‒ Siamo qui! ‒ urlò una forte voce maschile. Il giovane girò la testa e vide avanzare verso di lui Hermann ed Hilda a passo sostenuto. ‒ Chiedo perdono per il mio abbigliamento. Ma la mia professione di ballerina richiede ore e ore di allenamento e non mi sono potuta cambiare. ‒ spiegò lei. Karl, perplesso, posò lo sguardo sulla figura snella della giovane, coperta da una tuta d’allenamento blu intera, e sul suo borsone, appoggiato su una spalla. ‒ Signorina, siamo sportivi professionisti anche noi. ‒ affermò, un mezzo sorriso sulle labbra. ‒ Già, non ci formalizziamo certo su simili stronzate. ‒ aggiunse Hermann, il tono ironico. A quelle parole, il centravanti roteò gli occhi, poi si passò una mano sulla fronte. Perplesso, Hermann aggrottò la fronte e incrociò le braccia. ‒ Stai bene? La testa ti da’ problemi? ‒domandò, il tono ruvido, seppur affettuoso. Con la partenza di Genzo, le emicranie di Karl si erano ridotte, ma non erano scomparse. Genzo, a poco a poco, si riprendeva, ma la preoccupazione di Karl non si allontanava. A quelle parole, il centravanti sollevò le labbra in un sorriso. ‒ Sto bene. Sono stanco, anche se non dovrei. ‒ rispose in fretta. Hilda, ad un tratto, posò a terra il suo borsone, lo aprì e trasse una piccola borsa. ‒ Che vuol fare? ‒ domandò Hermann, stupefatto. ‒ Vado a prendere del caffè forte ad uno dei chioschetti. E’ ottimo contro il mal di testa. Mi potete guardare il borsone? ‒ chiese poi. Fece per allontanarsi, ma Hermann la prese per un polso. Lei si girò e fissò sul mediano uno sguardo sorpreso. ‒ Un caffè è una buona idea. Ma lo prenderemo tutti e tre. ‒
I tre giovani, a passo rapido, si avviarono verso un chiosco, attorno al quale si affollavano diverse persone. Ad un tratto, Hermann si fermò e tese l’orecchio. Karl, d’istinto, afferrò il polso di Hilda e lei gli lanciò uno sguardo perplesso. ‒ Che succede? ‒ domandò la giovane. ‒ C’è odore di imbecilli nell’aria. Me ne occupo io. ‒ dichiarò Hermann, un sorriso beffardo sulle labbra sottili. Karl avanzò d’un passo, ma una fitta di dolore, come una lama, attraversò la sua testa. Il centravanti sbarrò gli occhi, poi, sopraffatto dal dolore, barcollò un poco. Hilda, d’istinto, gli cinse le spalle con un braccio. ‒ Sì, stagli accanto. Non voglio avere morti sulla coscienza. ‒ dichiarò Hermann, divertito. Un veloce scalpiccio e un sibilo giunsero alle orecchie del mediano. Di scatto, Hermann si girò. Di gran carriera, giungeva un uomo bruno, tarchiato, armato di coltello, gli occhi ardenti d’odio. Il difensore, con un movimento brusco del capo verso destra, schivò l’assalto, poi sollevò il ginocchio e colpì l’assalitore al ventre. Questi, dolorante, cadde sul terreno. Hermann, poi, gli afferrò il braccio, glielo torse dietro la schiena e lo costrinse a rilasciare il coltello. ‒ Cosa state aspettando? Chiamate la polizia. ‒dichiarò, deciso. Karl, con un cenno del capo, annuì e prese il suo cellulare.
Diverso tempo dopo, i tre giovani uscirono dalla centrale di polizia. ‒ Signorina, che le succede? ‒ domandò Hermann. Per diverso tempo, lei non aveva detto alcuna parola. Il suo sguardo era turbato. ‒ Non avrei mai pensato che aveste sofferto così tanto. Mi sento colpevole per voi… ‒ confessò lei, amareggiata. Con quell’assalto insensato, la figura di suo fratello era stata offesa. E lui non meritava un uso distorto del suo nome. ‒ Non dica idiozie. Non ha certo incitato lei quei bastardi. ‒ sibilò Karl, la mascella contratta in uno spasmo d’ira. No, una simile situazione doveva cessare. E, forse, sapeva cosa fare. ‒ Per favore, potete venire a casa mia? ‒ domandò poi. ‒ Per me non ci sono problemi. Per lei? ‒ chiese a sua volta Hermann. Hilda prese il suo cellulare e chiamò i suoi familiari. ‒ No, non preoccuparti mamma. Sono ancora tutta intera. Uno dei compagni di Wakabayashi ha difeso anche me. Anche per questo, devo aiutarli. ‒ dichiarò, decisa. Parlarono ancora un poco, poi la giovane chiuse la chiamata. ‒ Verrò anche io con lei. ‒
Diverso tempo dopo, i tre giovani raggiunsero un palazzo di forma rettangolare, la facciata anteriore coperta di mattoni. Il tetto, triangolare, era sormontato da un abbaino, coperto di tegole rosso scuro. I tre giovani attraversarono l’ingresso e salirono le scale. Karl aprì la porta e i tre si introdussero nell’appartamento. Con un sospiro, l’attaccante appoggiò la mano contro il muro. Il peso di quell’attacco era stato orribile. Eppure, Hermann aveva difeso tutti e tre con la maestria di un combattente di strada consumato! ‒ Qualche problema? ‒ chiese il difensore. Di scatto, il Kaiser si girò e fissò uno sguardo risoluto ora sul compagno, ora su Hilda. ‒ Sono stanco di queste menzogne! Questa storia deve concludersi! ‒ sibilò. Dubbi, ormai, non erano rimasti. ‒ E che cosa pensi di fare? ‒ domandò Hermann, stupito. Comprendeva la ragione del suo compagno, ma come avrebbero potuto dare una svolta a tutto? Per alcuni istanti, Karl tacque, le labbra strette in una linea diritta. ‒ Voglio umiliarli e, se necessario, sbatterli in galera. La loro non è giustizia, è violenza insensata. ‒ commentò. ‒ Dica pure manipolazione. ‒ intervenne Hilda, il tono lugubre. A quelle parole, vibranti d’amarezza, il giovane campione scosse la testa. ‒ Signorina, per questo avremmo bisogno del suo aiuto. E’ disposta a mettersi in gioco? ‒ chiese ancora. Un leggero sorriso sollevò le labbra della ragazza. ‒ Certo. E, se sarà necessario, sarò disposta a parlare coi suoi compagni. ‒ affermò, ferma. Karl scosse la testa e, per alcuni istanti, fissò i suoi occhi cerulei nelle iridi simili della ragazza. Il suo sguardo era limpido, ma i compagni di Genzo l’avrebbero guardata con diffidenza. Poi, lei era necessaria in Germania. ‒ No, è meglio che parli io con loro. Lei può essere più utile qui. ‒ affermò. La ragazza reclinò la testa da un lato e lo fissò, interdetta. ‒ Quando i giornalisti la cercheranno, lei dovrebbe dire quello che pensa. Se la sente? ‒ Con un deciso cenno della testa, Hilda annuì. Poi, si volse verso Hermann e gli appoggiò le mani sulle spalle. ‒ Parla ai nostri compagni. Anche loro hanno il diritto e il dovere di dire la verità. ‒ affermò, risoluto. Hermann, per alcuni istanti, tacque, poi annuì. Un grande peso, in quel momento, era scomparso dal suo petto. Presto, tutto questo avrebbe avuto fine. Prese le mani di Karl tra le sue e i suoi sottili occhi neri si specchiarono in quelli cerulei del compagno. ‒ Conta su di me, capitano. ‒
P.S.: no, il caffè come medicinale per il mal di testa non è una mia invenzione. La caffeina può aiutare. Un esempio è la Coca – Cola. (a me, per esempio, aiuta coi mal di testa da stress)