosso; durante la notte dovevano tenere spente le stufe a legna, la piccola nella loro camera da letto e la più grande in cucina, ma nel camino nel soggiorno tenevano sempre qualche ciocco in modo che le braci languissero senza spegnersi. Non aveva smesso di nevicare un attimo e, alla fine, la neve aveva vinto sul fuoco e cominciava ad ammucchiarsi, candida, sui resti neri della legna. Link rabbrividì ancora, per quanto si stringesse addosso la vestaglia continuava a sentire freddo. Per prima cosa riaccese il fuoco; quando le fiamme si alzarono ruggenti e scricchiolanti illuminando di arancione e rosso tutto intorno a lui cominciò a sentirsi meglio, anche se aveva ancora le ossa fredde e i tendini rigidi. Fuori il cielo era latteo, con il tuorlo del sole pallido che saliva oltre l’orizzonte; il termometro segnava -8°, temperatura normale per quell’ora del mattino; la tempesta sembrava lontana dopo aver picchiato la casa per tutta la notte. Deciso a trovare un modo per scacciare il freddo che sentiva dentro, Link provò a scaldare il latte e mangiare pane abbrustolito che gli riempisse lo stomaco. Stava ancora spalmando uno strato di miele sulla fetta che si era preparato quando Ganondorf lo abbracciò da dietro; il respiro contro il proprio collo lo fece tremare eppure non si ritrasse, anzi, appoggiò tutto il peso del corpo contro di lui. 

« Ti sei alzato presto. » 

« Mh… » fu l’unica risposta di Link. 

« E fai colazione senza di me? » 

« Avevo fame. »

« Ehi, scherzavo. » Ganondorf lo costrinse a voltarsi, ma Link non sollevò la testa. « È ancora quella brutta sensazione? » 

Link sentì, dentro di sé, l’urlo della cosa che teneva nascosta, sentì le membra irrigidirsi, il sangue farsi denso, e la testa farsi pesante al punto da schiacciare le vertebre del collo e affossare nel torso. Batté le ciglia e di tutto quello rimase solo un alone, appena accennato dietro le palpebre. « No, no, sto bene. Stamattina non nevica, hai visto? » 

« Parliamo del tempo così non dobbiamo farlo di quello che ti preoccupa? » 

« Ganon, ti prego. » 

Il gerudo scrollò le spalle e si allontanò da lui, tutto purché non vedesse la sua espressione. Si versò del latte ancora caldo dal pentolino che aveva usato Link e preparò anche per sè pane e miele. « Se esco adesso sarò di ritorno per mezzogiorno. Ti porto degli onigiri di funghi piccanti se ne hanno, che ne pensi? »

Link esalò un lungo sospiro. « Sì, sarebbe fantastico. » 

Ganondorf annuì. 

Mangiò in silenzio e si preparò in silenzio, l’atteggiamento di Link lo aveva indisposto abbastanza da fargli decidere di tenergli il muso per tutto il giorno, magari al suo ritorno sarebbe stato disposto a parlare. Quando aprì la porta di casa il freddo gli mozzò il fiato, l’unico punto scoperto del volto divenne subito insensibile, la lingua in bocca gli sembrò più calda. Andò alla stalla, umida del sudore degli animali, e preparò in fretta il cavallo. Nel giro di mezz’ora era pronto a partire ma perse più tempo del dovuto per controllare che briglia e sella fossero fissati nel modo giusto. Finse di non accorgersi della presenza di Link nella stalla ma cedette non appena lui lo abbracciò, affondando il viso nella sua schiena, nel giaccone pesante, quasi non sentiva neanche il tocco sotto tutti quegli strati. 

« Scusa, non so che mi prende, ma di certo non centri tu. » 

Ganondorf lasciò tutto quello che stava facendo per voltarsi e prendere Link tra le braccia. Le labbra cercarono quelle di lui, un’unione più che fisica, violenta al punto da dare l’impressione di volerselo mangiare, una volta consumato sarebbero stati una cosa sola per sempre. 

« Ti perdono. » Ganondorf insinuò una mano nei calzoni di Link, il contatto con la sua pelle morbida fece rabbrividire entrambi. Strinse una natica tra le dita, sollevandolo appena da terra. Poteva fare del suo corpo tutto ciò che voleva. « Ma ne parliamo meglio quando torno, che ne dici? » 

Link rispose con un mugolio che poteva significare qualsiasi cosa, ma di certo non un rifiuto. 

Si salutarono con un ultimo lungo bacio, poi Ganondorf montò in sella. Affondò i talloni nell’addome del cavallo per spronarlo prima di cambiare idea e non partire proprio: la sagoma di Link, circondata dal lucore della neve morbida, era una tentazione troppo forte. 

 

Ci sarebbero volute due ore di cavalcata, in buone condizioni, per attraversare la tundra e arrivare allo Stallaggio del Nevaio, ma con l'abbondante neve fresca caduta durante la notte il cavallo faceva fatica a mantenere l'andatura tanto che a metà percorso Ganondorf ebbe il dubbio se tornare indietro. Alla fine continuò, anche se a fatica, spronando il cavallo e sudando copiosamente sotto il giaccone, mentre il sole passava da giallo pallido a giallo chiaro sullo sfondo di un cielo niveo. Lo Stallaggio si stagliò sulla tundra bianca come un'apparizione, non meno surreale di un'oasi nel deserto e Ganondorf spronò l'animale al massimo, il calore del suo corpo si alzava da lui come vapore. 

Arrivato lì smontò che il cavallo non si era ancora fermato e lo consegnò alle cure della ragazza della stalla, poi corse dentro. Lo Stallaggio era costruito su pianta rotonda; a differenza di quelli che si trovavano in zone più amichevoli di Hyrule questo era più grande, rivestito di legno e pelli di renna, soffitto e pavimento; un enorme camino addossato a una parete riscaldava l'ambiente e tutto intorno erano disposti tavolini rotondi da due o tre posti per accogliere i clienti; la zona di riposo si trovava al piano superiore, con stanze comode ma piccole adatte a un breve soggiorno. La porta si aprì con uno scampanellio e la voce dell'oste accolse Ganondorf con la solita cordialità. Dalla cucina giungeva l'odore del riso bollito e dello stufato di caldoperoni, una delle poche verdure che aveva l'irriverenza necessaria per crescere su quelle montagne.

« Guarda un po' chi è sceso dal ghiacciaio! Darùl! Che bello vederti. Zagra aveva detto che bruciavi di febbre solo ieri. » 

« Zagra esagera sempre quando si tratta della mia salute. » sbuffò Ganondorf. Spogliarsi di tutti gli strati era un'operazione lunga e attenta, la vita in montagna dipendeva da quel bozzolo peloso, anche se i cappotti venivano appoggiati l'uno all'altro sulla rastrelliera di ganci appesi alla parete si poteva confidare sul fatto che nessuno avrebbe rubato il giaccone di un altro.

« Mi fa piacere che ti sia ripreso. Bevi qualcosa, fuori si gela. » l'uomo gli fece cenno con la testa di accomodarsi a uno dei tavolini e Ganondorf non se lo fece ripetere. Il figlio dell’oste, un ragazzotto piazzato dal cipiglio sempre arrabbiato, gli portò un boccale di vino caldo che profumava di spezie e un pezzo di panpepato. Ringraziò l'oste sollevando il boccale e quello gli sorrise di rimando scuotendo la testa. Era piacevole e confortante il modo in cui quelle persone si prendevano cura le une delle altre, il clima rigido del ghiacciaio non li aveva resi ostili, anzi. Mentre mordicchiava il panpepato, inzuppandolo di tanto in tanto nel vino, Ganondorf si chiese come mai per le Gerudo era andata in modo diverso, come mai il deserto si era insinuato in loro al punto da renderle aride, come mai tutto ciò che sapevano e insegnavano era l'offerta di sangue dovuta alla sabbia, e soprattutto come mai anche lui desiderasse lo stesso. L'ultimo sorso di vino sapeva di cannella, si leccò le labbra e poi si abbandonò un po' contro lo schienale. Link l'avrebbe perdonato se avesse tardato, d'altronde il tempo sembrava reggere e dai discorsi che sentiva intorno a lui le cose erano stabili anche sul nevaio, poteva godersi la normalità di essere un hylian, la deliziosa condanna che gli aveva imposto il Re di Hyrule. L'oste gli portò un secondo boccale e lui lo obbligò ad accettare le cinque rupie dovute infilandogliele tra le dita. L'uomo quasi se le fece cadere e balbettò un “non è necessario” con il braccio che si ritraeva veloce contro il busto. Il liquido caldo si diffuse in tutto il suo corpo facendolo avvampare in volto, languiva nel basso ventre con un formicolio a cui era difficile non abbandonarsi. Chiuse le palpebre e, senza stupore, si accorse di non riuscire a riaprirle né di volerlo fare. Una gerudo avrebbe percepito la presenza di un sonnifero nel vino nei segni sparsi tutto intorno, ma Ganondorf non era più una gerudo da molto tempo, adesso era un hylian qualunque.

 

Si risvegliò conscio del rombo di tuono che risuonava tra le pareti del suo cranio, non era la prima che si sbronzava ma era la prima volta che succedeva senza rendersene conto. Il corpo era un ammasso pesante e caldo, ogni parte di lui protestava quando veniva mossa, seppur di pochi millimetri; un fremito delle palpebre era un terremoto che lo scuoteva fino alla base della colonna vertebrale. Devo smettere di bere. si disse. Sentì sotto di sé un duro ripiano di legno, il tavolo dello stallaggio a cui si era seduto con ogni probabilità; in bocca la lingua aveva la consistenza di una manciata di sabbia; il sangue sembrava fluire troppo in fretta, su e giù lungo le estremità più sensibili e calde del normale. Riuscì ad aprire gli occhi e a tirarsi su, seduto, anche se a fatica. Intorno a lui il chiacchiericcio degli astanti smise di essere un brusio indistinto e si trasformò in parole di senso compiuto; qualcuno si lamentava del freddo, altri della neve, altri ancora ringraziavano per il cibo caldo, di fianco al camino un musicista con la fisarmonica piagnucolava una lenta elegia. L’oste era al bancone, si prodigava perché tutti avessero le ciotole piene e i boccali colmi, come sempre. Eppure c’era qualcosa che gli suonava… strano, qualcosa nel modo in cui le persone parlavano tra loro, del più e del meno, qualcosa nelle occhiate, nelle risate sguaiate, nelle note strazianti della fisarmonica. Si alzò di scatto, la sedia cadde alle sue spalle facendo un gran rumore, l’ambiente gli girò attorno, vorticoso, e la nausea per un attimo gli fece ribollire lo stomaco. Fuori imperversava la tempesta, il sole che l’aveva accompagnato da casa quella mattina quando era uscito era stato sostituito dal manto nero, iracondo della notte. Fu in quel momento che capì. 

« Che cosa avete fatto? » urlò, anche se la sua voce era rauca e il respiro spezzato, gli sembrava che il vino gli avesse riempito i polmoni al punto da rendere impossibile prendere aria. 

« Calmati Darùl. » provò qualcuno, tiepido, da qualche parte oltre il suo campo visivo. 

« Ditemi che cazzo avete fatto! » 

L’uomo con la fisarmonica smise di suonare, dal momento che più di un paio d’occhi si alzò verso l’oste, anche Ganondorf si rivolse a lui. Teneva in mano un boccale mezzo pieno, tutto schiuma, solo il fondo pieno di birra bevibile. « Ti sei ubriacato, Darùl. » disse, ma era chiaro che non credeva neanche lui a quelle parole. 

« Stronzate. » gli disse dietro Ganondorf. « Non mi ubriaco con due boccali. Mi avete drogato?! Perché?! » 

Conosceva quasi tutti i volti in quella stanza, conosceva i loro nomi, aveva aiutato molti di loro; quando c’era stata quella brutta epidemia di febbre, un paio d’anni prima, era stato lui a occuparsi di portare acqua e medicinali alle famiglie malati; la legna che spaccava in piccoli ciocchi, adatti a stufe e caminetti, si trovava in tutte le loro case; Link aveva aiutato a domare i cavalli e insegnato a un paio di ragazzini come cavalcare. Quella gente li aveva accolti, quella era la loro famiglia. Sentì una stretta al petto, i polmoni schiacciati e anche le orecchie piene di liquido. Link, Link, Link! « Cosa avete fatto a Link? » 

Nessuno rispose, né l'oste né le persone che in quei cinque anni Ganondorf aveva imparato a conoscere. Non sapevano chi fosse “Link”, per loro era sempre stato “Zagra”, ma non era questo il motivo del loro silenzio. Ganondorf scattò verso la rastrelliera per vestirsi, l'avevano venduto certo ma almeno non gli avevano tolto il suo giaccone e gli stivali da neve; si vestì in fretta, aveva l'impressione che dalle labbra socchiuse da cui entrava e usciva un respiro affannato venisse anche un urlo, un urlo che poteva sentire solo lui; uscì nella tempesta, la neve si abbatté subito su di lui, tanto forte da farlo indietreggiare, il rettangolo caldo e sicuro dello Stallaggio sembrava la bocca di un animale selvatico con denti nascosti oltre la lingua di tappeto peloso; con un braccio a proteggere il volto si diresse alla stalla, il suo cavallo era ancora lì, bardato come quando era arrivato, montò e l'animale esitò. « Muoviti, bestia del cazzo! » Ganondorf affondò i talloni nei fianchi del cavallo con tanta forza da lasciargli i segni sul manto, nonostante questo l'animale mosse solo un passo verso l'esterno, verso la bufera e la neve che si accumulava nascondendo la strada, la terra, il mondo, e la morte che li aspettava entrambi. « Muoviti! » frustò con le briglie, il cavallo nitrì, un tentativo di impennata sulle zampe posteriori, poi partì al galoppo.

 

Sul viso di Ganondorf si erano formati cristalli, sulle labbra, sotto il naso, sulle sopracciglia; il cavallo era mezzo morto, arrancava ormai con la testa bassa nella neve sempre più alta, sempre più compatta. La baita era proprio lì, davanti a lui, la sua figura scura contro il turbinio del ghiaccio e della neve ben riconoscibile, la base rettangolare il tetto spiovente. Non c'era alcuna luce alle finestre, né fumo usciva dal comignolo: era una casa morta. La porta era stata divelta, così la neve si era insinuata anche all'interno, dopo cinque anni di tentativi di irrompere alla fine ce l’aveva fatta. Si sentì violato, strappato da dentro all’altezza dell’ombelico. Link non era lì; il suo cavallo era ancora nella stalla e nitriva a gran voce. Provò a consolarlo, anche se con le mani gelide a malapena sentì la morbidezza del suo manto; lasciato nel box anche il suo cavallo, dal momento che non poteva permettersi adesso di vederlo morire, corse in casa. I segni dello scontro erano evidenti dappertutto, i soldati di Hyrule (perché era certo che di loro si trattasse) non avevano neanche tentato di nascondere la violenza con cui erano entrati nella loro casa; i tappeti si erano piegati sotto il peso di stivali luridi le cui impronte erano sparse ovunque; una sedia era stata spaccata, le altre erano riverse sul pavimento; la neve aveva creato un sostrato misto d’acqua e fango su tutto il pavimento, portando le tracce degli intrusi ovunque, fin alla loro stanza da letto; Ganondorf, in tutta quella confusione, cercò tracce di sangue, che ben più del fango e della neve potesse dirgli che qualcosa era stato fatto al suo compagno: non ne trovò, ma questo non servì a rassicurarlo. Il focolare dove sempre ardeva il fuoco che li teneva vivi era adesso spento, la neve si era accumulata anche lì, in un piccolo mucchio bianco e grigio. 

« L’hanno portato via. » mormorò. Rimase in piedi solo perché gli arti erano troppo rigidi per piegarsi; la testa ronzava mentre gli occhi andavano da una parte all’altra per tracciare il percorso da lì a Hyrule, calcolò i tempi, le risorse che gli servivano e il vantaggio che i soldati avevano rispetto a lui. Andò nella stanza da letto, dovette inghiottire la nausea che gli strinse la gola quando vide il letto scoperchiato, il materasso gettato da una parte. Cercò la spada, di solito appoggiata di fianco all’armadio come fosse l’innocuo bastone di una scopa: non c’era. Qualsiasi cosa fosse successa, avevano preso anche la spada insieme a Link. Era disarmato, solo, senza provviste per affrontare la bufera e il viaggio che ne sarebbe seguito, ma era furioso, e la sua furia avrebbe spazzato Hyrule, una volta per tutte.

 
   
 
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