Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: shana8998    30/03/2024    0 recensioni
Francesca e Lucia sono due ragazze che frequentano l'ultimo anno di liceo. Le differenze fra loro sono moltissime: Francesca è come l'acqua santa, timida, impacciata e introversa. Lucia è ribelle, sfacciata, romana nel sangue. Ma non è solo questo che le rende così diverse. Francesca è della Roma per bene, quella dei Parioli e la sua vita si basa su studio, lezioni di piano e di danza.
Lucia è della borgata, dall'animo sempre in tempesta con il fratello testa calda e i genitori separati.
Francesca non è Lucia e Lucia non è Francesca.
Ma fino a che punto può spingersi un'amicizia fra due persone tanto diverse? Fra drammi, feste e crisi esistenziali le due ragazze si ritroveranno a scoprire loro stesse e un mondo che non è sempre come lo si immagina.
< Delle volte 'e scelte se pagano care >
Genere: Generale, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

“ Ar desiderio niente piace più di ciò che nun è lecito ”

 

4.  Francesca.

 

Alle cinque e un quarto del mattino, Michele raggiunse la casa dell’anonimo festeggiato a bordo della sua moto.

Francesca sentì il rombo del motore squarciare il silenzio di Roma che alle prime luci dell’alba di un giorno qualsiasi pareva essere tutta un’altra città. Maestosa sì, ma terribilmente silenziosa.

«Pe’ fortuna Miché.», Riccardo avanzò lungo il marciapiede, Lucia sottobraccio con le spalle coperte dalla sua giacca.

«Che cazzo v’è saltato in testa?». Gli occhi azzurri di Michele sbucarono da sotto la visiera del casco come due fari che squarciano la notte. Francesca li notò subito. Si domandò all’istante come quel ragazzo potesse essere il fratello biologico della sua migliore amica. Erano così diversi. L’unica cosa che li accomunava, si disse, era la parlata. Romano: lo sentiva calcatissimo.

«Non guardà a me,io non so che s’è calata.», si affrettò a dire Riccardo porgendo a Michele una spalla di Lucia come fosse un pacco.

Suo fratello la scrutò, fronte aggrottata, espressione che rasentava la rabbia.

«Oh, non te ce mette pure tu Miché, famme tornà a casa.», bofonchiò lei scrollandosi le mani di suo fratello di dosso.

Francesca osservò in silenzio la scena restando un passo indietro. Si vergognava terribilmente per quello che era successo. Doveva stare più attenta alla sua amica, la conosceva bene, sapeva di cosa era capace.

E non lo aveva fatto. Piuttosto, cosa era successo nel frangente di quel poco tempo che si erano perse di vista? 

Ancora se lo stava domandando mentre tremava dal freddo stretta nelle sue stesse braccia.

«Tieni Riccà», Michele porse la giacca al ragazzo e raccolse la borsetta di sua sorella che l’altro, gentilmente, aveva custodito fino ad allora.

Lucia, intanto, aveva già attraversato la strada e stava aspettando suo fratello e, Francesca probabilmente, premuta contro lo sportello della Yaris a braccia conserte.

«La prossima volta, scopatela invece di invitarla a ste’ stupide feste.», commentò infine Michele, prima di cacciare le chiavi dalla borsetta della sorella e sbloccare le portiere con il telecomando.

Riccardo diventò paonazzo. Non disse nulla, ricacciò solo una risatina isterica che morì lì dove era nata.

Attese un momento poi si rivolse a Francesca. «Allora…Ci becchiamo a scuola?».

Francesca annuì avvilita ma non perché lo avrebbe effettivamente rivisto l’indomani, piuttosto perché se la sarebbe dovuta fare a piedi fino a casa sua. Stava morendo di freddo e la testa le pulsava violentemente come se di lì a poco il cervello le potesse schizzare dagli occhi.

«Ao! Vieni o no?». La voce di Michele la riscosse dai pensieri.

Si indicò timidamente.

«Si, tu! Vuoi restare lì impalata?».

Schiuse le labbra per dire qualcosa. Qualcosa non uscì però e perciò attraversò la strada di getto.

                                  ******

 

Poco dopo l’asfalto le scorreva fuori dal finestrino velocissimo.

In auto c’era silenzio, nemmeno la radio accesa. Lucia dormiva sui sedili posteriori, Michele guidava fissando la strada e facendo qualche boccata di sigaretta ogni tanto.

Fu proprio quella sigaretta ad interrompere il silenzio.

O meglio, chi la stava fumando.

«Te da fastidio?».

«C-Cosa?».

«’A sigaretta.».

«No,no.» Francesca serrò i dorsi delle mani fra le cosce e si richiuse a riccio nelle spalle. Stava morendo di imbarazzo. Di tutte le cose che le sarebbero potute accadere quella era la meno aspettata.

Non aveva mai incontrato dal vivo il fratello di Lucia né, tanto meno, aveva mai parlato con qualcuno che come lui godeva di una pessima fama.

Un delinquente, come lo avrebbe apostrofato sua madre e i delinquenti non si frequentano, a loro non si rivolge parola e non ci si torna in auto.

Quante volte lo aveva sentito dire da sua madre e guarda dov’era: in auto con un delinquente.

A quanti altri divieti avrebbe disobbedito di lì in avanti?

«Me spieghi che v’è preso? Tu stai bene me sembra.».

Francesca scrutò il profilo di Michele per un istante.

«L’ho persa di vista. Non so cosa abbia fatto, so che era uscita a fumare una sigaretta.».

Inaspettatamente, Michele ridacchiò.

«T’ha detto questo?».

Francesca si grattò la testa «Be’ a dire il vero l’ha chiamata spino, ma pensavo che significasse sigaretta.».

Michele sghignazzò ancora.

«Te non sei tanto…».

«Tanto?».

Francesca ebbe l’impressione che lui stesse spulciando un sinonimo fra i vocaboli in suo possesso perché ci mise un po’ prima di pronunciare un settico «Sveglia.».

Quel settico sveglia rimbalzò nelle orecchie di Francesca offendendola e umiliandola all’istante.

Perché effettivamente lei, tante volte, si era detta di non essere abbastanza scaltra per quelli della sua età come per la vita in generale.

Era un suo complesso e quello sgarbato del fratello di Lucia glielo aveva sparato in faccia come una pallonata.

Sentirlo ad alta voce le aveva stretto lo stomaco.

«No, forse non lo sono.» mormorò spostando lo sguardo oltre il finestrino.

In un’altra circostanza sarebbe scoppiata a piangere, ma era in macchina con un ragazzo che non conosceva, molto più grande di lei, che le aveva appena dato della scema in pratica, perciò non poteva permettere ai suoi impulsi di prendere il sopravvento scavandole la fossa definitivamente.

Calò un velo di silenzio in auto che durò qualche istante.

«Che te sei offesa?».

«Chi? Io? Pff, assolutamente.» Francesca non riusciva neanche a guardare in faccia Michele. Solamente i suoi occhi azzurri riuscivano a metterle soggezione, piuttosto sarebbe morta soffocata se si fosse scontrata ancora una volta con il suo sguardo.

«Me pareva.»

«Te pareva male.» Rispose con una minuscola punta di acido nella voce. Tono che fece ridacchiare Michele.

A Francesca ribollì il sangue. Non si era mai sentita così sciocca prima di allora ed era una sensazione che non le piaceva affatto. Ad un certo punto, ponderò l’opzione tornare a casa e le sembrò ideale, solo che aveva promesso a Lucia di restare da lei e se così non avesse fatto, conoscendo la sua amica, forse ci avrebbe chiuso i rapporti.

No, non era il caso. Marco l’aveva ferita abbastanza, Lucia aveva bisogno di qualcuno vicino a lei.

«Arrivati.», Michele accostò bruscamente e spense il motore della Yaris. Il casco della sua moto ruzzolò dal sedile posteriore a terra facendo voltare Francesca di scatto.

«La moto?». Perché lo aveva chiesto? Che le importava? Stava tentando di proseguire un dialogo con lui?

«Ce manno n’amico a pialla, nun preoccupatte.»

Non si stava preoccupando Francesca, non le interessava proprio nulla della moto. Per qualche malato motivo però, si sentiva partecipe nel rivolgergli parola, come se volesse restituire a se stessa un’immagine meno scema, meno bimba. “Posso parlare con un ragazzo più grande senza sembrare una bambina” è di questo che si voleva convincere.

Michele scese dalla macchina prima che lei potesse aggiungere altro e spalancò il sedile posteriore della Yaris.

«Oh, bella addormentata ‘a carrozza s’è fermata!».

Afferrò per i piedi sua sorella e la tirò verso l’asfalto.

«Vaffanculo!», sbraitò lei con i piedi puntati sul marciapiede.

«Si può sape’ perché mi devi fare sempre incazzare?».

«Perché me diverte.» In fondo facevano simpatia insieme.

Francesca li osservava bisticciare e ogni tanto sorrideva quando lei provava a colpirlo da qualche parte e lui per evitare di prenderle le gironzolava intorno.

A Francesca sarebbe piaciuto avere un fratello o una sorella con cui scherzare. Casa sua era sempre vuota, c’era la sua domestica ma non era la stessa cosa.

«Ao! Mo m’hai rotto il cazzo, e movete!».

Michele rideva e ad un certo punto pure Lucia aveva sorriso.

Ecco, pure Francesca stava ridendo pure se camminava in disparte e li guardava solamente.

In ascensore avevano smesso di darsi fastidio. Lucia fissava il soffitto, Michele spulciava le notifiche sul cellulare e Francesca scrutava le scritte indelebili che riempivano la cabina. Il palazzo di Lucia non aveva nulla a che fare con quello di Francesca. La vita dei palazzoni di Suburra non era di certo come la sua in quella dei Parioli. C’era una netta spaccatura fra loro che Francesca si ostinava ad ignorare per amore delle cose che non si sentiva di essere e che voleva provare.

«Noi ce ne annamo a dormì, vedi di non fa il cretino co l’amica mia.», lo minacciò Lucia una volta dentro casa.

«C’ho na voglia di fa il cretino co l’amica tua…», sbadigliò lui.

Per un momento Francesca si urtò. Non sapeva bene perché ma quella risposta le aveva dato fastidio. Cercò di far finta di nulla e tacque.

Casa di Lucia era silenziosa. Le luci spente, il soffietto della cucina semichiuso, la luce grigia del cielo che faceva capolino dalle vetrate smerigliate delle finestre. Forse sua madre non era in casa o forse stava dormendo, ma ai due fratelli pareva non interessare poiché si muovevano per la casa rumorosamente come se non ci fosse nessuno da disturbare.

«Vieni Francé.», Lucia le fece cenno con la mano di seguirla e l’accompagnò nella sua stanza.

Il letto era disfatto e c’era un po’ di tutto in giro, a Francesca però non importava. Per lei stare lì in quella casa era qualcosa di diverso. Era con la sua migliore amica e in quel momento le pareva di essere con una fantomatica sorella a fare cose da sorelle.

Lucia le prestò un pigiama e si infilarono sotto le coperte, strette strette. Prima di addormentarsi chiacchiecchierarono un po’ e finalmente Lucia rise, Francesca si sentì realizzata per quel momento e lentamente riuscì a prendere sonno.

 

                                         ******

Alle otto il cellulare di Francesca vibrò insistentemente fino a svegliarla. Con il cuore in gola lo artigliò.

Sul display, il numero di sua madre scorreva lento come il sangue che le si stava rapprendendo nelle vene.

I suoi genitori dovevano essere fuori per lavoro, non l’avrebbero sentita fino al tardo pomeriggio quando lei sarebbe rincasata dalla lezione di piano. Perché la stavano chiamando alle otto del mattino?

In preda al panico si alzò dal letto e cercò la porta del bagno.

Si chiuse dentro e rispose.

«Mamma?».

«Si può sapere dove sei?», gridò la donna dall’altra parte del microfono.

«A casa di un’amica.», a Francesca tremava la voce.

«Come sarebbe a dire? Perché la domestica non ne sapeva nulla?». 

A quel punto Francesca non poteva mentire.

«Perché non le ho detto nulla.».

«Francesca, vedi di tornare a casa immediatamente! Chi è quest’amica tua? Non sarà mica qualche cafonetta di periferia?».

Le spalle di Francesca si irrigidirono per i nervi.

«Torno a casa.», rispose ferma.

«Non usare quel tono con me!».

Si inumidì le labbra.

«Si, scusa mamma.»

La chiamata si interruppe bruscamente momenti dopo.

A Francesca pareva esplodere il cuore. Tutto ciò che sperava non accadesse era successo e sapeva quali sarebbero state le conseguenze.

Probabilmente però, avrebbe ammortizzato i danni se fosse rincasata immediatamente.

Ma come?

Casa di Lucia era veramente troppo lontana.

«Cavolo! Cavolo!», si picchiettò il cellulare sulla fronte mentre accovacciata a sedere sul bordo della vasca meditava un modo qualsiasi per tornare a casa il più in fretta possibile.

Proprio non le veniva niente in mente.

“Forse potrei chiamare Magda”, si disse. Ma poi pensò che nel farlo avrebbe messo nei guai persino lei. Francesca conosceva bene la furia di sua madre e sapeva anche che se Magda fosse rincasata con lei, sua madre sarebbe stata in grado di licenziarla in preda ai nervi.

Niente Magda.

Si morse un labbro.

“Non dovevo andare a quella festa”, si castigò mentalmente. Mentire non porta mai nulla di buono, aveva ragione sua madre.

Era in un bel pasticcio.

«Torno a piedi. Se mi metto a correre posso farcela in quaranta minuti.».

«Parli da sola?». Non si era accorta che la porta del bagno si era aperta. Se ne accorse solo quando il torace nudo di Michele le si piazzò davanti.

Per un momento ebbe l’impulso di coprirsi gli occhi, le guance le andavano a fuoco.

«Eh…Io, no. Ecco…». Lanciò gli occhi altrove e si ritrovò a guardare la biancheria intima buttata nel cesto dei panni da lavare. Voleva smettere di guardarla ma a quel punto avrebbe dato nell’occhio cercando disperatamente altro da fissare.

«Perché ti sei chiusa ar cesso e parli da sola? C’hai qualche rotella fuori posto?».

Francesca aggrottò la fronte senza rendersi conto che ora lo stava fissando dritto in faccia.

«No, sono apposto.».

Michele aveva una strana espressione divertita disegnata in faccia. Divertita e curiosa, come se quella ragazzina poco sveglia fosse un criceto chiuso in gabbia con cui giocare. E lui voleva per qualche insolito motivo vedere quel cricetino correre sulla ruota.

«Sicura?».

«Certo.»

Le sopracciglia di Michele fecero un piccolo balzo, piegò le labbra in un’espressione di disinteresse e attese un altro istante prima di chiedere a Francesca «Vabbè, posso piscià?».

Le guance della ragazza adesso erano viola dall’imbarazzo. Lui le notò, le le potè solo immaginare a malincuore.

«S-Scusa, hai ragione.», si affrettò a dire lei sbrigandosi a superarlo per uscire dal bagno.

A quel punto, Michele le afferrò un braccio, gesto che le mozzò il respiro.

«Ho sentito che parlavi a telefono prima.», ammise, «Erano i tuoi?».

Fu difficile per Francesca ammettere che erano proprio i suoi genitori che la stavano rimproverando per non essere a casa.

«Si.», si limitò a dire. Non riusciva a distogliere lo sguardo dalla mano di lui stretta attorno alla manica del suo pigiama.

«Devi tornà a casa?».

Si morse un labbro per la vergogna e annuì.

«Ti accompagno.», sbadigliò lui lasciandole andare il braccio.

«Non c’è bisogno, posso tornare a piedi.».

Michele scosse la testa. «Lucia mi ha detto che sei della Roma bene, un po’ lontana da casa mia. Non trovi?».

Francesca ammonì lo sguardo. Lucia qualche volta poteva pure farseli gli affari suoi, comunque. Perché Michele le aveva ricordato di essere della Roma bene con un tono di voce che rasentava l’antipatia o forse il disprezzo stesso.

E Francesca gli avrebbe pure detto che non sarebbe salita di nuovo in auto e che, forse, non avrebbe più messo piede in casa sua ma in quel momento doveva tornare a casa più che mai.

Quindi si limitò a dire «Prendo le mie cose.».

Uscì dal bagno e si richiuse la porta alle spalle.

Moriva di vergogna Francesca. Quel ragazzo la metteva in imbarazzo già solo guardandola e lei non riusciva bene a capirne il motivo.

Non era il semplice imbarazzo che si prova a parlare con uno sconosciuto, quello dura poco. Era più persistente, non permeabile da un’eventuale motivazione. C’era qualcosa che l’attraeva. La sua diversità, quel modo di essere scanzonato ma soprattutto il proibito.

Sua madre le avrebbe tirato il collo se avesse saputo a chi aveva rivolto parola. Molto probabilmente, anche Lucia le avrebbe imprecato contro se Francesca le avesse confessato che quando Michele era apparso in bagno a torso nudo aveva apprezzato quella vista schiva e veloce.

Questo l’attraeva. I no a cui voleva disobbedire.

Due dita picchiettarono contro la porta di Lucia che dormiva beatamente.

 «Sei matto! Così la sveglierai!», strepitò a bassa voce, nel panico, Francesca.

Michele sorrise «Ha il sonno pesante, tranquilla.».

Francesca schiuse le labbra per dire qualcosa mentre i suoi occhi scivolavano sul profilo della sua amica. Effettivamente se la dormiva alla grande.

Sospirò e passò accanto a Michele con la sua borsetta stretta al petto.

Lui la osservava. Francesca poteva sentire i suoi occhi chiari addosso ovunque si muovesse in quella casa. Quasi la soffocavano.

E Michele…Michele non le riusciva a togliere di dosso lo sguardo. Troppo curioso per farlo.

Francesca era così impacciata e ingenua che lui stesso si era domandato più volte se ragazze del genere potevano esistere ancora o se Francesca stesse recitando una parte che le calzava a pennello in maniera ineccepibile. Perché non c’era più abituato a quel genere di ingenuità.

Giulia non era di certo ingenua o impacciata. Con lei c’aveva fatto le prime esperienze, c’era cresciuto e s’era spinto pure più in là. Giulia non era una santa ma nemmeno una persona cattiva. Era un’artista, come amava definirsi e da tale amava sperimentare, creare e spesso fantasticava anche un po’ troppo con l’immaginazione. Ecco perché lei e Michele tante volte litigavano. Perché lui era consapevole di essere nato in quei palazzoni di Suburra e che forse ci sarebbe pure crepato. Nemmeno ci provava a immaginarsi altrove. Lei invece amava pensarsi vestita di lusso su una bella barca a Mykonos a sorseggiare un drink. Troppo ambiziosa per lui.

Così le loro strade si erano divise quando Giulia gli aveva detto che s’era stufata di stare chiusa in cameretta a sfondarsi di spinelli e da un giorno all’altro era sparita senza farsi più sentire.

Michele ovviamente non l’aveva cercata i primi giorni, per orgoglio. Poi una sera, si era ubriacato co’ gli amici sua ed ecco che le aveva mandato quel maledetto sms. 

“Mi manchi”.

Lei gli aveva risposto che non provava lo stesso che lui non le mancava affatto, e lui aveva insistito un po’ finché Giulia non aveva sganciato la bomba.

“Mi vedo co’ uno”.

Sbam, dritto in faccia.

Michele aveva tirato il cellulare contro la vetrina del baretto e mo doveva al proprietario cento euro - cifra forfettaria e gentilmente accordata da quest’ultimo - per i danni.

Era un macello Michele quando si trattava di sentimenti. Rabbia, amore o dolore si manifestavano tutti allo stesso modo, con le mani. Con l’impulso di sfasciare qualcosa come se l’avesse per qualche motivo con il mondo intero; e se amava, invece, si sentiva sempre in difetto come se non meritasse di provare quel sentimento così bello e sconosciuto. 

Forse Francesca era simile a lui. Non le sembrava una ragazza che aveva avuto molto a che fare con l’amore. Non le ricordava minimamente Giulia e la sua ingenuità lo attirava anche più del dovuto.

Scesero la prima rampa di scale e Michele chiamò l’ascensore.

L’agitazione di Francesca si poteva tagliare con la lama d'un coltello.

Fremeva per tornare a casa, impietrita dalla compagnia di Michele e ancor più, terrorizzata dalla reazione di sua madre.

Guardò i numeri sulla sua testa illuminarsi. I piani scorrevano troppo lentamente per i suoi gusti e una volta dentro la cabina, le parve di respirare aria satura e pesante.

«Te la stai facendo addosso, vero?».

Francesca lo scrutò di sottecchi «No, ma ho una certa fretta.».

Lui ridacchiò sotto i baffi.

«Cosa ci trovi di divertente?», Francesca non si era mai sentita contemporaneamente così attratta e indispettita  dalla stessa persona come ci si sentiva in quel momento.

Michele fece spallucce e si infilò le mani nelle tasche del jeans.

Quando le porte automatiche dell’ascensore tornarono ad aprirsi le sembrò di respirare per la prima volta.

C’era il sole quella mattina. Una bella giornata di sole che lei avrebbe passato in punizione chiusa in camera sua.

Se solo Michele avesse saputo che, a vent’anni, Francesca veniva ancora messa in punizione! L’avrebbe sicuramente presa in giro a morte.

Francesca planò accanto allo sportello della Yaris. Mano serrata sulla maniglia, provò ad aprire l’anta un paio di volte poi guardò oltre il tettuccio impaziente.

«Vai di corsa?».

«Ti ho già detto di avere-»

«Una certa fretta», disse lui mimando il verso.

Francesca non poteva credere alle sue orecchie. Cos’era tutta quella confidenza non gradita.

Il tlack della portiera scattò e come una saetta Francesca si proiettò all’interno della vettura.

Avrebbe gridato a Michele di mettere in moto e partire ma restò chiusa in un doloroso e paziente silenzio.

Una volta in strada, tutto le sembrò meno opprimente.

Era sulla via di casa e anche se avrebbe ricevuto una bella lavata di testa, in quel momento, non poteva che sentirsi sollevata.

Abbassò il finestrino e lasciò che il vento le scompigliasse i capelli. Con l’avambraccio appoggiato sull’estremità dello sportello quasi non si addormentava.

Dopo un bel po’ di tragitto Michele le tornò a parlare «Allora? Dove giro?».

Francesca gli stava per rispondere “subito a destra” ma poi ripensò alle finestre di casa sua e al fatto che davano sulla strada, le venne un groppo in gola.

«Puoi accostare qui.», si affrettò a dire. Alzò lo sguardo e notò che sua madre era alla finestra ma per fortuna la loro posizione non le permetteva di vederli.

«Come vuoi…», Michele rallentò e accostò in prossimità del marciapiede.

«Grazie per il passaggio.», si affrettò a dire Francesca ma non perché volesse scendere come una saetta dalla macchina, piuttosto perché non sapeva bene come comportarsi.

«De nada.»

Michele guardò altrove e aspettò di sentire lo sportello aprirsi.

Quando Francesca scese dall’auto, inconsapevolmente si ritrovò a seguirla con lo sguardo. Chissà perché si ritrovava sempre attratto dalle situazioni proibite.

   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: shana8998