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Autore: musa07    28/03/2024    2 recensioni
[KageHina][Tobio centric]
Questa storia partecipa alla Themed Challenge – Spring Edition (II Edizione) indetta dal forum Siate Curiosi Sempre.
"Ci si può aggrappare ad una promessa?
Tobio fino al giorno prima avrebbe detto di no. Lui, sempre così troppo pragmatico…
Ma è quello che sta facendo ora. Dalla sera prima, da quell’istante in cui, all’aeroporto, lui e Shoyo si son dovuti alla fine salutare, slegarsi dal loro ultimo abbraccio, e allora Shoyo come ultima cosa gli ha sussurrato all’orecchio la promessa che sarebbe tornato.
In quel momento non ce la fa a pensare al dolore, alla sofferenza, allo smarrimento che di sicuro attanaglieranno anche Shoyo, in un caleidoscopio dicotomico di sensazioni, di emozioni[...]
Lo sa, Tobio, che per Shoyo arriveranno quei momenti, e lui sarà – metaforicamente – lì. Per permettergli di riprendere fiato, per dargli quella parvenza di casa, per esser quella luce, quelle stelle, che Shoyo inevitabilmente, con il buio che spegne, si metterà a cercare[...]"
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Shouyou Hinata, Tobio Kageyama
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Questa storia partecipa alla Themed Challenge – Spring Edition (II Edizione) indetta dal forum Siate Curiosi Sempre
Prompt: E venne un momento in cui il rischio di rimanere chiusi in un bocciolo era più doloroso del rischio di sbocciare.
— Anaïs Nin
 
 
Mi sono chiesta che cosa potesse dire per Tobio svegliarsi il giorno dopo la partenza di Shoyo per il Brasile. Allegriaaaa… niente^^'



 
Promessa

 
Ci si può aggrappare ad una promessa?
Tobio fino al giorno prima avrebbe detto di no. Lui, sempre così troppo pragmatico…
Ma è quello che sta facendo ora. Dalla sera prima, da quell’istante in cui, all’aeroporto, lui e Shoyo si son dovuti alla fine salutare, slegarsi dal loro ultimo abbraccio, e allora Shoyo come ultima cosa gli ha sussurrato all’orecchio la promessa che sarebbe tornato.
 
In quel momento non ce la fa a pensare al dolore, alla sofferenza, allo smarrimento che di sicuro attanaglieranno anche Shoyo, in un caleidoscopio dicotomico di sensazioni, di emozioni.
Da una parte l’adrenalinica sensazione di svegliarsi in un mondo completamente nuovo, con suoni, profumi, colori completamente diversi; dall’altra quella malinconia, quella solitudine che per forza arriverà ad attanagliarlo nella sua morsa implacabile sul calar della sera, quando è il momento del raccoglimento, quando non ce la fai a considerare ancora quel posto come casa tua. Perché il buio amplifica.
Lo sa, Tobio, che per Shoyo arriveranno quei momenti, e lui sarà – metaforicamente – lì. Per permettergli di riprendere fiato, per dargli quella parvenza di casa, per esser quella luce, quelle stelle, che Shoyo inevitabilmente, con il buio che spegne, si metterà a cercare.
Lo farà, Tobio, ma non ora.
 
Ora non può, non ce la fa...
Perché è il suo dolore, la sua sofferenza che deve gestire ora.
L’ha imparato tempo fa. Anni fa…
Devi permettere a quel dolore di entrarti dentro. “Far entrare per far uscire” quella frase, da bambino, non aveva molto senso, ma ora sì.
Tanto quel dolore è già dentro di te, è inutile opporsi, perché è come cercare di opporsi alla marea.
 
Ed è proprio come se la marea lo stesse travolgendo. E si sente appeso ad un filo, per rimanere a galla. Quel filo che è una specie di bozzolo nel quale si è rinchiuso dentro.
E, inevitabilmente, anche questa cosa lo riporta a Shoyo. Perché glielo aveva detto, quest’ultimo, che si sentiva come se fosse dentro ad un bozzolo, quando gli aveva ventilato per la prima volta l’idea di farsi un paio d’anni in Brasile, per potersi migliore.
Un bozzolo nel quale si sentiva stretto, per quanto fosse confortante. Era come essere avvolti, coccolati, ma era come essere in una prigione di cristallo. E allora Shoyo aveva capito che il rischio di rimanere rinchiusi in quella gabbia d’oro era molto più doloroso che correre il rischio di sbocciare. Di spiccare il volo. Di imparare a spiccare il volo. Da solo. Lontano da tutto e da tutti.
E Tobio, quella cosa, quell’essere bozzolo, l’aveva capita ancora prima di Shoyo (“beh Kags: si sa che tra i due, sei tu la parte intelligente e riflessiva” gli aveva detto Shoyo ridendo, mentre si erano stretti in un abbraccio, rimediandosi un inevitabile insulto da parte sua) ma aveva lasciato che fosse un viaggio di scoperta di se stesso che Shoyo facesse da solo. Non poteva tirarlo fuori dal bozzolo troppo presto, avrebbe potuto essere in qualche modo dannoso.
 
Ora però che il bozzolo è stato rotto, non è qualcosa di dannoso ma di doloroso.
E Tobio, che si è alzato presto come al suo solito, che si è preparato per la sua solita corsa mattutina – perché nello sforzo della corsa, seppur allenato, gli impedisce di pensare - si sente come se il suo corpo fosse nella stanza ma, al tempo stesso, non fosse veramente là. E si resetta e si ripara ad ogni minimo movimento. Per rimanere a galla.
E ciò che lo fa rimanere a galla, in quel momento, è il cellulare che vibra sulla scrivania della sua stanza, a fianco della proposta di ingaggio degli Adlers.
Un messaggio (anzi: una raffica di messaggi. Per lo più di emoticon o stickers).
È Shoyo.
È atterrato.
E gli sta facendo la telecronaca di ogni singola sensazione, cosa, colore, suono, odore che sta percependo.
 
Sorride.
È di nuovo a galla. Può uscire dall’apnea. Può respirare di nuovo.
Perché nessuno è mai completamente perduto. O solo.
 

 
   
 
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