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Autore: Marc25    29/03/2024    0 recensioni
Sequel diretto di Occhi color mare. ( Consiglio la lettura quindi del primo libro ma non è obbligatoria. )
4 protagonisti:
Dylan: Il giorno della scarcerazione del padre è arrivata, lui aspettava quel momento soltanto per ucciderlo, lo farà?
Anton: Il rapporto con il fratello e la sorella ormai è idilliaco, ma non solo quello...
Luis: Il lavoro va a gonfie vele, soprattutto dopo la cattura del pericolosissimo Gundogan, ma non va bene solo quello...
Ricky: Con sua moglie e sua figlia non potrebbe essere uomo più felice, ma qualcosa o qualcuno stravolgerà tutto.
Vedremo come le vite di questi personaggi si intrecceranno e non solo le loro. Avremo delle risposte a vecchie domande che ne faranno scaturire delle nuove. Spero che vi piaccia.
Genere: Mistero, Romantico, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
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Cap 7 – Conflitto interiore
Dylan – 25 Gennaio 2022 – 8:40
Appena si era svegliato, Dylan si era lavato, vestito ed era andato a comprare in un negozio vicino lenzuola, federe e coperte per Jean. Poco dopo sarebbe dovuto andare a prenderlo all’ospedale. Tornò velocemente a casa, appoggiò ciò che aveva comprato sul divano letto già aperto e si accinse alla macchina per andare a prendere il padre.
Stava per mettere in moto quando la sua mano cominciò a tremare, l’immagine della morte della madre e il discorso successivo di Jean gli tornarono in mente. Poteva non andare, nessuno avrebbe detto niente, forse qualche dottore o infermiere si, ma lui non lo avrebbe saputo, questo pensava in quel momento il biondo.
Ma appena si calmò, mise in moto.
Una volta arrivato trovò Jean già pronto, sembrava un morto che camminava, eppure stava già meglio rispetto al giorno prima, a quanto pare abbastanza perché fosse dimesso.
Jean sembrava molto contento e nello stesso tempo timoroso nell’approcciarsi al figlio. Appena Dylan si avvicinò, lui riuscì a dire: << Sono senza parole, non so come ringraziarti figliolo. >>
<< Hai firmato le dimissioni? >>
<< Si, ho già preso la medicina di stamattina prima di firmare le dimissioni, mi hanno detto che mio “ nipote “ sarebbe venuto a prendermi. Io ho capito e ho confermato. >>
<< Andiamo in auto, nel frattempo ti spiegherò delle essenziali regole che dovrai sopportare per una breve convivenza. >>
 
Appena entrarono in auto, Dylan mise in moto e iniziò a parlare: << Per quanto mi riguarda tu non sei mio padre e neanche un mio amico, quello che sto facendo non vuol dire che ti ho perdonato, perché nessuno lo farebbe e certo io non potrei mai. Dormirai sul divano letto, prenderai le pillole che devi, cercherai un posto dove stare e un lavoro, che tu lo trova o meno tra una settimana te ne devi andare e non ti devi far più vedere, d’accordo? >>
<< È davvero quello che vuoi? Potremmo ricostruire un rapporto umano. >>
Dylan ebbe un attimo impercettibile di esitazione ma poi disse: << Si. È quello che voglio. Ovviamente io passerò la maggior parte del tempo chiuso nella mia stanza a cercare lavoro a mia volta. Per tutto il resto muoviti in autonomia in casa, troverai tutto il necessario. Non chiedermi niente, non cercare di comunicare, e ora che arrivi a casa mia lavati che puzzi. >>
Dylan mise in moto e non parlò per tutto il tragitto verso casa.
 
Quando ad un certo punto si trovava ad un semaforo rosso, diede un’occhiata allo smartphone, mentre passava una ragazza col verde, lui alzò solo un attimo lo sguardo, si incrociò con quello della ragazza e anche lei lo fisso solo un attimo. Ebbe uno strano sussulto del cuore mai provato prima, durò un attimo sostituito dal suono del clacson della auto di dietro e lui procedette ma lo sguardò della ragazza gli rimase impresso fino a quando non arrivò a casa.
 
Dylan si chiuse in camera sua subito dopo aver spiegato ciò che era essenziale per Jean, notò poco prima di chiudersi in camera che Jean si mise sul letto senza dare molto peso a quello che aveva spiegato lui. Forse sarebbe dovuto rimanere in ospedale, pensava Dylan, forse aveva bisogno di una persona vicina per più tempo? Sapeva che era assurdo preoccuparsi di una persona che voleva uccidere pochi giorni prima, eppure non riusciva a essere indifferente. Doveva cercare anche lui un lavoro, ma non riusciva a concentrarsi per cui anche lui si rimise sul letto e sperando di non essere travolto dai sogni si riaddormentò.
 
Un rumore forte lo svegliò, sembrava quello di una caduta, uscì da quella stanza, non vide Jean nell’altra stanza, capì che poteva essere solo in bagno.
Vide Jean per terra in bagno.
<< Cazzo! >> esclamò. << Ti riportò subito in ospedale. >> aggiunse.
<< No, Dylan ti prego. >> disse il padre alzandosi con sufficiente sicurezza, poi lo convinse dicendogli che al massimo lo avrebbero tenuto un altro giorno in osservazione.
<< Ok, ma se sbattevi la testa contro il lavandino o la vasca potevi morire! >>
<< Vuol dire che adesso non lo vuoi più >> disse Jean con la speranza negli occhi, in quella che non era una domanda.
Dylan fu sorpreso, poi si ricompose dicendo semplicemente: << Non finché sei in casa mia. >>
Il biondo riempì la vasca e aiutò il padre nudo a mettersi in acqua. Prese tutto ciò di cui poteva avere bisogno il padre per lavarsi.
<< Potevo anche farmi una doccia veloce. >>
<< Si, ma immagino che un bagno caldo era da tempo che lo sognavi in galera. >>
Dylan rimproverò sé stesso per quella frase empatica. Aggiunse: << Io sono fuori dal bagno, se hai bisogno di qualcosa, chiamami e ti sento. Ah, quando esci fatti aiutare, almeno non scivoli. >>
Uscito dal bagno si sentiva colpevole, quanta gente aveva fatto soffrire per non legarli a sé? Solo per uccidere il padre. Anton in primis, e aveva rinunciato lui stesso alla felicità. E ora lo accudiva, empatizzava. “ È solo un momento, se ne andrà presto e addio. “ Si ripeté in testa ma non abbastanza convinto.
 
Quando il padre effettivamente, con un po' di imbarazzo, lo chiamò, lui si precipitò in bagno e lo fece uscire senza pericoli ma poi gli toccò la testa e capì che era febbricitante.
Gli diede velocemente il proprio accappatoio e celermente gli asciugò i capelli.
<< Credo che tu abbia la febbre, devi subito coricarti. >>
Jean si stava per rimettere i propri vestiti ma il figliò lo bloccò: << Non abbiamo poi una corporatura così diversa, ti presto io dei vestiti, quelli sono da buttare. >>
<< Davvero? >>
<< Certo, te li prendo subito. >>
<< Grazie. >>
Dylan già sulla porta del bagno si limitò ad annuire.
 
Poco dopo gli diede un antipiretico e gli impose di riposare.
<< Poi stasera, verso le 8 ti sveglio e prendi anche l’altra pillola che ha detto il dottore, ok? >>
Jean sorrise grato e contento. In Dylan invece continuava la lotta interiore tra empatia e odio per il padre, ma in quel momento non riusciva a non far prevalere la prima.
Appena fu certo che il padre si era addormentato, andò lui in bagno solo per vedersi allo specchio, guardò sé stesso con rabbia, era così tanta che voleva sfogarla contro qualcosa o qualcuno. Stava per tirare un pugno allo specchio ma si fermò e disse a sé stesso più di una volta e a bassa voce: “ È passato quel tempo, è passato quel tempo. “
   
 
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