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Autore: alinosky    02/04/2024    0 recensioni
"Mi domando se le stelle sono illuminate perché ognuno possa un giorno trovare la sua."
Edoardo ha passato tutta la vita con la testa tra le stelle ma con i piedi ben piantati per terra.
Nilde al contrario con i piedi per terra non ci vuole stare per niente, costantemente persa nel suo mondo di musica e libri.
Diversi come il giorno e la notte, le loro esistenze sembrano sfiorarsi senza mai toccarsi per davvero.
Eppure Nilde sembra essere la chiave per risolvere il mistero più grande della vita di Edoardo. C'è solo un problema: lei lo odia e non cederà facilmente al suo fascino.
"Perché io?"
"Perché tu sei l'unica che mi possa aiutare. Perché tu sei l'unica di cui posso veramente fidarmi"
Genere: Angst, Romantico, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Universitario
Capitoli:
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                                                           03. Eridiano (I)

Eridiano - la vita è come un fiume
"Pensiamo di avere il controllo della nostra esistenza: questo ci fa sentire sicuri.
Ma in realtà non c'è nulla di più lontano del vero."
Before you came around, I was doing just fine
Usually, usually, usually, I don't pay no mind
And when it came down, I was looking in your eyes
Suddenly, suddenly, suddenly, I could feel it inside.
 
Nilde
Come ci ero finita esattamente in quella situazione? Il bello era che non lo sapevo nemmeno io cosa fosse successo esattamente.
Quando avevo aperto quel messaggio, nemmeno un paio di ore prima, avevo completamente perso la testa.
Avevo passato una settimana intera a cercare il mio braccialetto, ero veramente disperata, perché non importava quanto litigassi con mia madre quel braccialetto era il nostro legame.
Era stupido da pensare non era una cosa materiale come un bracciale d'oro a legarci, ma il significato che c'era dietro era importante per me, solo io sapevo quanto avesse sacrificato per regalarmelo.
Non me ne ero mai separata, nemmeno per fare la doccia, eppure ero stata capace comunque di perderlo e la cosa mi stava consumando. Dimostrava solamente quanto fossi perennemente con la testa fra le nuvole, quanto fossi distratta, sempre presa a saltare da un pensiero paranoico all'altro, e tutto ciò aveva solo dato ragione a mia madre.
Non importava quanto le volessi bene, quanto tenessi a non perdere quel frebbile legame tra noi, lei me lo diceva sempre che ero troppo distratta e che un giorno ne avrei pagato le conseguenze. 
Eppure odiavo darle ragione.
Senza il bracciale mi ero sentita vuota, era come se mi mancasse una parte fondamentale di me, come se sentissi il vuoto permanente sul braccio destro.
E poi, dopo che ormai mi ero rassegnata a non trovarlo mai più, quel deficiente mi aveva mandato un messaggio su Instragram.
L'avevo visto quasi un giorno dopo e ci avevo messo altrettanto tempo per decidere se valesse la pena almeno visualizzarlo per vederlo cosa volesse.
Quando mi ero decisa mi era venuto un colpo, io mi ero disperata e per tutto quel tempo lo aveva lui.
Una sola foto, nessun messaggio.
Ci avevo messo un po' a decidermi ma alla fine ho fatto ciò che volevo fare dall'inizio: venire a casa sua, riprendermi il mio bracciale, urlargli conto, andare via e non essere costretta a vedere mai più quella sua faccia da schiaffi. Esattamente in quest'ordine.
E invece le cose non andavano mai come volevo e adesso ero schiacciata contro quella faccia da schiaffi, in un armadio pieno di giacche che non vedevano la luce del sole da mesi e la cui polvere mi stava facendo prudere il naso in maniera pericolosa e con mio padre esattamente a due passi da me.
Cercai di restare il più ferma ed immobile possibile, Edoardo se ne stava chino su di me, trattenendo il respiro, il suo ciuffo di capelli castani, questa volta non ingellato in nessun modo, mi solleticava la fronte tanto era vicino e i suoi occhi se ne stavano ostinatamente fermi sul mio viso.
Nessuno dei due osava fare un respiro in più, nessuno dei due osava solo muovere un muscolo, eppure sentivo tutto il mio corpo fremere, come se fosse percorso da un'onda elettrica.
Esattamente come una settimana prima lui mi stava appicciato, come una settimana prima, senza nessun tipo di riguardo per il mio spazio personale.
Mi morsi un labbro nel tentativo di non starnutire ed Edoardo segui con lo sguardo ogni mio piccolo movimento.
Sentito il suo sguardo di ghiaccio eppure bruciante su tutto il viso, eppure adesso era focalizzato sulle mie labbra, al modo in cui trattenevo il labbro inferiore con i denti, mi teneva sotto controllo, ed era decisamente troppo vicino.
Adesso che mi stavo abituando al buio di quell'armadio riuscivo a distinguere meglio i lineamenti del suo viso, il modo in cui non fossero per niente distesi ma stesse combattendo contro qualcosa. 
Era teso come una corda di violino.
Risentivo la percezione del mio corpo e avevo la percezione anche del suo.
Non c'era una parte del suo corpo che non mi stesse sfiorando in quel momento.
 Sentivo il dorso delle sue mani sfiorare il palmo delle mie, in un tocco delicato, quasi impercettibile ma che io sentivo con fin troppa intensità. Come se non mi stesse solo sfiorando, come se mi avesse stretto le mani con forza, come la sera della festa.
Era del tutto piego verso di me, sentivo la stoffa dei suoi jeans contro i miei, le sue braccia nude piegate in modo innaturale sulle mie, percepivo il suo petto che si abbassava e alzava ad una velocità superiore al normale, sotto la maglia bianca che indossava.
Dovevo mettere dello spazio tra noi. Lo dovevo anche fare in fretta e possibilmente senza farci scoprire.
Cercai invano di fare un passo indietro. L'armadio era decisamente troppo pieno, il dottor Russo avrebbe dovuto buttare un po' di quelle giacche impolverate o fare un po' di beneficienza, ricco da far schifo com'era.
Non ci riuscì. Inciampai e quasi caddi.
La presa salda di Edoardo mi trovò prima che potessi farci scoprire.
Le sue braccia erano corse intorno la mia vita di istinto, sorreggendomi, ed io, sempre d'istinto mi ero aggrappata ai suoi bicipiti per non cadere. Nel disperato tentativo di allontanarmi da lui avevo complicato la situazione, e adesso eravamo ancora più vicini, praticamente appiccicati, e riuscivo a sentire tutto di lui, mio malgrado.
Mi dovevo distrarre.
Chiusi gli occhi, sfuggendo al suo sguardo insistente. Mi concentrai su ciò che veniva da fuori, cercando di ignorare la presa forte intorno alla mia vita, quasi avesse paura che da un momento all'altro potessi scappare da quel nascondiglio scomodo.
Mi concentrai alle voci ovattate dei nostri padri che stavano discutendo di officine, di motori. Almeno fino a qualche secondo prima che cercassi di farmi spazio invano.
Non mi ero nemmeno accorta nel frattempo che avevano cambiato discorso.
Le voci apparivano ovattate alle mie orecchie però il brusco cambio di discorso mi aveva incuriosita e messo sull'attenti.
Aggrottai le sopracciglia perplessa e riaprì gli occhi. Edoardo aveva ancora lo sguardo fisso su di me, eppure ero sicura che sul mio viso ci fosse dipinta la stessa identica espressione interdetta che aveva lui sul viso.
<<  ... questa è una situazione seria, Tommà, lo capisci o no? >>
La voce di mio padre era arrabbiata, non l'avevo mai sentito con tono così tanto serio, almeno non fuori da casa. Lui era la persona più alla mano ed ironica del pianeta, tendeva sempre a stemperare le situazioni quando gli animi si scaldavano troppo.
Ma soprattutto non l'avevo mai sentito usare quel tono di voce su quello che in teoria era il suo datore di lavoro.
<< Lo so! Certo che lo so, Miché, altrimenti perché ti avrei chiamato qui così d'urgenza? >> la voce di Tommaso appariva agitata, parlava velocemente.
Sentivo dei passi che andava su e giù per la stanza, quello era sicuramente mio padre, lui tendeva a camminare per chilometri quando era nervoso o agitato.
<< E allora cosa pretendi da me? Tu capisci che se sta situazione viene fuori ci vanno di mezzo tutti, vero? Non solo io, non solo tu, ma anche le nostre famiglie, mia moglie, i miei figli, i tuoi figli >>
A quelle parole i miei occhi saettarono di scatto verso quelli di Edoardo, che alzò impercettibilmente le spalle.
Anche lui non aveva idea di ciò che si stavano dicendo. Era tutto tremendamente confuso.
<< Lo so! Cazzo, lo so! Mi dispiace averti trascinato in questa situazione con me, se avessi avuto modo di non coinvolgerti ... >> cominciò a dire Tommaso, ma la sua frase fu interrotta a metà da un rumore sordo.
Senza rendermi conto sussultai, la mano di Edoardo fu immediatamente sulla mia bocca, per zittirmi ed evitare di farci scoprire.
Gli lanciai un'occhiataccia e lui mi fece l'ennesimo sorrisetto stronzo, per tutta risposta gli mordicchiai un dito e lui si decide a togliermi la mano dalla bocca, trattenendo a stento una risata divertita.
<< Tutte stronzate! Oramai lo hai fatto, ma devi trovare una soluzione! Tu, non io. L'azienda è tua, sei tu che hai voluto ampliarla, sei tu che ti sei messo autonomamente al comando ignorando ogni mio suggerimento. Questa è una tua responsabilità, non mia. >>
Era di nuovo mio padre, ed era se possibile più arrabbiato di prima. Scandiva attentamente ogni sua parola, come se volesse imprimerla per bene nel suo interlocutore.
<< Io sono un meccanico, faccio il mio lavoro e lo faccio bene. Tu fa il tuo di lavoro, e cerca di non distruggere tutto quello che ho, anzi che abbiamo, costruito con tutta fatica e sudore >>
Tommaso non rispose, almeno non subito, non sapevo cosa stesse accadendo a pochi passi da noi, sentivo una tensione, sia fuori che dentro quell'armadio.
Nessun altro parlò per un po', si sentivano rumori, carte che frusciavano, oggetti spostati, cassetti sbattuti.
Poi un secondo di silenzio e una porta sbatttta con rabbia.
Sobbalzai di nuovo, ma questa volta non fu l'unica, anche Edoardo era stato preso alla sprovvista attento come me ad ogni piccolo rumore proveniente dall'esterno.
<< Michele, aspetta un attimo! >>
Altri rumori, cassetti che si chiudevano e si aprivano di nuovo, poi una porta che sbatteva in lontananza. Ed infine silenzio.
Ancora chiusi nell'armadio nessuno dei due osava fare un solo passo fuori.
Poi Edoardo si portò una mano sulla bocca, indicandomi di fare silenzio, e spinse delicatamente l'anta dell'armadio verso l'esterno, aprendola.
Mi spinse indietro, nella parte ancora nascosta, sotto una quantità importante di cappotti eleganti.
Lui fissava dalla piccola fessura che aveva creato, se ci fosse stato ancora qualcuno avrebbe visto solo lui e non me.
Dopo qualche secondo Edoardo uscì dall'armadio definitivamente, e lo osservai mentre controllava che anche il corridoio accanto fosse sgombro.
<< Via libera, puoi uscire, stellina >> mi urlò dopo un po'.
Aggrottai la fronte, mentre uscivo da quella trappola riprendendo a respirare finalmente.
Nonostante lo shock e la curiosità riguardante ciò che avevamo appena sentito, mi fu impossibile trattenermi dall'urlargli di rimando.
<< Stellina? Seriamente? >>
                                                                                     ***

Fissavo con sospetto l'enorme vasca d'acqua che si stagliava a pochi metri da noi.
Mi ero seduta sotto uno dei cinque ombrelloni beige che occupavano quella parte di giardino sul retro, come me lo aveva indicato Edoardo qualche minuto prima.
Anche se il termine "giardino sul retro" era piuttosto riduttivo dato l'enorme spazio che occupava, dotato di ogni genere di confort, da una piscina stratosferica enorme, un numero piuttosto alto di sdraio e lettini per il sole, cinque ombrelloni, per non parlare della vasca idromassaggio, delle doccette all'aperto per fare sciacquarsi dopo una nuotata, e di un enorme tavolo da pranzo in legno proprio dietro di noi, coperto da una veranda arieggiata.
Anche se dovevo riconoscere che fosse un ambiente piacevole, il sole illuminava quel piccolo angolo dandogli un'aria ancora più pacifica e le piante e fiori che disseminavano il giardino curato oltre l'enorme piscina rendevano il posto ancora più adorabile. Ci avrei passato ore a leggere lì.
Cazzo, certo che questi ricchi si sapevano proprio trattare.
<< Hai paura dell'acqua? >> la voce di Edoardo mi riportò con i piedi per terra, ancora troppo presa nella mia attenta analisi alla sua casa.
Lui se ne stava con i piedi a mollo nell'acqua della piscina, mi dava le spalle, ma aveva il girato il viso per guardarmi, gli occhi azzurri ridotti in una fessura a causa del sole, a differenza mia che me ne stavo seduta rigida su una delle sdraio, quella più vicina alla portafinestra che dava sulla sala da pranzo e quella più lontana da lui.
<< No, sto meglio qui, ho caldo >> mentì.
Edoardo mi fissò solamente, mentre mi sistemavo meglio sulla sdraio a disagio, come a volergli dimostrare che ero completamente rilassata, e non tesa, come se fossimo ancora dentro quell'armadio.
Lui era completamente immerso nella luce del sole, che gli illuminava i capelli castani rendendoli quasi dorati, e rendendogli la pelle del viso ancora più pallida del solito, una leggera spruzzata di efelidi gli copriva il viso, non le avevo mai notate prima, i muscoli delle sue braccia si tendevano mentre giocherellava con l'acqua della piscina.
Io, d'altro canto, ero completamente immersa nell'ombra, al riparo dalla luce bruciante del sole, la cortina di capelli castani a farmi da scudo, a coprirmi il viso.
<< Come mi hai trovata? Non ti ho mai detto il mio nome >> ebbi il coraggio di chiedergli, rompendo il silenzio in cui eravamo caduti.
Lui alzò le spalle, e rispose senza girarsi a guardami questa volta.
<< Quando eravamo al liceo mi hai tirato una secchiata di acqua gelata addosso >> mi disse solamente, lasciandomi spiazzata per un secondo.
Non mi aspettavo di certo quella risposta. L'avevo quasi rimosso quel momento, sembrava essere passata una vita.
<< Probabilmente te l'eri meritata >> risposi dopo qualche secondo.
Lui scoppiò a ridere.
<< Probabilmente hai ragione >>
Mi ero dimenticata di quell'episodio, in realtà mi ero quasi dimenticata di lui, mi era tornato in mente solo dopo la sera della festa, eravamo all'ultimo anno di liceo, Margherita aveva una cotta imbarazzante per Edoardo e lui era il rappresentante d'istituto. Non ci eravamo mai parlati prima di allora.
Non ricordavo esattamente le dinamiche, ricordavo solo che Margherita era andata a fare la carina con lui durante l'occupazione e mi aveva portato con lei e lui aveva detto qualcosa e io gli avevo tirato una secchiata d'acqua gelata. Marghe non mi aveva parlato per una settimana, diceva che gli avevo fatto bruciare tutte le occasioni.
<< Avevi detto qualcosa di maschilista >> ripresi, spiegando le miei ragioni.
Edoardo si girò verso di me e alzò un sopracciglio, in segno di sfida.
<< Ah sì? >>
<< Sì, te l'eri meritata decisamente >>
<< Allora ti ricordavi di me >> mi disse, con tono saccente.
Roteai gli occhi e incrociai le braccia al petto.
<< Non avevo idea di chi fossi, non mi ricordavo di te – poi feci un sorrisetto maligno – ti avevo completamente rimosso >>
<< Peccato, perché tu mi eri rimasta piuttosto impressa, invece >>
Lo guardaì male, e lui mi sorrise compiaciuto.
Lui sospirò e con un piede mosse un po' l'acqua.
<< Ti ho cercato dopo la festa, il braccialetto ti era caduto, però non avevo idea di chi fossi, poi ho incontrato tuo padre e mi ha dato l'indizio finale: sua figlia era scappata dalla festa perché aveva litigato con il suo ragazzo. Non potevi che essere tu, colei che aveva urlato per ore ad un telefono spento >>
<< Non ho urlato per ore, saranno stati due minuti >>
<< Forse, ma sono stati due minuti molto interessanti credimi >>
A questo punto mi alzai indispettita, ricordando il motivo per cui ero andata diritta fino a lì. E la conversazione stimolante di certo non era il motivo.
<< Adesso me lo ridai il braccialetto? >>
Lui alzò un angolo della bocca, piegato in uno strano sorrisetto malizioso.
<< Vienitelo a prendere >> disse solamente, e così dicendo si alzò e infilò una mano nella tasca dei jeans, che aveva arrotolato per bagnarsi i piedi, e tirò fuori il braccialetto.
Un sollievo istantaneo mi prevalse e senza rendermi conto mi mossi d'istinto verso di lui, la mano tesa in avanti, pronta a strapparglielo se necessario.
Ma come sempre mi ero illusa che la cosa fosse semplice, proprio mentre stavo per prenderlo, Edoardo fu più veloce di me e bloccò entrambi i polsi.
Quel sadico stronzetto si divertiva a rendermi le cose difficili.
Cercai di liberarmi ma fu inutile, ogni mossa che facevo mi avvicinava solamente ed inesorabilmente più vicina a lui.
Ancora una volta, nel giro di nemmeno un'ora, gli ero spalmata addosso, le sue mani che mi trattenevano i polsi, il suo petto che toccava il mio, una delle mie gambe era bloccata dalle sue.
Mi accorsi con orrore di avere il viso ad un palmo dal suo e non solo di essere troppo vicina all'acqua.
Mi irrigidì e cercai di rimettermi a distanza di sicurezza: da lui e dalla piscina.
<< Me lo puoi ridare e basta e smetterla con questa sceneggiata? >> gli chiesi esasperata ormai.
<< Certo che però il tuo fidanzato poteva fare di meglio, una stellina e basta, un po' spoglio come bracciale >> mi ignorò mentre continuava a rigirarsi tra le mani il mio bracciale.
Lo osservai in cagnesco, riflettendo a come prenderlo senza che lui mi bloccasse di nuovo.
<< Ridammelo >> scandì di nuovo, provando a trattenermi dal saltargli addosso e strapparglielo con le cattive.
Avevo un fratello minore, ne avevo fatte di lotte all'ultimo sangue. Lo avrei fatto se non fosse stato così tanto vicino alla piscina. Lo stronzo aveva capito che avevo paura e adesso si serviva dalla mia paura per darmi sui nervi.
<< Tu ti dai tante pene per riprendetelo e lui non si è nemmeno degnato di venire alla festa, te l'ha data poi una spiegazione plausibile? >>
No, non lo aveva fatto.
Io e Marco non ci sentivamo da quella sera. Era sparito, non si era fatto sentire nemmeno per scusarsi, e io non gli sarei corsa dietro, non per l'ennesima volta.
<< Okay, adesso basta. Non me lo ha regalato Marco, contento? È di mia madre. Me lo puoi ridare, ora? O dobbiamo fare notte? >> mi arresi.
Era inutile mentire, lui si stava divertendo a stuzzicarmi su Marco ma non era quello il motivo per cui volevo quel bracciale indietro, tanto valeva dirglielo e sperare che smettesse di fare lo stronzo.
A quelle parole finalmente Edoardo si fermò e smise di camminare avanti e indietro per il bordo della piscina.
Fissò prima il braccialetto e poi me, con uno sguardo che non riuscì a decifrare.
<< Mi dispiace >> disse solamente, poi mi lanciò il bracciale.
Lo presi al volo, e appena sentì la freddezza del metallo tra le mie mani mi sentì immediatamente sollevata.
Era di nuovo mio. Tirai un sospiro di sollievo.
Gli lanciai un'occhiata solamente, lui se ne stava a pochi passi da me, le mani nei jeans e lo sguardo basso.
Era forse in imbarazzo per tutta la scenetta che aveva messo su? Non pensavo che Edoardo Russo fosse in grado di provare vergogna.
Non aggiunsi altro, avevo raggiunto il mio scopo. Mi rimisi il bracciale e mi diressi verso la porta finestra, decisa a mettere più distanza possibile tra di noi.
<< Hai capito qualcosa? Di quello che abbiamo sentito prima, nello studio >> mi richiamò, proprio mentre stavo per entrare in casa, sorprendendomi.
Scossi la testa, fermandomi per guardalo.
<< No, non ne so nulla >> risposi evasiva.
Poi la mia curiosità prevalse.
<< E tu? >> chiesi, mordendomi la lingua due secondi dopo.
Anche lui scosse la testa.
<< No. Niente >>
<< Bene. E non mi interessa saperlo, in ogni caso >> dissi di slancio, anche se non era vero. Ero tremendamente curiosa. Avrei voluto insistere, avrei voluto correre a casa e chiedere a mio padre cosa stesse succedendo, se era ne guai, e perché ci aveva nominati, se rischiava di perdere il lavoro, se rischiavamo di andare ancora più nei guai di quanto già non fossimo.
Eppure mi trattenni, almeno d'avanti a lui, che mi fissava ancora.
Aveva un modo fastidioso di guardarmi, come se mi avesse vista nuda, con insistenza, senza imbarazzo, ma diritto, senza esitazioni. La cosa mi irritava.
<< È stato un piacere, Nilde Amato. >>
<< Peccato non poter dire lo stesso, Edoardo Russo >>
                                                                                                ***
 Cinque e un quarto.
Cinque e mezza.
Cinque e quarantacinque.
Mi rigirai il ciondolo a forma di stellina tra le dita nervosamente, l'altra mano stringeva il cellulare senza usarlo. Ero troppo nervosa per farlo. Il piede picchiettava su e giù sempre più velocemente.
Mi sedetti sulla panchina.
Mi rialzai.
Camminavo avanti e indietro.
Poi mi risiedei di nuovo.
Mi succedeva sempre quando ero nervosa, non riesco a stare ferma, non riesco a pensare ad altro che non sia ciò che mi aspetta, non riesco a fare nulla, nemmeno guardare un video senza che l'inquietudine  e l'ansia mi schiaccino il petto.
Cinquanta minuti di ritardo.
Non dieci, non cinque. Cinquanta.
Dovevo alzarmi e andarmene. Mi bastava questo come risposta, no?
Il fatto che non si sia presentato in orario nemmeno all'incontro pianificato affinché lui mi chieda scusa, perché sono io quella a cui viene data buca costantemente, quella ignorata, quella che praticamente vive da single da mesi.
Fissai l'orologio.
Le sei spaccate. Era arrivato il momento di andare via. Questa è già una risposta.
Mi alzai e spazzolai i jeans che indossavo, presi la borsa di tela abbandonata ai miei piedi e cominciai ad avanzare verso l'uscita del parcheggio.
<< Nilde! Aspetta! Dove vai? >> avevo appena imboccato la curva che mi avrebbe portata a casa, quando la voce di Marco arrivò trafelata alle mie orecchie.
Avrei voluto continuare a camminare, avrei voluto ignorarlo, come aveva fatto lui con me, eppure non ci riuscivo, non riuscivo a far finta di niente, a far finire tutto quello che eravamo stati senza una spiegazione.
Mi fermai di scatto, proprio d'avanti ad un bivio: potevo continuare a camminare, attraversare la strada e arrivare dritta dritta a casa o potevo tornare indietro, sentire le sue ragioni, urlargli conto e dare un senso a quegli ultimi cinque anni insieme.
Se andavo via in quel momento non ci sarebbe stata mai una chiusura. Qualsiasi cosa sarebbe accaduto quel pomeriggio le cose non sarebbero mai più le stesse.
Feci dietrofront e lo raggiunsi a metà strada.
Ed eccolo lì, bello come il sole, gli occhi neri come la pece, i capelli neri che gli svolazzavano ribelli intorno al viso, il sorriso che gli illuminava l'intero volto, la luce pomeridiana gli dava un aspetto ancora più bello, nonostante fosse tutto sudato e avesse la tuta del calcio addosso.
Era già difficile così.
Quando lo raggiunsi, lui si sporse verso di me, tendando di darmi un bacio sulle labbra, ma all'ultimo secondo girai la testa quel tanto che bastava per non permetterglielo e lasciare che mi dessi un solo casto bacio sulla guancia.
Lui mi fece un sorrisetto furbo.
<< Andiamo, non sarai ancora arrabbiata per quella storia della festa di tuo padre? Pensavo avessimo risolto >> mi chiese, con noncuranza. Come se fosse stata una cosa da poco quello di avermi dato buca senza spiegazioni.
Quasi dieci giorni senza vederci e parlarci e la prima cosa faceva era cercare di baciarmi e minimizzare tutto.
Alzai un sopracciglio contrariata.
<< Abbiamo risolto? Veramente? Quando? Io ero presente? >> chiesi, sarcastica.
Lui scoppiò a ridere, e si passo una mano tra i capelli scarmigliati.
<< Dai, Nì. Mi hai chiesto di vederci, pensavo fosse per risolvere >>
<< Era per discuterne, non perché ti ho perdonato >> sottolineai, incrociando le braccia al petto.
<< Discuterne? Perché ho saltato una stupida festa? Dovresti rivedere le tue priorità >> mi disse, mutando il tono di voce.
Aveva perso ogni traccia di divertimento nella voce, sapevo già cosa stava per accadere, stava per rigirare tutto a suo favore.
<< No! Perché mi hai dato buca senza una spiegazione, sei sparito per dieci giorni, e sei ricomparso come se non fosse successo niente! >> gli urlai contro spazientita.
Avevo cercato di mantenere la calma per circa cinque minuti, ma con Marco non si poteva stare calmi.
<< E poi ... detto tra noi, non sei tu a poter parlare di priorità >> dissi, indicando eloquentemente la tuta che aveva addosso.
Lui mi fissò confuso.
<< Non ti seguo >>
<< Sei andato a giocare a calcio e mi hai lasciato qui ad aspettare come una cretina per un'ora intera, Marco. Ma come fai a fingere che non hai fatto niente di male? >> mi passai una mano tra i capelli esasperata e feci cadere la borsa per terra ai nostri piedi.
<< Non sapevo a che ora avrei finito >> si giustificò debolmente.
<< Esistono i cellulari, ultimamente lo stai dimenticando un po' troppo spesso >> replicai sarcastica.
Per la prima volta lui decise di non replicare, ma abbassò lo sguardo, sfuggendo ai miei occhi furiosi.
<< E poi perdonami ma io sono la tua ragazza, io dovrei essere la tua priorità, o magari venire prima di una stupida partita di calcetto, non credi? Soprattutto perché non ci parliamo da giorni e io mi sono tormentata per giorni per cercare di capire questo cosa significasse. Per me. Per noi. E invece ti comporti come se non fosse successo niente, come se fossi una povera pazza che parla da sola. >> continuai a dire, le braccia ostinatamente strette al petto per nascondere il fatto che mi stessi torturando i palmi con le unghie, la voce che già iniziava a tremolarmi.
Maledetta me, non sapevo affrontare una conversazione dolorosa senza scoppiare a piangere come una deficiente.
<< Okay, su questo hai ragione, mi dispiace di averti fatto aspettare. Non volevo. Davvero >> si giustificò debolmente, passandomi le mani sulle spalle, acarrezzandomi dolcemente.
Feci un passo indietro d'istinto, non riuscivo ad essere lucida se mi stava troppo vicino e io avevo bisogno di risolvere questa situazione. Ne andava della mia salute mentale.
<< Che succede, Marco? Perché mi dai buca all'ultimo? Perché non mi dai spiegazioni? Perché mi menti? >> mi costrinsi a chiedere.
Ero spaventata dalla risposta, ma dovevo sapere.
Lui si lasciò andare ad uno sbuffo di frustrazione e prese a camminare avanti e indietro. Io lo osservavo immobile.
<< Non lo so, Nì. Sto incasinato da morire, la squadra conta su di me, l'università è un casino, i miei mi pressano in continuo per la scelta della specialistica >>
<< E allora perché non ne parli con me? Perché mi tieni fuori? >> chiesi frustata da tutto quel girarci intorno.
Perché non mi diceva direttamente la verità e basta? Perché stava continuando a mandarla tanto per le lunghe.
<< Perché tu non c'eri mai, sei sempre scostante, sempre sulle tue. Pensavi solo a te stessa >> mi accusò.
Sgranai gli occhi sorpresa, stava già rigirando tutto su di me. Tipico.
<< Scusami? Ero incasinata, con la laurea, il tirocinio, la tesi da scrivere, l'esame di Biochimica da dare >> gli urlai contro, con tono d'accusa.
Quello sì che era un colpo basso. Mi stava colpendo lì dove sapeva che mi avrebbe ferito, il punto più basso di tutta la mia vita.
I mesi in cui non uscivo di casa, se non per andare in laboratorio, dovevo avevo attacchi di panico continuamente, in cui mentivo dicendo di essere stata bocciata all'ultimo esame quando non avevo il coraggio di presentarmi.
Mi ero chiusa in me stessa, non avevo permesso a nessuno di aiutarmi, non avevo visto Margherita ed Emma per un anno, Delia e Diego erano riusciti ad impormi la loro presenza a malapena. Lui più di tutti sapeva quello che avevo passato.
<< Sì, certo. Se vuoi stare meglio raccontandoti questa favoletta va bene. Ma con chi avrei dovuto parlare? Eh? L'hai fatta più tragica di quello che era. Per un esame che io ho dato al primo anno di Medicina, poi non ti lamentare se non ho nessuna voglia di parlare con te >>
Mi ammutolì all'istante. Quelle parole mi facevano male. Mi conficaì talmente forte le unghie nel palmo della mano che ero sicura si sarebbe formata una cicatrice.
<< Tu pensi solo a te stessa! Vuoi che usciamo con quelle oche delle tue amiche, vuoi che andiamo alle feste di tuo padre, ma ti chiedi quello che voglio io, eh? Te lo sei mai chiesta? >> mi era arrivato ad un palmo dal viso adesso.
Mi fissava dritto negli occhi ma io non lo riconoscevo più. Non avevo idea di chi fosse quello sconosciuto che mi stava d'avanti. Quello non era il mio Marco di certo.
<< Marco ... basta. >> sussurrai solamente.
<< Cosa? >>
<< Basta, stai diventando cattivo >> dissi alzando leggermente rotta dal pianto che mi stava per scoppiare.
Sentivo gli occhi che mi bruciavano per lo sforzo di non piangere lì d'avanti a lui.
<< Non essere patetica, ti da solo fastidio che ti sto dicendo la verità >> mi ignorò lui.
Chiusi gli occhi per un secondo, per riprendere il controllo di me stessa.
Poi mi sedetti sulla panchina.
Presi un respiro profondo prima di parlare.
<< Può essere. Può essere che tu stia dicendo la verità, ma quando siamo diventati questi? Da quando ci attacchiamo sui punti deboli? >> gli chiesi, con aria rassegnata ormai.
Lui mi fissò a lungo prima di parlare.
<< Non lo so, Nilde. Non lo so >>
<< Mi hai detto cose cattive e io non le merito ... >> cominciai.
<< Hai ... >>
<< Fammi finire. Mi hai detto cose orribili. E io non l'ho fatto con te. Volevo capirti. Volevo parlarti. E tu mi hai attaccato. Non credo di meritarmelo. >>
<< Mi dispiace >>
<< Io e te non esistiamo più ormai. Non è solo questo, litighiamo per tutto ormai, mi riempi di bugie, ci scarichiamo le peggiori cose quando siamo arrabbiati. Ma che relazione è questa? >>
Mentre parlavo sentivo il groppo che avevo in gola crescere, impedirmi di parlare chiaramente come avrei voluto, non potevo fermarmi adesso però.
<< Nilde, che stai dicendo? Non vorrai finirla così? >> mi chiese, questa volta inpanicato, sedendosi accanto a me.
<< Non voglio rovinare tutti i bei ricordi che abbiamo insieme ma a me sembra che tu ti stia mettendo di impegno per distrugge tutto il bene che ci siamo fatti. Non voglio che la rabbia cancelli tutto. >>
<< Mi stai lasciando? >>
<< Sto dicendo che magari dovrei cercare di capire cosa vogliamo e chi siamo lontani dall'altra. Io non mi fido più di te, tu mi hai appena rinfacciato il periodo peggiore della mia vita. Vuoi davvero che finisca con tutto rotto e nulla da recuperare? >>
<< Io non voglio che finisca >>
<< Nemmeno io lo voglio. Ma è così che deve andare Marco. Forse adesso ti sembrerà una decisione azzardata, ma io voglio ricordarmi di te con il sorriso, e se torneremo insieme voglio che sia perché lo vogliamo veramente e non perché ormai siamo così abituati l'uno all'altra da vivere infelici >>
Se lui non aveva il coraggio di fare quel passo, lo avrei fatto io.
Il momento di tenere la testa sotto la sabbia e avere paura era finito.
<< Se è quello che vuoi ... >> rispose lui incerto.
Mi guardai intorno.
Quella era la nostra panchina, quella in cui mi aveva detto che gli piacevo per la prima volta, quella in cui mi aveva tenuta per mano per la prima volta, quella in cui ci eravamo dati il primo bacio. Era quasi ironico che stesse assistendo anche alla nostra fine.
Pensavo che quel giorno non sarebbe mai arrivato. Pensavo seriamente che fossimo fatti per stare insieme. Non avrei mai pensato di star per dare quella risposta.
Una lacrima sfuggì al mio controllo, corse lungo la guancia e finì dritta sotto al mento. Non me l'asciugai nemmeno.
<< Sì. È quello che voglio. >>
                                                                                                                  ***

Piccolissimo spazio autrice

Finalmente sono riuscita ad aggiornare!
Questo capitolo è abbastanza importante e centrale, perché da questo momento in poi si entra nel vivo della storia e cominceranno i problemi!
Spero che vi sia piaciuto, fatemi sapere cosa ne pensate!
Vi lascio con il prestavolta di Marco, per il resto mi trovate su tiktok.
A presto, un bacio, Ali.

Marzo Izzo - Gavin Leatherwood
   
 
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