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Autore: SkysCadet    30/03/2024    0 recensioni
Ettore Romano è un laureando presso la Facoltà di Beni Architettonici e del Paesaggio dell'Università di Firenze, tornato in provincia di Reggio Calabria per uno stage di sette giorni all'interno del Castello Ruffo di Scilla. Lì incontrerà Giulia, una ragazza che pare ami la cultura almeno quanto lui. C'è solo un problema che pare gli impedisca di approfondire la sua conoscenza...
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Universitario
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«Comunque non mi avrebbero fatto nulla...»

Mi volto verso di lei con uno strano presentimento e nel suo viso un sorriso quasi...Compiaciuto?

«Li conoscevo e...Sono felicemente fidanzati». Stira le labbra in un mezzo sorriso e fa spallucce.

Perché ho l'impressione che mi stia mettendo alla prova?

E no, non si fa così...

Allora mi tolgo gli occhiali, prendo un lembo di camicia e faccio per pulirli, puntando gli occhi su di lei, che è abbastanza vicina da farmi notare la sua espressione attenta ai miei movimenti. 

«Sai Giulia,» sorrido mestamente mentre mi metto gli occhiali nel momento in cui il suo volto pare essersi colorato. 

Mi abbasso leggermente come per sussurrarle un segreto all'orecchio, tanto quanto basta per osservare i suoi occhi da vicino.

«Quando la carne chiama, non c'è anello che tenga...» e nel suo sussulto alla mia voce grave capisco di dover bloccare il flusso dei miei pensieri, seppur veraci.

«Purtroppo» aggiungo, allontandomi giusto il tempo di notare una sorta di smarrimento nel suo viso.

«L'essere impegnati non presuppone l'essere affidabili...» sospiro, con un certo risentimento. «Sono un uomo, Giulia, e so quello che ho visto.»

Sono un uomo e so come appari... Abbasso gli occhi, bagnando le labbra:  sembra proprio una bambina, in quel corpo che pare possa ancora essere volubile, e invece...

Rialzo gli occhi dopo qualche secondo, per vederla scomparire verso l'interno. La cerco con lo sguardo ma non la vedo più.

La mia osservazione deve averla turbata.

Questa ragazza mi rende instabile...Tanto che ogni suo mutamento, nell'umore, nei comportamenti, mi stimola a volerla... Studiare.

È per questo che la cerco e vado fino in fondo all'enorme spiazzale da cui proviene la luce del sole. Girandomi verso sinistra, la vedo rannicchiata vicino a una rientranza ad arco intenta a cercare qualcosa nella borsa. 

Il telefono vibra, chissà da quanto, vista la sua foga nel rispondere.

La rientranza è proprio vicina alle sedie in ferro battuto. Mi siedo, non comodissimo, pronto a partire se dovessero arrivare persone: poggio un gomito sulla superficie del tavolino  con una gamba verso l'esterno. 

Attendo e ascolto, senza remore. 

Non la vedo in viso, è rannicchiata, piegata sui talloni. I capelli ramati le coprono la schiena.

La voce è addolorata mentre si scusa con l'interlocutore. Acuisco l'udito fregandomene della concezione di privacy. 

Si alza e fa per camminare, ma al vedermi lì, con gli occhi nei suoi leggermente arrossati e sbarrati, si blocca.

"No, lui non sapeva..." 

Lui, chi?

"No, pensava fossero... Io?" 

Balbetta. Non sarà che il marito ha avuto qualche notizia da quei tizi? 

È un piccolo borgo Scilla, uno di quelli in cui le notizie volano veloci, di lingua in lingua.

La guardo. No, troppo semplice, in questo momento la sto proprio scrutando: devo capire

È da quando ho visto quell'anello che devo farlo.
Come hai potuto legarti così presto? Senza darti altre possibilità...

Ora i suoi occhi sono intrisi di smarrimento. Li abbassa al suolo, fa per superarmi, e il tocco della mia mano sul suo braccio la blocca e il suo sguardo fatto di lacrime pronte a essere versate, si adombra guardando la mia mano che dal braccio è passata al gomito in una carezza che non avevo previsto.

La ritraggo subito, socchiudendo le labbra per scusarmi e lei accellera il passo verso l'esterno, così mi alzo per raggiungerla.

"Sì, hai ragione, mi dispiace...Ma..."

 Nel mentre lei continua la chiamata, il cielo sembra ingrigirsi e io vorrei tanto scusarmi, prendere quel telefono e dire la verità all'interlocutore... 

"Va bene. Ok. Perdonami, Dafne. Ciao."

Le sono alle spalle. «Avresti potuto semplicemente dire.. » inizio io.

«Cosa? Cosa avrei dovuto dire? Che per paura che mi facessero qualcosa non ho accompagnato e spiegato la mostra ai nipoti della responsabile?!» 

Il mio respiro aumenta non appena la preoccupazione della sua voce ha impattato il mio stomaco meno della lacrima appena comparsa, quasi timida e colpevole nell'essersi mostrata. 

E temo di aver capito la situazione, ma un tarlo punzecchia i miei pensieri, così chiedo: «Perché non mi hai detto che li conoscevi?» 

Giulia rimane con le labbra schiuse, sposta lo sguardo altrove con occhi lucidi e deglutisce. 

«Non lo so». Il tono è freddo e grave di chi ha un orgoglio ferito. 

Mi oltrepassa per tornare indietro.

Posa rumorosamente il cellulare sul tavolino e torna alla sua postazione.

Quindi è così? Si prende un rimprovero per aver evitato dei visitatori probabilmente fastidiosi senza mettermi in mezzo e senza informarmi di cosa comporti tutto questo.

Mi sono già sbilanciato abbastanza con lei. Anche io torno alla mia postazione, e, all'improvviso, mentre la osservo da lontano nella sua postura rigida, mi torna inaspettata l'immagine del suo collo, il profumo mielato dei suoi capelli spostati  dalle mie dita per avvicinarmi all'orecchio, la sensazione di avvicinare il suo capo a me, il notare che il mio palmo può completamente coprire  la sua nuca...

Mi guardo la mano, il palmo e penso a quanto sia stato facile, senza il minimo sforzo, avvicinarla a me... 

Troppo facile. 

È in quel momento che avrebbe potuto dirmi chi erano, ma non l'ha fatto.

Degluttisco, reprimo ogni pensiero, lo rendo menzogna e lo richiudo con una chiave dentro di me, convincendomi che non è nulla e che lei non ha provato nulla. 

Dopotutto è solo il secondo giorno. 

 

   
 
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