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Autore: crazy lion    29/03/2024    1 recensioni
Sono passati tre anni da quando il nostro cucciolo, Kiran, è morto e né io né Kerchak riusciamo ad andare avanti. Tutti ci hanno detto di farlo, però non possiamo. Io mi lascio andare al dolore. I giorni mi sembrano uguali a essi stessi e lenti, eterni. Anche le notti non passano mai.
Disclaimer: i personaggi di Kerchak e Kala non mi appartengono, ma sono proprietà della Disney. La fanfiction non è a scopo di lucro.
[Storia che ho scritto e postato prima in inglese su archiveofourown con il nickname crazy_lion. Lì potete trovare altre mie storie e poesie, alcune delle quali non ho tradotto in italiano].
Genere: Drammatico, Fantasy, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kala, Kerchak
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Note:
1. Uno dei generi di questa storia è il fantasy perché, anche se il film è una storia di avventura/famiglia e dramma, per me ogni animale che parla deve essere considerato fantasy per il fatto che è umanizzato.
2. Sono non vedente e nei giorni scorsi ho rivisto, perché uso la parola guardare anche se non posso vedere, la parte del film in cui muore il cucciolo di Kala e Kerchak. Ho pensato per giorni di scrivere una fanfiction su questo, anche se l'avevo già fatto in passato, ma avevo paura che non sarei stata in grado di descrivere un dolore così grande. Poi ho raccolto tutto il mio coraggio e ci ho provato.
Penso che il dolore di Kala non sia stato trattato in modo adeguato nel film e che bisognerebbe parlarne di più. Lei e Kerchak hanno perso un figlio e non c'è dolore più grande al mondo di questo. Nel film, sembra che quando Kala adotta Tarzan tutto vada bene e nessuno parla più di suo figlio. Per me non è giusto.
Ho scritto che sono passati tre anni perché qui, come nel film, gli animali sono umanizzati, quindi volevo dare a Kala il tempo di elaborare il lutto, non seguendo il film in cui, il giorno dopo la sua perdita, trova il bambino.
Ho lavorato molto su questa storia, quindi spero che vi piaccia.
3. Nel film non viene mai detto il nome del cucciolo e anche questo, a mio parere, è sbagliato. Per Kala e Kerchak era la cosa più importante che avevano al mondo. Non capisco perché non possa avere un nome anche lui, così l'ho scelto io. Kiran significa raggio di speranza, o raggio di luce, in una delle lingue dell'Africa (lo swahili, se non sbaglio).
 
 
 
An ache
So deep
That I
Can hardly breathe
This pain
Can't be imagined
[…]
How could this happen,
Happen to me?
This isn't fair
This nightmare
This kind of torture
I just can't bear
(Plumb, I Want You Here)
 
 
 
I wish that I could see you again
I know that I can’t
I remember it clearly
 
The day you slipped away
Was the day I found it won’t be the same
(Avril Lavigne, Slipped Away)
 
 
 
Then it hurts 'til it eats you alive
Changes you forever in the blink of an eye
And it's not something that just fades overnight
It's something that stays for the rest of your life
When you lose somebody you love
When you lose somebody you love
(Nina Nesbitt, Lose Someone)
 
 
 
VIVA FUORI, MORTA DENTRO
 
Sono Kala, una mamma gorilla che vive nel cuore dell’Africa. No. Non sono una mamma. Non più. Non da quando…
Io e il mio branco vaghiamo nella fitta giungla, alla ricerca di cibo e acqua per sopravvivere. La giornata è calda e umida e rende il nostro viaggio ancora più faticoso. Mio marito, Kerchak, guida il branco, mentre io cammino dietro con gli occhi bassi, come sempre. Il mio cuore è ogni giorno più pesante. Il mio cucciolo, Kiran, se n'è andato. Il nostro cucciolo. Il dolore per la sua perdita non si attenua mai, per quanto tempo sia passato. Sono trascorsi tre anni da quando ci ha lasciati, ma i ricordi delle sue risate e del suo spirito giocoso sono ancora freschi nella mia mente. Era così pieno di gioia, di vita e di energia. Era la mia vita.
Rammento il giorno in cui è nato. Eravamo felicissimi e ci sembrava di toccare il cielo. Lui succhiava dai miei seni, dormiva sopra di me quando lo prendevo in braccio, o accanto a me nella tana, e io ero orgogliosa di provvedere a lui e di vederlo crescere, anche se non è durato a lungo. Si aggrappava alla mia pelliccia e io lo tenevo stretto mentre camminavo per mostrargli i dintorni. Si guardava intorno ed era curioso di tutto. Giocava con le foglie, le farfalle e altri insetti. Mi sdraiavo accanto a lui e gli mettevo una mano sulla pancia, strofinando un dito su di essa, mentre lo inondavo di baci e lui rideva. Era il mio cucciolo, il mio tutto, la mia ragione di vita, la mia unica ragione. E se n'è andato troppo presto. Aveva solo pochi giorni. Se penso in mooodo razionale, so che cose orribili come questa accadono ogni giorno nella giungla. Ma, come mamma, non ero preparata a ciò. Nessuna lo sarà mai.
Mio marito giocava con lui, llo lanciava in aria e lo prendeva, mentre Kiran gridava per l'eccitazione. Eravamo una famiglia completa e felice.
Ma poi, una notte fatale, tutto cambiò. Sabor, una feroce femmina di leopardo, sentì il mio bambino giocare. Stava seguendo una stupida rana, mentre io e Kerchak dormivamo.
Ci siamo svegliati quando abbiamo udito le sue grida e siamo corsi tra i cespugli, ma era troppo tardi. Perché non ho sentito che si allontanava da me? Non avrei dovuto dormire profondamente, con il mio cucciolo appena nato accanto a me. Perché diavolo non ero vigile? Avrei dovuto proteggerlo, ma ho fallito come madre.
Volevo salvarlo, però Kerchak mi ha fermata. Era troppo tardi.
Il ricordo di Sabor che mangia il mio cucciolo mi perseguita ancora. La odio con ogni fibra del mio essere e vorrei che subisse la stessa sorte di mio figlio. Ma Madre Natura non ha esaudito il mio desiderio e Sabor vaga liberamente, mentre a me resta un vuoto che mi consuma.
Cerco di continuare la mia vita, giocando con gli altri cuccioli del branco e parlando con mio marito e le altre femmine. Ma non sono più la stessa di prima. Sono un guscio vuoto. Il dolore per la perdita di mio figlio si è impadronito di me e sono solo un guscio di quello che ero prima.
Ho avuto nausea, mal di stomaco e mal di testa e ho vomitato per giorni dopo la sua morte, e tutti nel branco mi hanno consolata. Ne sono loro grata, ma quando mi hanno detto che avrei dovuto continuare a vivere, ho scosso la testa. E lo faccio ancora. Non so come andare avanti. Non voglio nemmeno farlo.
Mi sento un fallimento e il senso di colpa mi divora. Mi spezza ancora di più il cuore e l'anima, se è possibile. Spesso mi ritrovo a piangere in silenzio, desiderando di poter tornare indietro nel tempo e salvare mio figlio.
Mio marito ha suggerito di avere un altro cucciolo, per dare continuità al nostro branco. Ma non riesco a convincermi a farlo. Sento ancora di tradire Kiran, anche se tutti mi dicono che non è così. Ho avuto diverse discussioni con Kerchak per questo motivo. Ci amavamo e ci amiamo ancora, ne sono sicura, ma abbiamo litigato per settimane e settimane, poi per mesi. Eravamo stressati e stanchi, non era facile per entrambi, ma non volevo mollare.
Alla fine si è arreso. Il dolore è troppo grande da sopportare e non sono pronta a lasciare il ricordo di mio figlio. Non lo farò mai. I ricordi non basteranno a farmi sentire di nuovo viva.
Sorrido e fingo di essere viva fuori, ma dentro sono morta. L'unico conforto che trovo è nelle mie lacrime, e piango ogni giorno, incolpandomi di non essere stata presente per proteggere mio figlio. Spero che un giorno potrò trovare pace e perdonarmi per il mio fallimento come madre. Non credo che sarà possibile, comunque.
Così sogno lui e i miei ricordi felici, ma poi lo stesso incubo mi colpisce come una tempesta e mi sveglio senza fiato. Nei primi mesi mi svegliavo con la sensazione che non fosse vero, che mio figlio fosse vivo e che si sentisse bene, o che lo stessi per riportare da me. Ma, quando ero completamente sveglia, sapevo che non era possibile.
Mi torturo ogni giorno, senza un secondo di pace, nemmeno un istante. Non me lo merito. Merito di piangere per tutta la vita. Continuerò a piangere il mio caro Kiran, il mio prezioso cucciolo che mi è stato portato via troppo presto.
E tutto ciò a cui riesco a pensare, mentre lo ripeto in continuazione nella mia testa, è:
Sei stata una pessima madre. Non lo meritavi. È tutta colpa tua. Colpa tua. Colpa tua!
Questa voce mi perseguita da quella notte, quella che ha cambiato la mia vita per sempre. E, quando non ce la faccio a sopportarla, non più, quando il petto mi brucia dentro e sento il peso del mondo su di me, urlo come una pazza. Non riesco a controllarmi. Questo è troppo. Spavento tutti, ma è troppo tardi.
“Soffro così tanto, non potevo…”
Mi fa male la gola e non riesco a finire la frase.
Tutti si fermano e Kerchak è al mio fianco in un secondo. Gli altri cuccioli piangono per la paura e si nascondono accanto alle loro mamme, persino Terk, mia nipote. Mi dispiace, non volevo spaventarli, ma non posso scusarmi, non ora, non in questo stato mentale.
“Sono qui, Kala” dice mio marito in tono rassicurante. “Ti voglio bene. Non ti lascerò mai andare. Andrà meglio, okay? Giorno dopo giorno. Ma devi crederci, reagire lentamente, prendendoti tutto il tempo che ti serve.”
“Tu l'hai fatto?” gli chiedo, mentre le lacrime mi scendono lungo le guance.
“Ci sto ancora provando” mi sussurra all'orecchio, in modo che nessuno possa sentire. “Ma è difficile.”
“È più difficile ogni giorno, per me.”
“Anche per me.”
“Lo so, scusami.”
Io non sono la sola a soffrire. Lui era il suo papà, sta male quanto me.
“Sono il leader di questo branco. Perché non ho saputo proteggere mio figlio?”
La voce di Kerchak è profonda e bassa, si incrina e io lo abbraccio.
“Non è colpa tua.”
Sospira.
“Parli proprio tu.”
“Già. Hai ragione.” La tristezza è quasi palpabile, come il dolore. Sono nuvole nere e temporalesche che possiamo quasi toccare. Sono gelide. Mi schiarisco la voce. “Lo affronteremo, Kerchak. Ma non guariremo mai. O, almeno, io non lo farò. Mi dispiace tanto!”
“Nemmeno io. Credimi, Kala. Non si può, dopo la morte di un figlio. Io sapevo cosa voleva dire perdere un amico, un fratello, un genitore ed è terribile. Ma questa sofferenza è la più grande di tutte.”
Annuisco, perché lo capisco fin troppo bene.
Diciamo al branco di rimanere dov’è e ci nascondiamo dietro un albero. Lì facciamo l'unica cosa che possiamo fare al momento. Ci abbracciamo. E piangiamo, e piangiamo, e piangiamo.
   
 
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