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Autore: Glenda    04/04/2024    3 recensioni
In un mondo in cui la magia è rara e con un grande peso politico, ed i maghi figure temute e inquietanti, Heze, un giovane viaggiatore dal cuore limpido e il carattere solare, viene ingaggiato da uno di loro perché lo accompagni fino alla capitale a consegnare un messaggio segreto. Ma la persona con cui si trova ad affrontare questa avventura è completamente diversa dalle aspettative che si era costruito: svagato, onesto, gentile e smaccatamente vulnerabile, Yèlveran diventa per Heze un mistero da svelare, e finisce per legarsi a lui al punto di farsi trascinare in un complotto che potrebbe costare la vita a entrambi...
Storia di avventura con una componente politica, ma principalmente focalizzata sulla relazione tra i personaggi (a cui sono affezionatissima e dei quali ho volentieri indugiato nel descrivere i pensieri). Un bel po' di bromance e molto drama.
Genere: Drammatico, Fantasy, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Yelveràn trovava Mantog e Neirseim persone piacevoli, ma dopo due giorni di convivenza obbligata desiderava davvero tanto che le loro strade si separassero, ed aveva cercato di ottenere quel risultato in ogni modo, senza riuscirci. Purtroppo la via più veloce per Feuzte costeggiava la Baorva, e almeno fino a Lafargau, dove i coniugi avevano dichiarato di voler noleggiare due muli, il loro percorso coincideva. Heze era abituato alle sue esili proteste e le considerava una forma di misantropia a cui credeva di poter ovviare sostenendo da solo la conversazione coi compagni di viaggio, ma non si rendeva conto di quanto - esattamente come era avvenuto con la Carovana dei Folli – quel contatto umano prolungato sottoponesse la mente di Yèlveran ad un costante sforzo che lo prosciugava di energia. Non si trattava di riservatezza, non si trattava nemmeno del fatto che nell’enclave le relazioni coi compersi fossero scarne e inframezzate da lunghe ore di solitudine: il problema stava altrove, e lui non poteva spiegare ad Heze perché non avrebbe dovuto trovarsi in situazioni del genere, non poteva spiegargli quanto questo fosse pericoloso. Doveva lasciargli credere di essere solo un inguaribile timido e dissimulare il suo malessere fingendosi semplicemente stanco del cammino, mentre si concentrava ogni minuto, ogni secondo, per mettere in pratica tutti gli insegnamenti di Luxei: non farsi turbare dai segnali che riceveva dagli altri, prendere distanza dalle cose. Poteva farcela: doveva resistere solo fino alla fine di quel viaggio, poi avrebbe avuto tutto il tempo per riposarsi e permettere di nuovo al mondo di lasciarlo fuori. Al sicuro.

E tuttavia… a volte si trovava a pensare che Heze gli sarebbe mancato. Che sarebbe stato difficile tornare a Villanuova, riprendere la sua vita isolata e tranquilla – una vita, gli aveva detto lui, non adatta ai suoi occhi – e salutarlo senza avergli detto la verità.

La voce di Mantog interruppe i suoi pensieri.

“La campana di Koudad sta suonando.” constatò.

Heze e Neirseim si scambiarono uno sguardo rallentando il passo e Yèlveran ne approfittò per fermarsi del tutto e sgranchire la schiena, riassestandosi il bagaglio sulle spalle.

“Mm. Che significa?”

Mantog si grattò la testa.

“Dipende.” disse “ Se la campana suona, o è giorno di festa o avvisa di un pericolo, e non mi pare ricorrano festività particolari in questa stagione… ”

“Non risulta nemmeno a me.” concordò Heze “Però potrei sbagliare, e non vedo neppure traccia di cataclismi, da quassù!”

Sorrise, puntando col mento il paesello che si stendeva a fondovalle: il cielo era chiaro e la visuale nitida, da dove si trovavano potevano contare una ad una le case, disposte a scacchiera attorno all’incrocio di due strade, una più grande e una più piccola.

“Quella che va da nord a sud si collega a Ponte al Lungo aggirando i Monti di Vetro,” spiegò Heze, “ed è la strada che avrei scelto per noi se qualcuno qui non fosse un gran testone.” gli strizzò l’occhio “L’altra è quella che seguiremo per arrivare a Lafargau, sul lungofiume.” e additò all’orizzonte il luccichio lontano della Baorva. “Avviciniamoci e capiamo cosa succede. È molto più probabile che ci troviamo di fronte ad una celebrazione imprevista che ad una catastrofe naturale: nella peggiore delle ipotesi, staranno chiamando a raccolta per una caccia al neshpa.” si rivolse a Yèlveran facendo spallucce “Te l’avevo raccontato che a volte si spingono a valle e sono una vera calamità, giusto? Devastano ogni cosa: dagli orti ai pollai!”

Le parole di Heze parvero convincere tutti, e la comitiva si rimise in cammino.

In meno di un’ora furono in paese: ad accoglierli trovarono un innaturale silenzio, reso ancor più sinistro dal fatto che fosse un limpido pomeriggio di primavera e tutte le imposte delle case fossero invece sbarrate, quasi a chiudere fuori la luce del giorno.

“Ve lo avevo detto:” decretò Heze “neshpa!”

Ma non c’era traccia di quelle assurde creature, nei paraggi, né di cacciatori: corse invece loro incontro un uomo – che magari un cacciatore poteva esserlo, dato che portava un lungo pugnale appeso a un lato della cintura e una mazza dall’altro – il quale li respinse indietro agitando le braccia, forse con un sincero intento protettivo che veniva però vanificato dall’espressione truce del suo volto.

“Forestieri, non potete passare di qui. Oggi il paese è bloccato.”

Seguì un momento di stallo che amplificò la quiete innaturale che avvolgeva l’abitato. Yèlveran era certo che dietro le imposte chiuse ci fossero persone, avvertiva la loro presenza, sentiva il peso di occhi ed orecchie che non poteva vedere, ma se non fosse stato per quella chiara sensazione, il paese che Heze aveva chiamato Koudad quel giorno sembrava il regno dei fantasmi.

“Che vuol dire bloccato?” domandò Mantog, infastidito dall’inconveniente, o forse dall’ostentazione di autorità dello sconosciuto.

“Bloccato vuol dire bloccato. Chiuso. Fate il giro da un’altra parte.”

“Non possiamo fare il giro,” si scaldò “abbiamo bisogno di fermarci: il prossimo centro abitato è a troppe ore di cammino, scenderà la notte!”

“Problema vostro. Io ho l’ordine di non far passare nessuno.”

“Ma tu guarda…! A certa gente basta il permesso di sfoggiare un’arma per…”

Heze si parò davanti a Mantog e gli tolse prontamente la parola.

“Ti prego.” disse “Il signore, qui, sta facendo il suo lavoro. Se il paese ha dovuto costituire una Guardia armata significa che c’è un pericolo, da cui lui ci sta tenendo al sicuro.”

Sfoderò un sorriso cordiale e le sopracciglia dell’uomo si rilassarono.

“Cosa vi è successo? Possiamo forse renderci utili in qualche modo?”

L’uomo fece un grave cenno di diniego con la testa.

“Se foste a cavallo, vi avrei chiesto di portare un messaggio a Ponte al Lungo, ma faranno prima i nostri inviati a raggiungere l’enclave di Baorva. Abbiamo catturato una Maledizione.”

A quella sola parola, tutta la baldanza scomparve dal viso di Mantog, mentre quello di Neirseim si fece pallido: lo sguardo che si scambiarono fu molto eloquente, era chiaro che affrontare una notte in viaggio non gli sembrava più particolarmente spaventoso.

E lui?

Lui avrebbe dovuto fare lo stesso, girare alla larga, tutelare se stesso e gli altri sottraendosi al problema.

Luxei gli avrebbe consigliato così, anzi, glielo avrebbe ordinato.

Ma se Luxei fosse stato al suo posto, Yèlveran sapeva benissimo come si sarebbe comportato.

Nell’unico modo giusto. Nell’unico modo che li rendeva ancora perdonabili.

“La prendo in consegna io.” dichiarò, facendo un passo avanti e mostrando il polso alla guardia “Posso eseguire io il rito di purificazione.”

 

Il rito di purificazione.

Cioè condannare una Maledizione.

Cioè ammazzare una persona.

No, no e no.

Yèlveran non poteva aver pensato una cosa del genere, figuriamoci essersi offerto di farla.

Heze lo aveva visto diventare triste, quel giorno in cui gli aveva detto «Tocca a noi Persuasori uccidere le Maledizioni, la chiamiamo Purificazione ma è un omicidio» e non riusciva a credere a ciò che aveva appena sentito. Non era obbligato a rimanere incastrato in una situazione che gli avrebbe fatto solo del male: aveva mille modi per defilarsi, viaggiava in incognito, aveva già una missione da svolgereGli sarebbe bastato fare finta di niente e nessuno gli avrebbe chiesto niente.

Ma lui poteva affermare con certezza che Yèlveran non volesse svolgere quel compito? Lo conosceva abbastanza?

In fondo era un Persuasore, dunque lui stesso, nell’intraprendere la strada che si era scelto, doveva aver fatto le sue valutazioni: doveva aver accettato che potesse accadere anche questo.

Cercò il suo sguardo per ricevere un segnale, ma gli occhi di Yèlveran erano vuoti e distanti.

L’uomo armato, invece, si era fatto piccolo piccolo e l’autorità che le armi gli avevano conferito fino a un attimo prima sembrava essersi volatilizzata.

“Vi saremmo immensamente grati, signore… La vostra presenza qui è una grazia del cielo… ”

Anche Mantog e Neirseim ora guardavano Yèlveran come se non avessero mai trascorso con lui due giorni di cammino, come se non fosse più l’uomo schivo e gentile a cui lei aveva rifatto la fasciatura, l’uomo che arrossiva e abbassava gli occhi e che si perdeva nei suoi pensieri così a fondo da non accorgersi se qualcuno gli stava parlando: la sua stessa identità era capace di creare una voragine tra lui e gli altri, ed Heze si domandava quanto egli stesso non fosse vittima di quella suggestione.

“Credo che possiate fermarvi per la notte come speravate, se la Guardia cittadina lo riterrà opportuno” disse Yèlveran, senza rivolgere uno sguardo ai due compagni di viaggio “Non intendo eseguire un rito di purificazione in un centro abitato. Porterò la Maledizione in un luogo adatto all’installazione di un confine sicuro. Heze, aspettami qui.”

Sei impazzito, Yèlveran? Stai andando a eseguire una condanna a morte e tutto ciò che hai da dirmi è “aspettami qui”? Come se non ci fosse nulla da aggiungere? Come se fra qualche ora il nostro viaggio potesse continuare da dove si è interrotto? Come se io e te potessimo rimanere gli stessi, dopo…?

Avrebbe voluto urlargli tutto questo in faccia, ma non poteva, non davanti a tre testimoni, non se Yèlveran continuava ad evitare di guardarlo negli occhi. Così mise in parole il solo pensiero che fosse lecito, ed era un pensiero sincero, ma era anche l’ultimo.

“Non credi che interagire con una Maledizione da solo sia pericoloso?”

“La Guardia cittadina fornirà tutto il suo supporto!” si intromise l’uomo.

Yèlveran si strinse appena nelle spalle, ma di nuovo non si voltò indietro.

“Mm. No. Non mi serve.”

“Ma, signore…”

“Non mi servite. Non eseguo riti-spettacolo. E non sono in pericolo. Vi prego di non parlare di cose che non sapete.”

“P-perdonatemi.”

L’uomo chinò il capo e gli fece cenno di seguirlo.

“Voglio venire con te!” gridò Heze, e non sapeva se lo voleva davvero, forse sperava solo di scoprire che stava bluffando, o almeno di vedere qualcosa che lo aiutasse a capire: anzi, no, che smentisse il più atroce dei suoi dubbi, quello di non aver capito proprio niente, di non conoscere affatto la persona che aveva davanti.

“Preferirei evitarlo…” per un attimo la sua voce tornò ad essere quella di sempre, vaga e esitante, poi si fece di nuovo fredda “Ti ordino di restare qui, Heze.”

 

La Maledizione era stata confinata dentro la sua abitazione, una piccola casa di sasso ai margini del paese. Intorno al perimetro c’erano sette uomini armati, a cui si aggiunse quello che era con lui. Due di loro tenevano, ma con scarsa fermezza, immobilizzato un uomo, che si dimenava piangendo e supplicando. Yèlveran si sforzò di studiare la situazione, ma il suo accompagnatore lo precedette.

“È il padre. Non accetta che la figlia sia una Maledizione. Vi prego, siate comprensivo con lui…”

Yèlveran distolse lo sguardo per mettere distanza tra sè da quella violenza emotiva; doveva tenere a bada le sue, di emozioni, doveva chiudere tutte le serrature: come poteva essere comprensivo verso quelle degli altri?

“Avete individuato di cosa la Maledizione è capace?”

L’uomo abbassò la voce, intimorito dalle sue stesse parole.

“Ha spento il fuoco con gli occhi.”

“Mm. E ne avete la certezza? Una fiamma può smorzarsi per molte ragioni.”

“Nessun dubbio, signore. L’abbiamo costretta a rifarlo.”

Yèlveran si passò una mano tra i capelli e si rese conto del sudore freddo che gli bagnava la fronte: quegli uomini non volevano essere crudeli, temevano davvero chissà quali sventure per la città, si preoccupavano che fosse usata clemenza al padre, parlavano con la franchezza di chi pensa di aver agito bene, eppure era proprio quella buona fede a renderli spaventosi.

Costretta a rifarlo.

“È un potere con cui non può aggredire. Tutta questa gente schierata qui è superflua. Vi prego di andare via.”

“Ma signore, per la vostra sicurezza…”

Yèlveran si sforzò di rivolgergli lo sguardo più autoritario di cui fosse capace.

“Credete forse che un Persuasore non sia in grado di gestire una Maledizione così innocua?”

L’uomo deglutì, poi annuì vigorosamente e riferì l’ordine ai compagni, ma il padre della Maledizione – una bambina? Una ragazza? Chissà che età aveva, come si erano risvegliati i suoi poteri, cosa stava provando adesso... – si divincolò dai due che lo tenevano a distanza e, prima che chiunque potesse fermarlo, si gettò a terra, ai suoi piedi.

“Vi prego! Non ha fatto niente! Non farà mai più niente! Baderò io a lei… ce ne andremo lontano…lontano dagli uomini, lontani da tutto…!”

Uno dei presenti fece il gesto di trascinarlo via, ma lui lo respinse con violenza.

Yèlveran portò una mano all’altezza del fianco e premette sulla ferita: lasciò che il dolore si prendesse per qualche attimo la sua attenzione per non consentire alle emozioni di quel disgraziato di arrivare fino a lui.

“Lasciatelo rimanere.” disse “La Grande Legge concede il diritto all’addio persino ai peggiori criminali. Non temo di portarlo con me.”

Invece forse avrebbe dovuto. Cosa poteva essere capace di fare chi sta per perdere un figlio? In realtà non lo sapeva. Di solito i familiari delle Maledizioni si affrettavano a prendere le distanze, temevano chissà quale colpa o contaminazione, dimenticavano di essere stati genitori, fratelli o sorelle. L’amore disperato di quell’uomo era pericoloso, come tutti i sentimenti dai nomi antichi e potenti. Avrebbe dovuto guardarsene e averne paura.

Fece largo sulla soglia affinché il padre entrasse per primo e in un battito di ciglia quello corse a mettersi tra lui e la figlia, nascondendola tra le braccia.

“Non è il momento di fare sciocchezze.” disse Yèlveran, cercando di mantenere la freddezza che ci si aspettava dal suo ruolo, soprattutto in un momento del genere “Devo portarvi fuori dal paese, per la tranquillità di tutti. Non farmi pentire di averti concesso di esserci.”

L’uomo non si mosse.

“Non le farete del male senza farne a me. Uccideteci entrambi.”

Yèlveran diede in un lungo sospiro, appoggiando le spalle contro la porta chiusa.

“Oddio, che fatica! Che tu voglia commuovermi o votarti all’estremo sacrificio, potresti farlo quando ci saremo allontanati da qui?”

L’altro rimase per un momento spiazzato e sciolse lentamente l’abbraccio. Ora Yèlveran poteva vedere bene chi era la tanto temuta Maledizione, una bambina che poteva avere cinque anni, piccola e minuta, con due enormi occhi scuri sgranati e stupefatti. Non doveva capire niente di ciò che le accadeva intorno, ma avvertiva il terrore e la sofferenza del padre e di conseguenza piangeva.

Yèlveran abbassò la voce.

“Non c’è niente di più pericoloso delle azioni di una folla spaventata, e subire un linciaggio sarebbe molto peggio, per te e per lei, di qualsiasi cosa possa farvi io.”

 

Stava scendendo il crepuscolo.

Yèlveran lasciò la strada principale e si inoltrò lungo un sentiero che curvava per tornare verso le montagne, fino ad andare a morire nel bosco. Nonostante non fosse ancora buio, sotto le chiome degli alberi sembrava già notte. Lo precedevano un uomo e una bambina, ma appariva evidente che era Yèlveran a decidere la strada: i due lo anticipavano esitanti. Chi dei due era la Maledizione? Heze non riusciva a capirlo, ma era anche l’ultimo dei suoi pensieri.

“Yèl…” si morse la lingua, bloccò le sue parole, ma non i passi che lo spinsero a fianco del suo amico “Ti prego, no.”

Lo afferrò per il polso, quasi che trattenendo lui potesse trattenere le sue intenzioni.

Yèlveran sbatté gli occhi, come se quel gesto lo avesse improvvisamente svegliato da un sogno.

“Heze…? Che fai qui?”

L’uomo ebbe per un attimo l’istinto di correre via, poi trasse a sé la bambina e restò fermo, impotente, spaventato.

“Ti prego. Tu non vuoi fare questo. Non sei fatto per questo.”

“Ti avevo chiesto di aspettare.”

“Aspettare che tu faccia una stronzata di cui ti pentirai?” lo afferrò per le spalle e gli diede una vigorosa scrollata “Ma porca puttana! Mi hai detto che non sei d’accordo! Che il rito di purificazione per te è…”

“Vuoi stare zitto?!”

Heze lasciò ricadere le braccia lungo i fianchi, pietrificato. Era la prima volta che lo sentiva gridare, la prima volta che imprimeva violenza alle sue parole, che non riusciva a tenere sotto controllo il timbro sempre così dolce della sua voce.

“Ti avevo promesso di non coinvolgerti. Ci ho provato in tutti i modi. Ma tu me lo impedisci e finisci sempre per pretendere più di ciò che devi! Non sai un accidente, Heze!”

“So che stai per ammazzare una persona!”

“MA CERTO CHE NO!”

Certo che no.

Certo che no, aveva detto.

Anzi, lo aveva urlato.

Come se una stretta morsa gli avesse appena liberato la gola, Heze emise un profondo respiro.

Yèlveran invece era rimasto immobile, spaventato dalla sua stessa reazione.

L’uomo si strinse alla figlia, ma i suoi occhi ora osservavano la scena con un po’ di curiosità in più ed un po’ di terrore in meno.

“Va bene.” mormorò Yèlvaran, massaggiandosi le tempie con le dita “Va bene, ormai ci sei. Allora, per favore, rassicura tu questi due, che io non sono capace.” ad un tratto sembrava che tutta la stanchezza del mondo gli fosse piombata sulla schiena “Ho bisogno… che la tensione diminuisca… altrimenti per installare il confine ci metterò tutta la notte.”

Non aspettò neppure la risposta e tornò indietro di qualche passo: Heze lo guardò mentre si chinava sulle ginocchia a studiare chissà quali piccoli dettagli nell’erba per visualizzare – avrebbe detto lui – lo spazio immaginario che voleva circoscrivere… Quella volta non stava procedendo in tondo, ma era come se volesse tracciare una linea retta perpendicolare alla fine del sentiero.

“Che cosa significa questo…?” azzardò ad un tratto l’uomo.

Heze gli fece cenno di abbassare la voce.

“Se mi ha detto che vi devo rassicurare,” disse “allora significa che potete sentirvi rassicurati.

“È… veramente un mago? O ha mentito?”

“Oh, se lo è!”

“Un mago che non giustizia le Maledizioni?”

Heze sorrise.

“A quanto pare…”

 

Yèlveran non si era mai stancato così tanto nell’installare un confine, e non solo per il fatto che quello era il confine più lungo e più persistente che si fosse mai trovato a costruire, ma anche perché non riusciva a mantenere costante la concentrazione. Quei due sarebbero riusciti a salvarsi senza metterlo nei guai? Ed Heze? Come avrebbe fatto a tenerlo al sicuro da ciò che adesso sapeva? Luxei cosa avrebbe pensato? Il suo gesto poteva aver compromesso la missione che gli era stata affidata? Si lasciava turbare da ogni rumore. Lo distraevano il soffio del vento, l’umidità che saliva dalla terra, il canto di qualche uccello della sera, persino la silenziosa presenza dei tre: erano distanti e immobili, ma gli sembrava di sentire ogni loro respiro, i battiti dei loro cuori, persino i loro pensieri.

Quando ebbe terminato, si era fatto buio pesto: non aveva idea del tempo trascorso, probabilmente ore. Si sentiva sfinito.

Tuttavia girò le spalle al suo lavoro, indossò la sua espressione più neutra e tornò dai compagni.

“Scusate l’attesa.”

Heze e i due si erano accovacciati per terra tra un albero e l’altro e la bambina si era addormentata con il capo posato sulle gambe del padre. Quando Yèlveran si sedette vicino a loro, quest’ultimo si irrigidì e portò istintivamente una mano a proteggere la testa della figlia, ma sostenne lo sguardo.

“Voi… volete veramente aiutarci?”

Yèlveran non rispose alla domanda, si massaggiò ancora una volta la testa, poi la appoggiò tra le mani e lo guardò a sua volta.

“Ascolta bene le istruzioni. Adesso devi rimanere qui per un po’: le voci sulla comparsa di una Maledizione si spargono sempre in fretta e voi due non potete correre il rischio di farvi trovare su una strada, qualcuno potrebbe riconoscervi. Non allontanarti da questo punto, neppure di pochi passi: ho modificato la percezione del sentiero che porta qui e nessuno può vedervi. Dopo che io ed Heze ce ne saremo andati, farò lo stesso alle nostre spalle. Ti sembrerà che il paesaggio si confonda, ti sembrerà di non essere dove pensavi e forse la bambina si spaventerà, ma mantieni il controllo e aspetta che il confine svanisca da solo. Passerà del tempo, forse un paio di giorni, forse di più: pazienta. Quando comincerai a riconoscere il luogo, allontanati più velocemente che puoi evitando la strada da cui siamo venuti, anche a costo di attraversare il bosco a piedi. Non percorrere le vie principali, evita i centri abitati, e soprattutto tieni a bada il potere di tua figlia.”

“T-tenerlo a bada…? Come posso, io…”

Yèlveran lo interruppe con un cenno della mano.

“I poteri delle Maledizioni, a differenza delle Persuasioni, pare abbiano una forte componente istintiva: non ne sappiamo abbastanza per formulare teorie, ma determinate emozioni li attivano, o almeno li amplificano. Al momento, autocontrollo e isolamento sono i soli consigli che posso darti. Relazionati con meno gente possibile e dirigiti verso l’Oltrefrattura: quando sarai là, cerca un posto che si chiama Villanuova e aspetta. Vi troverò io.”

Non gli diede tempo di reagire e si rivolse ad Heze.

“Puoi spiegargli la strada che ti sembra migliore?” cambiò tono all’improvviso abbozzando un sorriso confuso “E poi… emh… Forse dovremo lasciargli qualcosa da bere o da mangiare… e una coperta per la notte… A questo non ho proprio avuto il tempo di pensare…”

Senza aspettare risposta, si mise a frugare impacciatamente tra le borse.

L’uomo lo osservò per un po’, e mentre lui tirava fuori a casaccio oggetti, abiti e cibarie, sentì le sue spalle farsi leggere e tutta la paura scemare.

Scoppiò a piangere.

“Voi siete una benedizione!” singhiozzò “Sarò vostro debitore per sempre!”

Yèlveran spalancò gli occhi, al tempo stesso sorpreso e turbato.

“Io… emh… No. Nessun debito.” si schermì “Però… ti potresti commuovere dopo che ce ne siamo andati? Le lacrime mi mandano la testa in confusione ed io devo ancora tracciare un altro confine, e sono tanto, tanto stanco!”

 

Era quasi l’alba quando il secondo confine fu installato e Yèlveran ed Heze si ritrovarono finalmente soli.

“Mi sa che dobbiamo trovare un’altra strada… un giro un po’ più largo, credo.”

Heze non riusciva a smettere di fissarlo: aveva l’aspetto di chi non dorme da giorni, ma il suo viso si era rasserenato ed ora parlava di cosa fare e dove andare con assurda naturalezza, quasi che non avesse appena fatto la cosa più pazzesca che lui avrebbe mai potuto anche solo immaginare di vedergli fare.

Aveva salvato una Maledizione.

Aveva infranto la Grande Legge.

“Scusami… ” disse “Scusami di aver pensato che…”

“Hai pensato quello che dovevi pensare. Se non lo avessi fatto mi avresti messo nei guai davanti a quella gente e adesso saremmo in un enorme pasticcio. Io non sono bravo a fingere, figuriamoci a mentire…”

Non era vero, aveva finto tante volte, da quando lo conosceva: aveva finto di poter uccidere un uomo in trentatré ore, finto di saper leggere nella mente, finto di essere in grado di eseguire una condanna a morte. E soprattutto fingeva ogni giorno un distacco e una freddezza che non possedeva.

“È che tu mi spiazzi sempre, Yèlveran.” buttò là, di getto “Sei coraggioso, sei altruista, sei… straordinario. E non ti posso capire. Ti posso solo ammirare.”

Lo pensava davvero.

Non aveva mai ammirato tanto un altro essere umano, e allo stesso tempo nessun altro essere umano era mai stato per lui così difficile da comprendere.

Yèlveran socchiuse gli occhi e sospirò.

“Essere sopravvalutato è un peso che non desidero portare.”

Heze fece per controbattere ma l’espressione sul volto dell’altro lo trattenne. Fu lui a riprendere a parlare.

“Oggi ti ho reso complice di un crimine. Se un Persuasore di Ricordi leggesse la tua mente, saresti condannato a morte all’istante. Le cose sono diverse, per me. Io sono uno di loro, riceverei un trattamento diverso. La pena più grave che potrebbero infliggermi sarebbe cancellare l’evento dalla mia memoria ed esiliarmi in una lontana enclave dell’Oltrefrattura… dove di fatto già vivo. Non c’è niente di straordinario nel privilegio, Heze.”

  
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